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TREMAL-NAIK
Mezz'ora dopo la baleniera della
Marianna scendeva il fiume, montata da Sandokan, Yanez, Kammamuri e da sei
robusti malesi dell'equipaggio.
I due comandanti del praho si
erano camuffati da servi indiani, annodandosi intorno ai fianchi un largo pezzo
di tela, il dootée, e coprendosi le spalle con una specie di mantello di tela
grossolana, di color marrone, il dubgah.
Entro la fascia però avevano
nascoste un paio di pistole dalla canna lunga e il kriss malese, quel terribile
pugnale a lama serpeggiante lungo più d'un piede, che produce delle ferite
orribili che di rado guariscono perfettamente.
La città era ormai immersa nelle
tenebre, essendo stati spenti tutti i fanali delle gettate e degli squares;
solamente i fanali delle navi rispecchiavano le loro luci bianche, verdi e
rosse nelle oscure acque del fiume.
La baleniera filò fra i velieri,
le grab, i pariah, le pinasse ed i piroscafi che ingombravano le due rive, poi
si diresse verso i bastioni meridionali del forte William, approdando dinanzi
alla spianata che in quel momento era buia e deserta.
‑ Ci siamo, ‑
disse Kammamuri. ‑ La via Durumtolah è a pochi passi.
‑ Abita un
bengalow? ‑ chiese Yanez.
‑ No, un vecchio
palazzo indiano che un tempo era abitato dal defunto capitano Macpherson e che
ereditò dopo la morte di Ada.
‑ Guidaci, ‑
disse Sandokan.
Scese a terra, poi volgendosi
verso i malesi, disse:
‑ Voi rimarrete qui ad
aspettarci.
‑ Sì capitano, ‑
rispose il timoniere, che aveva guidata la baleniera.
Kammamuri si era messo in marcia
inoltrandosi attraverso la vasta spianata. Sandokan e Yanez lo avevano seguito
tenendo una mano sotto il dubgah per essere più pronti a estrarre le armi nel
caso che fosse stato bisogno di servirsene.
La spianata però era deserta o
almeno appariva tale, poiché in quell'oscurità non era facile poter distinguere
un uomo.
Dopo pochi minuti imboccarono la
via Durumtolah, fermandosi dinanzi ad un vecchio palazzo di stile indiano, di
forma quadrata, sormontato da tre piccole cupole e da terrazze.
Kammamuri trasse una chiave e la
introdusse nella toppa. Stava per aprire la porta, quando Sandokan, la cui vista
era più acuta di quella dei compagni, scorse un'ombra umana staccarsi da una
delle colonne che reggevano una piccola veranda e allontanarsi rapidamente,
scomparendo fra le tenebre.
Per un momento ebbe l'idea di
precipitarsi sulle tracce del fuggitivo; però si trattenne temendo di cadere in
qualche agguato.
‑ L'avete scorto
quell'uomo? ‑ chiese a Kammamuri e a Yanez.
‑ Chi? ‑
domandarono a una voce il portoghese e il maharatto.
‑ Un uomo che si
teneva celato dietro a una di quelle colonne. Avevi ragione Kammamuri di
sospettare che i Thugs sorveglino la casa. Ne abbiamo avuto or ora la prova.
Poco importa; quello spione non ha potuto vederci in viso con questa oscurità,
e poi non mi conosce. Cercheremo però di sorprenderlo.
Kammamuri aprì la porta che poi
richiuse senza far rumore e salita una scala di marmo che era ancora illuminata
da una specie di lanterna cinese, introdusse i due comandanti del praho in una
saletta ammobiliata semplicemente all'inglese, con sedia e tavola di bambù
artisticamente lavorate.
Un globo di cristallo azzurro,
sospeso al soffitto, proiettava una luce dolcissima, facendo scintillare le
pietre lucidissime del pavimento, graziosamente intarsiate in nero, in rosso ed
in giallo.
Erano appena entrati, quando una
porta s'apri e un uomo si precipitò fra le braccia di Sandokan prima, poi fra
quelle di Yanez, esclamando:
‑ Miei amici! Miei
valorosi amici! Quanto vi ringrazio di essere venuti. Voi mi renderete la mia
Darma, è vero?
L'uomo che così parlava era un
bellissimo tipo d'indiano bengalino, di trentacinque o trentasei anni, dalla
taglia elegante e flessuosa senz'essere magra, dai lineamenti fini ed energici
colla pelle lievemente abbronzata e lucentissima e gli occhi nerissimi e pieni
di fuoco.
Vestiva come i ricchi indiani
modernizzati della Young-India, i quali hanno ormai
lasciato il dootée e il dubgah pel costume anglo-indiano,
più semplice, ma anche più comodo: giacca di tela con alamari di seta, fascia,
ricamata e altissima, calzoni stretti, pure bianchi e turbantino ricamato.
Sandokan e Yanez avevano
contraccambiato l'abbraccio dell'indiano, poi il primo gli aveva risposto con
voce affettuosa:
‑ Calmati,
Tremal-Naik, se noi abbiamo lasciata la nostra selvaggia
Mompracem e siamo qui, vuol dire che siamo pronti a impegnare la lotta contro
Suyodhana e tutti i suoi sanguinari banditi.
‑ La mia Darma! ‑
gridò l'indiano con un singhiozzo straziante, mentre si comprimeva gli occhi
come per impedire alle lacrime di sgorgare.
‑ La
ritroveremo, ‑ disse Sandokan. ‑ Tu sai che cosa è stata
capace di fare la Tigre della Malesia, quando tu eri prigioniero di James
Brooke, il rajah di Sarawak.
Se io ho detronizzato quell'uomo
che si chiamava lo sterminatore dei pirati e che con una sola parola faceva
tremare tutti i sultani e i rajah del Borneo, saprò vincere anche Suyodhana e
costringerlo a renderti la figlia.
‑ Sì, ‑
disse Tremal-Naik, ‑ tu e Yanez soli potreste
misurarvi contro quei settari maledetti, contro quei sanguinari adoratori di
Kalì e vincerli. Ah! Se dovessi perdere anche la figlia, dopo d'aver perduto la
mia Ada, la sola donna che io abbia amata al mondo, sento che non sopravviverei
e che impazzirei.
Aver tanto lottato e sofferto per
strappare a quei mostri la donna che doveva diventare un giorno mia moglie e
veder ora nelle loro mani mia figlia. È troppo! Sento che il mio cuore scoppia.
‑ Tranquillizzati,
Tremal-Naik, ‑ disse Yanez, che era vivamente
commosso pel profondo dolore dell'indiano. ‑ Non si tratta ora di
piangere, bensì d'agire e di mettersi in campagna senza perdere tempo.
Udiamo, mio povero amico: sei tu
convinto che i Thugs si siano nuovamente riuniti nei sotterranei di Rajmangal?
‑ Ne ho la
certezza, ‑ rispose l'indiano.
‑ E che Suyodhana sia
là?
‑ Si dice che sia
tornato fra di loro.
‑ Dunque la piccola
Darma sarà stata portata a Rajmangal? ‑ disse Sandokan.
‑ Non ne ho la
certezza.
Essa però deve aver rimpiazzato
il posto che occupava un giorno sua madre, mia moglie.
‑ Può correre qualche
pericolo?
‑ Nessuno: la «Vergine
della pagoda» incarna sulla terra la mostruosa Kalì e la si adora e la si teme
come una divinità autentica.
‑ Dunque nessuno
ardirebbe farle alcun male.
‑ Nemmeno
Suyodhana, ‑ rispose Tremal-Naik.
‑ Quanti anni ha la
tua Darma?
‑ Quattro anni.
‑ Che strana idea di
fare d'una bambina una divinità! ‑ esclamò Yanez.
‑ Era la figlia della
«Vergine della pagoda» che per sette anni rappresentò Kalì nei sotterranei di
Rajmangal, ‑ disse Tremal-Naik, con un
singhiozzo soffocato.
‑ Fratellino
mio, ‑ disse Yanez, volgendosi verso Sandokan, ‑ Tu mi
hai parlato d'un progetto.
‑ E l'ho anche
maturato, ‑ rispose la Tigre della Malesia. ‑ Solamente
vorrei, prima di metterlo in esecuzione, avere la certezza che i Thugs si
trovino realmente nei sotterranei di Rajmangal. Ciò è necessario.
‑ Come fare dunque?
‑ Bisogna impadronirci
di qualche thug e costringerlo a confessare. Suppongo che a Calcutta ve ne
saranno.
‑ E non pochi, ‑
disse Tremal-Naik.
‑ Cercheremo di
scovarne qualcuno.
‑ E poi? ‑
chiese Yanez.
‑ Se si sono
nuovamente radunati a Rajmangal, andremo a fare una partita di caccia fra
quelle jungle. Kammamuri mi ha detto che fra quei pantani le tigri abbondano.
Andremo quindi a ucciderne
alcune: prima quelle a quattro zampe, più tardi quelle a due e senza coda.
Così potremmo sorvegliare
Rajmangal e scoprire forse certe cose che potrebbero essere molto preziose per
noi.
Tu sei sempre un buon cacciatore,
è vero Tremal-Naik?
‑ Sono un figlio delle
Sunderbunds e delle jungle, ‑ rispose l'indiano.
‑ Ma perché cacciare
le tigri prima degli uomini?
‑ Per ingannare
l'amico Suyodhana. I cacciatori non sono né cipayes né policeman, e se è vero
che quelle jungle sono ricche di selvaggina, i Thugs non si allarmeranno della
nostra presenza. Che cosa ne dici, Yanez?
‑ Che la fantasia
della Tigre della Malesia è ben lungi dallo spegnersi.
‑ Abbiamo da lottare con
un furbo, cerchiamo di essere più furbi e più abili di lui. Tu conosci quei
pantani, Tremal-Naik?
‑ Tutte le isole e
tutti i canali sono noti a me e a Kammamuri.
‑ Vi è un buon fondo
dinanzi alle Sunderbunds?
‑ Vi sono dei bracci
di mare anche, dove il tuo praho può trovare degli ottimi rifugi contro le onde
e i venti.
‑ Dimmene uno.
‑ Quello di Raimatla,
per esempio.
‑ Lontano dal covo dei
Thugs?
‑ Una ventina di
miglia.
‑ Benissimo, ‑
disse Sandokan. ‑ Oltre Kammamuri hai qualche servo fidato?
‑ Sì, anche due se ne
vuoi.
Sandokan mise una mano nella
tasca interna della sua giubba ed estrasse un grosso pacco di venti biglietti
di banca.
‑ Incaricherai quel
tuo fedele servo di provvederci due elefanti coi rispettivi conduttori senza lesinare
sul prezzo.
‑ Ma... io... ‑
chiese l'indiano.
‑ Tu sai che la Tigre
della Malesia ha diamanti da vendere a tutti i rajah e i maharajah
dell'India, ‑ rispose Sandokan, sorridendo.
Poi aggiunse con profonda
tristezza e con un sospiro:
‑ Non ho figli io e
nemmeno Yanez. Che cosa dovrei farne delle immense ricchezze accumulate in
quindici anni di scorrerie? Il destino è stato crudele con me, togliendomi
Marianna.
Il formidabile pirata si era
vivamente alzato. Un dolore intenso, indescrivibile, aveva scomposto i fieri
lineamenti dell'antico scorridore dell'arcipelago malese. Fece due o tre volte
il giro della stanza, con la fronte aggrottata, le labbra increspate, le mani
strette sul cuore, e gli occhi fiammeggianti, fissi nel vuoto.
‑ Sandokan, fratellino
mio, ‑ gli disse Yanez con voce dolce, posandogli una mano sulla
spalla.
Il pirata si era arrestato mentre
un rauco singhiozzo gli moriva sulle labbra.
‑ Che non la possa
dimenticare mai? ‑ gridò con voce strozzata e asciugandosi, quasi
con rabbia, due lagrime che si raccoglievano sotto le folte ciglia. ‑ Mai!
Mai! L'ho troppo amata la Perla di Labuan! Maledetto destino.
Tremal-Naik
si era avvicinato alla Tigre della Malesia. Anche l'indiano piangeva senza
cercare di frenare le lagrime.
I due uomini si gettarono l'uno
nelle braccia dell'altro e rimasero alcuni istanti stretti.
‑ Morta la tua donna e
morta anche la mia, ‑ disse l'indiano, il cui dolore non era meno
intenso di quello della Tigre della Malesia.
Kammamuri, in un angolo, si asciugava
gli occhi; anche Yanez sembrava profondamente commosso.
Ad un tratto la Tigre della
Malesia si separò bruscamente da Tremal-Naik. Il suo viso
poco prima così alterato, aveva la sua abituale espressione calma e ad un tempo
energica.
‑ Quando avremo la
certezza che Suyodhana si trova laggiù, ‑ disse, ‑ andremo
nelle Sunderbunds. Puoi domani avere gli elefanti?
‑ Lo spero, ‑ disse
Tremal-Naik.
‑ Noi rimarremo qui
fino a quando potremo avere nelle nostre mani qualche thug poi vedremo che cosa
si dovrà fare. Quando verrai a bordo? Sei più sicuro sul nostro praho che nel
tuo palazzo.
‑ Domani sera, a ora
tarda onde non mi spiino. Il mio palazzo è sorvegliato dai Thugs, lo so.
‑ T'aspettiamo. Yanez,
torniamo a bordo. Sono già le due del mattino.
‑ Perché non vi
riposate qui? ‑
chiese Tremal-Naik.
‑ Per non destare
alcun sospetto, ‑ rispose Sandokan. ‑ Vedendoci domani
uscire, qualche spia potrebbe seguirci fino al praho e ciò non mi garberebbe.
Con questa oscurità anche se
qualcuno tentasse di tenerci d'occhio, non vi riuscirebbe perché abbiamo la
baleniera sul fiume e possiamo ingannarlo sulla nostra direzione. Addio,
Tremal-Naik, domani avrai nostre nuove.
‑ Partiremo domani
sera, dunque?
‑ E molto tardi, se
potrai trovare gli elefanti. Prendi però delle precauzioni per non venire
seguito.
‑ Saprò ingannare le
spie. Vuoi che Kammamuri ti accompagni?
‑ È inutile, siamo
armati e la gettata è vicina.
Si abbracciarono nuovamente, poi
Sandokan e Yanez scesero lo scalone accompagnati da Kammamuri.
‑ State in
guardia, ‑ disse il maharatto mentre apriva la porta.
‑ Non temere, ‑
rispose Sandokan. ‑ Non siamo uomini da lasciarci sorprendere.
Appena fuori, i due comandanti
del praho levarono le pistole che tenevano nascoste nella larga fascia e le
armarono.
‑ Apriamo gli occhi,
Yanez, ‑ disse Sandokan.
‑ Li apro, fratellino
mio, ma confesso che non ci vedo al di là della punta del mio naso. Mi pare di
essere entro un'immensa botte di catrame. Che bella notte per una imboscata!
Si fermarono qualche istante in
mezzo alla via, tendendo gli orecchi, poi, rassicurati dal profondo silenzio
che regnava, si diressero verso la spianata di forte William.
Si tenevano però lontani dalle
pareti delle case che fiancheggiavano la via, e mentre l'uno guardava a destra
l'altro guardava a sinistra.
Ogni quindici o venti passi si
fermavano per guardarsi alle spalle e per ascoltare. Erano convinti di essere
seguiti da qualcuno, forse dall'uomo che Sandokan aveva veduto allontanarsi nel
momento in cui Kammamuri stava aprendo la porta del palazzo.
Tuttavia giunsero felicemente
all'estremità della via, senza che nulla fosse avvenuto e sboccarono sulla
spianata dove l'oscurità era meno fitta.
‑ È là il fiume, ‑
disse Sandokan.
‑ L'odo, ‑
rispose Yanez.
Affrettarono il passo ma non
erano ancora giunti a metà della spianata, quando ad un tratto caddero l'uno
sull'altro.
‑ Ah! Canaglie! ‑
gridò Sandokan. ‑ Hanno teso un filo di ferro!
Nel medesimo istante alcuni
uomini che si tenevano appiattati fra le folte erbe, si precipitarono sui due
scorridori del mare facendo fischiare in aria qualche cosa.
‑ Non alzarti,
Sandokan! I lacci! ‑ gridò Yanez.
Vi risposero due colpi di
pistola, sparati l'uno dietro l'altro.
Sandokan aveva fatto fuoco
precipitosamente, nel momento in cui si sentiva colpire alle spalle da una
palla di ferro o di piombo. Uno degli assalitori cadde, mandando un grido che
subito si spense. I suoi compagni si gettarono a destra e a sinistra e scomparvero
rapidamente fra le tenebre, prendendo diverse direzioni.
Sui bastioni del forte William si
udì una sentinella a gridare:
‑ Chi va là?
Poi più nulla.
Yanez e Sandokan, temendo un
ritorno offensivo degli assalitori, non si erano mossi.
‑ Se ne sono
andati, ‑ disse finalmente il primo, non vedendo comparire più
nessuno. ‑ Non sono molto coraggiosi questi Thugs, ammesso che
fossero veramente gli strangolatori di Suyodhana. Sono scappati come lepri ai
primi spari.
‑ L'agguato era stato
ben preparato, ‑ rispose Sandokan. ‑ Se tardavo a
scaricare le pistole ci strangolavano. È un filo d'acciaio che hanno teso per
farci cadere.
‑ Andiamo a vedere se
quel briccone è proprio morto.
‑ Non si muove più.
‑ Può fingersi morto.
Si alzarono guardandosi intorno e
tenendo in alto un braccio per tema di sentirsi imprigionare il collo da
qualche altro laccio, e s'avanzarono verso l'uomo che giaceva disteso fra le
erbe, colle mani strette sul capo e le gambe ripiegate.
‑ Ha ricevuto una
palla nel cranio, ‑ disse Sandokan, vedendo che aveva il viso
imbrattato di sangue.
‑ Che sia un thug?
‑ Kammamuri ci ha
detto che quei settari hanno un tatuaggio sul petto.
‑ Portiamolo nella
scialuppa.
‑ Taci!
Un fischio erasi udito in
lontananza, e un altro vi aveva risposto verso la via Durumtolah.
‑ Mio caro
Yanez, ‑ disse Sandokan. ‑ Alla baleniera e senza perdere
tempo. Avremo altre occasioni per osservare i tatuaggi dei Thugs.
Balzarono in piedi, saltarono il
filo d'acciaio e si diressero rapidamente verso il fiume, mentre fra le tenebre
echeggiava un terzo fischio.
La baleniera era ormeggiata al
medesimo posto e mezzo equipaggio era sulla gettata armato di fucili.
‑ Padrone, ‑
disse il timoniere scorgendo Sandokan, ‑ siete stato voi a far
fuoco?
‑ Sì, Rangary.
‑ L'avevo detto ai
miei uomini che quegli spari erano di pistole di Mompracem. Stavo per accorrere
in vostro aiuto.
‑ Non c'era
bisogno, ‑ rispose Sandokan. ‑ È venuto nessuno a ronzare
attorno alla scialuppa?
‑ No, signore.
‑ A bordo, tigrotti
miei. È già molto tardi.
Fece accendere il fanale
collocato a prora e la baleniera si allontanò.
Quasi nell'istesso momento un
piccolo gonga che era nascosto dietro una pinassa, ancorata presso la gettata e
montato da due uomini, nudi come vermi e unti di olio di cocco, si staccava
silenziosamente dalla riva filando dietro la baleniera del praho.
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