CAPITOLO XXVI
L'assassinio del visconte Le HUssière
Una confusione spaventevole regnava sulla tolda della galera. I
marinai, appena Metiub aveva dato l'ordine di sgombrare e di salvarsi, si erano
avventati contro le murate per giungere prima sulle imbarcazioni che erano
state accostate sotto il tribordo del veliero e siccome tutti non potevano ad
un tempo calarsi giù dai paranchi, avevano impegnata una lotta furibonda a pugni,
a calci e anche a colpi di coltello.
Invano Metiub ed i suoi ufficiali avevano tentato di regolare la
discesa nelle scialuppe. Più nessuno li ascoltava; la disciplina non regnava
più a bordo della galera.
Papà Stake, che si era immaginato quello che doveva succedere e
che voleva serbare ad ogni costo una scialuppa per la duchessa e pel signor Le
Hussière, si era aggrappato ad un paranco e, spalleggiato da Perpignano, da
Simone e dai greci, oppose una disperata resistenza.
— Lasciate questa barca alla signora, gaglioffi! — urlava. —
Nessuno la prenderà! A me, signor Perpignano! Rompete i musi a questi birbanti!
Una banda di mussulmani si era rovesciata addosso ai greci ed ai
veneziani, per impadronirsi della scialuppa, urlando ferocemente:
— Via di qui i giaurri! Buttiamoli in acqua!
Un turco si era gettato contro il mastro cercando di fargli
lasciare il paranco. Papà Stake, senza nemmeno voltarsi, gli sferrò un calcio
nel ventre e così terribile da farlo stramazzare sulla tolda mezzo accoppato.
Perpignano, trovata una scure appesa al bastingaggio, l'aveva
alzata sulle teste degli altri, gridando minacciosamente:
— Indietro o vi spacco il cranio.
Anche i greci e Simone non rimanevano inoperosi. Tempestavano, con
pugni e calci, i miscredenti ben lieti di approfittare di quella confusione per
vendicarsi delle lunghe umiliazioni patite e come lavoravano! Metiub però, che
ci teneva a salvare la duchessa, per imparare quel famoso colpo di spada, fu
lesto ad intervenire, facendo sibilare la scimitarra sulle teste dei suoi
marinai.
— Via di qua, miserabili! — tuonò, prendendo a piattonate i più
vicini. — Devo ricondurre ad Haradja quella signora ed i cristiani e manterrò
la promessa. Via o la mia lama berrà sangue mussulmano!
In quel momento la duchessa era comparsa sul ponte, con El-Kadur e
seguita dal polacco e dal medico, i quali reggevano il visconte.
— Largo! — urlò l'arabo. — Prima la signora!
Mentre i greci e Perpignano, aiutati da Metiub, respingevano i
turchi per aprire il passo alla duchessa, un drappello di marinai che cercavano
di sottrarsi alla pioggia di tizzoni e di cenere che cadeva sulla tolda, si
gettò fra i cristiani separandoli.
Il polacco, che non aveva ancora raggiunta la murata, fu travolto
dai fuggiaschi e sospinto verso tribordo.
— Ecco il buon momento, — mormorò. — Maometto ed il diavolo mi
aiutano.
Non scorgendo più nè la duchessa, nè i veneziani, nè i greci, che
erano stretti contro la murata dai fuggiaschi, si volse verso il vecchio
medico, dicendogli:
— Salvati e non pensare a me; ci penso io al ferito. Fa' presto o
non troverai posto nelle scialuppe.
Poi, sicuro di non essere osservato, passando sulla tolda nuvoloni
di fumo scavalcò la murata di tribordo, e tenendo sempre stretto il visconte,
che non aveva ancora ripresi i sensi, si lasciò cadere risolutamente in mare.
Sprofondò, sollevando un getto di spuma, e, quando ricomparve, era
solo.
— Vadano a ripescarlo ora, — mormorò il miserabile. — D'altronde
era ormai un uomo morto che nemmeno quell'imbecille di tobib avrebbe potuto
salvare.
Quantunque indossasse una corazza piuttosto pesante ed avesse a
fianco lo spadone polacco, si mise a nuotare vigorosamente lungo il bordo della
galera, passando sotto la prora.
Cercava di raggiungere le scialuppe che si trovavano dall'altra
parte e che forse in quel momento stavano per prendere il largo.
Un canotto montato da una mezza dozzina di mussulmani stava
proprio allora staccandosi.
— A me, marinai! — gridò. — Non lasciate perire un capitano dei
giannizzeri.
— Siamo già troppo carichi, — rispose una voce.
— Fermatevi, canaglie, o vi taglio gli orecchi. Ho ancora la spada
al fianco!
— C'è un posto ancora, — disse un'altra voce. — Accosta, capitano.
Il polacco, che doveva essere un buon nuotatore, con quattro bracciate
raggiunse il canotto ed aiutato dai marinai fu levato dall'acqua.
— Dritti alla costa, — disse subito. — Avrete cinquanta piastre di
regalo.
Si collocò a poppa, prese la barra del timone e la leggera
imbarcazione prese subito il largo, dirigendosi verso l'isola che non era
lontana più di cinque o sei miglia.
Passando accosto alla poppa, il polacco scorse la duchessa
scendere lungo il paranco, sorretta da El-Kadur.
— Che gli altri brucino pure, — mormorò. — A me basta che si salvi
lei. Voga! Non lasciamoci raggiungere o ci affonderanno.
La galera e la gagliotta bruciavano come due zolfanelli. Il fuoco,
non più combattuto, guadagnava rapidamente, investendo le alberature.
Bruciavano ormai le vele ed i pennoni, coprendo le tolde di
tizzoni fiammeggianti e di lembi di stracci infiammati.
Sulla tolda della nave da guerra la lotta continuava feroce, fra i
turchi, i quali si disputavano accanitamente le scialuppe che ancora rimanevano
e che non potevano bastare a tutti.
Di quando in quando degli uomini cadevano o forse venivano
precipitati in mare ed urla spaventevoli s'alzavano in mezzo alle ondate di
fumo e alle lingue di fuoco.
Quando il vento abbatteva quelle cortine fiammeggianti, si
vedevano correre sulle murate, come spettri, illuminati da bagliori d'inferno,
file di marinai che avevano le vesti infiammate.
Un vecchio mastro, dalla lunga barba bianca, ritto sulla crocetta
dell'albero maestro che ardeva come una immane torcia, pallido come un
cadavere, cogli occhi dilatati da una improvvisa pazzia e fissi sulle fiamme,
gesticolava, ripetendo memorabili parole di Selim I:
— Ecco il soffio ardente delle mie vittime! Io sento che
distruggerà l'Islam, il mio serraglio e me pure!
Il polacco, in piedi sull'ultimo banco di poppa, con una mano
sulla barra del timone, guardava spaventato quella scena terribile, mentre i
turchi arrancavano disperatamente.
La galera e la gagliotta erano ormai tutte in fiamme, dalla prora
alla poppa, dalla cala alle crocette degli alberi.
I pennoni cadevano con immenso fracasso, storpiando od ammazzando
coloro che erano ancora a bordo della grossa nave e che non si erano decisi a
gettarsi in acqua; le murate cadevano, i vetri dei sabordi di poppa
scoppiavano, i pezzi delle batterie rovinavano in mare attraverso i corbetti ed
il fasciame ormai consunto ed in mezzo a quell'inferno, gli ultimi superstiti
ululavano spaventosamente accrescendo l'orrore di quella notte.
Tutte le scialuppe, già cariche quasi da affondare, avevano preso
frettolosamente il largo, senza preoccuparsi dei marinai che erano rimasti a
bordo e che cadevano a drappelli, soffocati dal fumo o sotto una tempesta di
tizzoni che piovevano dalle alberature.
Il polacco, che le osservava attentamente, aveva subito scorta
quella montata dalla duchessa e dai cristiani ed un'altra sulla quale si era
messo in salvo Metiub.
— Sarei stato più contento se quel maledetto turco fosse stato
divorato da quelle fiammate — mormorò, aggrottando la fronte. — Quell'uomo può
guastare i miei affari. Bah! Un buon colpo di pugnale dato a tradimento, nel
mezzo delle spalle, sbarazza sovente gli importuni. E poi chissà, — aggiunse — potrei fare di lui un alleato
prezioso e anche...
Una detonazione spaventevole che si ripercosse lungamente sul
mare, spaventando gli equipaggi delle scialuppe lo interruppe.
Il deposito delle munizioni della gagliotta aveva preso fuoco ed
era scoppiato, smembrando di colpo il piccolo veliero e facendo saltare
l'alberatura.
Per alcuni istanti un fitto nuvolone coperse ogni cosa, anche la
galera che era prossima, poi si vide lo scafo affondare rapidamente, colla
prora in aria, che mostrava il suo bompresso a cui erano ancora appesi i
fiocchi.
— L'altra non tarderà a seguirla, — borbottò il polacco. — Su,
animo, marinai, date dentro ai remi. Fra mezz'ora saremo al sicuro sulla
spiaggia.
I mussulmani che componevano l'equipaggio del canotto non avevano
certo bisogno di essere incoraggiati.
Temendo di venire raggiunti dai loro compagni che si vedevano
nuotare ancora in buon numero nelle acque della galera, arrancavano
disperatamente tendendo i muscoli e puntando i piedi contro i banchi.
La leggera imbarcazione volava sulle onde, precedendo sempre tutte
le altre, compresa quella montata dalla duchessa, quantunque i greci
lavorassero vigorosamente per giungere a terra prima dei mussulmani, per
cercare di darsela a gambe.
Verso le tre del mattino, nel momento in cui la galera stava per
affondare, il polacco ed i marinai del canotto toccavano la spiaggia, in un
luogo ove s'innalzavano a breve distanza delle alte rupi, che pareva non
permettessero di attraversarle essendo tagliate quasi a picco.
— Prepariamoci a sostenere una parte terribile, — disse
l'avventuriero, il quale, malgrado tutta la sua audacia, appariva pallidissimo.
— Come la duchessa accoglierà la notizia della scomparsa del visconte? Mi
crederà?
Le altre scialuppe stavano per arrivare a breve distanza le une
dalle altre.
Quella della duchessa era sempre la prima; un'altra, montata da
Metiub e da una dozzina e mezza di marinai, la seguiva da presso. Altre
quattro, tutte molto cariche, venivano dopo.
— Se il mare le avesse inghiottite tutte, fuorché quella della
duchessa, sarei stato più contento, — mormorò Laczinki. — Non so come nè quando
potrò liberarmi da queste mignatte.
La scialuppa montata dai cristiani si arenò a venti passi.
L'avventuriero fu pronto ad accorrere, assumendo un aspetto desolato e
stringendosi addosso i panni che grondavano ancora acqua.
Eleonora, che era stata la prima a scendere, intuì una disgrazia
perchè l'avventuriero la vide subito diventare smorta.
— Ed il visconte? — chiese, correndogli incontro.
— Come! — esclamò il polacco, fingendo la più alta maraviglia. —
Non l'hanno calato nella vostra scialuppa?
— Chi?
— I due turchi ed il medico cui lo avevo affidato nel momento che quattro
o cinque mascalzoni mi avevano assalito per strapparmelo di mano e gettarlo in
mare.
— Dio! — esclamò la duchessa, portandosi una mano al cuore e
vacillando. — Non era con voi?
— Sì, signora, ma ho dovuto difendermi per impedire a quei
miserabili di ucciderlo e come vedete dallo stato miserando delle mie vesti,
hanno avuto il sopravvento su di me e mi hanno gettato giù dalla galera.
— È morto allora! — urlò la disgraziata donna, cadendo fra le
braccia di Perpignano, che era subito accorso con papà Stake.
— Aspettiamo le altre scialuppe, signora, — disse il polacco. —
Forse l'avranno calato in quella montata da Metiub.
La duchessa non lo udiva più. La terribile notizia pareva che
l'avesse uccisa sul colpo, poichè non dava ormai più segno di vita.
— La signora muore! — gridò Perpignano, spaventato.
— Non sarà che uno svenimento, — disse papà Stake. — Sfido io, con
questa brutta nuova.
— Portatela nella scialuppa, presto, tenente; aiutatelo, El-Kadur.
L'arabo prese la duchessa, sollevandola come se fosse una bambina
e corse verso l'imbarcazione, seguito dal veneziano.
Papà Stake era rimasto dinanzi al polacco, guardandolo con occhi
che non promettevano nulla di buono.
— Udiamo, capitano, — gli disse coi denti stretti. — Dove avete
lasciato il visconte?
— L'ho già detto, — rispose l'avventuriero. — Lo avevo affidato al
medico ed a due marinai che mi erano devoti.
— E questo medico dov'è?
— Suppongo che si troverà in una delle quattro scialuppe che
seguono quella di Metiub.
— Perchè l'avete abbandonato? El-Kadur mi ha detto che lo
portavate voi, fra le vostre braccia.
— Alcuni fanatici si erano gettati su di me per strapparmelo dalle
mani e gettarlo in mare. Tu, mastro e vecchio, devi ben sapere che i mussulmani
odiano i cristiani.
— E che cosa avete fatto allora?
L'avventuriero aggrottò la fronte e posò la destra sulla guardia
del suo spadone, con un gesto minaccioso.
— Sembra, mastro, che tu mi interroghi, come se ti avessero
creato, d'un colpo solo, un giudice dell'inquisizione, — disse.
Papà Stake strinse le poderose mani, poi, fissando l'avventuriero,
rispose con voce rauca:
— Mastro o giudice, io voglio sapere da voi, come è scomparso il
signor Le Hussière e vivaddio dovete dirmelo.
Il polacco stava per mandarlo forse a casa del diavolo, poi,
riflettendo, s'accorse subito che non gli tornava conto inimicarsi con
quell'uomo e far nascere dei sospetti.
— Te l'ho già detto, mastro, — rispose. — D'altronde noi non siamo
ancora sicuri che sia rimasto sulla galera o che l'abbiano assassinato.
Mi ricordo che, mentre mi gettavano in mare, udii il tobib
gridare: Guai a chi tocca questo ferito: esso appartiene alla nipote del
Pascià.
— Devo credervi?
— Non vedi che le mie vesti sono inzuppate d'acqua.
— Bene, aspetteremo le scialuppe.
— E se il visconte, nel trambusto fosse stato ucciso? — chiese il
polacco.
— Cercherò l'assassino o gli assassini e avranno da fare con me.
Papà Stake è vecchio, ma ha dei muscoli da rompere le costole anche ad un orso
della Polonia.
L'avventuriero finse di non udirlo e volse verso la spiaggia,
sulla quale stavano in quel momento sbarcando i naufraghi. Metiub giungeva in
buon punto per sfuggire all'imbarazzante dialogo.
— Siete tutti salvi, voi, cristiani? — chiese, rivolgendosi al
vecchio marinaio.
— Sì, tutti, meno uno, quello che più ci premeva rispose papà
Stake.
— Chi manca? — chiese il turco con ansietà. — La signora forse?
— Il signor Le Hussière, — rispose il polacco.
Metiub aggrottò la fronte e fissò a lungo il rinnegato.
— Come! Non l'avevate voi fra le braccia? — chiese.
— È vero, ma i vostri uomini me lo hanno strappato, hanno gettato
me in mare e probabilmente anche il ferito.
Un'imprecazione sfuggì dalle labbra del mussulmano.
— Li avete riconosciuti, capitano, quei marinai! — chiese. —
Additatemeli e li faccio giustiziare subito.
— Non saprei ricordarli e non voglio correre il rischio di far
uccidere degli innocenti. Non avevo il cervello a posto in quel momento, colla
confusione che regnava sulla galera.
E poi non avrei avuto il tempo di guardarli un po' attentamente,
perchè fui sollevato da otto o dieci braccia e scaraventato sopra il bordo.
— Io avevo promesso ad Haradja di ricondurli vivi tutti e anche
alla cristiana avevo data la mia parola che avrei salvato il signor Le
Hussière.
Tuoni della Mecca! Eccomi in un bell'impiccio! Corro il pericolo
di non imparare più mai quel famoso colpo di spada.
— Che cosa pensate di fare ora, capitano? — chiese il polacco.
— Di accamparci qui e di mandare degli uomini a Hussif per avere
delle barche.
Il vecchio marinaio che aveva assistito al colloquio, ammiccò gli
occhi guardando il polacco, poi volse le spalle e si allontanò mormorando:
— Sì, aspetta, imbecille d'un turco, di ricondurci dalla nipote
del pascià. Non saremo così sciocchi di non alzar le vele o meglio i talloni e
di correre dal Leone di Damasco. Penserà quel bravo giovane a levarci da tutti
questi impicci.
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