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ULTIME
SCENE
La squadra
inglese, sorpresa dalla rapidità dell’attacco, non aveva avuto il tempo di
radunarsi per accorrere in aiuto del forte Johnson, essendo dispersa per
l'ampia baia.
La corvetta da
un momento all'altro poteva vedersi piombare addosso l'intera squadra, la
quale, quantunque vecchia, disponeva di un buon numero di bocche da fuoco e
d'una fregata che poteva tener testa alla Tuonante.
Ritornare alla
Mistica era impossibile, poiché la via era tagliata; alla corvetta non rimaneva
che di fuggire in alto mare, dove avrebbe potuto essere di maggior giovamento
agli americani, dando la caccia alle navi che tentavano d'introdurre nella baia
grossi carichi di viveri e soprattutto di polveri.
Il Corsaro,
accortosi del grave pericolo che lo sovrastava, fece sbarcare il colonnello,
poi fece salpare le àncore e spiegare le vele.
Testa di
Pietra, che era finalmente riuscito a far tirare la sua famosa pipa, si era
messo alla ribolla, e guidava colle sue mani di ferro la nave.
- Quando
giungeranno, saremo i gabbiani dell'Atlantico - disse a Piccolo Flocco ed al carnefice,
i quali avevano cambiato subito i loro lugubri vestiti con quelli marinareschi.
Alludeva alla squadra inglese, la quale, per sua disgrazia, aveva perduto
troppo tempo a raccogliersi e riorganizzarsi.
Con una superba
bordata uscì dal canale prese il vento in poppa e mosse velocemente verso
l'uscita del porto, sparando i suoi pezzi da caccia di poppa.
Le navi inglesi
erano state pronte a rispondere, ma ormai la distanza era troppa.
- Farebbero
meglio a conservare le loro polveri - borbottò Testa di Pietra, il quale, pur
fumando ferocemente, non abbandonava la ribolla.
La corvetta
superò l'ultimo passo dell'avamposto e scomparve nella notte nebbiosa,
salutando ironicamente la squadra con quattro colpi di mortai, i cui proiettili
probabilmente caddero sullo specchio d'acqua.
Il Corsaro si
era avvicinato, insieme col suo luogotenente, a Testa di Pietra, il quale, per
rispetto, aveva deposta la sua vecchia pipa sul coronamento della poppa.
- Rotta per le
Bermude - gli disse. - Dobbiamo raccogliere tutti i corsari e spazzare l'oceano
dalle navi inglesi. La città deve cadere, e Maria di Wentwort ritornerà fra le
mie braccia.
Tre giorni dopo
la Tuonante dava fondo colle sue àncore dinanzi alla baia di Somerset,
della grande Bermuda dove si trovavano già raccolti tre briks armati da
gentiluomini francesi.
Sir William,
che aveva corseggiato la Manica, era troppo noto.
Fu dunque
accolto a braccia aperte dai tre valorosi e nominato seduta stante ammiraglio
della piccola flottiglia. Fu deciso di tornare verso Boston per impedire
l'approvvigionamento della piazza, nella quale, di giorno in giorno, venivano a
mancare viveri e munizioni
Gli assedianti
non si trovavano in migliori condizioni, poiché tutto, il territorio intorno a
Boston era stato saccheggiato, e il lungo e feroce bombardamento aveva esaurito
quasi completamente le loro provviste da guerra, sebbene navi americane
velocissime fossero state spedite sulla costa della Guinea Africana per
acquistare polveri ed armi, e i finlandesi avessero mandato una grossa giunca e
i caroliniani una corvetta con barilotti di polveri.
Gli americani
si erano dati d'attorno per provvedere polveri e viveri.
Il New
Hampshire aveva già armata una nave di trentadue cannoni; il Massachussetts
altre due di ventiquattro bocche da fuoco; un'altra il Connecticut di
ventiquattro, e quattro altre l'isola di Rodi, il Maryland e la Pennsylvania.
Quella squadra,
abbastanza potente per battere l'Atlantico, a poco a poco si era radunata intorno
a quella di sir William, riconosciuto ormai il più abile ed intrepido marinaio
ai servigi degli insorti americani.
Predavano, i
corsari, le navi cariche di polveri e di armi destinate alla guarnigione di
Boston, ma soprattutto facevano grande raccolta di viveri. Il governo inglese,
informato delle gravi strettezze nelle quali si trovava la guarnigione di
Boston, aveva con incredibili spese imbarcato un numero enorme di buoi, di
capre, di vitelli, di carni salate e di vegetali, e su rapide navi li aveva
inviati verso quella città.
La squadra
americana comandata da sir William, che incrociava sempre dinanzi a Boston, era
piombata improvvisamente su di essa, le aveva catturate.
Era una risorsa
enorme, inaspettata per gli assedianti, anche perché, oltre a viveri e
munizioni, c'era una quantità straordinaria di carbone.
Howe non
vedendo nessuna risorsa giungere dal mare, aveva fatto cacciar fuori dalla
città ben ottocento abitanti inabili, per la maggior parte affetti da vaiuolo.
Suo disegno era di contaminare il campo americano e di portarvi dentro la
strage, senza bisogno di bombe e di combattimenti furiosi. A questa infame
guerra risposero gli americani stringendo sempre più l'assedio.
La
Camera del Massachussetts, temendo che gli americani stringendo sempre più la
piazza, se ne tornassero alle loro case prima che fosse presa la città, aveva
prontamente emessi cinquantamila biglietti di sterline di credito, sui quali
era rappresentato un soldato americano, impugnante una spada diritta, attorno
alla quale si leggevano queste parole latine: Ente petit placídam sub
libertate quietem.
Gli americani
peraltro decisero di fare uno sforzo supremo per impadronirsi di Boston.
Washington, e i
generali Lee e Gage, che armeggiavano nei dintorni di New York, avendo compreso
che la buona riuscita della causa americana dipendeva dalla caduta di Boston,
scesero verso il sud, conducendo seco parecchie migliaia di stanziali ed un
buon numero di pezzi d'assedio Quel rinforzo fu di grande utilità agli
assedianti, i quali cominciavano a trovarsi a mal partito a cagione del freddo
sopravvenuto.
Washington e i
suoi generali avevano prese le misure necessarie per stringere maggiormente la
piazza ed impedire che la guarnigione potesse in qualche modo approvvigionarsi.
Approfittando del ghiaccio, il prode americano aveva spinto grosse avanguardie
fin quasi sotto le mura di Boston, affinché tribolassero giorno e notte, con
finti assalti, agl'inglesi.
Per di più,
aveva fatto costruire due grosse batterie galleggianti alle bocche del fiume
Cambridge per battere la piazza anche da quella parte, Poi fu decisa
l'occupazione di tutte le alture dominanti la città che gl'inglesi, affievoliti
dagli stenti, poveri di munizioni, non si trovavano più in grado di difendere.
La notte del 3
marzo del 1776 tutti i pezzi americani, cominciarono a tirare, cagionando
dentro la piazza molti incendi, e la notte del 4 marzo si impadronirono delle
ultime alture.
Gli americani
si erano messi nell'impresa con grande slancio malgrado il freddo intenso.
Protetti dalle
batterie di Phipps Farm e di Roxbury, ottocento scorridori passavano l'istmo di
Dorchester, seguiti subito da milleduecento stanziali e da molti carri pieni di
gabbioni e di travi e di balle di fieno, onde improvvisare trincee che li
mettessero al coperto dai tiri della squadra inglese. Gli americani giunsero
felicemente sugli ultimi baluardi senza che la guarnigione se ne fosse accorta.
Al mattino,
diradatasi la nebbia, Howe vide, con sua grande sorpresa e rabbia, che il
nemico si era già rafforzato anche lassù e vi aveva piantato le artiglierie.
Comprese che la piazza stava per venire rinchiusa in un cerchio di ferro e di
fuoco, e decise di tentare un supremo assalto alle ultime posizioni americane.
Washington,
avvertito di quel disegno, non aveva indugiato a prendere le sue precauzioni
per respingere il presidio e distruggerlo. Aveva fatto rafforzare rapidamente
le trincee improvvisate munendole di nuovi pezzi, fatto accorrere soldati da
tutti i dintorni e stabilito i segnali che dovevano farsi su tutte le alture.
Non contento di
ciò, considerando che la squadra di sir William avrebbe potuto forzare il
blocco e gettare le àncore alla foce della Mistica, vi aveva aggiunto
quattromila uomini scelti, affinché approfittassero della confusione della
lotta per attraversare il Cambridge e tentare un assalto disperato.
Il generale Sullivan comandava le prime schiere
incaricate di assalire le ultime alture; Greene lo seguiva con parecchie
migliaia di soldati.
Dal canto suo
Howe, comandante della piazza, aveva fatto costruire gran numero di scale per
montare all'assalto delle trincee americane, affidando la temeraria impresa a
lord Percy, ai suoi comandi aveva messo più di tremila soldati, il meglio di
quanto gli rimaneva della sua stremata e affievolita guarnigione.
Già si erano
mossi animosi gli assediati, quando scoppiò un violentissimo uragano, che
respinse le acque fuori della baia, accompagnato da una pioggia dirottissima
che rendeva quasi nulla l'efficacia delle armi da fuoco.
Howe,
disperando di spuntarla per quella notte, aveva dovuto richiamare le sue forze,
mentre gli americani si affrettavano a rafforzarsi.
Il colonnello
Mifflin aveva apprestato gran numero di botti piene di sassi e le aveva
collocate intorno alle alture, affinché muovendo il nemico all'assalto, le
facessero rotolare con grande furia per romperne gli ordini.
Howe, accortosi
dell'impossibilità di forzare le posizioni americane e disperando ormai di
ricevere soccorsi dall'Inghilterra, decise, anche per consiglio di lord
Durmonth, uno dei segretari di Stato, di evacuare la città e di fuggire a New
York che gl'inglesi allora tenevano saldamente.
Non aveva una
squadra potente, tuttavia i sette od ottomila uomini, che erano scampati alla
fame, al vaiuolo, ai bombardamenti, vi potevano trovare rifugio.
Si trattava di
centocinquanta navi, fra grosse e piccole già assai invecchiate dai lunghi
ancoraggi, e d'una sola fregata, l'unica che avesse potuto forzare il blocco,
poiché la squadriglia del baronetto e dell'ammiraglio americano si erano
affrettate a tornare in mare per mettersi in agguato. Le grandi difficoltà
consistevano nel trasportare gli abitanti fedeli alla causa inglese e le loro
famiglie per sottrarli ad un massacro. Il viaggio era lungo e difficile,
l'inverno infieriva, i viveri scarseggiavano, e le soldatesche incapaci ormai
di opporre valida difesa.
Howe
cionondimeno non esitò. Aveva preso la decisione di ritirarsi a New York o
all'isola d'Halifax. Mandati a chiamare i notabili della città, espose loro la
gravità della situazione e mostrò le materie incendiarie che aveva fatto
preparare, affinché mettessero fuoco alla città nel momento in cui gli
americani entravano.
Quella brava
gente fu poi mandata al campo americano per pregare il generale Washington che
non volesse disturbare la loro partenza.
Il comandante
supremo delle forze americane, preso fra l'incudine ed il martello, e non
volendo d'altronde la distruzione della città e la perdita di tutti gli averi
di quei disgraziati abitanti, cedette, a condizione che Howe lasciasse indietro
le artiglierie e tutto quello che non avrebbe potuto imbarcare.
Alle 4 del
mattino del 17 marzo cominciò l'imbarco della guarnigione, alla quale si erano
unite mille e duecento famiglie d'inglesi.
La squadra
inglese si componeva, come abbiamo detto, di circa centocinquanta navi fra
grosse e piccole.
Washington
lasciò che la flotta, fra una grande confusione prendesse il largo, ed entrava
poco dopo nella città, colle bandiere spiegate e i tamburi rullanti.
Il colonnello
Moultrie, appena appresa la decisione di Washington di non ostacolare l'uscita
della flotta, aveva subito pensato a sir William, ed aveva mandato uomini
fidati a spiare l'imbarco dei. fuggiaschi.
Come già se
l'era immaginato, Howe, il marchese d'Halifax, ormai completamente ristabilito,
ed i generali inglesi avevano preso posto sulla fregata, e su quella avevano
veduto imbarcarsi anche una giovinetta bionda, che non poteva essere altro che
Mary di Wentwort.
Moultrie aveva
fatto armare una scialuppa e si era portato a bordo della Tuonante, la quale
aveva già messo a terra le truppe americane e si trovava in compagnia dei briks
dei corsari delle Bermude.
Una breve
spiegazione aveva avuto luogo fra i due uomini, dopo di che sir William,
comprendendo benissimo che per una donna non si potevano compromettere i
destini d'una nazione, spiegò le vele verso l'uscita del porto coi briks, risoluto
ad abbordare la fregata o morire nella temeraria impresa.
Alle tre del
pomeriggio la fregata, per la prima, lasciava la baia, guidando l'immensa turba
delle sconquassate navi inglesi. Il baronetto, scorgendola, mandò un altissimo
grido:
- In caccia!
Abbordiamola! Salvate la mia fanciulla! Non fate fuoco sul quadro!
Il capitano
della fregata, avvertito forse dal marchese dell'agguato che gli si tendeva,
premendogli soprattutto di condurre in salvo, più che Mary di Wentwort, il
generale Howe ed il suo Stato Maggiore, con una lunga bordata aveva subito
appoggiato verso la costa, filando velocemente a settentrione.
Le due navi, in
piena corsa, cercavano di stringersi da presso, ma anche la fregata, che, come
sfida, aveva inalberato sul corno della mezzana i colori del marchese
d'Halifax, era uno splendido veliero.
Le cannonate si
succedevano alle cannonate. Mentre gl'inglesi sparavano sulla coperta, i
corsari tiravano sull'alberatura dell'avversaria coi pezzi da caccia di prova,
colla speranza di fracassarle un albero e di fermarla.
Già la squadra
inglese non era quasi più visibile, quando due palle incatenate, partite dai
cannoni poppieri della fregata, presero di traverso l'albero di trinchetto
della Tuonante, un po' sopra la coffa, spaccandolo di colpo.
Il Corsaro
mandò un grido terribile:
- Mia Mary!
Ancora una volta ti ho perduta.
La corvetta,
oppressa dal peso dell'albero che le gravitava sulla dritta, si era inclinata
sul fianco, fermandosi quasi di colpo.
La partita era
perduta.
Ancora una
volta il marchese d'Halifax trionfava.
Testa di
Pietra, che teneva la ribolla del timone, vuotò sul coronamento di poppa la sua
storica pipa, poi scuotendo la testa brontolò
- Corra pure a
nascondersi in qualche angolo dell'America: lo ritroveremo.
Intanto la
fregata, sbarazzatasi del suo pericoloso avversario, fuggiva lesta come un
gabbiano verso il settentrione.
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