Capitolo 1
Una sorpresa alla polizia canadese
“Hurrah!” urlano diecimila voci.
“Evviva il Washington!”
“Hurrah per Mister Kelly!”
“Mille dollari a chi ci tiene!” grida una voce.
“Siete pazzo Paddy?... Li perderete: ve lo assicuro
io.”
“Duecento sterline!...” grida un’altra voce.
“Chi ci tiene?”
“Su chi scommettete?”
“Sulla riuscita della traversata!”
“Ecco un altro pazzo! Avete molte sterline da gettare
in mare, Mister Holliday!”
“Le vincerò: Kelly attraverserà l’oceano e scenderà in
Inghilterra.”
“No, in Spagna”, grida un altro.
“In Spagna o in Inghilterra, poco importa. Chi ci
tiene a duecento sterline?”
“Le perderete, il suo pallone scoppierà.”
“E andrà a finire in fondo all’oceano.”
“Kelly è un pazzo!”
“Kelly è stanco di vivere!”
“No: è un coraggioso! Hurrah per Kelly! Viva il Washington!”
“Mille dollari che Kelly morrà affogato.”
“Duemila che il suo aerostato scoppierà sulle nostre teste.”
“Cento sterline che Kelly si fracasserà sulla
spiaggia.”
“Mille che attraverserà l’oceano!”
“Accettate?”
“Sì...!”
“No... siete pazzi!”
“Hurrah per Kelly!”
Questi dialoghi, queste grida, queste scommesse, le
une più stravaganti delle altre, si incrociano in tutti i sensi, si fanno
ovunque. Yankee, canadesi, inglesi scommettono: con pari furore, sterline e
dollari corrono dappertutto, mentre la folla si agita, si urta, si spinge, si
schiaccia contro un grande recinto, rovesciando i policemen. che non sono
più in grado di trattenerla, malgrado non risparmino i colpi di mazza, che
grandinano sui più impazienti con sordo rumore.
Dalle prime epoche della sua scoperta, mai si era
veduta tanta gente radunata sulle spiagge dell'Isola Brettone. Da tre giorni, battelli
a vapore, barche a vela, scialuppe e lance rovesciavano su quelle sponde
americane del Maine, del New Hampshire, del Vermont. del Massachusetts, del
Delaware, del Maryland, del Connecticut e dello stato di New York, francesi e
inglesi del Basso e dell’Alto Canada e dell’Isola di Terranova.
La piccola città di Sidney, capoluogo dell’Isola
Brettone, era stata invasa dai primi arrivati: gli altri, malgrado la stagione
fosse tutt’altro che mite, si erano accampati all’aperto, sotto tende
improvvisate con coperte d’ogni specie, con vele, con stuoie, decisi a non
andarsene prima di aver veduto ciò che li aveva attratti su quelle spiagge
quasi inospitali.
Che cosa aveva potuto radunare colà, in sì breve
tempo, quelle venticinque o trentamila persone? Una notizia emozionante,
portata da tutte le linee telegrafiche del Canada e degli Stati Uniti
dell’Unione.
Un uomo - un audace, secondo alcuni; un pazzo che era
stanco di vivere e spendere milioni, secondo altri - aveva annunciato che stava
per tentare la traversata dell’Oceano Atlantico in pallone! Non ci voleva di
più per far accorrere all’Isola Brettone gli Americani e gli Inglesi, gli uni
grandi amatori di spettacoli mirabolanti, gli altri grandi ammiratori delle
audacie scientifiche.
Il nome dell’aeronauta che stava per tentare quella
temeraria impresa, era noto negli Stati Settentrionali dell’Unione e nel Basso
come nell’Alto Canada.
Ned Kelly, tale era il suo nome, era uno yankee
puro sangue, nato a New Port, nel Connecticut. Ricco a milioni, solo al mondo,
ardito, amante delle scienze, ingegnere di fama, da parecchi anni si era dato
allo studio dell’aeronautica. Si diceva che volesse trovare il mezzo di
dirigere i palloni: anzi aveva fatto parecchie ascensioni, recando seco degli
apparecchi di sua invenzione, ma, a quanto pareva, con poca riuscita. Aveva
quindi abbandonato quegli attrezzi, più di peso che di utilità, e si diceva che
si fosse dato allo studio delle correnti aeree, volendo tentare un grande
viaggio.
Si sapeva che da parecchi mesi faceva delle ascensioni
sulle coste della Nuova Scozia e dell'Isola Brettone con un pallone frenato;
poi egli era improvvisamente partito per New York, assentandosi per varie
settimane.
Nei primi di aprile del 1878 il telegrafo annunciava
che Ned Kelly avrebbe tentato la traversata dell’Oceano Atlantico, con un
pallone di nuovo modello. Quella notizia commosse profondamente americani e
canadesi.
Gli scienziati dei due paesi s’affrettarono a chiamare
quell’audace impresa un suicidio; i giornali si divisero in due campi, l’uno a
favore dell’ingegnere, l’altro contro; il pubblico, salvo poche eccezioni,
chiamò quel tentativo una pazzia!... Pazzia, o suicidio, o buona riuscita, le
persone meglio munite di denaro s’imbarcarono in massa chi sui piroscafi, chi
sui velieri, chi sulle lance, e si portarono all’Isola Brettone. Tutti volevano
assistere alla partenza della spedizione, quantunque i più fossero convinti di
veder scoppiare quel nuovo pallone appena si fosse alzato e altri di assistere
all’agonia dell’aeronauta e dei suoi compagni, se ne avesse trovati, perché non
dubitavano che si sarebbero tutti annegati in mezzo all’ampio oceano.
Mentre gli aiutanti dell’ingegnere si preparavano a
gonfiare l’aerostato, la cui enorme massa occupava una gran parte dell’immenso
recinto costruito sulla spiaggia, a tre miglia da Sidney, e a disporre i sacchi
di zavorra, le casse dei viveri, i barili d’acqua, le gomene, le ancore, ecc.,
gli americani, gli inglesi e i canadesi, seguendo la loro passione,
scommettevano con furore. I più giocavano contro la riuscita dell’impresa: ma
taluni, che forse avevano una grande fiducia nell’ingegnere o nel suo pallone,
puntavano in suo favore, eccitando la più alta sorpresa o la più clamorosa
ilarità.
A un tratto un grido echeggia:
“Silenzio!...”
Le urla, le risa, le discussioni cessano come per
incanto, gli occhi di quei tremila spettatori si fissano in mezzo al vasto
recinto, dove si stendono due enormi tubi, le cui estremità si prolungano da
una parte verso un caseggiato, dove si fabbrica l’idrogeno, e dall’altra
scompaiono sotto due enormi cumuli di seta, che cominciano ad agitarsi, come se
sotto di loro s’introducesse una rapida corrente d’aria.
Un grido immenso scoppia da ogni parte: è un grido di
stupore, che si converte subito in esclamazioni d’ogni genere e in discussioni
animate. I dialoghi s’incrociano ancora
da ogni parte.
“Chi ha mai visto un pallone di quel genere?...”
“Un pallone!... Ma sono due i palloni!...”
“A me sembrano due pelli di balena!”
“Che Kelly abbia trovato il modo di dirigere gli
aerostati?...”
“L’ingegnere ci farà perdere le scommesse.”
“A vantaggio nostro che abbiamo scommesso per lui!...”
“By God!”
“Sapristi!”
“Hurrah!, Hurrah!”
Un alto grido scoppia da tutte le parti, e una carica
di applausi frenetici rimbomba, coprendo i muggiti delle onde, che si frangono
con furore contro la spiaggia, e le grida degli aiutanti.
Quei due ammassi di seta si sono distesi sotto la
spinta dell’idrogeno che s’ingolfa attraverso i tubi, e le forme che assumono
strappano a tutti grida di meraviglia. Non sono i soliti palloni, che sembrano
fiaschi rovesciati: sono due fusi immensi, lunghi quasi quaranta metri, con un
diametro di quindici al centro, che si alzano lentamente con un leggero
ondeggiamento, tendendo le corde che gli aiutanti, in numero di trenta, tengono
con mani robuste.
Al di sotto di quei due fusi, che rammentano le forme
dei sigari avana, appeso a una lunga asta che occupa il centro dello spazio
lasciato dai due aerostati, ma a una distanza di tre metri dal loro lato
inferiore, si agita una specie di battello, lungo trenta piedi, già carico
d’una infinità di oggetti, di pacchi, di sacchetti, di botti, di casse, ma
costruito d’un metallo leggero e che si direbbe argento. Ancora pochi minuti e
quell’immensa macchina spiccherà il volo sopra i flutti muggenti
dell’Atlantico.
L’emozione degli spettatori è al colmo. Ognuno
dimentica le scommesse e tiene gli occhi fissi su quei due palloni, che sempre
più si gonfiano, mentre gli aiutanti eseguono delle manovre misteriose con
certe pompe. Si direbbe che iniettino, nell’interno dei due aerostati, un gas
speciale o qualche cosa di simile.
Ma quell’emozione prende enormi proporzioni quando si
vede apparire l’ardito aeronauta, uscito allora dal caseggiato dove si fabbrica
l’idrogeno.
E un bell’uomo sui trentacinque anni, di statura alta,
slanciato, con la fronte spaziosa, gli occhi neri e lampeggianti, i lineamenti
energici. Indossa un semplice costume di lana bianca ed è seguito da un giovane
negro di diciotto o vent’anni, vestito come lui.
Un “hurrah”
immenso scoppia: gli spettatori agitano pazzamente i berretti, i cappelli, i
fazzoletti.
“Viva Kelly!”
“Viva il Washington!”
“Hurrah...Hurrah!...”
L’ingegnere, giunto in mezzo al recinto, fa spiegare
sulla poppa di quell’imbarcazione argentea che deve servirgli da navicella, la
bandiera stellata degli Stati dell’Unione, provocando da parte dei suoi
compatrioti entusiastici evviva, poi con rapido sguardo esamina il suo
magnifico apparecchio aereo, e volgendosi verso il pubblico, dopo aver reclamato
con un gesto energico il più assoluto silenzio, dice: “Ho cercato, ma invano,
un terzo compagno che mi segua in questo grande viaggio aereo attraverso
l’oceano. Se qualcuno di voi si sente il coraggio di salire sul mio Washington,
offro un posto.”
Un silenzio glaciale accoglie le parole
dell'aeronauta: l’entusiasmo s’è estinto ad un tratto. Gli spettatori si
guardano in viso l’un l'altro; ma nessuno emette un sì. Applaudire quel
coraggioso, sta bene; ma accompagnarlo, seguirlo sull’oceano su quella macchina
capricciosa in balia del vento, per perire forse nei flutti, è un altro affare!
Nessuno si sente in vena di morire per la scienza.
Kelly attende un minuto, poi balza nella navicella,
seguito dal giovane negro, gridando: “Pronti al comando!...”
Ad un tratto un uomo si slancia attraverso la massa
del pubblico, aprendosi il passo con spinte irresistibili, balza sopra il
recinto e si precipita verso l’ingegnere, gridando: “Cercate un compagno:
eccomi!”
La folla per un momento raffreddata, si riscalda come
per incanto chi è quel giovanotto che osa affrontare la morte? Nessuno lo sa;
ma deve essere un coraggioso, e gli audaci sono e devono essere ammirati. Gli
“hurrah” prendono proporzioni tali da assordare; gli applausi scoppiano
dovunque, tutti agitano i cappelli e i fazzoletti, tutti urlano, si agitano, si
dimenano come ossessi.
Ma d’improvviso, mentre l’ingegnere sta per dare il
comando di “Via tutti!” e i suoi trenta aiutanti stanno per abbandonare le
funi, si odono delle grida di rabbia: “È lui!”, “Addosso, policemen,”
“Prendiamolo!”, “Fermate!... Fermate!” Quindici o venti policemen,
guidati da alcuni capi, si precipitano nel recinto, correndo verso il pallone,
ma ormai è troppo tardi. Il vascello aereo, libero, s’innalza maestosamente,
trasportando con sé l’ingegnere, il suo negro e quello sconosciuto, giunto
all’ultimo momento.
“Scendete!” gridano i policemen, che sembrano
furiosi. Uno di loro con un salto si aggrappa a una fune pendente dalla
navicella; ma il vascello aereo, che deve avere una potenza ascensionale
immensa, lo trascina con sé.
Il pubblico scoppia in una clamorosa risata. Lo
sconosciuto però, che pare si aspettasse un simile colpo di scena, si curva sul
bordo della navicella e taglia la fune con un rapido colpo di coltello, facendo
capitombolare sconciamente l’agente di polizia, e rovescia sul capo degli altri
un sacco di zavorra, accecandoli. Una guardia estrae il revolver e lo punta in
alto; ma il pubblico, che s’è riversato nel recinto come una fiumana, glielo
strappa di mano, per tema che guasti quella meravigliosa nave aerea. Un ultimo
immenso grido riecheggia: “Hurrah! Hurrah per Kelly! Viva il Washington!”
I due palloni erano allora tanto alti che già parevano
due sigari: si videro per alcuni istanti rasentare un grande nuvolone che si
estendeva sopra l’oceano, poi sparire verso il nord, in direzione di Terranova.
Quasi contemporaneamente una rapida nave a vapore, un
incrociatore della Real Marina, usciva precipitosamente da Sidney e si
slanciava sulle tracce degli aeronauti.
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