Superate le
rupi, il piantatore si fermò in preda ad un terrore così profondo da non
essere, per quel momento, in grado di servirsi del suo fucile.
Un serpente enorme, lungo
venticinque e anche più metri, tutto nero, col corpo coperto da scaglie assai
spesse, ancora incrostate di fango nelle loro congiunture, usciva da uno di
quei buchi, lasciandosi scivolare giù dalla riva, che in quel luogo era assai
ripida.
In fondo, in un canotto scavato
nel tronco d'un albero, una donna indiana, ancora giovane, che teneva stretto
al seno un bambino, urlava disperatamente, chiamando
– Jaco!
Jaco!
Probabilmente era il nome di suo
marito.
Lo spaventoso rettile l'aveva
scorta e scendeva con la bocca spalancata, agitando la sua lingua biforcuta e
sibilando.
L'Indiana, immobilizzata dal
terrore, non ardiva spingere la barca al largo. Non pensava che a stringersi al
petto il bambino, credendo in quel modo di salvarlo.
Vedendo comparire il piantatore
ed il capataz, tese verso di loro le braccia,
mostrando il piccino e gridando con voce strozzata dal terrore:
– Aiuto, uomo bianco!
Due colpi di fucile partirono
uno dietro all'altro, ma era troppo tardi.
L'enorme rettile aveva afferrato
la donna ed il bambino, poi, con una rapidità incredibile, si era internato in
quel buco nero, scomparendo agli sguardi dei due cacciatori.
Per qualche istante s'udirono
ancora le grida della povera donna, poi successe un silenzio profondo.
Anche i cani non latravano più.
– È perduta! – esclamò il
piantatore, facendo un gesto disperato. – Siamo giunti troppo tardi.
In quel momento videro un
Indiano, che, armato d'una scure, scendeva a precipizio la riva.
– Mia moglie! Mio figlio!
«Il giloia!
– gridò arrestandosi dinanzi al piantatore. – Maledetto serpente! Lo sapevo che
doveva trovarsi qui.
«Vendicherò la mia donna e mio
figlio o non sarò più il capo della mia tribù.
Poi, dopo quello sfogo, aveva
prontamente riacquistato quell'impassibilità che è
particolare a tutti gli uomini di razza rossa.
Le commozioni non hanno presa
sugli Indiani, appartengano essi alle tribù bellicose e feroci dell'America
settentrionale od a quelle indolenti e selvagge dell'America meridionale.
Passato il primo istante di
sorpresa o di collera, tornano indifferenti ed impassibili come lo erano dieci
minuti innanzi.
Il piantatore, che aveva avuto
frequenti rapporti con gli Indios, non si
stupì quindi della subitanea calma dell'uomo rosso.
– Che cosa farai ora che il giloia ha distrutto la tua famiglia? – gli chiese.
– Vendicherò mia moglie e mio
figlio – rispose Jaco, mentre i suoi occhi nerissimi
si accendevano d'un lampo feroce.
– Hai mai ucciso un giloia?
– Io no, perchè quei serpenti
sono rari. Ho saputo che il mio compare, il capo degli Ottomachi,
l'anno scorso ne ha sorpreso uno presso una caverna e che lo ha ammazzato.
Perchè Jaco, che non è poltrone, nè
pauroso, non potrà fare altrettanto?
– Il mostro non si lascerà
sorprendere – disse il capataz. – Sapendo che
noi siamo qui, si terrà in guardia e, dopo aver divorato la preda, si preparerà
alla lotta.
– Di notte i serpenti dormono –
disse l'Indiano – ed il sole sta già per tramontare.
– Conosci quella caverna? –
chiese don Herrera.
– L'ho visitata parecchie volte
per cercare le pietre verdi che servono a noi di amuleti contro le frecce dei
nemici.
– Se ci farai uccidere quel
mostro ti regalerò un fucile.
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