Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Emilio Salgari
Il boa delle caverne

IntraText CT - Lettura del testo

  • Testo
    • 3
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Non ci voleva di più per sedurre un Indiano. E poi voleva vendicare la moglie e suo figlio, non perchè fosse addolorato per la scomparsa della sua compagna e dell'erede, non essendo quegl'Indiani troppo amanti della famiglia, ma per quell'istinto vendicativo che domina gli uomini primitivi.

Ucciderò il giloiadisse con voce pacata. – Aspettatemi qui.

Risalì la ripa e una mezz'ora dopo tornava, portando una bracciata di rami resinosi che dovevano servire da torce e la sua cerbottana, una specie di tubo di legno, un po' largo alla base e più stretto verso la cima, adoperato per lanciare le frecce dalla punta bagnata nel velenosissimo curaro.

Soffiandovi dentro con forza, gl'Indiani riescono a mandare i loro dardi anche ad una distanza di cinquanta metri e sono così abili da non sbagliare nemmeno i più piccoli uccelli.

– Quando l'uomo bianco vorrà – disse, dopo di aver distribuiti i rami.

Il sole stava per scomparire dietro le boscaglie e la notte calava rapidissima.

Gli uccelli fuggivano e cominciavano invece a volare i pipistrelli giganti: i pericolosi vampiri che si pascono di sangue e che si attaccano agli uomini od agli animali che possono sorprendere addormentati nelle foreste o sulle rive dei fiumi.

Il piantatore, il capataz, l'Indiano ed i cani salirono la riva e si fermarono dinanzi alla spaccatura, entro la quale si era rifugiato il colossale rettile.

Temendo che si trovasse presso, introdussero dapprima un ramo resinoso acceso, agitandolo in tutti i sensi.

Non udendo alcun rumore, alcun sibilo, i tre uomini s'introdussero cautamente nella caverna, tenendo i fucili e la cerbottana puntati.

– Si sarà ritirato nell'ultima cavernadisse l'Indiano. – Esiste colà una galleria immensa, dove il giloia si riterrà sicuro di non essere disturbato.

«Vi è anche un laghetto che mi parve profondo e può anche essersi nascosto in quello, amando quei rettili l'acqua.

– Questo Indiano ha del coraggiodisse il piantatore al capataz.

– Mentre io non vi celo, padrone, che mi sento tremare le gambe.

– Abbiamo i cani dinanzi a noi e ci avvertiranno del pericolo.

I mastini precedevano i cacciatori, nondimeno non mostravano di aver troppa fretta di scoprire il terribile boa delle caverne.

Di quando in quando si fermavano e volgevano la testa verso il padrone, come per chiedergli se non sarebbe stato meglio rinunziare a quell'impresa che non pareva fosse di loro gusto.

La caverna s'allargava smisuratamente. Sale immense, adorne di superbe stalattiti, si succedevano una all'altra, con cavità laterali che era impossibile sapere dove mettessero e che potevano servire anche di rifugio al mostro.

L'Indiano, come se fosse pienamente sicuro del fatto suo, non esitava mai. Si avanzava sempre sotto quelle vôlte tenebrose, tenendo alto il ramo resinoso, la cui fiamma rossastra talvolta si agitava vivamente come se da fessure invisibili penetrassero delle forti correnti d'aria.

Avevano già attraversato quattro caverne, quando Jaco si fermò, curvandosi verso terra e manifestando un'improvvisa agitazione.

Vedi il giloia? – chiese il piantatore.

L'Indiano si era alzato, mostrando qualche cosa che ondeggiava nella sua mano.

– I capelli della mia donnadisse con voce roca. – Il giloia li ha rigettati.

Poi aggiunse con una certa soddisfazione

– Sono neri e lunghi e faranno bella figura sul mio scudo di guerra.

– Che razza d'uomini ! – disse il piantatore, nauseato. – Non hanno un briciolo di cuore!

Jaco si appese alla cintura la capigliatura che era imbrattata ancora di sangue e di bava e riprese la marcia. Aveva lasciato la cerbottana ed impugnava la scure di guerra, arma molto migliore e più sicura per affrontare un simile rettile.

Attraversarono altre quattro caverne una più lunga dell'altra, poi una galleria e giunsero sulle rive d'un ampio stagno di forma quasi circolare e dalle acque nere.

Stavano per girarlo, quando un'impetuosa folata di vento, uscita da una galleria laterale, spense improvvisamente le loro torce, lasciandoli nella più profonda oscurità.

Accendi! Accendi! – gridò il piantatore all'Indiano con voce atterrita.

Udì Jaco che frugava nella borsa che portava appesa alla cintura, poi un grido:

– Non ho più l'acciarino!

– E tu, capataz? – chiese don Herrera, che si sentiva drizzare i capelli sulla fronte, pensando che forse il giloia era poco discosto.

– Non sono fumatore, padronerispose l'interrogato. – Non lo prendo mai con me.

In quel momento si udirono i cani ringhiare, poi le acque nere dello stagno muggire e gorgogliare, come se fossero state improvvisamente agitate da qualcuno.

Fuggiamo!– gridò il piantatore. – Il giloia sta per lasciare il fondo dello stagno!

Si erano precipitati tutti verso la galleria che avevano poco prima attraversata, brancolando nel buio profondo e, dopo alcuni secondi, andavano ad urtare contro una parete, cadendo tutti insieme.

Dove siamo? – chiese Herrera.

– Abbiamo smarrito la via o siamo entrati in qualche galleria lateraledisse l'Indiano.

Udite! – esclamò il capataz, rabbrividendo.

In fondo alla caverna, verso il laghetto, si udivano dei sibili stridenti e latrati furiosi.

– Sono i miei mastini che hanno assalito il rettiledisse Herrera.

– Sono perdutidisse l'Indiano.

I latrati si erano mutati in guaiti lamentevoli che durarono alcuni istanti, poi il silenzio tornò a piombare nella caverna.

– Il serpente ha ucciso i miei cani! – esclamò il piantatore, facendo un gesto d'ira.

Vendicheremo anche quelli – rispose l'Indiano.

Cerchiamo invece di uscire al più presto – disse Herrera, che non aveva più alcuna fiducia nell'Indiano.

Troveremo l'aperturadisse Jaco. – Tenetevi presso di me, anzi attaccatevi alla mia cintura.

Si staccò dalla parete e si spinse innanzi, procurando di non deviare a destra, a sinistra, e finì per trovare un passaggio.

Dobbiamo essere in una delle sette cavernedisse allora. – Seguitemi sempre.

Aveva preso un passo rapidissimo. Anche a lui premeva di trovarsi fuori, per paura di sentirsi piombare addosso quello spaventoso rettile.

Ad un tratto si fermò, appoggiandosi contro una parete.

Fermi! – disse.

– Ci siamo ancora smarriti? – chiese il piantatore.

Ascoltate.

Udivano a breve distanza un fruscìo che pareva prodotto dall'urto delle grosse scaglie del giloia che s'avvicinava.

– Che sia il boa che si dirige verso l'uscita? – chiese sottovoce Herrera.

– Sì – rispose l'Indiano. – Non movetevi e trattenete anche il respiro. Se si accorge della nostra presenza, guai!

Si erano immobilizzati contro la parete, tenendo i fucili tesi e la cerbottana, tremando di venire ad ogni istante assaliti.

Il fruscìo aumentava sempre. Per un momento non lo udirono più e credettero d'essere stati scoperti, poi il serpente riprese la sua marcia, allontanandosi.

– È passatodisse l'Indiano. – Ecco il momento buono per assalirlo.

– O di lasciarlo andare? – chiese il capataz.

– No – rispose Jaco. – Aspetteremo che abbia la testa fuori del crepaccio e gli troncheremo la coda.

 

Balzò con la scure alzata e si mise...

 




Precedente - Successivo

Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2008. Content in this page is licensed under a Creative Commons License