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LA
«TAVERNA DELLE TRENTA CORNA DI BISONTE»
Come abbiamo
detto, l'ultimo tratto di galleria era assai più ampio, sicché permetteva ai
tre corsari di procedere rapidamente, un po' curvi, non avendo più bisogno di
strisciare. In pochi istanti giunsero sotto le casematte.
Sir William spense l'occhio di bue ed entrò
risolutamente seguito tosto da Testa di Pietra e da Piccolo Flocco, i quali non
avevano nessun desiderio di provare le delizie di un'esplosione, riservate al
pappagallo d'oltre oceano ed agl'inglesi che russavano dentro la casamatta. Una
semioscurità regnava là dentro rotta a malapena dalla luce morente d'una lanterna
fumosa sospesa alla volta. Quindici o venti soldati, per la maggior parte
assiani, dormivano profondamente.
Il Corsaro,
procedendo attraverso il camerine, raggiunse una porta segnalata da un'altra
lanterna, e si trovò fra due alte stecconate.
- A destra o a
sinistra? - si chiese perplesso.
Poi scrollò le
spalle aggiungendo:
- In qualche
luogo andremo a finire: poi non indosso forse la divisa da ufficiale della
marina inglese? Vorrei vedere chi oserebbe fermarmi! Testa di Pietra, Piccolo
Flocco, lesti! Fra poco la mina scoppierà.
Si erano messi
a correre fra le due stecconate, mentre cinquanta passi da loro i pezzi del
bastione tuonavano, mescolando la loro voce formidabile a quella degli altri.
Una voce
imperiosa fermò il loro slancio.
Sotto il palo. che
reggeva una lanterna, un soldato era sbucato ed aveva puntato il fucile armato
di baionetta, gridando:
- Chi passa?
Alt!
Il Corsaro si
era fermato, snudando rapidamente la spada
- Sono il
tenente Torosson - gli disse. - Non mi conosci dunque? Vado dal generale Howe
per importanti comunicazioni
- Passate
signore. - rispose il soldato. - Chi sono gli altri due?
- Miei marinai.
- Il passo è
libero.
Sir William passò rapidamente dinanzi alla sentinella,
seguito da Testa di Pietra, che si era già preparato ad abbatterla con due
terribili pugni, e da Piccolo Flocco.
La stecconata
era terminata e le case di Boston cominciavano a comparire.
- Prendiamo la
prima via che si trova dinanzi a noi - disse il Corsaro ai due marinai. - Siamo
abbastanza lontani per non temere l'esplosione della mina.
- Dove
finiremo?
- Lo vedremo
più tardi.
-
Orizzontiamoci, comandante, - disse il bretone.
- Conosci
Boston?
- Ci sono stato
due volte, ma vent'anni fa. Ora non so più come siano le sue vie, pure credo
che una certa taverna esista ancora. Lavorava tanto, perciò il suo padrone non
può essere fallito, né fuggito nell'America del Sud.
- Sapresti
trovarla?
- Mah! Con
questa oscurità non è cosa facile. Diamine, non ho una bussola piantata nel
cervello.
In quel momento
avvenne uno scoppio che li scaraventò tutti e tre a terra.
La mina era
scoppiata con fracasso spaventevole, lanciando in aria le casematte ed una
parte del bastione.
- Povero
pappagallo! - esclamò Testa di Pietra che si era prontamente rialzato
tastandosi le costole. - A quest'ora viaggia verso l'altro mondo, colla
velocità di trenta o quaranta nodi all'ora. Deve soffiare sempre buon vento in
quel brutto paese.
Urla
spaventevoli echeggiavano. Alcuni soldati fuggivano come pazzi in tutte le
direzioni gridando:
- Aiuto! aiuto
Dalle finestre
delle case prospicienti il bastione erano caduti con gran fragore i vetri.
Il Corsaro e
Piccolo Flocco non avevano riportato nessuna contusione, essendo, in virtù
delle loro buone gambe, abbastanza lontani dal luogo dello scoppio.
- Capitano. -
disse Testa di Pietra - pare che di pappagalli ne siano volati in buon numero,
non so se in cielo o all'inferno.
Nei quartieri
vicini squillavano le trombe per chiamare a raccolta i soldati dispersi per la
città, ed avviarli sul luogo del disastro.
Già dei furgoni
carichi d'inglesi e di assiani correvano all'impazzata, per portare i
primi soccorsi.
- Gettiamoci in una viuzza oscura - disse il Corsaro.
- se ci scorgono ci manderanno al bastione e non ho nessun desiderio di rivederlo.
Fila, Testa di Pietra.
Il bretone
prese la corsa attraverso terrapieni ingombri d'artiglierie e di carri e,
raggiunte le prime case, si gettò dentro un viottolo, che nessuna lanterna
illuminava e che pareva deserto.
- Ci fosse
almeno una taverna aperta! - disse.
- Oh, ne
troveremo! - rispose il Corsaro. - Gl'inglesi sono troppo buoni bevitori per
farle chiudere, specialmente in queste notti.
Finestre si
aprivano e teste si disegnavano vagamente alla luce delle lanterne. Domande e
risposte s'incrociavano fra gl'inquilini.
- Che cosa è
saltato?
- Un forte di sicuro.
- È saltata la
torre di Oxford insieme col castello.
- Ma no, lo
scoppio è avvenuto in direzione opposta.
- Poveri
figliuoli!
Dopo che il Corsaro
aveva riacceso l'occhio di bue, si erano rimessi in marcia, tenendo la mano
sinistra appoggiata sul calcio d'una delle loro pistole.
Il
bombardamento continuava malgrado il disastro. Le palle americane giungevano
facilmente in città dall'altura, sfondavano tetti e spaccavano muraglie. Di
quando in quando altre esplosioni si succedevano, seguite da urli di spavento e
da un fragoroso crollare di rottami. Erano le grosse granate dei mortai della
corvetta che facevano quelle prodezze.
- Suona la
musica a bordo della Tuonante - dice Testa di Pietra. - Se si chiama Tuonante
deve ben tuonare, per il borgo di Batz!... Bum! Questi sono i cannoni da
caccia di poppa. Saprei distinguere la loro voce fra mille altri pezzi.
Percorsero,
quattro o cinque viottoli fiancheggiati da case basse ed oscure che parevano
disabitate; poi si fermarono dinanzi ad una lampada sospesa, sopra una porta.
- Albergo
delle trenta corna di bisonte! - lesse Piccolo Flocco sull'insegna,
e domandò: - Che si possa mangiare bisonte qui, mastro Testa di Pietra?
- Che io
sappia, i bisonti non portano che due corna, quindi là dentro ve ne dovrebbero
essere almeno quindici sempre a disposizione degli avventori.
- Chiudete il
becco! - disse il Corsaro, mettendo le mani su un anello di ferro che voleva
essere una maniglia e spalancando la porta dell'albergo delle Trenta corna
di bisonte.
Un'ondata di
fumo puzzolente li investì. Avevano fumato molto là dentro, quella sera,
malgrado il bombardamento.
L'albergo non
era altro che una tavernaccia d'infimo ordine, che consisteva in uno stanzone
assai basso dalle pareti ben affumicate, con una mezza dozzina di tavolini
sgangherati e di scanni in non migliore stato, e illuminata da un'unica candela
di sego che dava più fumo che luce. Dietro il banco, un omaccione coi capelli
e la barba rossa e due occhi grossi come quelli dei buoi, dall'aria
stupida, fumava la pipa reggendosi la testa con una mano. Scorgendo il Corsaro
si alzò dicendo:
- Buona sera, gentleman:
che cosa posso servire a Vostro Onore?
- Portaci una
bottiglia di gin o di brandy, purché sia buono, rispose sir
William sedendosi al tavolino che era più vicino alla candela.
- Ne ho ancora
qualcuna, gentleman. Se foste giunto fra qualche giorno, con mio grande
dispiacere avrei dovuto rimandarvi, perché non entra più nulla nella piazza,
Quest'assedio è la mia rovina.
- Raddoppia i
prezzi delle bottiglie che ancora possiedi, mastro Taverna - disse Testa di
Pietra. - Ecco un bel consiglio.
- Infatti avete
ragione.
- Ma non
cominciare da noi. I consigli si pagano sempre, specialmente quelli che danno
gli avvocati.
- Ah! siete
avvocato?
- Sì, del
catrame, - rispose il bretone, scoppiando in una risata. Il taverniere lo
guardò stupidamente, poi scosse la sua grossa testa fulva e scese in cantina.
- Si può fumare,
comandante? - chiese il bretone.
- Fa' quello
che vuoi - rispose il Corsaro, che era diventato improvvisamente di cattivo
umore.
Testa di Pietra
trasse da una delle sue dodici tasche la preziosa reliquia di famiglia, la
caricò con cura minuziosa e l'accese alla fiamma della candela.
- Pare
impossibile - disse, dopo essersi avvolto in una nuvola di fumo - tutte le
volte che adopero questa pipa mi pare di trovarmi in Bretagna.
- Nel castello
dei tuoi avi - disse Piccolo Flocco con aria grave.
- Sappi, per
tua regola, ragazzaccio, che i miei avi dormivano sempre sul mare e non avevano
quindi bisogno di castelli - rispose il bretone.
- Su qualche
barca sconquassata.
- Briccone! Mio
nonno andava a pescare il merluzzo fino sulle coste dell'Islanda, ed il suo skooner
era considerato il miglior veliero di tutte le coste bretoni. Se fosse
stata una carcassa, mio nonno sarebbe morto sul mare, mentre ha chiuso gli
occhi sul suo letto.
- Foderato di
piume d'edredon.
-
Sicuro! Portava sempre dall'Islanda quelle preziose penne che tengono tanto
caldo.
Il ritorno del
taverniere, armato d'una bottiglia discretamente polverosa e di tre tazze,
interruppe quella disputa che avrebbe potuto andare molto per le lunghe, ma
alla quale il Corsaro pareva non avesse prestato nemmeno orecchio.
- Vecchia,
mastro Taverna? - chiese il bretone.
-
Cinquant'anni.
- Corpo di
centomila corna di bisonte! In quale distilleria della Inghilterra l'hai veduta
nascere, se non hai nemmeno quarant'anni?
- Bisognerebbe
domandarlo a mio padre - rispose serio serio il taverniere.
- Fallo venire.
- È morto
vent'anni fa, dopo aver bevuto, in seguito ad una scommessa, tre bottiglie di whisky.
- Beveva per
incoraggiare gli avventori - disse Piccolo Flocco.
- E vi ha
lasciata la pelle.
- E la cantina
a voi, mastro Taverna, - disse il bretone. - assaggiamo dunque questo famoso...
che cos'è?
- Gin
- Che ha
cinquant'anni di prigionia. Comandante, se è vero che è così vecchio, vi
metterà di buon umore.
Il Corsaro non
rispose. Colla testa appoggiata al braccio sinistro, gli sguardi fissi dinanzi
a sé, il volto pallido, non si occupava di quanto accadeva intorno a sé. Certo
doveva pensare in quel momento a Mary di Wentwort.
- Soffia
tempesta! - sussurrò il bretone in un orecchio del giovane gabbiere.
Il taverniere
sturò la bottiglia, empì una tazza, e subito si vide cadere, insieme col
liquido, una cosa nerastra che mastro Testa di Pietra si affrettò a prendere.
- Corpo d'una
barca sventrata! - urlò. - Cosa faceva tuo padre? Il conservatore di scorpioni
sotto spirito?
Il taverniere
era rimasto stupefatto e guardava con due occhi smarriti un superbo scorpione,
magnificamente conservato, che il bretone teneva stretto fra le sue dita.
- Che cosa ci fa
qui dentro questa bestiaccia? - chiese Testa di Pietra -, guardandolo di
traverso. - Volevi forse avvelenarci perché siamo inglesi? Ti faremo tradurre
dinanzi al Consiglio di guerra e fucilare come traditore.
- Perdonate, -
rispose il taverniere balbettando e tremando. Questa è la bottiglia dove
metteva in infusione gli scorpioni.
- E volevi
darci ad intendere che era stata tappata cinquant'anni fa in non so quale
distilleria gallese?
- Ho sbagliato,
non avevo un lume.
- Avaro! dovevi
accendere una candela.
- Non se ne
trovano quasi più a Boston, e bisogna economizzare quelle poche che ancora
rimangono.
- E
perché fai raccolta di scorpioni? Per avvelenare i soldati inglesi? Si vede
bene che sei un americano, forse amico di quella canaglia di Washington o di
quell'altra pellaccia che si chiama Arnold.
- No, no, mister.
Li metto in infusione per sanare più rapidamente le ferite.
- Per il borgo
di Batz! Hai mai udito raccontare che un taverniere facesse anche il
farmacista?
- Mai - rispose
seriamente il giovane gabbiere.
- E nemmeno
voi, comandante?
Il Corsaro si
limitò a sorridere e a crollare la testa.
- Riporta nella
cantina i tuoi scorpioni - disse Testa di Pietra - e portaci un'altra
bottiglia. Non dimenticare che se vi trovo qualche serpente in infusione, ti
faccio fucilare.
Il taverniere
scappò via colla bottiglia, dicendo:
- Scendo col
lume, questa volta.
- Crepi
l'avarizia! - gli gridò dietro Piccolo Flocco.
Un istante dopo
risaliva con un'altra bottiglia di aspetto più venerando, perché aveva un bel contorno
di ragnatele polverose.
- Cent'anni? -
chiese il bretone.
- No, sessanta
- rispose il taverniere.
- L'ha tappata
tuo nonno?
- Mia madre.
- Allora
dev'essere eccellente: cambia le tazze e vuota.
- Non l'hai
ancora finita, vecchio brontolone? - chiese il Corsaro.
- Comandante, -
rispose Testa di Pietra - chiacchiero come una dozzina di pappagalli per
distrarvi. Siete di pessimo umore stanotte, mentre dovreste esser contento ora
che siamo entrati nella piazza. Qui non c'è burrasca.
- Puoi avere
ragione - rispose il Corsaro con un pallido sorriso.
Prese la tazza
che gli stava dinanzi poi la vuotò d'un fiato.
- Proprio messo
in prigione sessant'anni fa? - chiese Testa di Pietra; ma sir William rispose
con una scrollata di spalle.
- All'assalto anche
noi, Piccolo Flocco.
- Sempre,
mastro, - rispose il giovane gabbiere.
E tracannarono,
senza nemmeno gustarlo, il fortissimo liquore.
- Che te ne
pare, figliuolo mio? - chiese il bretone.
- Non so.
- La mia pipa è
più forte.
- Sfido io! vi
hanno fumato tre o quattro uomini per un paio di secoli almeno!
- Non so se
siano veramente due secoli, - rispose Testa di Pietra - ma molti anni sono
passati attraverso questa pipa. Il turco che l'ha fabbricata doveva essere un
vero artista ed anche...
Una mossa brusca
del Corsaro gli troncò la frase Sir William si era alzato ed aveva fissato il
taverniere, il quale si era fermato presso il tavolino, come se aspettasse un
giudizio sulla bottiglia.
- Da quanti
anni di trovi in Boston? - gli chiese.
- Ci sono nato,
Vostro Onore.
Dunque, ti
trovavi qui quando gli americani assediarono la piazza.
- Sì, mio gentleman.
- Allora
conoscerai tutti i comandanti dell'armata.
- Certo,
signore.
- Anche il
marchese d'Halifax?
- Ho avuto
l'altissimo onore di portargli le mie ultime bottiglie di Bordeaux e di
Champagne.
- Ah! Dove
abita?
- Nel castello
d'Oxford. Mi stupisco come Vostro Onore lo ignori - disse il taverniere.
- Ci troviamo
qui solamente da ieri, e non conosciamo affatto la città.
- Abita nel
castello d'Oxford? - esclamò Testa di Pietra. - So dove si trova, e vi saprei
condurre ad occhi bendati, comandante. È il punto meglio fortificato della
piazza: è vero, mastro Taverna?
L'oste fece col
capo un cenno affermativo.
- Siediti -
disse il Corsaro.
Il taverniere
obbedì, ma tenendo lo sgabello ad un paio di metri dalla tavola.
- Hai mai
veduto, nel castello, una fanciulla bionda?
- Le ho portato
due bottiglie di vino del Reno, mio gentIeman. Erano le ultime
che tenevo nella cantina; due bottiglie che devono aver fatto molto onore
all'Albergo delle trenta corna di bisonte.
- Bum! -
esclamò Testa di Pietra. - Vi erano certamente dentro scorpioni!
- Ah, no,
signore, - rispose il taverniere. - Non potrebbero conservarsi!
- Per caso non
ne avresti ancora una bottiglia?
- Credo di si.
- Portala
subito: ma ti avverto che se vi trovo uno scorpione, parola di marinaio, dò
fuoco alla tua baracca. Comandante, permettete che il vostro vecchio lupo di
mare ve l'offra. Uomini che sono sfuggiti miracolosamente alla morte hanno ben
diritto di bere più d'un bicchierotto e di quello prelibato.
- Fa' come vuoi
- rispose il Corsaro sorridendo. - Sei il più pazzo dei miei marinai.
- Quando
affermate ciò, ci credo, - rispose il bretone con gravità - e appena terminata
la campagna, andrò a rinchiudermi in un manicomio.
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