CAPITOLO XXIX
La morte del polacco
Quantunque la duchessa, già da quando aveva incontrato il visconte
Le Hussière nel cortile del castello d'Hussif, si fosse un po' rassegnata a
perdere il fidanzato, che le lunghe privazioni ed i disagi d'una lunga campagna
prima e la crudeltà d'Haradja, avevano ridotto in tristissime condizioni di
salute e più ancora dopo la grave ferita toccatagli, apprendendone la morte
aveva avuto un lungo svenimento, seguito da una disperata crisi di lagrime.
Per un momento papà Stake, El-Kadur e Perpignano, che la curavano
amorosamente sotto una tenda improvvisata con una vela trovata in una delle
scialuppe, avevano avuto il timore che perdesse la ragione.
Fortunatamente, ventiquattro ore dopo, la crisi era cessata ed una
calma improvvisa era subentrata, permettendo alla duchessa di chiudere gli
occhi e di addormentarsi.
Metiub, che pensava sempre a quel famoso colpo di spada e che
temeva di non poterlo imparare mai più, dopo d'aver fatto improvvisare un
accampamento fra le dune pei suoi sessanta uomini che erano riusciti a
salvarsi, non aveva mancato di visitare parecchie volte la duchessa, spingendo
la sua generosità fino a mettere a disposizione dei cristiani una parte dei
viveri, che alcuni uomini previdenti, anche fra tutto quel trambusto, erano
riusciti ad imbarcare.
Il polacco si era pure presentato sotto la tenda, ma gli sguardi
poco rassicuranti di papà Stake ed il contegno sprezzante di Perpignano
l'avevano consigliato a tenersi lontano. Il dubbio che potesse essere stato lui
ad assassinare il visconte, si leggeva troppo chiaro sui volti oscuri di quei
due uomini e l'avventuriero non desiderava, pel momento, avere questioni.
— Cadrà egualmente fra gli artigli dell'Orso, anche se voi
veglierete su di lei, — si era detto il briccone, uscendo dalla tenda. — Fra
poco faremo i conti anche con voi, miei poveri galli spennati e si era ben
guardato dal farsi vedere fra le dune occupate dai cristiani.
Come abbiamo detto, dopo ventiquattro ore, la duchessa, calmatasi
un po', si era addormentata. Era appunto quel sonno riparatore che attendevano
ansiosamente El-Kadur, Perpignano e papà Stake.
— Ecco il momento di deciderci, — disse il vecchio marinaio, — Una
notte ancora perduta e noi andremo a girare come mostraventi sulle aste di
ferro che s'innalzano sulle torri d'Hussif.
Io ho saputo che quest'oggi è giunto all'accampamento uno dei
messi mandati da Metiub nei villaggi della costa e che ha recata la notizia che
domani una gagliotta giungerà per raccoglierci.
— Sai questo? — disse Perpignano, spaventato.
— Me l'ha assicurato un mastro che avvicina Metiub.
— Allora bisogna decidersi prontamente, — disse El-Kadur.
— Non si tratta altro che di alzare i tacchi appena i turchi si
saranno addormentati, — rispose papà Stake. — Io credo che la duchessa, con
quattro o cinque ore di buon sonno sarà in grado di seguirci. Ha una fibra
meravigliosa, più resistente di quella d'un capitano di ventura... Per San
Marco! Ed il polacco? Non veglierà quel briccone?
— Ed io non ci sono?
— Che cosa vuoi dire, El-Kadur?
— Che un pugnale lo tengo nascosto sotto la mia fascia e che sarà pronto
a spaccare il cuore di quel miserabile.
— Adagio, arabo del mio cuore, getta un po' d'acqua nel tuo sangue
ardente. Qui non siamo nel deserto e dobbiamo essere estremamente prudenti.
— Se ci sbarrasse la strada?
— Allora farai quello che meglio ti piacerà. Se però dormirà anche
lui come un ghiro, lascialo in pace. Un giorno lo ritroveremo, spero e allora
vi sarà anche il vecchio Stake a prestarti man forte.
— Concludiamo, — disse Perpignano. — Per che ora la fuga?
— Il più tardi possibile, tenente, onde lasciar tempo alla signora
duchessa di rimettersi meglio dal terribile colpo ricevuto. E poi, alle tre o
alle quattro si dorme più intensamente che alla mezzanotte.
— Dovremo procurarci almeno delle armi, perchè noi saremo
indubbiamente inseguiti dopo l'alba osservò il tenente.
— I mussulmani hanno portato con loro un certo numero di pistole e
di moschetti e anche delle scimitarre disse El-Kadur, — Sono nelle scialuppe ed
a me non sarà difficile andare a rubarle quando tutti dormiranno.
— Tu sei un uomo prezioso, pezzo di pan bigio, — rispose papà
Stake. — Se t'imbarcherai un giorno con me, ti nominerò di colpo
quartiermastro, il che equivale quasi al grado di nostromo.
L'arabo scosse il capo sorridendo tristamente.
— El-Kadur non lascerà vivo Cipro, — disse poi.
— Che idee lugubri, — rispose papà Stake. — Io non ne ho mai
avute! Orsù, gettiamoci intorno alla tenda e dormiamo con un solo occhio.
Dobbiamo guardarci dal polacco.
— Veglierò io, — disse El-Kadur — riposatevi pure.
Perpignano e papà Stake uscirono, mentre l'arabo si accoccolava
accanto alla duchessa, la quale dormiva tranquillamente.
I mussulmani si erano dispersi per le dune, scavandosi delle
profonde buche nella sabbia, onde dormire più comodamente. Avevano divorata in
fretta la loro magra razione, composta esclusivamente di biscotti e sapendo di
non correre alcun pericolo da parte dei loro compatrioti, si erano sdraiati nei
loro letti improvvisati.
Perpignano, papà Stake, Simone ed i rinnegati, avevano creduto
opportuno d'imitarli, onde avere le gambe più leste per prendere il largo al
momento opportuno.
Malgrado tutte le sue buone intenzioni, anche il vecchio marinaio
si era addormentato e non con un solo occhio. Il povero vecchio non era meno
stanco dei giovani, anzi aveva maggior bisogno di riposo di loro, malgrado la
robustezza incredibile della sua fibra.
Dormiva da parecchie ore, quando fu bruscamente svegliato da una
mano che lo scuoteva fortemente.
Aprì gli occhi e s'alzò a sedere, inarcando le braccia, pronto a
tempestare di pugni l'importuno.
Vedendo El-Kadur si contenne.
— È l'ora?
— Tutti dormono rispose l'arabo.
— E la signora?
— È pronta a seguirci.
— E le armi?
— Ho preso due spade, quattro scimitarre e mezza dozzina di
moschetti colle relative munizioni, più alcune pistole. Tutti avremo qualche
arma per difenderci.
— Sei un brav'uomo, pezzo di pan bigio.
— Sbrigatevi, tutti i vostri compagni sono in piedi.
— Sono pronto: ed il polacco, dorme?
— Non l'ho veduto.
— Andiamo.
S'alzò e gettò uno sguardo all'intorno. Tutto il campo era immerso
nell'oscurità e non si udiva rumore alcuno.
I turchi non meno stanchi degli altri, dormivano profondamente.
— Tutto va bene mormorò.
La duchessa si era già alzata e teneva in mano una delle due spade
portate da El-Kadur. Pareva che avesse riacquistata tutta la terribile energia
dell'antico Capitan Tempesta.
— Signora, — disse papà Stake — vi sentite in grado di seguirci?
— Sì, — rispose la duchessa. — Io torno la donna che combatteva a
Famagosta.
Io devo salvarvi: venite, amici, e ricordatevi che noi siamo tutti
cristiani e che quelli che ci stanno di fronte sono turchi, dei nemici della
Repubblica di Venezia e del Leone di San Marco. Partiamo.
Tutti si erano armati ed erano pronti a qualsiasi cimento,
preferendo morire colle armi in pugno, piuttosto che essere ricondotti a Hussif
e finire fra i più atroci tormenti.
Camminando sulla punta dei piedi, per non far scricchiolare la
sabbia delle dune, lasciarono la tenda, avviandosi verso la catena di colline
che separava le pianure interne del lido. Già El-Kadur al mattino aveva
esplorato quelle alture ed era riuscito a scoprire uno stretto passaggio che
permetteva di oltrepassare senza difficoltà, quella linea di rocce che a prima
vista erano sembrate inaccessibili.
Nell'accampamento improvvisato si udivano sempre i turchi a
russare sonoramente entro le buche scavate nella sabbia.
La duchessa, che pareva avesse dimenticato in quel momento supremo
perfino il disgraziato signor Le Hussière, precedeva il drappello,
fiancheggiata da El-Kadur che era armato d'un moschettone la cui miccia fumava.
Raggiunsero così la base delle rocce, e non essendo stato dato
alcun allarme, s'inoltrarono nello stretto passaggio scoperto dall'arabo.
Stavano per scomparire tutti entro le alte rocce tagliate a picco,
quando un grido s'alzò nell'accampamento turco.
— All'armi! I cristiani fuggono!
Papà Stake aveva mandato un vero ruggito.
— Il polacco! Brigante d'un orso! Vegliava come i suoi congeneri.
Gambe! Gambe! Fra poco avremo i turchi addosso!
Tutti si erano messi in corsa, mentre verso il lido si udivano
grida furibonde e comandi precipitati.
— Presto! Presto! gridavano Perpignano ed il vecchio marinaio.
— Padrona, — disse El-Kadur volgendosi verso la duchessa. — Vuoi
che ti porti? Tu sai che le mie braccia sono robuste.
— Non è necessario, — rispose Eleonora. — Capitan Tempesta ha
riacquistate le sue forze. Avanti, miei prodi!
La stretta gola fu attraversata in un lampo ed il drappello scese
verso le pianure dell'interno, correndo a tutta lena.
— Vedo laggiù una casa! — gridò El-Kadur, nel momento in cui il
cielo si tingeva dei primi albori. — Cerchiamo di raggiungerla.
A mezzo miglio si scorgeva infatti vagamente, sul margine d'un
vigneto devastato, una piccola fattoria col tetto coperto di stoppie.
— Rifugiamoci là dentro, — disse papà Stake. — Potremo opporre una
lunga resistenza e anche...
Un grido assordante lo interruppe. I turchi avevano scoperta la stretta
gola e scendevano le alture urlando. Metiub ed il polacco, furiosi di essere
stati così abilmente giuocati, li capitanavano.
— Un ultimo sforzo! — gridò papà Stake. — Se cadiamo nelle loro
mani ci faranno a pezzi e le nostre teste serviranno d'ornamento ai merli
d'Hussif! Signora, siete stanca?
— Avanti, — rispose invece la duchessa.
Anche quel mezzo miglio fu superato e finalmente il drappello
irruppe nella fattoria.
Era una casa non molto vasta, colle pareti assai massicce e che
pareva fosse stata abbandonata da molto tempo dai suoi proprietari, se non
erano stati invece massacrati dalle orde che Mustafà lanciava attraverso le
campagne, per far ampie raccolte di teste di cristiani.
— Organizziamo subito la difesa, — disse Perpignano, dopo d'aver
fatto una rapida ispezione alle quattro stanze fornite ognuna di due piccole
finestre.
— Voi, signora, occupate le due camere superiori con papà Stake,
Simone ed El-Kadur e prendete quattro moschetti.
Io rimango qui coi greci. Non sparate che a colpo sicuro e
risparmiate, più che vi sarà possibile, le munizioni.
— E cerchiamo soprattutto di cacciare un'oncia di piombo nel
cranio del polacco aggiunse papà Stake. — Non tiro male io e se mostra un pezzo
solo del suo corpo è fritto e per sempre.
— Lesti! — comandò il tenente. — I mussulmani giungono.
Il drappello si divise e la duchessa coi suoi tre compagni occupò
le due stanzette superiori, mettendosi dinanzi alle finestre colle micce dei
moschettoni accese.
— Morte ai giaurri! Scanniamoli! Bruciamoli vivi nel loro
covo.
Erano una sessantina, ma solamente tre o quattro erano armati di
fucili e pochi avevano delle scimitarre e qualche scure.
Nondimeno erano sempre troppi, perchè i cristiani potessero avere
la speranza di distruggerli.
Vedendo sporgere dalle finestre le lunghe canne degli archibugi,
gli assalitori si erano fermati a tre o quattrocento passi, poi si erano
gettati a terra, nascondendosi dietro i magri cespugli e dietro i massi che si
trovavano in abbondanza intorno alla casa.
I greci avevano già aperto il fuoco, abbattendo due dei quattro
fucilieri di Metiub che avevano tardato a nascondersi.
Anche papà Stake, vedendo un turco alzarsi dietro ad un cespuglio,
aveva sparato mandandolo a tener compagnia alle bellissime uri del paradiso
maomettano.
Gli assedianti, resi furiosi per quelle prime perdite, non
tardarono a rispondere e per un paio d'ore fu un continuo scambio
d'archibugiate con nessun svantaggio da parte degli assediati, che si trovavano
ben riparati dietro le massicce muraglie della casa e che sparavano i loro
colpi con molta prudenza.
Anche la duchessa, che aveva riacquistato il suo impareggiabile
sangue freddo, aveva bruciate parecchie cariche abbattendo per suo conto tre o
quattro uomini, essendo una destra bersagliera.
Così però non poteva durare a lungo. I turchi, che non avevano
nessun desiderio di farsi fucilare a distanza come se fossero dei conigli,
verso le dieci del mattino presero la decisione disperata di assaltare da tutte
le parti la casa e di tentare una lotta corpo a corpo.
Furono infatti veduti a radunarsi, poi scagliarsi a corsa
disperata, urlando sempre:
— Morte ai giaurri!
— Amici! — gridò la duchessa. — Ecco il momento terribile! Appena
ci giungono sotto, mano alle spade ed alle scimitarre!
— E adoperiamo gli archibugi come mazze! — aggiunse papà Stake,
che non perdeva un atomo della sua calma e del suo inalterabile buonumore. —
Voglio fare una superba marmellata di carne turca e mandarla a cucinare nei
forni dell'harem del Sultano.
I turchi attraversarono in un baleno lo spazio che li divideva
dagli assediati e, quantunque esposti al fuoco dei moschettoni e delle pistole,
che gettò a terra parecchi di loro, irruppero furiosamente entro la casa, che
era priva della porta.
Perpignano ed i greci, dopo una breve lotta, sopraffatti dal
numero, si ritrassero sulla scala moschettandoli a bruciapelo, poi misero mano
alle scimitarre opponendo una resistenza accanita.
La duchessa ed i suoi compagni stavano per accorrere in aiuto del
veneziano e dei greci, quando una parte del tetto formato di stoppie crollò e
tre uomini caddero nella stanza attigua, impedendo così loro di raggiungere la
scala.
La duchessa si era voltata e aveva mandato un urlo di rabbia.
— Voi, Laczinki!
— Che viene a riprendersi la sua preda, signora — disse il polacco
col suo sorriso beffardo.
— Non mi avrete che morta!
In quel momento comparvero gli altri due. Erano Metiub che teneva
in mano una pesante scimitarra d'abbordaggio ed uno dei suoi ufficiali.
— Occupati della donna tu, capitano! — gridò il comandante della galera.
— Noi ce la sbrigheremo con costoro. Con quattro colpi saranno tutti a terra.
Il turco s'ingannava. Aveva dinanzi un buon spadaccino. El-Kadur
ed i due marinai che avevano impugnati i moschettoni per le canne, servendosene
come di mazze e decisi a tutto.
La duchessa si era precipitata addosso al polacco, incalzandolo
vigorosamente colla spada e obbligandolo in tal modo ad accettare il
combattimento.
Gli altri tre si erano buttati addosso a Metiub ed al suo
sottotenente, mentre Perpignano ed i greci tenevano duro sulla scala, lottando
vigorosamente contro il numero preponderante degli assalitori.
Fino dal primo attacco le sorti si erano mostrate poco favorevoli
ai due turchi ed al polacco. I due primi, assaliti furiosamente dall'arabo e
dai due marinai, che menavano colpi disperati coi calci dei moschettoni,
avevano dovuto rifugiarsi in un angolo; il polacco, che quantunque abile
spadaccino, non era in grado di tener testa a colei che aveva vinto il Leone di
Damasco, aveva dovuto battere in ritirata verso la porta.
L'Orso delle foreste opponeva una resistenza terribile e,
disperando ormai di poter aver viva la duchessa e di farne la sua sposa, invaso
da una rabbia feroce, cercava di immergerle nel seno la punta del suo spadone.
Erano però sforzi vani. Sempre incalzato si trovò finalmente
addosso alla parete e fu là che ricevette in direzione del cuore una tale
stoccata che la lama della duchessa, dopo aver attraversato il petto del
miserabile, si spezzò.
— Muori, rinnegato! — gridò la donna.
Il polacco allargò le braccia, fissando sulla sua avversaria uno
sguardo terribile, poi stramazzò al suolo, rantolando:
— È finita!...
Quasi nel medesimo istante Metiub cadeva a sua volta col capo
fracassato da un colpo d'archibugio menatogli da papà Stake, ed un momento dopo
anche l'ufficiale, che era stato già toccato tre volte dalla scimitarra di
El-Kadur, piombava a terra.
La duchessa accorreva in quel momento in loro aiuto.
— La faccenda è terminata, signora, — le disse papà Stake,
gettando via l'archibugio e raccogliendo la scimitarra di Metiub. — Sono
partiti pel paradiso ed a quest'ora le loro anime stanno conversando con le
uri.
— Accorriamo in aiuto di Perpignano! — comandò la duchessa.
Stavano per dirigersi verso la scala, quando El-Kadur con un salto
da tigre si gettò dinanzi ad Eleonora gridando:
— Guàrdati, padrona!
Nel medesimo momento un colpo di fuoco echeggiò e l'arabo
s'accasciò su se stesso mandando un lungo gemito.
Quel colpo l'aveva sparato il polacco. Il miserabile non era
ancora spirato ed avendo veduto presso di sè bruciare la miccia d'uno dei
moschettoni, aveva accesa quella della pistola che teneva nella cintura e con
uno sforzo supremo aveva fatto fuoco, sperando di uccidere la duchessa.
Mentre papà Stake e Simone si precipitavano sul traditore e lo
finivano a colpi di scimitarra, la duchessa si era curvata sull'arabo il cui
viso diventava rapidamente grigiastro.
— Mio povero El-Kadur! — gridò, singhiozzando e prendendogli il
capo fra le mani.
— Muoio... padrona... il cuore... il cuore... — rispose lo schiavo
con voce fioca. — Addio... padrona... sii felice...
— Ma no, non morrai!
L'arabo sorrise mestamente e fissò sulla duchessa i suoi occhi già
velati dalla morte che s'avanzava.
— Addio... padrona... — ripetè. — Sono felice... d'averti salvata...
Il mio... tormento... è finito... padrona... fammi morire... felice... un
bacio... un bacio... al fedele tuo... schiavo...
Mentre papà Stake e Simone piangevano inginocchiati, la duchessa
si chinò sul moribondo e accostò le sue labbra alla sua fronte.
El-Kadur ebbe un fremito, poi richiuse gli occhi e s'abbandonò.
Era spirato.
CONCLUSIONE.
Poco dopo la morte del povero e fedele schiavo, giungevano dinanzi
alla casa, a galoppo sfrenato, Muley-el-Kadel e Nikola Stradioto, coi loro
trenta cavalieri.
Udendo il fracasso prodotto da tutti quegli animali, i turchi,
temendo una sorpresa, si erano precipitati confusamente fuori dalla stanza,
lasciando sulla scala che non erano riusciti ad espugnare, non pochi morti e
feriti.
Muley-el-Kadel, senza nemmeno mandare un grido d'avvertimento, li
caricò all'impazzata, sciabolando a destra e a manca, mentre i suoi uomini
facevano una scarica di archibugi.
Sulla porta si era affacciato Perpignano, il quale si preparava,
spalleggiato dai greci, a prendere una vigorosa offensiva.
— Il Leone di Damasco! — esclamò il veneziano stupito. — E anche
Nikola!
— Dov'è la duchessa? — chiese il turco, balzando a terra.
— Nelle stanze superiori.
Senza aspettare altra risposta, salì rapidamente la scala, seguito
da Nikola ed irruppe nella prima camera.
La duchessa singhiozzava ancora, accanto al cadavere di El-Kadur.
— Viva! Viva! — gridò il Leone di Damasco, mentre un vivo rossore
gli coloriva le gote.
— Voi, Muley! — esclamò Eleonora alzandosi.
— Giunto in buon punto per salvarvi e vendicarvi, signora. Dov'è
Laczinki, l'assassino del signor Le Hussière?
— L'ho ucciso io in questo momento... ma... lui... l'assassino
avete detto, Muley... — balbettò la duchessa.
— Sì, signora, — disse Nikola, facendosi innanzi. — L'ho veduto io
da un sabordo della gagliotta, ad annegarlo.
La duchessa rimase un momento ritta, girando lentamente gli
sguardi verso il cadavere del polacco, poi mandò un debole grido e cadde
svenuta tra le braccia del Leone di Damasco.
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Un quarto d'ora dopo, i cavalieri, dietro ai quali erano montati i
veneziani ed i greci, abbandonavano quella casa, nel cui giardino attiguo
avevano sepolto frettolosamente il povero arabo.
Muley-el-Kadel reggeva fra le proprie braccia la duchessa, la
quale non era ancora tornata in sè.
I marinai della galera erano ormai scomparsi, fuggendo in tutte le
direzioni.
A notte inoltrata il drappello giungeva nella borgata di Suda e la
duchessa, in preda ad un terribile delirio, veniva ricoverata in una bella e
comoda casetta, situata in riva al mare, appartenente at un rinnegato greco,
armatore di parecchie gagliotte.
Per due settimane la valorosa donna lottò contro la morte, poi la
sua fibra vigorosa trionfò. Durante tutto quel tempo il Leone di Damasco non
aveva lasciata quella casetta.
D'altronde, nessuno era andato a disturbarli e poi i trenta
cavalieri, i cristiani ed i rinnegati greci vegliavano giorno e notte sulle vie
che conducevano al mare.
Un giorno però, quando la duchessa si era completamente
ristabilita, un cavaliere turco che portava sulla cima della sua lancia un
fazzoletto di seta bianca, comparve, chiedendo di parlare a Muley-el-Kadel.
Fu condotto alla casetta.
Staccò senza parlare, un piccolo cofano che portava dietro la
sella e lo mise nelle mani del Leone di Damasco, che si era fatto pallidissimo,
dicendogli semplicemente:
— Da parte di Selim, il nostro Sultano.
Poi ripartì a gran galoppo.
— Che cosa avete, Muley? — chiese la duchessa, che aveva assistito
a quella scena.
— Guardate, — rispose il mussulmano, con voce turbata.
Aprì il cofanetto che era d'argento cesellato e le mostrò un
elegante cordone di seta nera, che vi stava dentro.
Eleonora aveva mandato un grido d'orrore. Era il laccio che il
Sultano regalava a coloro che erano caduti in disgrazia: un muto ordine
d'appiccarsi.
— E tu, Muley? — chiese la duchessa, con estrema ansietà.
— La vita è troppo ridente al tuo fianco, perchè io obbedisca, —
rispose il giovane Leone di Damasco. — Rinnego la religione dei miei padri e
Maometto, ed abbraccio la tua.
Conducimi in Italia, Eleonora: io sono da questo momento cristiano
e sai quanto ti amo. . .
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La sera stessa, col favor delle tenebre, una gagliotta lasciava
silenziosamente la rada di Suda facendo rotta per l'Italia.
Aveva a bordo la duchessa, Muley el-Kadel, Perpignano, i due
marinai ed i rinnegati greci.
FINE.
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