18 - IL
CICLONE
Gli uragani che scoppiano nella
grande penisola indostana non hanno ordinariamente che una durata brevissima,
però la loro violenza è tale che noi europei non possiamo farcene un'idea.
Occorrono pochi minuti per
devastare delle regioni intere e rovesciare perfino delle città. La forza del
vento è incalcolabile e soli i grossi edifizi vi possono resistere ed i più
colossali alberi come i pipal ed i fichi delle pagode.
Basta ricordare, per farsene una
pallida idea, quello scoppiato nel Bengala nel 1866 che uccise ventimila
bengalesi a Calcutta e centomila nelle pianure costeggianti l'Hugly.
Le persone sorprese nelle vie
della città venivano sollevate come piume e sbattute contro le pareti delle
case, i palanchini venivano trasportati in aria assieme alle persone che vi si
trovavano dentro; le capanne della città nera schiantate di colpo, correvano
per le campagne.
Il peggio fu quando il ciclone,
cambiando direzione, respinse le acque dell'Hugly, che si rovesciarono sulla
città seco trascinando duecento e quaranta navi che si trovavano ancorate lungo
il fiume e che si fracassarono le une contro le altre.
L'enorme massa d'acqua, spinta
dal vento, in pochi momenti spazzò via tutti i quartieri poveri della capitale,
trascinando ben lontani gli avanzi, ed atterrò portici, palazzi, colonnati e
ponti riducendo quella opulenta città in un mucchio spaventevole di rovine.
E non è tutto. Quasi sempre
dietro ai cicloni si succedono dei venti caldi chiamati dagl'indiani
hot-winds, che non sono meno temuti.
Il loro calore è tale che gli
europei, non abituati, non possono uscire dalle loro case sotto il pericolo di
morire asfissiati di colpo.
Ai primi soffi del simun, anche
gl'indigeni, sono obbligati a prendere delle pronte misure, per impedire che le
loro abitazioni diventino dei veri forni ardenti.
Turano tutte le aperture, le
finestre comprese, con fitti pagliericci che chiamansi tatti e che bagnano
senza posa, onde il vento passando attraverso quegli ostacoli umidi, perda
buona parte del suo intenso calore e non renda l'aria irrespirabile.
Per di più fanno funzionare
disperatamente le punka e certe grandi ruote a vento chiamate thermantidoti per
mantenere nelle stanze un po' di frescura.
Nondimeno, malgrado tutte quelle
precauzioni, molte persone muoiono asfissiate, specialmente nelle alte regioni
dell'India occidentale, essendo colà i venti caldissimi giungendo dai deserti.
Il ciclone che stava per
rovesciarsi sulla jungla, prometteva di essere non meno terribile degli altri e
destava serie apprensioni in Tremal-Naik, che conosceva la
furia di quelle trombe, e nei due cornac.
In quanto a Sandokan e Yanez,
sembrava che non se ne preoccupassero affatto. Se non conoscevano i cicloni
indiani, avevano sfidati per lunghi anni quelli che si scatenano sui mari della
Malesia, certo non meno formidabili e non meno pericolosi.
Quantunque le prime folate di
vento cominciassero a scuotere violentemente le tende, il portoghese, improvvisatosi
cuoco, aveva allestita la colazione aiutato da Surama.
- Andiamo, - gridò. - Un boccone
per diventare un po' più pesanti, onde il vento non ci sollevi troppo
facilmente. Avremo un po' di musica a base di tuoni, ma bah! I nostri orecchi
ci sono abituati e poi...
Un rombo spaventevole,
paragonabile allo scoppio d'una polveriera, echeggiò sulla jungla, seguito
subito da fragori assordanti che si ripercuotevano fra il cielo e la terra con
una intensità assordante.
- Che orchestra! - esclamò il
signor de Lussac, stendendosi presso il tappeto su cui fumavano, entro piatti
d'argento, degli intingoli. - Non so se Giove ed Eolo ci lasceranno finire la
colazione.
- Si direbbe che il cielo sta per
crollarci addosso, con tutti i mondi noti ed ignoti che contiene, - disse
Yanez. - Che colpi di gran cassa! Adagio, suonatori o ci sfonderete i timpani
degli orecchi.
I fragori continuavano aumentando
d'intensità. Pareva che migliaia e migliaia di furgoni carichi di lastre
metalliche, venissero trascinati all'impazzata su dei ponti di ferro.
Larghe gocce d'acqua cadevano con
un crepitio sinistro sui vegetali che coprivano l'immensa pianura, mentre lampi
abbaglianti solcavano le nerissime nubi.
Ad un tratto si udirono in
lontananza dei sibili acuti che diventavano rapidamente più distinti e che
pareva si dovessero tramutare in veri ruggiti. Tremal-Naik
si era alzato.
- Ecco le raffiche che giungono,
- disse. - Appoggiatevi contro la tela o la tenda verrà portata via.
Una tromba d'aria si rovesciava sulla
jungla, sradicando i bambù e quanto incontrava nella sua corsa.
Rami, canne e cespugli
volteggiavano in aria come se fossero fuscelli di paglia.
La tromba passò sopra
l'accampamento con un fragore assordante, abbattendo le pareti d'argilla che
ancora rimanevano dell'antico villaggio, ma la tenda, riparata dai corpi
colossali degli elefanti, per un caso prodigioso, resistette.
- Che ritorni? - chiese Yanez.
- Avrà delle compagne dietro di
sé, - rispose Tremal-Naik. - Non sperare di cavartela così
presto. Il ciclone è appena cominciato.
Quantunque la pioggia cadesse a
torrenti, Sandokan ed il francese erano usciti per accertarsi se anche la tenda
dei malesi aveva resistito.
Videro invece i loro uomini
correre all'impazzata fra i bambù divelti, dietro la tela che il vento
trasportava, simile ad un uccellaccio fantastico, attraverso alla jungla.
La tromba d'aria aveva tutto
rovesciato nei dintorni dell'accampamento. Solo un enorme pipal, dal tronco
immenso, aveva resistito a quella furia di vento, perdendo solamente buona
parte dei suoi rami. Frammenti di cespugli, foglie gigantesche strappate ai
palmizi volavano in tutte le direzioni, mentre sotto di essi si vedevano a
fuggire, travolti e sbattuti dal vento, arghilah, oche bramine, marangoni,
folaghe, cicogne e pavoni.
Degli animali balzavano per la
pianura, in preda ad un terrore pazzo. Si vedevano sfilare, a galoppo sfrenato,
bisonti, axis, cervi e daini.
Quattro o cinque nilgò, quasi si
sentissero più sicuri presso gli uomini, si erano coricati dietro un muricciolo
che si ergeva nei pressi dell'accampamento e se ne stavano rannicchiati gli uni
addosso gli altri, colla testa nascosta fra le gambe.
- Dovrebbero rimanere lì fino a
che sarà cessato l'uragano, per servire domani di colazione, - disse Sandokan,
indicandoli, al francese.
- Appena il vento non soffierà
più se ne andranno come fulmini, - rispose il luogotenente. - Lasciamoli
scomparire; ne troveremo altri. Ecco un'altra tromba, e s'annuncia più
terribile della prima. Signor Sandokan, rientriamo nella tenda.
Sibili spaventosi s'udivano in
lontananza e si vedevano i palmizi tara, risparmiati dalla raffica precedente,
cadere come se fossero abbattuti da una scure gigantesca.
Quasi nell'istesso momento, come
se Giove fosse stato geloso della possanza di Eolo, raddoppiò i suoi tuoni ed i
suoi fulmini.
Il fracasso era diventato tale
che gli uomini raccolti sotto la tenda non potevano più udirsi.
I due elefanti, spaventati da
quei rombi, da quegli scoppi e dai ruggiti del vento, cominciavano ad agitarsi.
Non udivano più le grida dei loro cornac che si erano coricati fuori dalla
tenda per calmarli.
La tromba d'aria che s'avanzava
con velocità straordinaria stava per rovesciarsi sul campo, quando il coomareah
si rizzò bruscamente, mandando un barrito formidabile. Stette un momento ritto,
colla proboscide tesa, aspirando il vento, poi, preso da un terrore pazzo si
scagliò in mezzo alla jungla senza più badare alle grida del suo cornac.
Sandokan ed i compagni erano
balzati fuori per prestare mano forte ai due guardiani, ma in quell'istante la
tromba piombò loro addosso e si sentirono prima sollevare, poi trascinare fra
un nembo di vegetali che roteavano in tutte le direzioni.
La tenda, strappata di colpo,
fuggiva dietro di loro sbattendo come una vela.
Per cinque minuti Sandokan,
Yanez, Tremal-Naik ed il francese furono ruzzolati fra i
bambù divelti, finché si arrestarono contro il tronco d'un pipal, che per
fortuna si trovava sul percorso della tromba e che aveva resistito al tremendo
urto. Quando la raffica fu passata e successe una breve calma, si rialzarono,
pesti sì, colle vesti a brandelli, ma senza gravi contusioni.
Il coomareah ormai era scomparso
assieme al suo cornac che gli si era lanciato dietro; l'altro, il merghee,
giaceva ancora in mezzo nell'accampamento, colla testa nascosta fra le zampe,
in una posa però che non sembrava più naturale.
- E Surama? - esclamò ad un
tratto Yanez, mentre si preparavano a raggiungere il campo, dove speravano di
trovare ancora un rifugio.
- Sarà rimasta presso l'elefante,
-rispose Sandokan. - Io non l'ho veduta uscire dalla tenda.
- Gambe, signori, - disse il
luogotenente. - Non lasciamoci cogliere qui dalle raffiche. Dietro all'elefante
ci troveremo meglio riparati.
- E l'altro?
- Non preoccupartene, Yanez, -
disse Tremal-Naik. - Quando l'uragano sarà passato lo
vedremo ritornare assieme al suo cornac.
- Ed ai nostri uomini, spero, -
aggiunse Sandokan. - Dove si saranno rifugiati costoro che non si scorgono più?
- Affrettiamoci, signori, - disse
il luogotenente.
Stavano per mettersi in corsa,
quando fra i sibili del vento e lo scrosciare dei tuoni, udirono una voce umana
a gridare:
- Aiuto, sahib!
Yanez aveva fatto un salto.
- Surama!
- Chi la minaccia? - urlò Tremal-Naik.
- Dove è Darma? Punthy!... Punthy!...
Né il cane né la tigre risposero.
Forse erano stati travolti anche loro dalla tromba ed avevano trovato qualche
altro rifugio.
- Avanti! - gridò Sandokan.
Tutti si erano slanciati verso
l'accampamento, essendosi udito il grido di Surama in quella direzione.
Non si poteva distinguere bene
ciò che accadeva all'accampamento, in causa dell'oscurità innanzi a tutto,
poiché lo spessore enorme delle nubi accumulate in cielo intercettava completamente
la luce solare, e poi in causa dei vegetali che volteggiavano in alto ed in
basso, spinti, travolti e sbattuti dalle raffiche che si succedevano senza
interruzione.
Solamente la massa colossale del
merghee spiccava fra i muricciuoli diroccati dell'antico villaggio.
Sandokan ed i suoi compagni
correvano come se avessero le ali ai piedi. Avendo lasciati i loro fucili nelle
haudah, avevano impugnati i coltelli da caccia, armi pericolose nelle loro
mani, specialmente in quelle dei due pirati, abituati al maneggio del kriss
malese.
In meno di cinque minuti giunsero
all'accampamento. La seconda tromba d'aria aveva dispersi tutti i bagagli, i
sacchi delle provviste, le casse delle munizioni, le tende di ricambio ed aveva
perfino rovesciate le haudah che giacevano col fondo in aria.
Non vi era nessuno: né Surama, né
il cornac, né Darma, né Punthy. Solo l'elefante pareva che sonnecchiasse o che
fosse per esalare l'ultimo respiro perché lo si udiva rantolare o per lo meno
russare.
- E dov'è quella fanciulla? - si
domandò Yanez, girando lo sguardo in tutte le direzioni. - Io non la scorgo in
alcun luogo, eppure è stata lei a mandare quel grido.
- Che sia stata sepolta sotto
questi ammassi di canne e di foglie? - disse Sandokan.
Il portoghese lanciò tre chiamate
tuonanti:
- Surama! Surama! Surama!
Solo i rauchi brontolii
dell'elefante risposero.
- Che cos'ha il merghee? - chiese
ad un tratto il francese. - Si direbbe che sia moribondo. Non udite come la sua
respirazione è sibilante?
- È vero, - rispose Tremal Naik. -
Che sia stato ferito da qualche tronco d'albero portato da quella maledetta
tromba?
Ne ho veduto più d'uno
volteggiare sulle ali del turbine.
- Andiamo a vedere, - disse
Sandokan. - Mi pare che qui sia avvenuto qualche cosa di straordinario.
Mentre il portoghese percorreva i
dintorni dell'accampamento, rimuovendo gli ammassi di canne che il vento aveva
accumulati in grande quantità e chiamando per nome la povera fanciulla, gli
altri s'accostarono all'elefante.
Un grido di furore sfuggì a tutti
i petti. Il merghee era realmente moribondo e stava per esalare l'estremo
respiro e non già in causa di qualche tronco spintogli addosso dalla tromba,
bensì per mano colpevole.
Il povero animale aveva ricevuto
due orribili ferite nelle gambe posteriori che gli avevano recisi i tendini e
dalle quali sfuggiva il sangue in così gran copia che tutto il terreno ne era
inzuppato.
- L'hanno assassinato! - aveva
gridato Tremal-Naik. - Ecco il colpo di spada dei
cacciatori d'avorio!
- E chi? - chiese la Tigre della
Malesia con voce sibilante.
- Chi? I Thugs, ne sono certo.
- E l'elefante sta per morire, -
aggiunse il signor de Lussac. - Esso è perduto; non ha che pochi minuti di
vita.
La Tigre della Malesia aveva
mandato un vero ruggito.
- Che quei miserabili abbiano
approfittato della tromba per piombare sul nostro campo? - chiese.
- Questa è la prova, - rispose
Tremal-Naik.
- E come possono essere scampati
alla tromba, mentre noi veniamo portati via come fuscelli di paglia?
Tremal-Naik
stava per rispondere, quando un grido del francese lo interruppe.
Il signor de Lussac si era
precipitato dietro un muricciolo di fango, il solo che aveva resistito e
mostrava una pelle di nilgò, urlando.
- Rettili dannati! E noi li
avevamo scambiati per animali autentici. Ah!... È troppo!...
Sandokan e
Tremal-Naik si erano affrettati a raggiungerlo. Presso
l'ufficiale, addossate contro il muricciolo, si scorgevano altre pelli
d'animali.
- Capitano Sandokan, - disse il
francese, - vi ricordate di quei cinque o sei nilgò che avevano cercato rifugio
dietro questo muricciolo?
- Erano Thugs camuffati da cervi,
- disse la Tigre della Malesia.
- Sì, signore. Vi rammentate come
si avanzavano strisciando sul ventre e tenendo le zampe nascoste fra le erbe?
- Sì, signor de Lussac.
- Quei bricconi ci hanno giuocati
con un'audacia incredibile.
- E hanno approfittato della
tempesta che ci ha scaraventati fuori dal campo, per mutilare l'elefante.
- E rapire Surama, - aggiunse
Tremal-Naik. - La fanciulla doveva essere rimasta
impigliata fra le corde della tenda.
- Yanez!... - gridò Sandokan. - È
inutile che tu cerchi Surama. A quest'ora deve essere ben lontana, ma non
disperarti. Noi daremo la caccia ai rapitori.
Il portoghese che in fondo al
cuore, quantunque non lo dimostrasse, doveva nutrire una viva affezione per la
disgraziata figlia del piccolo rajah assamese, per la prima volta forse in vita
sua, perdette la calma.
- Devo ucciderli tutti e guai a
loro se torceranno un capello a quella povera fanciulla! Ora sento anch'io di
odiare a morte quei mostri.
- Se ci hanno ucciso il merghee
ci rimane il coomareah, - disse Sandokan. - Daremo la caccia a quei banditi
senza accordare a loro un momento di tregua.
- Eccolo laggiù anzi che ritorna
assieme al suo cornac ed ai vostri malesi, - disse il signor de Lussac. - Pare
che si sia calmato.
Infatti il colossale elefante
s'avvicinava di corsa, portando sulla poderosa groppa non solo il suo
guardiano, bensì anche la scorta di Sandokan, la quale dopo un lungo
inseguimento era riuscita ad impadronirsi della tenda che il vento doveva aver
spinta assai lontana.
Mancavano però il cornac del
morente merghee, Surama, Darma e anche Punthy.
Che i Thugs avessero potuto
uccidere il primo e rapire la seconda si poteva ammetterlo; che avessero
affrontati e vinti la terribile tigre ed il grosso cane era un po' difficile a
crederlo.
- Che cosa ne pensi
Tremal-Naik dei tuoi animali? - chiese Sandokan.
- Sono certo che torneranno
presto, a menoché non abbiano seguiti i Thugs. Tu sai quanto sia intelligente
Punthy e quanto odia i settari di Kalì dopo che rimase prigioniero nei
sotterranei di Rajmangal, e Darma divide i suoi rancori.
- Che la tigre abbia seguito il
cane?
- Non ne dubito. Sono stati
allevati insieme e più volte, quando io cacciavo nelle Sunderbunds, li ho
veduti aiutarsi a vicenda e anche...
Un barrito acutissimo, che parve
una nota che sfuggisse da un'enorme tromba di bronzo, gli interruppe la frase.
Il povero merghee con uno sforzo disperato si era alzato sulle zampe
posteriori, tenendo la proboscide tesa quasi orizzontalmente.
- Muore, - disse il signor de
Lussac, con voce commossa. - Vigliacchi! Prendersela con una così brava bestia!
L'elefante aspirava
affannosamente l'aria ed il suo corpaccio era scosso da tremiti convulsi che
gli facevano ballare le immense orecchie.
Sandokan ed i suoi compagni
stavano per avvicinarglisi, quando il colosso stramazzò pesantemente,
rovesciandosi su un fianco e vomitando dalla proboscide un largo getto di
sangue misto a bava.
Nel medesimo istante si udì una
voce lamentevole gridare:
- È morto! Siano maledetti quei
cani!
Era il cornac del merghee che
compariva fra gli ammassi di canne e di cespugli strappati dall'uragano,
seguito da Darma e da Punthy.
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