31 - LA
CACCIA ALLE TIGRI DI MOMPRACEM
Un quarto d'ora dopo,
assicuratisi nuovamente che nessun ribelle vigilava dalla parte della cinta, i
malesi attaccavano febbrilmente le grosse sbarre di una delle finestre, limando
con furore.
Sandokan, Yanez, e
Tremal-Naik, per impedire che si udisse al di fuori lo
stridere del ferro, si erano messi a canticchiare ed a parlare ad alta voce,
precauzione forse superflua poiché pareva che la torre non fosse abitata da
alcun essere vivente.
Qualche sentinella doveva certo
vegliare dinanzi all'entrata, ma non vi era pericolo alcuno che potesse udire
il rumore, d'altronde lieve, prodotto da quei piccoli istrumenti.
Bedar non doveva essere lontano.
Già tre volte un fischio stridente si era fatto udire fra il silenzio della
notte, in direzione del tamarindo.
Probabilmente il bravo cipai,
come al mattino, si era nascosto fra il folto fogliame della pianta, onde
vegliare ed impedire che qualcuno s'accostasse.
Alle undici già
due sbarre erano strappate e non ne mancava che una per avere uno spazio
sufficiente.
Sandokan, Yanez, ed il bengalese
avevano surrogati i malesi assai stanchi, onde affrettare il lavoro.
Mancava un quarto alla mezzanotte
allorquando anche l'ultima sbarra, sotto un colpo poderoso di Sandokan, fu
strappata.
- La via è libera, - disse la
Tigre della Malesia, respirando a pieni polmoni l'aria fresca della notte. - Non
ci rimane che gettare la corda di seta.
- E di armarci di queste sbarre
che potrebbero esserci utili in caso d'un attacco, - rispose Yanez. - Con un
colpo si può ammazzare un uomo.
- Non le avrei lasciate qui, -
rispose Sandokan.
Prese il gomitolo, lo svolse,
lasciando penzolare al di fuori un capo e assicurò l'altro alla quarta sbarra,
dopo averne provata la solidità.
- A me l'onore di scendere pel
primo, - disse.
Si cacciò nella fascia uno dei tre
coltelli, passò attraverso la finestra e si appese alla cordicella, dicendo ai
suoi compagni:
- Pensate a proteggere la
ritirata, voi.
- Nessuno entrerà, fino a che non
sarete tutti discesi, - rispose Yanez, impadronendosi d'una traversa e
collocandosi dietro la porta di bronzo.
- Ed io ti tengo compagnia, -
aggiunse Tremal-Naik.
- Per Giove!
- Che cos'hai? - chiese Sandokan,
arrestandosi.
- Mi pare che qualcuno salga la
scala.
- Appoggiatevi alla porta ed
impedite l'entrata.
- È troppo tardi!
Uno spazio di luce era penetrato
sotto la fessura inferiore e la voce del subadhar si era fatta udire.
- Prepariamoci ad accopparlo, -
disse Sandokan, prendendo pur lui una sbarra di ferro. - A me, malesi!
I quattro marinai si erano
slanciati come un solo uomo verso il loro capo, pronti ad impegnare una lotta
suprema.
- Sandokan, - disse in quel
momento Yanez, che non perdeva mai il suo sangue freddo. - Lascia fare a me.
Coricatevi tutti e fingete di dormire. M'incarico io di mandare al diavolo quell'eterno
seccatore. Una lotta non potrebbe che perderci.
- Sia, - rispose Sandokan, - ci
terremo pronti ad impegnarla, se il subadhar avesse qualche sospetto.
Si erano appena coricati lungo
una parete, nascondendo i coltelli e le sbarre sotto i loro corpi, quando
comparve il subadhar con una lanterna accesa in mano, accompagnato da alcuni
soldati che avevano le baionette inastate.
Yanez si era vivamente alzato,
fingendosi di pessimo umore e dicendo:
- Che non si possa dormire
nemmeno l'ultima notte che si sta sulla terra? È un paese maledetto dunque
questo? Che cosa volete ancora, subadhar? Ripeterci che domani mattina ci
fucileranno? La notizia è perfino troppo vecchia ed è divenuta noiosa.
L'indiano aveva ascoltato quel
torrente di parole con una meraviglia facile a comprendersi.
- Perdonate, - disse finalmente,
- io non vi avevo detto ciò con piena sicurezza. Era una mia supposizione.
- E volete concludere? - chiese
Yanez, aggrottando la fronte.
- Che il generale mi ha
incaricato di confermarvela e di chiedervi se desiderate qualche cosa.
- Dite a quel noioso che noi
abbiamo bisogno di fare una buona dormita. Udite? I miei compagni russano.
- Avvertiteli.
- Sì, domani e andatevene al
diavolo.
Ciò detto Yanez si ricoricò,
brontolando e bestemmiando.
Il subadhar rimase qualche
istante perplesso, poi, vedendo che nessuno si curava più di lui, augurò la
buona notte e se ne andò chiudendo la porta con precauzione.
- Che ti colga il cholera, -
disse Yanez, rialzandosi. - Aspetta di fucilarci, briccone!
- La tua prudenza ed il tuo
sangue freddo valgono mille volte più della mia impetuosità, - gli disse
Sandokan. - Io per esempio li avrei assaliti ed accoppati a colpi di sbarra e
vi avrei forse perduti invece di salvarvi.
- Sono il tuo regolatore, - rispose
il portoghese, ridendo. - Sbrighiamoci, amici, o Bedar s'impazientirà.
Sandokan sali sulla finestra,
s'aggrappò alla corda e si lasciò scivolare fino a terra senza fare rumore
alcuno.
Si guardò intorno, impugnando la
sbarra, e non scorse nessuno. Mandò un leggero sibilo per avvertire i compagni
che nessun pericolo li minacciava e poco dopo scendeva Yanez, seguito subito da
Tremal-Naik.
I malesi si calavano a loro
volta, uno dietro l'altro.
- Dove sarà Bedar? - chiese
Sandokan.
Si era appena rivolta quella
domanda quando vide apparire confusamente, sulla cinta, una forma umana.
- Chi sei? - gli chiese sottovoce
Tremal-Naik.
- Io: Bedar.
- C'è nessuno?
- No, ma affrettatevi: i due
Thugs non tarderanno a giungere.
I fuggiaschi scavalcarono
rapidamente la cinta e seguirono il cipai che allungava il passo.
- Dove ci conduci? - gli chiese
Tremal-Naik.
- Nel bosco, signore, - rispose
il cipai. - È là che si trova l'elefante.
- Come hai fatto a procurarti
quell'animale?
- L'ho preso a nolo da un mio
amico di Delhi. È giunto qui appena tre ore fa.
- E dove ci condurrai?
- Faremo un largo giro onde far
perdere le vostre tracce, poi cercherete di entrare in città.
La sorveglianza non è ancora
molto rigorosa, non essendo l'assedio cominciato.
- Tu poco fa mi hai parlato di
due Thugs. Spiegati meglio.
- Sono quei due indiani che
tenevano il viso coperto. Sono stati essi a riconoscervi e ad esigere la vostra
morte, minacciando, in caso contrario di far abbandonare da tutti i settari la
causa degl'insorti.
- E Abù ha ceduto?
- Sono ancora potenti i Thugs e
si trovano in buon numero a Delhi. Affrettatevi, signori; possiamo essere
seguiti.
- Da chi? - chiese Sandokan.
- Da quei due uomini. So che vi
sorvegliavano strettamente e che ogni due o tre ore si recavano alla torre.
- Galoppiamo, disse Yanez. - Ora
che siamo liberi mi spiacerebbe ricadere nelle mani del vecchio briccone, per
quanto sia un generale.
Avevano raggiunto il bosco. Bedar
si orientò rapidamente, poi si cacciò sotto i borassi ed i palmizi, seguendo un
sentieruzzo appena tracciato fra le alte erbe che crescevano intorno ai tronchi
degli alberi.
Era diventato assai inquieto e si
volgeva di frequente indietro, come se temesse di essere seguito dai due Thugs.
Camminarono cosi per un quarto
d'ora, poi giunsero in una piccola radura in mezzo alla quale si vedeva una
massa enorme che si agitava.
- Ecco l'elefante, - disse Bedar.
Un uomo che si teneva dinanzi al
pachiderma gli mosse incontro, dicendogli:
- Poco fa sono venuti qui due
uomini a chiedermi chi aspettavo.
- Che cosa hai risposto, cornac?
- disse il cipai con impeto.
- Che aspettavo un signore di
Delhi che si era recato da Abù Assam.
- Hai fatto bene e avrai una
rupia di più, - disse Bedar. - Si sono poi allontanati?
- Sì, padrone.
- Avevano dei turbanti enormi?
- Ed anche il volto coperto.
- Erano quei maledetti Thugs, -
disse Bedar, volgendosi verso i fuggiaschi. - Presto signori, salite
nell'haudah.
- Ci accompagni
tu? - chiese Tremal-Naik.
- Sì per facilitarvi l'entrata in
città - rispose il bravo cipai. - Io mi siedo dietro al cornac.
Tremal-Naik e
le tigri di Mompracem entrarono rapidamente nella cassa che era larga e comoda,
e fu con vero piacere che scorsero una decina di carabine appoggiate ai bordi.
- Almeno potremo difenderci, -
disse Sandokan, prendendone una ed armandola.
- E sotto i nostri piedi vi sono
le munizioni, - disse Yanez che si era curvato. - Bravo Bedar! Hai pensato a
tutto.
- Avanti, Djuba, - disse in quel
momento il cornac - e trotta bene se vorrai avere doppia razione di zucchero.
L'elefante, che doveva portare
quel nome, agitò la proboscide da destra a sinistra, aspirò fragorosamente
l'aria e partì rapidamente, facendo tremare il suolo sotto la sua massa enorme.
Aveva percorso una ventina di
passi quando in mezzo ad una macchia balenarono due lampi seguiti da due
detonazioni e dalle grida di:
- Ferma! Ferma!
Una palla fischiò agli orecchi di
Sandokan senza colpirlo.
- Ah! Canaglie! - esclamò il
pirata, esasperato. - Fuoco, amici!
Una scarica seguì quel comando,
ma nessun grido di dolore partì dalla macchia.
Probabilmente i bricconi che
avevano fatto fuoco, sospettando che i fuggiaschi fossero pure armati di
fucili, dovevano essersi lasciati cadere a terra per evitare di venire colpiti.
- Non fermare, cornac! - aveva
gridato Bedar.
- No, padrone, - rispose il
conduttore, vibrando un poderoso colpo d'arpione sul cranio del pachiderma.
Una voce stridula echeggiò fra le
tenebre.
- È Bedar che li ha fatti
fuggire! Ti prenderemo presto!
L'elefante si era messo in corsa.
Col largo petto rovesciava cespugli ed alberi, passando come un uragano
attraverso la folta boscaglia.
- Non ci raggiungerà nemmeno un
cavallo, - disse Yanez, che si aggrappava fortemente all'orlo della cassa per
non venire sbalzato fuori. - Se l'elefante non cede, fra un'ora saremo ben
lontani.
- Che i Thugs organizzino un
inseguimento? - chiese Tremal-Naik, rivolgendosi a Bedar.
- È probabile, - rispose il
cipai. Abbiamo però a quest'ora un notevole vantaggio e l'elefante è un
vigoroso corridore.
- Vi sono elefanti
nell'accampamento?
- Sì, parecchi.
- Sarà con quelli allora che ci
daranno la caccia, - disse Sandokan.
- Certo, poiché i cavalli non
potrebbero raggiungerci, - rispose il cipai. - È per quello che ho fatto
acquisto di un centinaio di palle colla punta di rame.
- Per abbattere gli elefanti? -
chiese Sandokan.
- Sì, sahib.
- Ce ne serviremo, se sarà
necessario.
Il bosco cominciava allora a
diradarsi, facilitando la corsa al pachiderma. Quell'animale doveva possedere
un vigore straordinario non avendo ancora rallentato, quantunque corresse da
più di un'ora.
Finalmente con un ultimo slancio
sbucò in una vasta pianura, che era solamente interrotta da enormi mazzi di
bambù alti dai dodici ai quindici metri.
- Dove siamo? - chiese Sandokan a
Bedar.
- Al nord di Delhi, - rispose il
cipai. - Abbiamo oltrepassato tutto il campo stabilito intorno alla città per
garantirla da una sorpresa.
- Ed ora dove andiamo?
- Ci getteremo fra le jungle che
costeggiano la Giumna. Là attenderemo che i nostri inseguitori si stanchino di
cercarci.
- Avrei preferito entrare subito
in città, - disse Sandokan a Tremal-Naik. - Mi preme
rivedere Sirdar.
- La prudenza ci consiglia di
ritardare la nostra entrata, - rispose il bengalese. - Non trovandoci, i due
Thugs faranno in Delhi delle minuziose ricerche e, scoperti un'altra volta, non
saprei chi potrebbe salvarci.
- È vero, - disse Yanez. - Non si
trova sempre un Bedar.
- Purché ci arriviamo, - disse
Sandokan.
- Io non ne dubito, - rispose il
portoghese. - E se quel cane di Suyodhana è giunto, gli faremo passare un
brutto momento.
- Qualche cosa di più, Yanez, -
disse Sandokan. - La Tigre della Malesia non accorderà quartiere a quella
dell'India.
- La Giumna, - disse in quel
momento Bedar.
Un fiume, abbastanza largo,
tagliava la pianura e l'elefante si era fermato così bruscamente, che per poco
i fuggiaschi non furono scaraventati fuori dalla cassa.
- Lo attraversiamo? - chiese
Yanez.
- Sì, sahib, - rispose il cipai.
- Sulla riva opposta comincia la jungla.
- Avanti, dunque, se vi è un
guado.
- L'elefante saprà trovarlo.
Djuba allontanò colla proboscide
i rami degli alberi, tuffò l'appendice nel fiume e frugò per qualche po' il
fondo come se volesse prima assicurarsi se era formato di fango molle o di
ghiaia. Soddisfatto di quell'esame, entrò risolutamente in acqua, sbuffando e
soffiando.
- Quanto sono bravi e prudenti
questi animali, - disse Yanez. - Non finirò mai di lodarli.
L'acqua cominciava a diventare
profonda e la corrente anche impetuosa, pure nulla poteva scuotere quella massa
enorme, salda quanto uno scoglio.
Col suo largo petto affrontava i gorghi,
spezzandoli, e continuava ad avanzarsi, obbedendo docilmente alle indicazioni
che gli dava il cornac.
Già stava per toccare la riva
opposta, quando i fuggiaschi udirono dietro di loro dei barriti e delle grida,
poi dei colpi di fucile rimbombarono, rompendo il silenzio della notte.
Sandokan e
Tremal-Naik avevano mandato un grido:
- Ci sono addosso!
- Per Giove! - esclamò Yanez. -
Sono diavoli costoro, per averci raggiunti così presto? Eppure questo valoroso
elefante ha filato come un praho che ha il vento in poppa!
- Come possono esser già qui? -
si chiese Sandokan. - Eppure devono essere essi se ci hanno salutati con dei
colpi di fucile.
- Sì, sono essi sahib, - rispose
Bedar. - Montano tre elefanti, i migliori di certo di quanti se ne trovavano al
campo.
- E hanno scoperto subito le
nostre tracce, - disse Tremal-Naik.
- Non era difficile trovarle, -
rispose Bedar. - Un elefante apre un sentiero nelle foreste che attraversa, che
non si chiude subito. Ci siamo, cornac?
- Sì.
Djuba aveva attraversato
felicemente il fiume e stava salendo la riva che era ingombra da enormi macchie
di bambù alternate a gruppi di tara e di tamarindi.
I tre elefanti montati dai
ribelli si erano invece fermati sulla sponda opposta, come se cercassero
qualche altro guado più facile.
- Prendiamo posizione, - disse
Sandokan. - Daremo loro battaglia sul fiume. Bedar, ferma l'elefante, e fallo
nascondere entro qualche macchia, onde le palle non lo colpiscano.
Il cipai diede al cornac alcuni ordini,
mentre Tremal-Naik e le tigri di Mompracem s'impadronivano
delle carabine e dei sacchetti contenenti le munizioni.
L'elefante s'internò fra un
foltissimo macchione di bambù, poi si fermò mentre il cornac gettava la scala.
- Giù e lesti, - disse Sandokan.
- Impediamo loro di attraversare il fiume o avremo addosso una trentina
d'uomini che non ci risparmieranno.
Scesero a precipizio,
raccomandarono al cornac di non allontanarsi e tornarono verso il fiume
imboscandosi in mezzo alle folte erbe.
Il cipai si era unito a loro,
sicché erano in buon numero per disputare accanitamente il passaggio del fiume.
- Che siano in molti gli insorti?
- chiese Yanez a Bedar.
- Ogni elefante ne avrà certo
diedi o dodici, - rispose Bedar.
- Che vi sia anche della
cavalleria con loro? - domandò Sandokan.
- Giungerà forse, ma assai più
tardi.
- A cose finite, - disse
Tremal-Naik. - Toh! Che cosa fanno che non si decidono a
far entrare in acqua gli elefanti?
- Attenderanno l'alba, - rispose
Bedar. - Ormai sanno che noi siamo qui e sono sicuri di raggiungerci.
- Così tireremo meglio, - disse
Sandokan. - Leva fuori le palle rivestite di rame. Metteremo subito gli
elefanti fuori combattimento.
Si coricarono fra le erbe, dietro
la prima fila d'alberi onde proteggersi meglio dai colpi di fuoco degli
avversari, ed attesero l'attacco sicuri di non venire facilmente sloggiati.
Yanez aveva accesa la sigaretta e
fumava placidamente, guardando verso la riva opposta.
Gli indiani accortisi forse che i
fuggiaschi si erano arrestati, pareva che non avessero troppa premura di
attaccare.
Alle quattro gli astri
cominciarono ad impallidire e le tenebre a dileguarsi.
- Bedar, - disse Sandokan,
volgendosi verso il cipai, - erano tre gli elefanti, è vero?
- Sì, sahib.
- Sei certo di non esserti
ingannato?
- Ma sì, erano tre.
- Dov'è andato dunque il terzo
che non lo vedo più?
- Infatti non ne vedo che due
soli ora, - disse Yanez. - Che l'abbiano mandato in cerca di rinforzi?
- O che lo tengano invece in riserva,
nascosto dietro gli alberi? - disse Tremal-Naik.
- Ciò m'inquieta, - rispose
Sandokan. - Avrei preferito vedere anche quello.
- Badate, - disse il cipai. - Si
muovono per forzare il passaggio.
I due elefanti, due animali
mostruosi, scendevano in quel momento la riva, eccitati dalle grida dei loro
cornac.
Nella cassa vi erano dieci uomini
e altri quattro stavano coricati dietro. Erano dunque in trenta, forza
rispettabile, eppure non troppo temibile per le tigri di Mompracem, abituate a
misurarsi con nemici sempre numerosi.
I due pachidermi, dopo una breve
esitazione, si cacciarono in acqua, tastando prudentemente il terreno, mentre
gli indiani afferravano le carabine.
- A te il primo colpo, Sandokan,
- disse Yanez.
La Tigre della Malesia appoggiò
la carabina su una radice che usciva da terra e mirò per qualche istante il
primo elefante.
Un momento dopo una detonazione
scoppiava, seguita subito da un barrito formidabile.
Il pachiderma aveva fatto uno
scarto improvviso ed aveva alzato vivamente la tromba, soffiando rumorosamente.
La palla doveva averlo colpito in qualche parte. Gl'indiani che lo montavano,
udendo quello sparo, avevano risposto con un fuoco nutrito.
- Facciamoci vivi anche noi, -
disse Yanez. - Fuoco, tigrotti di Mompracem!
I pirati si alzarono
silenziosamente dietro i tronchi degli alberi che li proteggevano e scaricarono
le carabine, mirando la cassa.
Più che gli elefanti premeva a
loro di mettere fuori di combattimento gli uomini.
Tre indiani caddero nel fondo
della cassa morti o feriti, ma gli altri non cessarono il fuoco, anzi il cornac
continuò ad aizzare l'elefante che cominciava a mostrarsi titubante.
Sandokan, ricaricata la carabina,
mirò il secondo che era rimasto scoperto e gli strappò un barrito terribile.
- Anche quello è toccato, -
disse. - Continuiamo finché cadono.
Gli indiani, non ostante il
formidabile fuoco delle tigri di Mompracem, resistevano tenacemente, sparando
in mezzo agli alberi, con nessun successo poiché i fuggiaschi si guardavano
bene dal mostrarsi.
Scaricata la carabina, si
lasciavano cadere fra le erbe, rendendosi invisibili e ricaricata l'arma
riprendevano la musica infernale.
Il primo elefante, quantunque
perdesse sangue da una spalla, aveva raggiunta quasi la metà del fiume, quando
una palla di Yanez lo colpì sotto la gola, penetrandogli certo molto addentro.
Il povero colosso, già
indebolito, indietreggiò vivamente, empiendo l'aria di clamori assordanti.
- Ben preso, Yanez, - disse
Sandokan. - È fuori di combattimento e fra poco cadrà.
- Dagli il colpo di grazia, -
disse il portoghese.
- Sto mirandolo.
Sandokan si scopri un momento e
fece fuoco a ottanta metri di distanza.
Il pachiderma lanciò un barrito
più spaventevole degli altri, si rizzò bruscamente sulle zampe deretane, poi si
rovesciò su un fianco sollevando una ondata spumeggiante e gettando in acqua
gli uomini che portava.
- È finito! - gridò Yanez, con
voce giuliva. - All'altro, Sandokan!
Mentre gli indiani si salvavano a
nuoto abbandonando le carabine, il pachiderma con uno sforzo disperato si era
risollevato per non affogare, poi quasi subito ricadde scomparendo per sempre.
L'altro, vedendo cedere il
compagno, si era messo a indietreggiare barrendo e scuotendo l'enorme capo
sotto i colpi d'arpione che il cornac non gli risparmiava.
- Fuoco, Yanez! - gridò Sandokan.
- Facciamolo cadere presto.
I due pirati scaricarono
simultaneamente le carabine, mirando le spalle del colosso, presso le giunture.
Fu un colpo maestro. Il
pachiderma voltò il dorso fuggendo verso la riva, salutato da una seconda
scarica, ma quando si trattò di salirla, le forze gli vennero improvvisamente
meno e stramazzò pesantemente, scaraventando fra i cespugli gl'indiani che
erano nell'haudah.
Un grido di vittoria s'alzò sulla
riva opposta. Le tigri di Mompracem erano balzate fuori e fulminavano
gl'insorti che nuotavano per impedire a loro di ricongiungersi ai compagni.
- Basta, - disse Yanez. - Ne
hanno abbastanza e non ci inquieteranno più.
- Al nostro elefante, - comandò
Sandokan.
Stavano per prendere la corsa
verso il bosco, quando udirono una voce umana a gridare:
- Aiuto! Aiuto!
Bedar aveva mandato un urlo di
rabbia.
- Il nostro cornac!
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