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NELLE SUNDERBUNDS
Fu solo dopo le cinque che i due
elefanti si rimisero in viaggio, dirigendosi verso il sud, ossia verso le
Sunderbunds per i terreni disabitati.
La regione che allora
traversavano era ancora qua e là, a grandi distanze però, popolata dai poveri
molanghi.
Di quando in quando, al disopra
delle canne e dei kalam, si scorgeva qualche gruppetto di casupole di fango,
difeso da un'alta cinta per mettere al coperto dagli assalti delle belve non
solo gli abitanti, bensì anche le loro mucche ed i loro bufali. Intorno si
estendeva qualche pezzo di terra coltivata a risaia e qualche gruppo di banani,
di cocchi e di manghi, tutte piante che danno frutti eccellenti, assai
apprezzate dagli indi.
Appena però oltrepassati quei
villaggi, la jungla riprendeva il suo impero, insieme agli stagni che
diventavano sempre più numerosi, ingombri di piante in decomposizione, e di
paletuvieri, le piante della febbre.
Miriadi di trampolieri s'alzavano
dalle rive all'apparire dei due giganteschi elefanti, salutati dai cacciatori
da qualche colpo di fucile che non andava mai a vuoto.
Erano vere nuvole di aironi
giganti, di cicogne nere, di ibis, che nell'India sono brune invece di essere
bianche, di anitre bramine, di folaghe dalle penne color porpora a riflessi
d'indaco e di marangoni che anche fuggendo non abbandonavano i pesci presi
allora negli stagni, ordinariamente dei manghi, piccoli, rossi, e assai stimati
dai bengalesi per la delicatezza delle loro carni.
Fra le canne fuggivano anche dei
bellissimi capi di selvaggina e così agilmente da cadere di rado sotto i colpi
dei cacciatori. Erano dei graziosi axis, somiglianti ai daini comuni, col
pelame fulvo picchiettato di bianco; degli eleganti nilgò, dalla testa cornuta,
che scomparivano colla rapidità d'una freccia; poi torme di cani selvaggi, dal
pelame bruno, e grossi sciacalli, pericolosi se sono spinti dalla fame.
Anche qualche tcita, piccole e
bellissime pantere, assai sanguinarie, e che si addomesticano facilmente, si
mostravano per qualche istante sul margine delle macchie più folte, per poi
rintanarsi quasi subito.
- Questo è il vero paradiso dei
cacciatori! esclamava Sandokan, che si entusiasmava, vedendo a fuggire tutta quella
selvaggina. - Peccato che dobbiamo occuparci più dei Thugs che delle tigri, dei
bufali, e dei rinoceronti.
- Questa notte non dormirò, -
ripeteva dal canto suo Yanez. - Andrò a cacciare all'agguato. Si dice che sia
una caccia non meno emozionante. È vero Tremal-Naik?
- E anche più pericolosa, -
rispondeva il bengalese.
- Condurremo con noi anche Darma
e la lanceremo addosso agli axis ed ai nilgò. M'immagino che l'avrai abituata a
cacciare.
- Vale quanto una tcita meglio
ammaestrata, mio caro Sandokan.
- Di quelle piccole pantere che
abbiamo vedute a fuggire?
- Sì.
- Si ammaestrano per la caccia?
- E che abili cacciatori
diventano! - esclamò Tremal-Naik. – La mia Darma farà però di
più e non esiterà ad assalire anche i bufali.
- A proposito, dov'è quella
briccona? - chiese Yanez. - Quando siamo sugli elefanti sta sempre lontana.
- Non temere, - rispose
Tremal-Naik, - ci segue sempre e la vedrai riapparire all'ora
della cena, se non ha cacciato per suo conto.
- Vedo un canale dinanzi a noi, -
disse in quel momento Sankan - Andremo ad accamparci sulla riva opposta. Gli
animali abbondano di più sulle rive dei fiumi.
Un fiumicello, largo una decina
di metri, dalle acque giallastre e melmose, tagliava la via, scorrendo fra due
rive ingombre di paletuvieri, sui cui rami arcuati si tenevano immobili molti
marabù, quegli ingordi divoratori di cadaveri e di carogne.
- Attento, cornac, - disse
Tremal-Naik. - Vi saranno dei gaviali in quel canale.
- Il mio elefante non li teme, -
rispose il conduttore.
I due colossi si erano fermati
sulla riva, tastando prudentemente il terreno e fiutando rumorosamente l'acqua,
prima d'inoltrarsi.
Non parevano troppo convinti
della tranquillità che regnava sotto quel liquido fangoso.
- Sono certo di non essermi
ingannato, - disse Tremal-Naik, alzandosi. - Gli elefanti
hanno fiutato qualche gaviale e hanno paura di venire crudelmente morsicati.
Il coomareah, che doveva essere
più risoluto del compagno, si decise finalmente ad entrare nell'acqua, la quale
era abbastanza profonda, arrivando fino ai fianchi del colosso.
Aveva percorsi appena tre o
quattro metri, quando s'arrestò di colpo imprimendo all'haudah una scossa così
brusca, che per poco i cacciatori non furono sbalzati nell'acqua.
- Che cosa c'è? - chiese
Sandokan, afferrando la carabina. Il coomareah dopo quel soprassalto aveva
mandato un barrito formidabile, poi aveva immersa rapidamente la tromba in
acqua, retrocedendo lestamente.
- L'ha preso! - gridò il cornac.
- Che cosa? - chiesero ad una
voce Yanez e Sandokan.
- Il gaviale che l'aveva morso.
La proboscide si era alzata.
Stringeva un mostruoso rettile, somigliante ad un coccodrillo, armato di due
mascelle formidabili irte di denti aguzzi e giallastri.
Il mostro, strappato dal suo
elemento, si dibatteva furiosamente, cercando di colpire colla robusta coda,
coperta, al pari del dorso, di piastre ossee, l'elefante; ma questi si guardava
bene dal lasciarsi cogliere.
Lo teneva bene in alto e pareva
che provasse un piacere maligno a far crepitare le piastre.
- Lo soffocherà? - chiese Yanez.
- Mai più: vedrai come farà
pagare al rettile il morso ricevuto. Questi pachidermi sono bravi ed
intelligentissimi e sono pure estremamente vendicativi.
- Allora lo schiaccerà sotto i
piedi.
- Nemmeno.
- Vediamo dunque quale genere di
morte destina a quel povero sauriano, giacché suppongo che non lo risparmierà.
- Riderai, - disse
Tremal-Naik, - non vorrei però trovarmi al posto del
gaviale.
Il coomareah, senza curarsi degli
sforzi del disgraziato ed incauto sauriano, e tenendolo sempre ben alto per
evitare i colpi di coda, indietreggiò fino alla riva che risalì poi lestamente,
dirigendosi tosto verso un gigantesco tamarindo che cresceva isolato in mezzo
ai bambù, lanciando in tutte le direzioni i suoi rami intricatissimi. Guardò
per alcuni istanti l'enorme vegetale, poi trovato ciò che gli conveniva, depose
il rettile fra due biforcazioni, cacciandovelo dentro a forza in modo che non
potesse più liberarsene.
Ciò fatto mandò un lungo barrito
che doveva essere di soddisfazione e ritornò tranquillamente verso il canale
sbuffando e dondolando comicamente la tromba, mentre un lampo maligno brillava nei
suoi occhietti neri.
- Hai veduto? - chiese
Tremal-Naik a Yanez.
- Sì, ma senza comprendere molto.
- Ha dannato il rettile ad un
supplizio orribile.
- E come? Ah! Comprendo! -
esclamò il portoghese scoppiando in una risata. Il sauriano morrà lentamente di
fame e di sete in cima all'albero.
- Ed il sole lo disseccherà.
- Elefante vendicativo!
- È questo il supplizio che
infliggono ai gaviali ed agli alligatori quando riescono a prenderne qualcuno.
- Non si crederebbe che questi
colossi, che hanno un carattere così dolce, così mite, siano capaci di tanta
cattiveria.
- Anzi sono, come ti dissi poco
fa, assai cattivi, come sono assai sensibili alle gentilezze che loro vengono
usate. Ti cito alcuni esempi. Un cornac aveva l'abitudine di rompere le noci di
cocco sulla testa del proprio elefante. Sembra che quell'operazione non andasse
troppo a garbo al colosso, quantunque non dovesse sentire alcun effetto.
Accadde che un giorno, passando in mezzo ad una piantagione di cocchi, il
cornac ne raccogliesse alcuni per spaccarli, come al solito, sul cranio del
colosso. Per un po' questi lasciò fare, poi a sua volta ne raccolse uno e si
provò a romperlo.
- Sulla testa del conduttore? -
chiese Sandokan.
- Precisamente, - rispose
Tremal-Naik- Puoi immaginarti in quale stato fu ridotta la
zucca di quel povero diavolo. Fu fracassata di colpo.
- Ah! Briccone di un elefante! -
esclamò Yanez.
- Io ne ho conosciuto un altro
che diede una volta una tremenda lezione ad un sarto indiano di Calcutta.
Quel colosso tutte le volte che
veniva condotto al fiume a dissetarsi, aveva l'abitudine d'introdurre la
proboscide nelle finestre delle case, i cui abitanti non mancavano mai a
regalargli qualche dolce frutto. Il sarto invece tutte le volte che vedeva
apparire quel naso colossale, si divertiva a punzecchiarlo coll'ago che aveva
in mano. Per un po' di tempo il pachiderma tollerò lo scherzo, finché un brutto
giorno perdette la pazienza. Condotto al fiume assorbì più che poté acqua e
fango, poi quando passò dinanzi la casa del sarto, scaricò entro la finestra
tutto quel liquido, mandando a gambe levate il disgraziato indiano e
rovinandogli completamente tutte le stoffe e gli abiti che teneva sul banco.
- Che tiro birbone, - disse
Yanez, che schiattava dal ridere. - Scommetterei che quel povero sarto da quel
giorno non ha più toccato gli elefanti.
- Sahib, - disse in quel momento
il cornac, rivolgendosi verso Tremal-Naik. - Vuoi
accamparti qui? Avremo ombra e buona pastura per gli elefanti.
La riva opposta del canale si
prestava infatti meglio dell'altra per un buon accampamento, non essendo
ingombra né di kalam né di bambù spinosi, sotto i quali potevano celarsi i
pericolosi serpenti che popolano in numero straordinario le jungle delle
Sunderbunds.
Pareva che un incendio avesse
distrutti recentemente gli uni e gli altri, essendo il suolo cosparso d'un
fango grigiastro, ormai seccato dagli ardenti raggi del sole, ma aveva
risparmiate le grosse piante che formavano qua e là dei folti boschetti, sotto
la cui ombra gli uomini dovevano trovarsi benissimo.
- Abbiamo il fiume da una parte e
la jungla dall'altra, - disse Tremal-Naik. - Il posto è
buono per una fermata e per la caccia. Fermiamoci qui, cornac.
Scesero dagli elefanti portando
le loro armi e si cacciarono sotto gli alberi.
Trovato il posto acconcio, fecero
rizzare le tende, mentre gli elefanti si mettevano senz'altro a saccheggiare il
fogliame delle piante vicine, facendo cadere al suolo, ad ogni scossa che imprimevano
ai rami, una vera pioggia.
- Toh! - esclamò Yanez che nel
passare sotto una di quelle piante, aveva ricevuto addosso una doccia tale da
inzupparlo. - Che cos'hanno questi alberi, fra i loro rami? Dei serbatoi forse?
- Non conosci queste piante? - chiese
Tremal-Naik.
- Mi pare d'averne vedute altre
di simili durante il nostro viaggio; ignoro però a che cosa servono e come si
chiamano.
- Sono alberi preziosissimi
specialmente per le regioni che soffrono la siccità. Si chiamano nim o meglio
le piante della pioggia.
Questi singolari vegetali, che
sono disseminati abbastanza abbondantemente nell'India, posseggono la facoltà
di assorbire l'umidità dell'atmosfera ed in modo così potente che ogni foglia
contiene nei suoi accartocciamenti un buon bicchiere d'acqua. Prova a scuotere
fortemente il tronco e vedrai che doccia ti cade addosso.
- È buona l'acqua?
- Veramente non troppo
eccellente, perché le foglie che la contengono le danno un sapore nauseante,
per cui a meno di avere una gran sete si stenta a mandarla giù.
Tuttavia i contadini se ne
servono per innaffiare i loro campi, bastando una sola pianta per darne un paio
di barili e anche di più.
- Abbiamo anche, noi, nelle nostre
isole, qualche cosa di simile, - disse Sandokan. - Le nostre piante, che non
sono da fusto, si chiamano nepentes e portano foglie in forma di coppe che ne
contengono più di quelle di questi alberi; è vero Yanez?
- E quante volte l'abbiamo bevuta
assieme agl'insetti che conteneva, quando gl'inglesi ci davano la caccia fra le
foreste di Labuan!
Un latrato ed un ringhio lo
interruppero. Punthy e Darma, che avevano attraversato il fiume subito dopo gli
elefanti, si erano slanciati fra i gruppi d'alberi di comune accordo, dando
segni d'una viva agitazione.
S'avanzavano, poi tornavano
indietro, cacciandosi in mezzo ai cespugli di mussenda che sorgevano qua e là,
poi descrivevano dei capricciosi zig-zag, come se
seguissero una traccia.
- Che cos'hanno le tue bestie? -
chiese Sandokan, un po' sorpreso da quelle ricerche e dalla loro agitazione.
- Non saprei, - rispose
Tremal-Naik. - Forse qualche
cobra-capello o qualche pitone è passato poco fa di qui e
Punthy e Darma l'hanno fiutato.
- O qualche uomo? - chiese Yanez.
- Siamo ormai lontani dagli
ultimi villaggi e nessun molango oserebbe spingersi fino qui. Hanno troppa
paura delle tigri.
Bah! Lasciamoli a cercare e
andiamo a cenare, poi andremo a scavarci la buca per cacciare all'agguato.
Vedo laggiù un bel boschetto di
pipal, che è abbastanza lontano dall'accampamento e che congiunge la jungla
spinosa col fiume. Sarà certo di là che passeranno gli animali che hanno
bisogno di dissetarsi.
Mangiarono alla lesta,
raccomandarono ai malesi ed ai cornac di fare buona guardia, e munitisi d'una
vanga ed una zappa s'avviarono verso il bosco seguiti da Darma.
Punthy era stato lasciato
all'accampamento onde coi suoi latrati non spaventasse la selvaggina che Tremal-Naik
si proponeva di far cacciare dalla tigre.
Già avevano perduto di vista le
tende e gli elefanti, rimasti nascosti dietro le prime canne della jungla che
risorgeva più fitta che mai al di là dei terreni secchi, quando s'avvidero che
la tigre dava nuovi segni d'agitazione.
S'arrestava fiutando l'aria, si
batteva nervosamente i fianchi colla coda, aguzzava gli orecchi come se
cercasse di raccogliere qualche lontano rumore e brontolava sommessamente.
- Ma che cos'ha dunque Darma
questa sera? - disse Yanez.
- È quello che mi domando
anch'io, senza riuscire a trovare la spiegazione di questa inesplicabile
agitazione, - rispose Tremal-Naik.
- Eppure non abbiamo veduto
nessuno, né udito alcun rumore, - disse Sandokan.
- Nondimeno comincio anch'io a
preoccuparmi, - disse Tremal-Naik.
- Che cosa possiamo temere? Vi è
Darma con noi e siamo in tre bene armati, e non certo paurosi e poi vi sono i
malesi ed i cornac ad un solo miglio di distanza.
- Hai ragione, Sandokan.
- Sospetti la vicinanza di
qualche banda di Thugs? Siamo lontani dal Mangal e non credo che a quest'ora
siano informati della presenza di stranieri nella jungla.
- Andiamo innanzi, - disse Yanez.
- Nessuno oserà venirci a disturbare nella fossa.
Si cacciarono sotto i pipal, dove
già cominciavano ad addensarsi le tenebre, essendo il sole allora tramontato e
cercarono uno spiazzo scoperto.
Trovatone uno sufficientemente
vasto, in poco più di un'ora scavarono una fossa profonda un metro e mezzo e lunga
tre, che mascherarono con alcuni fasci di bambù, disposti in modo da poter
uscire dal nascondiglio senza aver bisogno di spostarli e vi si cacciarono
dentro con Darma.
- Accendiamo le nostre sigarette
e armiamoci di pazienza, - disse Tremal-Naik. - Gli animali
tarderanno a giungere, ma sono certo che per di qui passeranno, preferendo
ordinariamente i luoghi scoperti ove le tigri e le pantere non possono
imboscarsi. La colazione non ci mancherà domani mattina.
La piccola foresta cominciava a
diventare silenziosa, dopo la ritirata dei chiassosi trampolieri, che poco
prima coprivano ancora le rive del vicino canale.
Si udivano solamente di quando in
quando le grida discordi di una banda di ungko, che avevano preso possesso d'un
pipal enorme, per dedicarsi ad una ginnastica indiavolata, essendo quelle
scimmie le più agili di tutte, tanto che sembrano volatili, piuttosto che
quadrumani, potendo spiccare da ramo a ramo dei salti di dieci e perfino di
dodici metri.
Di tratto in tratto, si udiva
l'urlo lamentevole di un bighana, specie di lupo, più piccolo però del comune,
dal pelame bruno rossiccio o grigiastro che diventa biancastro sotto il ventre,
e audacissimo, assalendo perfino le persone isolate quando si trova in
compagnia d'altri.
I tre cacciatori, sdraiati in
fondo alla fossa che avevano coperta d'un denso strato di foglie per evitare
l'umidità, fumavano in silenzio, tendendo gli orecchi verso i rumori lontani.
Darma, accovacciata presso di
loro, si manteneva tranquilla e faceva le fusa con rom-rom
di buon augurio.
Era trascorsa qualche ora, quando
la videro alzarsi, aguzzare gli orecchi e fissare i margini della fossa.
- Ha udito qualche animale
avvicinarsi, - disse Tremal-Naik, alzandosi senza far
rumore e prendendo la carabina.
Yanez e Sandokan l'avevano
imitato.
Non si scorgeva alcun animale
sullo spiazzo, però si udiva un leggero stormire di rami verso il folto della
foresta, come se qualcuno cercasse di aprirsi il passo fra i cespugli di mussenda
che si stendevano attorno ai tronchi degli alben.
- Che animale sarà? - chiesero
Sandokan e Yanez guardando Tremal-Naik.
- Odo dei rami schiantarsi e da
ciò arguisco che debba essere grosso, - rispose il bengalese. - Un nilgò od un
axis od un buesbok non farebbero tanto rumore.
Aveva appena finito di
pronunciare quelle parole, quando un'ombra enorme comparve sul margine di un
folto agglomeramento di mussenda e di mindi.
Era un bufalo colossale, grosso
quasi quanto un bisonte americano, colla testa più corta e più larga dei bufali
comuni, con due lunghe corna rivoltate all'indietro e assai ravvicinate alla
loro base, un animale insomma poderoso e anche oltremodo pericoloso, capace di
tener testa anche ad una tigre.
Sia che avesse fiutato la
presenza dei cacciatori o di Darma, o che volesse prima esplorare il luogo, si
era arrestato mandando un breve muggito.
- Bell'animale! - mormorò Yanez,
sotto voce.
- Che non s'abbatte facilmente
con un colpo e anche due di carabina, - disse Tremal-Naik.
- I nostri bufali sono veramente terribili e non temono i cacciatori. Ma Darma
ha buoni artigli.
La tigre, che aveva appoggiate le
zampe anteriori all'orlo della fossa, lo aveva già scorto e aveva subito
rivolti gli sguardi verso il padrone.
- Sì, va', mia brava Darma, - le
disse Tremal-Naik accarezzandola e indicandole l'animale.
L'intelligente e astuta fiera
scivolò senza far rumore fra i bambù e, tenendosi nascosta dietro il cumulo di
terra scavata dalla fossa, si mise a strisciare non già verso il bufalo, bensì
verso alcuni cespugli entro i quali scomparve colla leggerezza d'un gatto.
- Non lo attacca di fronte? -
chiese Yanez.
- Darma non è così sciocca, -
rispose Tremal-Naik. - Sa quanto sono pericolose le corna
dei bufali.
Piomberà sulla preda a
tradimento, con un salto solo, come fanno le sue compagne.
- Noi d'altronde saremo pronti ad
aiutarla, - disse Sandokan, armando cautamente la carabina.
Il bufalo, che fiutava l'aria da
qualche istante, ad un tratto fece uno scarto improvviso, poi girò bruscamente
su se stesso guardando i cespugli che aveva appena allora attraversati e
abbassando la testa per presentare le sue formidabili corna.
Si era accorto dell'avvicinarsi
della tigre o lo scrosciare di qualche foglia secca o la rottura d'un ramo lo
aveva allarmato?
Stette così in ascolto, come
raccolto su se stesso, qualche mezzo minuto. Era inquieto perché si batteva i
fianchi colla coda e mandava di quando in quando un muggito sommesso.
D'improvviso si vide una massa
slanciarsi in aria e cadere con un salto immenso, sulla groppa del povero
animale.
Darma aveva fatto il suo colpo e
lavorava già ferocemente di artigli, affondandoli nella carne palpitante.
Il bufalo, nonostante il suo
vigore straordinario, erasi piegato sotto l'urto. Si rialzò però quasi subito,
tentando con uno scrollo furioso di sbarazzarsi dell'avversaria, poi tornò a
cadere mandando un lungo muggito di dolore, che risuonò lungamente sotto le
volte di verzura.
I terribili denti della tigre gli
avevano spezzata la colonna vertebrale.
Tremal-Naik,
Yanez e Sandokan si erano già slanciati fuori dalla fossa e stavano per
raggiungere Darma, quando a breve distanza rimbombò improvvisamente un colpo di
fucile, seguito quasi subito da una voce umana che gridava in inglese:
- Aiuto! Mi strozzano!
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