– Abbiamo molto da fare e vi
prego di lasciarci tranquilli.
Faja, contento di quel tesoretto, se
ne andò coi suoi pescatori, più che mai convinto di
aver da fare con due pazzi.
La conquista della luna! Decisamente
quei due stranieri, malgrado la loro serietà, dovevano avere
il cervello sconvolto.
Comunque fosse, Faja diede ordine ai
suoi compagni di non importunare in modo alcuno i due stranieri e di
lasciarli fare il loro comodo.
La curiosità degl'isolani era
diventata però così intensa che passavano delle
giornate intere sulle rupi, che dominavano la spiaggia, e di
conseguenza anche il recinto che era riparato da una piccola tela, la
quale non impediva che si potesse comodamente scorgere ciò che
facevano là dentro i due scienziati.
Questi passavano i loro giorni ora
facendo delle lunghe osservazioni sul sole e sulla potenza del suo
calore, ora a levare continuamente oggetti dalle casse.
Avevano già fabbricato una
macchina strana, che rassomigliava ad una cupola, con la parte
superiore formata da lastre solidamente incastrate in telai che
parevano d'alluminio, e la inferiore coperta di specchi immensi e di
una serie di doppie eliche, che si vedevano funzionare senza posa,
anche dopo il tramonto dell'astro diurno.
 Che
cosa fosse, nessuno sarebbe stato capace di dirlo. Anche Faja che,
avendo girato il mondo, doveva sapere tante cose e anche averne
vedute molte, invano si lambiccava il cervello.
Solo cominciava a credere che quei due
scienziati non fossero così pazzi come li aveva dapprima
giudicati.
Erano trascorsi dieci giorni dalla
partenza del misterioso piroscafo, quando un dopopranzo gl'isolani
videro i due scienziati intenti ad abbattere il recinto.
Faja, avvertito che i due stranieri
desideravano parlargli, si era affrettato a scendere sulla riva.
Lo scienziato dalla barba bianca lo
ricevette e lo condusse dinanzi a quella strana macchina, i cui
specchi percossi dal sole irradiavano un calore così intenso
da non poter resistere.
– Noi stiamo per tentare il
grande esperimento – gli disse.
– Quale? – chiese Faja.
– Di conquistare la luna.
– Ne siete ben certi? –
chiese l'ex-marinaio, con tono di dubbio.
– Abbiamo, se non la certezza,
almeno molta speranza – disse il vecchio. – Voi vedete
questa macchina?
– Anche un cieco la vedrebbe, ma
non so a che cosa potrebbe servire, specialmente con tutti quegli
specchi.
– Chiamateli riflettori, signor
alcade, o meglio ancora, insolatori.
«Basta orientarli a seconda della direzione dei raggi solari
per ottenere uno sviluppo di calore così considerevole da
mettere in movimento qualunque macchina.
«Essi danno a noi la forza
necessaria per far funzionare gli apparecchi che si trovano sotto la
cupola di cristallo, i quali dovranno mettere in moto tutte le ali ad
elica, destinate a trasportarci in alto.
«Noi vogliamo tentare, con
l'aiuto di quella novella forza, d'innalzarci a tale altezza non mai
neppur sognata, fino ad uscire dall'orbita della terra e cadere sulla
luna o su qualche altro astro, ciò che io ed il mio amico,
dopo lunghi studi, crediamo possibile.
«Non sappiamo se il nostro
tentativo, che può sembrarvi una pazzia, possa avere un esito
felice o se finirà in un'orrenda catastrofe.
«Comunque sia, noi lasceremo
alla scienza la nostra invenzione.
Prese un tubo di metallo,
accuratamente chiuso, e lo consegnò all'ex marinaio, dicendo:
Qui vi sono dei documenti riguardanti
la nostra scoperta. Se un giorno una nave approderà alla
vostra isola ed il suo comandante li reclamerà, voi non dovete
esitare a consegnarli. Datemi la vostra parola, signor alcade.
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