20 - Le due zattere
Il Corsaro ed il signor
Howard, dopo aver ispezionata tutta la tolda, temendo che qualche indio vi si
fosse nascosto, diedero il segnale di riprendere i lavori.
La fregata doveva ormai
aver fabbricato il suo galleggiante e il Marchese trovarsi già al largo,
navigando, bene o male, verso l'Atlantico settentrionale. Al Corsaro premeva
che non guadagnasse troppa via, sperando che una occasione si presentasse per
piombare sul Marchese e strappargli la bionda miss.
Ad un comando del signor
Howard, cinquanta uomini si calarono sul banco, portando lanterne e attrezzi, e
si diedero a picchiare furiosamente sulle tavole per formare una specie di
ponte sopra lo scheletro composto di alberi e di pennoni. Testa di Pietra stava
dietro il suo pezzo per proteggerli, se gl'Indiani tentassero, come sospettava,
una riscossa. E non s'ingannava il vecchio lupo di mare. Infatti appena quegli
uomini si misero al lavoro, alcune frecce cominciarono a venire sibilando in
tutte le direzioni.
«Corpo d'un campanile!»
esclamò il bravo Bretone. «Che non vogliano proprio lasciarci partire?»
«Spara là dentro,» disse
Piccolo Flocco. «Sono in agguato fra i paletuvieri che coprono le rive del canale.»
«Crociera disgraziata!»
«Chi sa che non finisca
fortunata, amico?»
Continuando le frecce a
tormentare i lavoranti, i cannoni da caccia ripresero la loro musica infernale,
distruggendo le piante acquatiche e gl'Indiani che vi si nascondevano dentro.
Già avevano sparato sei o
sette colpi, quando in lontananza si udì una detonazione che pareva prodotta da
un piccolo pezzo d'artiglieria. Il Corsaro ed il signor Howard, si slanciarono
verso gli ultimi bastingaggi di tribordo, spingendo i loro sguardi verso il
canale entro cui era scomparsa la fregata.
«Che cosa
può significare questo sparo?» domandò il primo. «Che anche là vi siano
degl'Indiani?»
Testa di Pietra, che
aveva allora allora scaricato novamente il suo pezzo, e li aveva raggiunti, rispose
aggrottando le ciglia:
«Capitano, quella
detonazione, a mio modesto parere, non deve annunciare nulla di buono per noi.
Che qualche nave della squadra fantasma sia ritornata verso il nord e che la
fregata cerchi di richiamarla?»
«Anche a me è venuto il
medesimo sospetto,» dichiarò il signor Howard. «È impossibile che tutti quei
legni siano scomparsi.»
«Che mio fratello abbia
ancora tanta fortuna?» esclamò sir William con un sospiro.
«Zitto, signore,» disse
il Bretone.
Si era posto in ascolto,
tenendo le mani aperte dietro gli orecchi per raccoglier meglio i suoni
lontani.
«Non odo che la risacca.»
soggiunse poi. «I naufraghi della fregata a quest'ora hanno finita la loro
zattera e stanno allontanandosi.»
«E allora imbarchiamoci
anche noi,» disse il Corsaro. «Dove li troveremo li attaccheremo.»
Malgrado i continui
attacchi degl'Indiani, i corsari erano riusciti a costruire una magnifica
zattera lunga trenta metri su dieci di larghezza, provvista d'un pennone, a cui
era stata imbrogliata momentaneamente una vela, e d'un lungo timone in forma di
remo; e vi avevano caricato viveri, armi, e parecchie coperte.
Trattenuta da solide
funi, la zattera rollava vivamente fra la spuma della risacca, ora alzandosi,
ora abbassandosi, quantunque sotto lo scheletro del galleggiante fossero state
fissate numerose botti vuote.
Il Corsaro stava per dare
ordini ai suoi uomini di dar fuoco alla nave e di scendere sul banco, quando
gl'Indiani si lanciarono di nuovo furiosamente all'attacco, come se avessero
giurato di non lasciar partire nessuno di quegli uomini bianchi. Per la seconda
volta si presentavano in masse compatte e bene armati. Non vi era un istante da
perdere.
Piccolo Flocco andò a
collocare una lunga miccia accesa nella Santa Barbara rimasta asciutta; gli
artiglieri scaricarono ancora una volta i loro pezzi, facendo strage di quei
corpi umani; poi tutti si calarono sulla zattera. Le corde furono prontamente
tagliate, la vela spiegata ed orientata, e i naufraghi lasciarono il banco
sparando colpi di carabina. Testa di Pietra, non avendo più il suo famoso pezzo
da maneggiare, afferrò il lungo timone, mentre trenta o quaranta marinai muniti
di remi cercavano di aiutare la manovra.
La zattera aveva percorsi
appena cinquanta metri, quando si vide attorniata da turbe di nuotatori. Erano
gl'Indiani che tentavano ancora una volta l'arrembaggio, gettando urli
spaventevoli. Una grande confusione, facile ad immaginarsi, si era propagata
sull'imbarcazione, poiché i corsari, non avendo più i cannoni, si vedevano in
gravissimo pericolo.
«Lasciate le carabine e
impugnate le sciabole!» gridò sir William.
E la lotta ricominciò più
furibonda che mai sul margine del galleggiante, il quale subiva delle scosse
inquietanti. Le braccia degl'Indiani, troncate delle armi bianche, cadevano a dozzine;
eppure quei barbari resistevano tenacemente, tentando, col peso dei loro corpi,
di affondare la zattera.
Ad un tratto si videro
lasciare i margini del galleggiante bagnati del loro sangue, poi allontanarsi
colla massima rapidità, aiutandosi l'un l'altro.
«Che cosa succede?» si
domandò il Baronetto, il quale non poteva credere a tanta fortuna.
«Guardate, sir,»
disse il signor Howard, «giungono.»
Sotto le acque si
scorgevano delle scie fosforescenti, che descrivevano dei fulminei zig-zag.
«Gli squali!» esclamò il
Baronetto. «Siano in questo momento benedetti.»
Un'orda formata d'una
dozzina di pescicani, nascosta fino allora fra i paletuvieri, si era scagliata
sugl'Indiani, mettendoli in piena rotta e divorandone non pochi. Alcuni di quei
mostri, aiutandosi colle pinne, tentarono di assalire anche i naufraghi della Tuonante,
ma l'accoglienza che ebbero fu tale, da deciderli a mettersi in caccia di
carne rossa, più adatta d'altronde ai loro palati, che trovano quella bianca
piuttosto amara: almeno così si dice.
Terminato anche
quell'assalto, non meno pericoloso degli altri, la zattera riprese la sua
rotta, inoltrandosi in un ampio canale fiancheggiato da ammassi di paletuvieri.
Il Corsaro e Testa di
Pietra stavano domandandosi se dentro di quello si erano rifugiati i naufraghi
della nave del Marchese, quando un lampo illuminò la notte verso il sud,
seguito da una fragorosa detonazione e da una pioggia di tizzoni ardenti.
Il vecchio Bretone mandò
un grido di dolore:
«La Tuonante è saltata!»
«Della mia nave, da tutti
ammirata e temuta, non si parlerà più!» aggiunse il Baronetto quasi
singhiozzando.
«Ormai non valeva più
nulla, signore,» disse Howard. «Sarà saltata con un bel numero d'Indiani.»
«E la zattera della
fregata?»
«La raggiungeremo, sir
William.»
«Temo sempre che incontri
qualche nave.»
«Non sarà facile. Le
coste della Florida prive di porti sono troppo pericolose con le loro secche,
le loro scogliere, e soprattutto a cagione degli Indiani, e perciò le navi ne
stanno lontane.»
«È vero,» rispose il Baronetto,
«tuttavia non vedo intorno a me un raggio di fortuna brillare: è dalla nostra
partenza dalle Bermude e dalla caduta di Boston che io, di giorno in giorno,
angosciosamente l'attendo.»
«Con un dolce nome sulle
labbra!» disse Howard.
«Tacete: non aprite di
più la ferita che sanguina già troppo.»
«E che a New York
guariremo per sempre.»
«Chi sa?»
«Io non dispero, sir
William, di poter menare le mani anche in quella grande metropoli... Ma ora
andate a riposarvi, ché ne avete bisogno. Veglio io con Testa di Pietra e con
alcuni moschettieri. Andate, andate: in questo momento nessun pericolo ci
minaccia.»
Il Corsaro, stremato
dalle fatiche, si gettò su una coperta stesa presso l'albero, mentre dieci o
dodici marinai, armati di carabine, si sdraiavano lungo i bordi per tenere
lontani i pescicani, i quali non si erano ancora tutti allontanati.
Spinta da una debole
brezza, la zattera continuava ad inoltrarsi in quell'interminabile canale,
cercando le tracce dell'altra. Un silenzio profondo regnava, rotto solo dalle
grida monotone del rotauro mokoko, un grosso volatile alto due
piedi, colle penne brune rigate, che abbonda sulle coste della Florida,
annoiando i rari naviganti con una continua sequela di dun-ka-du, dun-ka-du mai
variati. Già aveva il galleggiante attraversato un altro canale che
s'incrociava col primo, quando, addossata ad una scogliera circondata di banchi
sabbiosi, una gran massa oscura si presentò agli attoniti sguardi dei marinai.
Il Bretone e Piccolo
Flocco balzarono in piedi esclamando:
«La
fregata! la fregata!»
A quel grido tutti i
corsari si svegliarono di soprassalto e corsero alle armi, temendo qualche
altra sorpresa.
Sir William ed il signor
Howard provarono una profonda impressione nello scorgere quella terribile
avversaria, ridotta ormai in uno stato da non poter più nuocere. I cannoni
della corvetta dovevano averle aperto delle larghe falle, attraverso le quali
l'acqua si era precipitata ed aveva invaso lo scafo.
«Finalmente!» esclamò il
Corsaro. «Ora siamo pari, mio caro Marchese; almeno fino a New York.»
Stava per dare l'ordine
di accostarla, quando una forma umana si delineò sulla murata di poppa facendo
dei gesti.
«Un uomo!» esclamò il
signor Howard. «Chi può essere costui? E perché è rimasto così solo a bordo?»
«Salta!» gli gridò il
Corsaro.
Lo sconosciuto ebbe una
leggera esitazione, poi balzò in acqua, e con poche bracciate raggiunse la
zattera.
«Tu!» esclamò stupito il
mastro appena lo vide da vicino. «Non sei l'Inglese che abbiamo legato ed
abbandonato nella foresta?»
«Sì,» rispose il soldato
stringendo le pugna.
«Godo di vederti vivo.
Pensavo a te, ma non avevo il tempo di tornare indietro. L'hai raggiunta a
nuoto la fregata?»
«A cavalcioni d'un tronco
d'albero, passando in mezzo a branchi di pescicani.»
«I quali, a quanto pare,
hanno sdegnato la tua carne inglese,» disse Testa di Pietra.
L'ex prigioniero si
scosse l'acqua e lanciò una filza d'ingiurie che il Bretone non si degnò
affatto di raccogliere.
«Quando sei giunto qui?»
gli chiese il Corsaro, il quale ormai conosceva la storia dell'Inglese
abbandonato fra i pini.
«Tre ore fa, signore,»
rispose l'interrogato, con una certa gentilezza questa volta, essendosi forse
accorto d'aver dinanzi il comandante.
«Non vi è più nessuno a
bordo?»
«Assolutamente nessuno.»
«Non vi sono scialuppe?»
«Sì, ma tutte sventrate
da tiri di artiglieria.»
«Quanti dei tuoi compagni
si saranno imbarcati sulla zattera che hanno costruita?»
«Io non
ho assistito alla battaglia. Vi sono parecchi morti in coperta, ma non potrei
fare un calcolo dei superstiti... E ora che cosa volete fare di me?»
Il Corsaro fece un cenno
ad un uomo barbuto, che stava appoggiato all'albero, e quando gli fu dinanzi
disse all'Inglese:
«Io sarei nel mio diritto
di appiccarti, ed abbiamo qui un famoso carnefice, il boia di Boston che ha
corde di prima qualità. Invece io ti accordo la vita, purché fino a New York tu
non ci dia alcun fastidio.»
«Ve lo prometto,
signore,» rispose il prigioniero, contento di cavarsela così a buon mercato.
«Uhm!» fece Testa di
Pietra. «Ecco un affare che io non avrei concluso in questo modo. Ma io e
Piccolo Flocco lo sorveglieremo da vicino, poiché se questo giovanotto è
riuscito a sbarazzarsi dei legami fatti da un vecchio marinaio come son io e
tornarsene a bordo del suo legno, malgrado gl'Indiani e le belve feroci,
potrebbe giocarci qualche pessimo tiro.»
L'Inglese fu legato per
precauzione alla base dell'albero, poi, essendo ancora lontana l'aurora, i
corsari presero i loro posti sulle coperte stese sul tavolato, mentre intorno
alla zattera sfilavano i battaglioni di nottiluche e di meduse splendenti di
fuochi multicolori.
Per altre due ore la
zattera continuò ad inoltrarsi nel canale, poi si trovò, a un tratto, fuori dai
banchi e dalle scogliere, innanzi alla sconfinata distesa dell'Atlantico
anch'esso fiammeggiante.
Testa di Pietra scorse
subito una grossa macchia nera che spiccava vivamente, a qualche miglio di
distanza, sormontata da una vela di grandi dimensioni.
«La zattera del lord! la
zattera del lord!» gridò con tutta la forza dei suoi polmoni.
La sua voce non si era
ancora spenta, che già i corsari erano in piedi colle armi in pugno; ma
dovettero convincersi che per il momento non vi era nulla da fare, perché la
zattera aveva un vantaggio di oltre un miglio ed un maggior numero di remi.
Anche gl'Inglesi si erano
accorti della presenza dei loro accaniti avversari e si vedevano dimenare le
braccia. E in mezzo a loro, non senza una viva emozione, il Corsaro scorse una
forma bianca.
«Mary!» esclamò.
Come se la fanciulla lo
avesse udito, alzò le braccia in atto di disperazione.
«Calmatevi, sir,»
disse il signor Howard, vedendo il Baronetto impallidire. «Non ci sono ancora
sfuggiti, ed il vento che spinge la loro vela spinge pure la nostra.
Il Corsaro si lasciò
cadere su un barile, prendendosi la testa fra le mani. Quell'uomo, che forse
non aveva mai pianto in vita sua, aveva gli occhi bagnati di lacrime.
«La seguiremo sempre e
ostinatamente,» disse il signor Howard. «E New York è lontana. »
«E poi,» osservò Testa di
Pietra, il quale si era, come al solito, avvicinato al comandante, «possono
succedere mille cose impreviste. Corpo d'un campanile!.. Non siamo noi
finalmente i Corsari delle Bermude?»
«Su che cosa vorresti
contare, tu?» chiese il Baronetto.
«Per ora non me lo
domandate. È un mio segreto.»
In quel momento alcuni
colpi di fucile partirono dalla zattera inglese, ma la distanza era troppa,
perché i proiettili potessero giungere fino ai corsari.
«Ah!» esclamò il Bretone,
«se questa zattera avesse potuto reggere uno dei nostri pezzi da caccia, non so
come se la passerebbero quei signori laggiù... Ebbene, ci accontenteremo di
guardarci, per ora, sperando che un caso fortunato ci porti addosso ai
fuggiaschi.»
Infatti nulla vi era da
fare per il momento, poiché le due zattere avanzavano colla medesima velocità,
ed il vento era piuttosto debole.
«Corpo d'un campanile!»
borbottò Testa di Pietra, «un solo miglio; un miglio solo!... Se potessi
condurre a buon fine l'impresa, il Baronetto tornerebbe tranquillo... Ma sì, bisogna
decidersi prima che sorga l'alba, giacché la fosforescenza è ormai scomparsa.»
Tornò al timone, dove si
trovava Piccolo Flocco in compagnia dei due Assiani. «Chi è di voi che non teme
la morte?» chiese loro.
«Io non ho mai tremato!»
rispose il giovane gabbiere.
«Noi, patre, mai paura!»
risposero i due Assiani.
«Vi sentireste, in caso,
di tentare da voi soli l'abbordaggio della zattera e cercar di rapire la bionda
miss? Guardate, il mare è tornato tenebroso, e la zattera degli Inglesi
si scorge appena.»
«Un affar duro!» disse
Piccolo Flocco.
«Volete, sì o no? Fra due
ore l'alba spunterà, e allora qualunque tentativo diventerebbe inutile. Non
dite niente a nessuno; armatevi di coltelli, spogliatevi e filiamo verso la
zattera.»
Spentasi la fosforescenza,
le acque dell'Atlantico erano tornate cupe. Tutto era scomparso; anche la
figura bianca.
I quattro uomini, che
sapevano chiacchierare ma sapevano anche agire, dopo avere scambiato alcune
parole col signor Howard per avvertirlo del loro disegno, approfittando di quel
ritorno dell'oscurità, scesero in mare, non visti dai loro camerati, i quali
erano tornati a coricarsi.
«Signor Howard,» disse il
Bretone prima di allontanarsi, «se non ci vedete tornare fra qualche ora, dite
pure che il Marchese ci ha fatti appiccare al pennone della zattera.»
«Avete dei salvagente?»
«Uno solo per la miss:
noi non ne abbiamo bisogno. Speriamo che questa oscurità duri, ché se
ritornasse la fosforescenza, gl'Inglesi ci farebbero passare un brutto quarto
d'ora.»
Fece un cenno d'addio e
prese risolutamente il largo, seguito dai due Tedeschi e dal giovane gabbiere.
Bonissimi nuotatori, in
pochi minuti sorpassarono la zattera e rimontarono verso il nord, cercando
l'altra, resasi invisibile.
«Badate solamente ai
pescicani,» aveva detto il mastro. «Degl'Inglesi per ora non vi date pensiero,
poiché sono diventati ciechi come talpe.»
Messisi in linea indiana,
i quattro coraggiosi avanzarono ben presto assai, procurando di tenersi
sommersi più che potevano. Avevano rilevata la posizione della zattera,
nonostante l'oscurità, e s'andavano accostando.
Era un'impresa pazzesca
quella che stavano per tentare, ma Testa di Pietra, prima di tutto, era sicuro
di sorprendere gl'Inglesi nel sonno, giacché non vi era ragione di vegliare,
essendo le due zattere troppo lontane fra loro. Così, filando sempre con
precauzione, un'ora prima che le stelle cominciassero a spegnersi, i due
Bretoni ed i due Tedeschi giungevano sotto la zattera, in un punto che non
pareva guardato.
Come avevano supposto,
gl'Inglesi, dopo la scomparsa delle nottiluche e delle meduse, si erano, come i
loro avversari, sdraiati sul vasto ponte, fra le vele ed i barili delle
provviste.
Il mastro alzò con
precauzione il capo, borbottò qualche cosa fra i denti, poi posò le mani sul
margine della zattera.
Fra quell'ammasso di
corpi coricati aveva scorta la figura bianca, la quale si trovava presso
l'albero, certo guardata dal terribile Marchese.
Stava per issarsi, quando
due colpi di cannone echeggiarono a non grande distanza, seguiti da una vera
bordata. Delle navi erano a un tratto comparse in quelle acque e battagliavano,
ignorando forse la presenza delle due zattere.
«Partita perduta!» disse
il mastro. «La nostra buona stella si è spenta per sempre.»
Udendo quel cannoneggiamento,
gl'Inglesi erano tutti balzati in piedi, gridando a squarciagola: «Allarmi!».
Dei lampi balenavano
verso ponente, prodotti dalla polvere, ma non erano ancora tali da poter
illuminare tutte le navi.
«Bordate!» disse il
mastro, lasciandosi ricadere in acqua prima che avessero potuto scoprirlo.
«Via, ragazzi, via fino alla nostra zattera, dove staremo molto meglio che qui.
Per tutti i fulmini dell'inferno! che navi saranno quelle che sono venute a
guastare la nostra operazione sul più bello?»
«Io ne vedo due,» disse
Piccolo Flocco. «Se combattono fra di loro, vuol dire che una è americana e
l'altra inglese.»
«Se potessimo abbordare
l'americana!... Cò suoi pezzi, darei una buona lezione alle giacche rosse
d'oltre Atlantico.»
«Ed io te la guiderei poi
verso la nostra zattera per imbarcare il Corsaro e i camerati. »
«Silenzio!»
Tra il
fragore delle cannonate e delle fucilate aveva udito gridare ferocemente:
«Sotto quelli del Caboto!»
Il Caboto, come i lettori
ricorderanno, era una delle quattro navi della prima squadriglia americana,
armata di sedici pezzi, e che dopo la ritirata di lord Howe si era messa dietro
alla Tuonante, disperdendosi poi a causa delle tempeste che avevano pure
distrutta la flotta fantasma dell'ammiraglio Dunmore. Combatteva probabilmente
contro qualche nave inglese che si scorgeva dal lampo delle sue artiglierie:
«Abbordiamola!» gridò
Testa di Pietra. «Qualche paterazzo penderà dalle bancazze. Se non scorge la
nostra zattera, potrebbe fuggire in altra direzione, e allora ci catturerebbero
gl'Inglesi.»
Si spinsero tutti e
quattro innanzi e giunsero felicemente sotto la poppa, quantunque parecchie
palle fossero cadute vicine a loro, sollevando alti spruzzi di spuma.
Il mastro afferrò una
corda del timone e si mise a urlare con quanta voce aveva:
«Ohé, del Caboto!»
Due figure umane si
curvarono sul coronamento di poppa, e scorgendo i nuotatori già radunati e che
presero per Inglesi, puntarono verso di loro le carabine.
«Giù le armi!» gridò il
mastro. «Siamo dei vostri!»
«Yankees?»
«Corsari delle Bermude.»
«Potete montare?» chiese
uno dei due ufficiali del Caboto.
La nave si mise nel
momento in panna, senza cessar di tirare contro l'inglese che cercava di
abbordarla.
«Testa di Pietra!» esclamò
l'ufficiale di quarto dal cassero, appena il mastro comparve. «Come vi trovate
qui? Dov'è il Baronetto?»
«Più vicino di quello che
potete supporre.»
«Non viene in mio aiuto?
Non riesco ad affrontare quel dannato brigantino.»
«Il Baronetto non ha più
i suoi pezzi, i quali riposano in fondo al mare. Vi racconterò più tardi come
la Tuonante è andata a finire. Occupatevi intanto di mettere fuori portata la
vostra nave allargandola al sud.»
Piccolo Flocco ed i due
Assiani si erano slanciati in coperta, mettendosi subito dietro le murate,
poiché l'artiglieria inglese continuava la sua musica infernale.
Quantunque il comandante
non avesse capito nulla di quella invasione di corsari, seguì il consiglio del
mastro, il quale, come si sa, godeva fama straordinaria fra tutte le marinerie.
Così egli lasciò filare la nave verso il sud, non cessando di controbattere i
colpi avversari, ma dopo mezzo miglio andò a dare di cozzo contro la zattera
del Baronetto. La nave inglese si era fermata invece presso quella del lord in
seguito ai richiami dell'equipaggio naufragato.
«Contro chi andiamo a
romperci?» chiese il comandante, il quale, occupato a tener la ribolla del
timone, non si era ancora accorto dei corsari raccolti sulla zattera. Ma una
voce a lui ben nota, alzatasi dal mare sempre tenebroso, lo avvertì della
presenza del Baronetto.
«Il signor Mac-Lellan!»
gridò il capitano americano. «Ma che cose strane succedono stanotte?»
«Un avvenimento
fortunato, signore,» disse il mastro. «Avete salvato, senza saperlo, tutti i naufraghi
della Tuonante.»
Cinque minuti dopo il
Baronetto ed i suoi uomini si trovavano tutti sul ponte del Caboto,
pronti a prestare man forte allo scarso equipaggio, se ve ne fosse stato
bisogno. La nave inglese invece, raccolto il proprio equipaggio, si era
affrettata a riprendere la corsa verso il nord, sparando due ultime cannonate.
«Signor Mac-Biorn,» disse
il Baronetto al comandante americano, «non ho che un solo ordine da darvi:
seguire la nave inglese fin dove andrà.»
«Sapete chi la monta, per
caso?»
«Mio fratello e la mia
fidanzata.»
«Vi sono ancora
sfuggiti?»
«Sì, caro signore, e
quando speravo di tenerli entrambi.»
«Vi sarà scappato dopo un
terribile combattimento, poiché anche quell'uomo è intrepido.»
«Così viva fu la lotta, che
tutte e due le navi sono affondate sotto le palle dei pezzi grossi. Che
vorreste di più?»
«Ed ora?»
«In caccia! se vi sentite
in grado di seguirlo fino a New York, perché è certo che in quel porto
affonderà le ancore.»
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