CAPITOLO IV. - Nel mezzo di un bosco.
Quando Abd-el-Kerim
giunse agli avamposti il sole cominciava a far capolino fra le gigantesche
foreste del Nilo e il campo a svegliarsi. Qua e là, dalle tende, uscivano
soldati sbadigliando e stiracchiandosi le membra intorpidite; alcuni si affacendavano
a pulire o a insellare i loro briosi cavalli che caracollavano nitrendo; altri
alzavano i mahari o i cammelli conducendoli ai pozzi per abbeverarli, e
altri ancora accendevano i fuochi pel rancio del mattino, o portavano legne, o
portavano paglia, o facevano un po' di pulizia, o lucidavano i fucili, gli jatagan
o le daghe, o i cannoni. Dappertutto vedevansi ufficiali andare e venire,
scintillanti per gli ori, affannarsi a portare o a dare ordini, a cambiare le
sentinelle, a radunare le compagnie per farle manovrare; dappertutto udivasi un
cicaleggio allegro, canzoni monotone e cadenzate, voci che salmodiavano i
versetti del Corano accompagnate dalla voce nasale dei muezzin
d'Hossanieh che percorrevano il campo, e ragli d'asini, e nitriti di cavalli e
muggiti di buoi.
Abd-el-Kerim, colla
faccia aggrondata, pensieroso, taciturno, attraversò la triplice fila di tende
e andò a sedersi vicino alla sua, su di un tronco di palmizio atterrato,
prendendosi la testa fra le mani.
Il povero arabo
sentivasi tutto scombussolato dagli avvenimenti della notte e come ammalato.
Una terribile lotta fervevagli nel cuore, lotta gigantesca nella quale si
cozzavano furiosamente due passioni egualmente grandi: l'amore per la bella
Elenka alla quale gli aveva giurato fedeltà e l'amore per Fathma,
l'incomparabile creatura dagli occhi di fuoco che l'aveva suo malgrado
affascinato.
Egli trovavasi per così
dire equilibrato fra due abissi in uno dei quali tendeva le braccia la greca e
nell'altro l'araba, due abissi che sì l'uno che l'altro l'attiravano, due
abissi che gli mettevano le vertigini entrambi.
Aveva un bel dire che a
Elenka aveva promesso la sua mano, aveva un bel dire che Elenka aveva gli occhi
neri e pieni di fuoco, che Elenka era bella, che Elenka era incomparabile,
divina, ma non riusciva a scacciare nè a eclissare dalla sua mente le fiera
figura dell'almea, nè sapeva cancellare, nè estirpare quegli occhi che
in certo qual modo erano impressi vivamente nel suo cuore o che lo tormentavano
come fossero due carboni accesi collocati sulle sue carni.
Invano cercava di
frapporre fra sè e l'almea delle tenebre, invano ritorceva i suoi
sguardi portandoli su Elenka, invano mormorava il caro nome della greca, invano
sforzavasi di frenare i tumultuosi battiti del suo cuore, invano richiamava
alla mente le sinistre e minacciose parole di Notis. Egli vedevasi sempre
dinanzi la superba immagine dell'almea col fucile in mano, come l'aveva
veduta in mezzo alla pianura puntare calma e terribile il leone che
volteggiavale d'intorno; parevagli di sentirsela ancora fra le braccia col capo
appoggiato dolcemente al suo petto, trasportato sul dorso del veloce mahari
coi capelli neri e profumati attorcigliati al collo; parevagli di ascoltare il
debole suo respiro, il battere del suo cuoricino, il fremito delle sue membra,
e provava emozioni violente, sconosciute, ignote, voluttuose, e sentivasi il
sangue turbinare più rapido nelle vene, un fuoco strano accendersegli nel
petto, fuoco che mettevagli la febbre indosso, fuoco che prendeva proporzioni
gigantesche, che divorava e la memoria di Elenka e quella di Notis.
- Fathma! Fathma!
mormorò egli sospirando. Tu hai fatto nascere nel mio cuore una passione che
cancellerà quella della povera Elenka! Una passione che mi mette paura, una
passione che mi fa tremare!...
Si levò dal tronco
d'albero girando uno sguardo indagatore sul campo come se cercasse di scoprire
colei che avevagli acceso in petto una scintilla d'un amore sconfinato. I suoi
occhi si fissarono su d'un uomo, un capitano dei basci-bozuk, che lo guardava
sorridendo quasi beffardamente.
- Olà, che diamine te
fai qui, solo soletto e pensieroso, gli chiese il capitano, incrociando le
braccia sul petto con aria comica. È un bel pezzo che sono qui a guardarti,
curioso di sapere come l'avresti finita.
- Ah! Sei tu, Hassarn?
disse Abd-el-Kerim, ricomponendo la faccia tetra.
- In carne e in ossa,
amico mio, rispose il capitano.
- Che vuoi da me?
- Che m'accompagni alle
foreste del Bahr-el-Abiad per far ritornare quella compagnia di basci-bozuk, che
abbiamo lasciato in un zeribak. Sono stati segnalati dei ribelli, e non
vorrei che quei poveri diavoli venissero qualche notte massacrati.
- Ah!... Sono con te,
Hassarn.
- Prendi la tua carabina
e affrettiamoci a metterci in cammino. Viaggiare di notte in simili tempi non è
prudente.
Abd-el-Kerim4
esitò, poi raccolse la carabina che aveva posata sulla palma e seguì senza dir
sillaba Hassarn, che si era già messo in cammino. Si fermò venti volte prima di
uscire dal campo, ora guardando il villaggio d'Hossanieh e precisamente la
casupola di Fathma e ora la tenda del greco ermeticamente chiusa.
Il capitano dei
basci-bozuk prese un sentiero aperto in mezzo a un campo di dùrah che
conduceva alle grandi foreste del Bahr-el Abiad; Abd-el-Kerim gli si mise
dietro, ma senza quasi sapere ove andasse e col pensiero fisso a tutt'altra
cosa che alla compagnia dei basci-bozuk.
- Ehi! Abd-el-Kerim, gli
chiese Hassarn, dopo qualche tratto di cammino. Che diavolo hai che sei muto
più d'un pesce?
- Nulla, rispose l'interpellato
seccamente.
- Penseresti per caso, a
quella bella ragazza che hai condotta questa notte nel campo?
Abd-el-Kerim trasalì e
lo guardò sorpreso.
- Come sai tu questo?
- Bah! fe' Hassarn,
alzando un braccio come uomo che la sa lunga. Credi tu che escano ed entrino
nel campo persone senza che io lo sappia? Ti dirò che tu sei arrivato in
compagnia di Notis e che la bella almea riposava fra le tue braccia.
Dove sei andato a pescare quella urì?
- La trovai venendo da
Machmudiech, nel momento che un leone stava per assalirla. Perdette lo schiavo
e il cammello, perciò5 la feci salire sul mio.
- Sulle tue braccia,
corresse maliziosamente Hassarn.
- Come vuoi.
- E tu uccidesti il
leone?
- Puoi immaginartelo.
- Sfido io! Si trattava di
far vedere la propria valentìa dinanzi a Fathma.
- Fathma? La conosci
forse tu?
- E da molto tempo,
Abd-el-Kerim.
- Chi è? da dove viene?
Dove va?
- Corri come i miracoli
di Mohammed. Ti dirò innanzi a tutto che è un'almea dagli occhi che
paiono diamanti neri, dai piedi lunghi come un petalo di rosa e che ha le mani
più piccole di una urì del Profeta.
- Lo so, e poi?
- E poi non ne so di
più. Ti interessa molto quell'adorabile creatura?
- Molto, rispose
Abd-el-Kerim con slancio appassionato.
- Oh! esclamò Hassarn. Avresti per caso dimenticata la bella Elenka?
- Non parlarmi di lei,
Hassarn.
- Bada, che Elenka è una
iena.
- Ed io un leone!
rispose fieramente l'arabo.
Il capitano gli si
avvicinò e ponendogli amichevolmente una mano su di una spalla:
- Abd-el-Kerim, disse.
Tu questa notte hai avuto di che dire con Notis.
- Mi spiasti, Hassarn?
- Il campo ha orecchi e
occhi. Se non vuoi dirmelo tu, ti dirò che ronzavate tutti e due attorno a una
casupola e che questa casupola era l'abitazione di Fathma, poichè fu vista
entrare. Sareste rivali?
Abd-el-Kerim non
rispose. Egli era diventato improvvisamente cupo.
- Non rispondi, ma leggo
nel tuo cuore come legge il Profeta e forse più, Abd-el-Kerim.
- E che leggi?
- Amore, amore e amore
per...
- Per chi?
- Per Allah! Amore per
Fathma!
- Zitto imprudente,
mormorò l'arabo guardandosi sospettosamente attorno.
- Confessi adunque che
io lessi giusto.
- Non posso negarlo. Amo
Fathma.
- Ed Elenka? E Notis?...
- Cancello l'una e aborro
il secondo che minaccia diventare mio rivale!
L'arabo fece un gesto di
spavento. Avrebbe voluto riafferrare e ricacciare in gola quelle parole
uscitegli imprudentemente dalle labbra. Sentì una fitta al cuore; chinò il capo
sul petto e sospirò.
- Povero Abd-el-Kerim!
esclamò Hassarn.
- Non compiangermi!...
Ah!.... Se tu sapessi qual lotta ferve nel mio cuore! disse ferocemente
l'arabo. Quale mai delle due?
- Tu pensi ancora ad
Elenka, adunque?
- Forse. Non so, per
quanto mi sforzi, non riesco a cancellarla totalmente. L'ho sempre dinanzi agli
occhi, bella, divina.... Eppur non l'amo!
D'un tratto si arrestò,
afferrando bruscamente la carabina. Erano allora arrivati sul limitare della
grande foresta che si estendeva a perdita d'occhio dal sud al nord, seguendo il
tortuoso corso del Bahr-el-Abiad.
- Che hai? gli chiese
Hassarn, armando per ogni precauzione una pistola.
- Abd-el-Kerim si guardò
d'attorno con circospezione, figgendo l'acuto suo sguardo sotto gli alberi che
strettamente uniti toglievano quasi la vista.
- Mi sembrò d'aver udito
un fruscio fra i cespugli, disse poi.
- Sarà stato qualche
scimiotto. Tu sai che in queste foreste abbondano.
- Che ci sia qualche
spia?
- Potrebbe darsi. Il Mahdi
ha della gente coraggiosa, che non ha paura di avvicinarsi agli accampamenti
egiziani.
L'arabo fece cenno al
capitano di tirar innanzi, continuando a guardarsi d'attorno e aprendo con
precauzione i cespugli. Dopo dieci minuti essi giunsero ad una specie di zeribak,
nell'interno della quale stava accampata una compagnia di basci-bozuk a
piedi.
Il sergente che la
comandava si fece loro incontro.
- Che nuove? chiese
Hassarn.
- Nessuna, rispose il
sergente. I ribelli fino ad ora non si sono spinti fin qui ma.... non avete
incontrato nessuno? Ho veduto....
- Chi? domandò
Abd-el-Kerim.
- Una apparizione.
- Spiegati per Allàh!
esclamò Hassarn, mosso in curiosità.
- Che so io? Ho veduto
passare un fantasma, vestito stranamente, e che potrebbe darsi che fosse un
ribelle. È passato or ora a cento passi da qui.
- Oh! oh! fe' Hassarn.
Chi può essere mai? Abd-el-Kerim, sei in vena di accompagnarmi, intanto che i basci-bozuk
fanno i bagagli?
- Ho la mia carabina e
ciò basta. Ti seguirò fino al deserto di Korosko, se tu lo vuoi.
- Basta così. Tu
sergente fa levare il campo e se non ci vedi tornare, incamminati per
Hossanieh. Potrebbe darsi che noi tardassimo assai e che prendessimo un'altra
via.
Arabo e turco volsero le
spalle alla zeribak, internandosi nella foresta, seguendo un sentieruzzo
appena visibile pel quale era passato il fantasma. Avevano tutte e due le ali
ai piedi come se si trattasse di inseguire qualche persona più che importante.
- Chi può essere mai
questo fantasma, si chiedeva Hassarn. Che sia qualche capo di ribelli?
In quell'istante
Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente
il turco che gli veniva dietro.
- Fermati, per mille
demoni! esclamò egli con voce alterata.
- Che hai veduto? chiese
Hassarn sorpreso.
- Zitto!...
In lontananza si udiva il
suono del tamburello che l'eco delle foreste ripeteva distintamente.
Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.
- Odi Hassarn? domandò
egli con un filo di voce.
- Sì, che odo. Deve
essere qualche arabo che suona il tamburello.
- No, non è un arabo!
esclamò vivamente Abd-el-Kerim.
- Come lo sai tu?
- È una donna, io l'ho
udito ancora questo tamburello, disse l'arabo con maggior animazione.
- Per Allàh! Andiamo a
vedere, Abd-el-Kerim.
L'arabo lo afferrò
vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.
- Tu non sai di quale
donna io intenda parlare, gli disse.
- Parla di quella che
vuoi, io vado innanzi.
- Quella che suona è
Fathma!....
Il turco lasciò sfuggire
una esclamazione di sorpresa.
- Hassarn, continuò
Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò
all'almea.
- Tu sei pazzo. Io
voglio vedere Fathma.
- Hassarn, tu non lo
farai, disse recisamente l'arabo.
- Ma disgraziato, e non
pensi che sei promesso a Elenka.
- Io spezzo il nodo e mi
getto corpo e anima fra le braccia di Fathma. Ho il sangue che mi brucia le
vene e il cuore che batte per l'almea6. Lasciami solo.
Il turco lo guardò con
compassione.
- Tu ti perdi,
Abd-el-Kerim7, gli disse con dolce rimprovero. Fa come vuoi; io ti
aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.
L'arabo chinò il capo
sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:
- Vo' gettar la mia vita
ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il
luogo ove risuonava il tamburello.
Aveva la testa in fiamme
e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e
camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il
serpente viene attirato dal flauto dell'incantatore.
In breve tempo giunse in
una vasta radura contornata da maestosi tamarindi sulle cui cime strillavano
numerosi scimmiotti. Egli si fermò frenando a grande stento un grido di gioia.
Là, sulle rive di un
ampio stagno cosparso di grandi foglie di loto sacro, se ne stava ritta l'almea
col tamburello in mano, i capelli neri sciolti sulle spalle e una bianca farda
gettata pittorescamente su di un braccio. Vista così, sotto una pioggia di
raggi solari che si riflettevano sui monili e sui braccialetti d'oro che le
cingevano il collo e le nude braccia, la si sarebbe presa per una apparizione
celeste, per una urì del paradiso di Mohammed il profeta.
Abd-el-Kerim sentì
mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse
macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S'arrestò a pochi passi
dall'almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo
cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti.
- Fathma!... Fathma!
mormorò con voce tremante.
L'almea si volse
verso di lui.
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