CAPITOLO VIII. - Il prigioniero.
Dal sud soffiava un
vento impetuosissimo, caldo come se uscisse da un forno acceso, il quale
curvava e scuoteva fortemente le palme isolate e le piantagioni di durah
e sollevava colonne di fine sabbia che s'innalzavano roteando e correndo per la
pianura fino a spezzarsi contro le colline o contro i tugul di
Hossanieh. Tratto tratto un lampo abbagliante livido, tremulo, rompeva la fitta
tenebrosità, seguito poco dopo da un lungo e lontano stridio, paragonabile al
rumore che fa un carico di lamine di latta trascinato a corsa per le vie.
I beduini, col taub
tirato in sulla bocca per non avere le fauci riempite dalla sabbia, e l'jatagan
e le hàrbas (lancie) in mano, per essere pronti a diffendersi, caso mai
venissero assaliti, marciando nel più profondo silenzio, in capo ad un'ora
giunsero a un duecento passi d'Hossanieh, dove fecero alto fra due colline
abbastanza elevate per nasconderli.
Fit Debbeud fece legare
i mahari in cerchio obbligandoli a inginocchiarsi, pose due uomini di
guardia accanto ad essi, e col rimanente della banda si spinse fino nei
dintorni del campo egiziano e precisamente dietro ad un macchione d'acacie
gommifere, dove potevansi imboscare e saltare addosso ad Abd-el-Kerim appena
che fosse vicino.
- Silenzio, disse lo
sceicco, chiamando attorno a sè i suoi uomini, e state ad ascoltare quanto vi
dico. Io mi reco al campo egiziano, poichè occorre un uomo astuto e coraggioso
per tentare l'impresa e saperla condurre a buon fine senza destare sospetti.
Vado a prendere l'arabo, lo conduco fuori del campo e mi dirigo da questa
parte; al primo fischio che io mando, tutti adosso e poi via di trotto verso i mahari,
Ricordatevi che qui si giuoca la pelle.
- Sta bene, risposero in
coro i banditi.
- E gli Egiziani? chiese
uno di essi. Sono distanti appena ottocento passi.
Fit Debbeud alzò le
spalle e un sorriso sprezzante sfiorò le sue labbra.
- Gli Egiziani non si
muoveranno, ve lo dico io, diss'egli. Urleranno come cani, ma non ardiranno
inseguire Fit Debbeud e i suoi beduini.
Si sbarazzò del coftan
e dell'archibuso, armò le pistole che si passò nella cintola, si assicurò se l'jatagan
scorreva nella guaina e marciò dritto verso gli avamposti egiziani che
bivaccavano al chiarore dei fuochi a gran pena tenuti accesi.
- Chi va là? gridò una
sentinella prendendolo di mira.
- Getta abbasso il tuo
fucile che mi reco dal tenente Abd-el-Kerim, rispose il bandito. Anzi conducimi
alla sua tenda se non vuoi che Dhafar pascià ti faccia accarezzare le spalle
col corbach (staffile di pelle d'ippopotamo).
Ad un fischio della
sentinella un soldato accorse e il bandito fu fatto entrare nel campo e
accompagnato verso la tenda dell'arabo.
- Se tu sai,
Abd-el-Kerim, trovasi solo nella sua tenda? chiese Debbeud al soldato che lo
precedeva.
- Credo che sia col
capitano Hassarn.
- Chi è questo capitano?
- L'amico del tenente
Abd-el-Kerim.
Il bandito aggrottò la
fronte o fece un gesto dispettoso.
La faccenda comincia a
diventare imbrogliata, mormorò egli. Se questo Hassarn seguisse l'amico? B'Allai!
(Perdio!) Sarà difficile rapirli tutti e due e poi, per che farne dell'altro?
Se ci secca gli passeremo una scimitarra attraverso il corpo e lo manderemo
diritto in paradiso a tener compagnia al Profeta.
Fermati, disse il soldato,
arrestandosi dinanzi ad una tenda.
- Spicciati, rispose il
bandito. Digli che io vengo da Hossanieh e che mi manda una bella donna che si
chiama... alto là, amico mio.
Il soldato entrò nella
tenda e poco dopo uscì.
Il tenente ti aspetta,
entra, gli disse.
- È solo?
- No, col capitano
Hassarn.
Lo sceicco cacciò fuori
una bestemmia, ma non si smarrì. Colla testa alta e colle mani sui calci delle
pistole si fece innanzi e si fermò dinanzi all'arabo che stava sdraiato su di
un tappeto, vicino ad Hassarn. I tre uomini si esaminarono con curiosità e
quasi con diffidenza.
- Tu hai detto di venire
da Hossanieh, non è vero? chiese Abd-el-Kerim.
- Sì, e mi mandò una
donna che tu conosci, rispose Debbeud, sbirciando di traverso i due uomini.
Abd-el-Kerim si scosse e
s'alzò come spinto da una molla.
- Chi è quella donna?
chiese egli, avvicinandoglisi.
- Credo che si chiami
Fathma.
- Ed essa ti mandò da
me? È impossibile!
Fit Debbeud, quantunque
fosse coraggioso, fremette, e si guardò13 indietro per essere pronto a
prendere il largo.
- Cosa ci trovi di
strano? chiese egli, esitando.
- Fathma ha degli
schiavi a sua disposizione.
- Si vede che ha
preferito mandar me, ecco tutto.
- E sai che vuole da me?
Corre forse qualche pericolo? domandò l'arabo con ansietà.
- L'ignoro, rispose
Debbeud. Credo però che farai bene a venire subito a Hossanieh. Mi pareva assai
agitata.
Abd-el-Kerim guardò
Hassarn che non staccava gli occhi dal volto dello sceicco.
- Che ne dici, Hassarn?
gli chiese.
- Non so quale pericolo
possa correre Fathma, ora che Notis è morto, tuttavia si può andare a vedere
ciò che desidera. Chi sa!
Abd-el-Kerim cinse la
scimitarra e si pose in capo il fez. Hassarn lo fermò nel momento che stava per
seguire il bandito.
- Abd-el-Kerim, gli disse
sottovoce. Sta in guardia.
- Che temi? Ho la mia
scimitarra e questo sceicco mi pare che non sia un uomo capace di arrischiare
la sua vita contro di me.
- Può darsi; ad ogni
modo ti terrò d'occhio fino alla casupola.
Debbeud e l'arabo
uscirono. Faceva sempre oscuro assai e il vento soffiava con maggior violenza
facendo ondeggiare le tende degli accampati e atterrandone più d'una; in cielo
correvano densi nuvoloni che s'accavallavano confusamente e il tuono rullava in
lontananza.
Fit Debbeud precedette
l'arabo fino agli avamposti, poi gli si collocò a fianco colla dritta
sull'impugnatura dell'jatagan.
- Soffia il simum,
dissegli poco dopo.
- Lo sento, rispose
Abd-el-Kerim distrattamente.
- Credo che faremo bene
a tenerci sotto le colline per non inghiottire una porzione di sabbia e per non
diventare ciechi.
- Come vuoi.
Un lampo rischiarò la
pianura e sotto la macchia dove si tenevano imboscati i beduini, brillarono
delle armi. Abd-el-Kerim si fermò.
- Chi si tiene sotto
quel macchione? diss'egli.
- Alcuni basci-bozuk,
rispose Fit Debbeud. Gli ho veduti poco fa quando passava accanto a quel gruppo
di acacie.
- Sei sicuro di non
esserti ingannato? Si dice che alla notte alcuni ribelli vengono a ronzare
attorno al campo.
- Ho parlato con loro e
m'inviarono la buona notte. Non hai nulla a temere, tenente. Allunghiamo il
passo.
Erano giunti a pochi
passi dalla macchia. Fit Debbeud si mise a zuffolare un'aria dongolese; d'un
tratto passò dietro all'arabo e l'afferrò per le braccia tentando con una
brusca scossa di rovesciarlo.
Abd-el-Kerim, che per
l'avvertimento d'Hassarn tenevasi in guardia, fu pronto, con una vigorosa
strappata, a liberarsi e a fare un salto indietro.
- Ah! traditore! esclamò
egli, sguainando la scimitarra.
Lo sceicco lo caricò
furiosamente coll'jatagan, spiccando salti da leone, girandogli
vertiginosamente attorno per colpirlo alle spalle. Vibrò tre o quattro colpi
che furono ribattuti, ricevendo anzi una scalfittura in una spalla.
- A me, beduini! gridò
egli, digrignando i denti come una iena.
La banda saltò fuori,
correndo addosso all'arabo e circondandolo.
- Aiuto, Hassarn, urlò
Abd-el-Kerim, cercando respingere gli assalitori.
Tre o quattro fucilate
scoppiarono verso il campo e s'udirono le sentinelle gridare l'allarme. Una seconda
scarica mandò a gambe levate due beduini.
Non vi era da perdere un
solo istante; un forte drappello di Egiziani si avanzava a passo di corsa colle
baionette in canna e alcuni basci-bozuk bardavano in furia i cavalli. Fit
Debbeud si scagliò fra le gambe dell'arabo che gli cadde sopra lasciandosi
sfuggire di mano la scimitarra.
- Afferratelo!
afferratelo! esclamò il bandito trattenendolo per la cintola.
Abd-el-Kerim tentò con
uno sforzo disperato di risollevarsi, ma uno dei beduini lo fece ricadere assestandogli
sul capo un terribile colpo col calcio dell'archibuso. In un batter d'occhio fu
legato solidamente e trascinato via, nel mentre che una terza scarica di fucili
partiva dal campo gettando a terra un altro bandito.
I beduini, preceduti da
Fit Debbeud attraversarono come un uragano la pianura, si gettarono in mezzo
alle colline e in men che lo si narri giunsero ai loro mahari. Fit
Debbeud salì in sella coll'arabo, che stordito dalla percossa non opponeva la
più debole resistenza e diede subito il segnale della partenza.
I venti mahari
eccitati dalla voce e dalle sferzate partirono celeramente dirigendosi verso le
foreste del Bahr-el-Abiad, lontane una diecina di miglia. Alcuni basci-bozuk si
diedero a inseguirli mandando alte grida e agitando freneticamente le loro
lancie, ma alcune archibusate li misero in fuga.
- Bravi, ragazzi!
esclamò Fit Debbeud. Sferzate! Sferzate!
Le tenebre ed il vento
che continuava a sollevare cortine di sabbia, favorirono la ritirata che si effettuava
colla rapidità prodigiosa. Le sferzate e gli ich! ich! pronunciati in
furia mettevano le ali ai mahari che divoravano la via.
Fit Debbeud, nel mentre
che galoppavano in gruppo serrato, si chinò su Abd-el-Kerim che teneva stretto
fra le braccia e lo toccò in volto colla punta del suo jatagan,
facendogli uscire una goccia di sangue. L'arabo aprì gli occhi e lo guardò
fissamente.
- Bravo arabo, disse lo
sceicco14 sorridendo. Si vede che tu sei di buona razza, formato tutto
di ferro di buona tempra. Mi conosci tu?
- Aspetto che tu mi dica
chi sei, rispose Abd-el-Kerim freddamente.
- Mi chiamo Fit Debbeud,
ma nel Dongola mi si conosce meglio per la Jena del Sudan. È probabile che tu
oda questi nomi per la prima volta.
- Mi vanto di non aver
mai udito questi nomi che puzzano da bandito a una giornata di cammino.
- Come sai tu che io
sono un bandito? Sono lo sceicco di questi beduini.
- Per venire al campo,
assalirmi a tradimento e portarmi via non bisogna essere che briganti o figli
di quel cane di Mahdi. Queste piastre vuoi pel mio riscatto?
- Si vede che hai dello
spirito, cane di un arabo. Voglio vedere se ne avrai altrettanto quando porrò
sulla tua bruna pelle certe bestioline.
- Quale scopo hai per
rapirmi? chiese sprezzantemente Abd-el-Kerim.
- Fra poco lo saprai,
rispose lo sceicco.
Chiuse la bocca al
prigioniero con un pugno che gli fe' sanguinare i denti, poi rizzandosi sulla
gobba del mahari gridò:
- Dritti alle ruine
d'El-Garch, ragazzi miei.
La banda era allora
giunta sul limitare delle grandi foreste del Bahr-el-Abiad, i cui alberi si
curvavano con mille scricchiolii e con mille gemiti sotto i soffi del simun.
Fit Debbeud spinse il
suo mahari sul sentieruzzo stretto e tortuoso e s'arrestò dinanzi a El
Garch, le cui ruine si alzavano come fantasmi fra la profonda oscurità.
- Alto là! comandò egli,
volgendosi verso la sua banda.
Fece inginocchiare il mahari
con un semplice: khh! khh! sospirato, si gettò sulle spalle Abd-el-Kerim
e dopo averlo avvolto strettamente nel suo taub lo consegnò ai suoi
satelliti.
- Lo condurrete nel
sotterraneo, gli disse. Se oppone resistenza torcetegli i polsi fino a
snodarli.
Entrò nella sua tenda
dove il greco sonnecchiava fra un monte di tappeti. Con un fischio lo fece
saltare in piedi.
- Eccomi tornato, mio padrone.
- Ah! esclamò Notis, sei
qui finalmente? Come andarono le cose?
- Il colpo è riuscito
pienamente, rispose Fit Debbeud. Ho perduto tre uomini ma tu me li pagherai con
sei cammelle.
- È in tua mano adunque?
Mille tuoni!...
- Sì e senza essere
stato avariato dagl'jatagan.
- Ah! cane d'un rivale!
gridò il greco con gioia feroce. Se non vi fosse Elenka di mezzo, vorrei farti,
sotto questa tenda e in mia presenza, uscire tutto il sangue che hai in corpo.
- Se vuoi che glielo faccia
uscir io mi divertirò immensamente.
- No, non lo posso per
mia disgrazia. Morrebbe, e a me interessa che non muoia.
- Si potrà fargliene
uscire mezzo, incalzò lo sceicco.
- Odimi prima, disse il greco
con voce collerica. Un dì, quell'uomo fu il fidanzato di mia sorella, e l'amò
furiosamente e ne fu contraccambiato, poi vide Fathma, si dimenticò della prima
per amare la seconda.
- Ciò vuol dire essere
spergiuri e traditori, ragione di più per farlo morire lentamente e fra i più
atroci tormenti.
- E mia sorella?...
Elenka lo ama, e forse più di prima.
- La faccenda diventa
imbarazzante. E che vuoi fare adunque?
- Fra due o tre giorni
Elenka sarà qui e bisogna che prima del suo arrivo schiacci o meglio svelga dal
cuore dell'arabo l'amore che ha per Fathma.
- Non trovo altro mezzo
che quello di strappargli addirittura il cuore, disse tranquillamente il
bandito.
- Ti ripeto che non deve
morire.
- Aspetta un momento. E
se io mi spacciassi per un amante di Fathma?
- Ebbene?
- Lascia pensare a me o
tu vedrai che gli farò perdere ogni speranza di rivedere Fathma e gli farò
comparire Elenka come una salvatrice. Il Profeta stesso non potrebbe fare di
più.
- Se vi riesci compero
da te Fathma a peso di talleri.
- Non chiedo di più. Ora
andiamo a trovare il mio rivale e poniamo in opera i nostri progetti.
Lo sceicco s'inumidì le
labbra con una tazza15 di merissak, accese un ramo d'albero
resinoso, uscì dalla tenda e guadagnò l'entrata di un corridoio che aprivasi
sotto una specie di piramide smussata e che si sprofondava tortuosamente sotto
terra.
Vi entrò camminando con
precauzione fra rottami d'ogni sorta e s'arrestò, pochi minuti, dopo dinanzi ad
una porticina ferrata e bassa. Tese l'orecchio: al di fuori s'udiva brontolare
il tuono e ruggire il vento sotto le grandi foreste e nel sotterraneo s'udivano
le bestemmie e i lamenti del prigioniero. Un satanico sorriso apparve sulle
labbra dello sceicco.
- Il mio prigioniero si
trova a disagio nel sotterraneo, mormorò egli beffardamente. Lo faremo
diventare idrofobo.
Aprì la porticina ed
entrò in una specie di cantina umidissima e tanto fredda da gelare le membra.
In un canto scorse subito Abd-el-Kerim, addossato alla parete, coi pugni
chiusi, la faccia contratta dalla collera e dal dolore e gli occhi fuori dalle
orbite che schizzavano fiamme. Fit Debbeud emise un grande scroscio di risa che
l'eco ripetè più volte.
- Che fate, giovanotto
mio? chiese egli, sghignazzando.
L'arabo scattò in piedi
come una belva e lo guardò torvamente.
- Miserabile! urlò con
voce strozzata, facendoglisi addosso colle braccia tese.
Lo sceicco trasse
flemmaticamente un pistolone e puntandolo verso di lui, disse duramente:
- Se tu alzi una mano
verso di me, ti faccio scoppiar la testa.
- Sei un brigante! urlò
l'arabo furibondo.
- Si vede che tu conosci
bene gli uomini. Non ti sei ingannato qualificandomi per un bandito.
Abd-el-Kerim lo guardò
sorpreso.
- Ma che vuoi fare di
me? Perchè mi hai rapito? Che ti ho fatto io per cacciarmi in quest'inferno?
Chi te l'ordinò? Chiese con ira concentrata.
- Non credeva che un
uomo par tuo si sentisse in vena di parlar tanto. Meglio così; noi discorreremo
come vecchi amici.
Impiantò la torcia in
terra, si sedette su di un mucchio di rottami, trasse di saccoccia il suo scibouk,
lo riempì e accesolo aspirò tre o quattro boccate di fumo con una flemma che
avrebbe fatto invidia ad un Inglese.
- Tu mi chiedevi il
perchè ti seppellii in quest'inferno, diss'egli, calcando su ogni parola. Se vuoi
che te lo dica schiettamente, una donna è la causa di tutte le tue disgrazie.
Abd-el-Kerim
indietreggiò fino al muro e sentì un freddo sudore imperlargli la fronte. Un
timore, un presentimento sinistro l'assalì.
- Una donna!...
balbettò. Una donna!
- Conosci tu un'almea
che si chiama Fathma?
- Fathma! Fathma tu hai
detto? Che vuol dire? Per Allàh, tu mi schianti l'anima!...
- È proprio per
schiantarti l'anima che io sono sceso in quest'inferno, disse beffardamente lo
sceicco.
- Ah! sciagurato! urlò
il povero arabo facendo atto di saltargli addosso.
- Non muoverti, per
mille saette! gli intimò lo sceicco ripigliando il pistolone con gesto
minaccioso. Sta in guardia, ti ripeto.
Abd-el-Kerim si cacciò
disperatamente le mani nei capelli e mugghiò come un toro.
- Ma che ti feci io,
assassino? che vuoi da me? chiese.
- Odimi, ma non
muoverti, se vuoi che ci lasciamo da buoni amici. Io sono lo sceicco Fit
Debbeud ed amo alla follìa la donna che tu ami.
- Chi?... Fathma?...
- Sì, amo Fathma, ma l'amo,
come ti dissi, alla follìa. Io seppi che tu l'amavi e che ella ti
corrispondeva, e giurai in cuor mio di togliere l'ostacolo che mi sbarrava il
cammino. Ebbi la fortuna di pigliarti e ti seppellii quaggiù per farti crepar
di gelosia e sopratutto di fame.
- Non è possibile!...
Non è possibile!... urlò Abd-el-Kerim. Fathma non ama che me, mi ha giurato che
sarà mia, e mia sarà.
- È ben perchè ha
giurato che sarà tua, che io ti spedisco all'altro mondo. Morto te, mi amerà
voglia o non voglia.
- Ah! Cane!...
- Zitto, giovanotto mio.
Se vuoi vi è un mezzo per riscattare la libertà.
- Quale? chiese l'arabo
che ebbe un raggio di speranza.
- Quello di recarti da
Fathma e di sputarle in volto in segno di supremo disprezzo.
- Taci, miserabile,
taci!... Io ti sbrano co' miei denti!
- Addio, giovanotto,
disse il beduino alzandosi. Oggi stesso partirò per Chartum con Fathma e tu
rimarrai seppellito in questa tana che sarà anche la tua tomba.
L'arabo cacciò un urlo
disperato e si gettò sul bandito, ma questi stava in guardia. Si trasse
prontamente da un lato e gli scagliò su un fianco un sì terribile pugno che il
prigioniero cadde come morto.
- Addio, giovanotto,
ripetè lo sceicco sogghignando.
Lasciò cadere una manata
di datteri, spense la torcia e se ne andò tranquillamente, sbarrando la porta
dietro alle spalle.
Per dieci minuti lo
sventurato Abd-el-Kerim non fu capace di muoversi tanto era stato forte il
pugno scagliatogli dal bandito, poi con uno sforzo disperato si rizzò in piedi
e si precipitò innanzi, colla speranza d'arrivare alla porta. Ma le tenebre
erano profonde ed andò ad urtare contro un muro umido viscido al quale contatto
rabbrividì.
- Aiuto!... Aiuto! urlò
egli con voce semi-spenta.
L'eco del sotterraneo
solo rispose alla disperata invocazione. Egli si mise a correre all'intorno
come un pazzo, urlando e bestemmiando, chiamando Fathma che ormai credeva
perduta, incespicando ad ogni istante, cadendo e risollevandosi. Trovò la
porta, vi cozzò furiosamente contro cercando di scassinarla, ma non riuscì nemmeno
a scuoterla. I capelli gli si rizzarono sulla fronte, la disperazione lo prese
e per un istante gli balenò in mente l'idea d'infrangersi il capo contro le
pareti.
- Aiuto! Aiuto, Fathma!
urlò ancora lo sventurato.
Retrocesse barcollando come
un ubbriaco e tese gli orecchi. Al di fuori tuoneggiava fortemente e s'udiva il
vento urlare nel corridoio; un tuffo impetuoso d'aria umida giunse fino a lui.
- Dove sono? si chiese
egli con una voce che più nulla aveva d'umano. Che è successo? Perchè mi han
rapito? Dov'è Fathma, la mia povera fidanzata, la mia disgraziata almea?
Sono in preda forse ad un terribile incubo?...
Si stropicciò gli occhi,
e si persuase d'essere proprio sveglio e prigioniero in quell'orrido
sotterraneo. Allora si risovvenne delle parole dettegli dallo sceicco Fit
Debbeud.
- Dio!... Dio!...
esclamò egli con profondo terrore. Sarebbe mai possibile che quell'uomo fosse
mio rivale? Sarebbe mai possibile che egli avesse a rapirla deludendo la
sorveglianza di Hassarn?... Fathma! Fathma!... che farò io abbandonato in
questa spaventevole prigione, senza speranza d'aprirmi un varco, senza un'arme
per tentare la fuga, solo, isolato nel mezzo delle foreste del
Bahr-el-Abiad?... Ho paura, ho paura, io divento pazzo!...
Due lagrime gli solcarono
le brune gote; si lasciò cadere a terra, nascose la faccia fra le mani e
pianse. Le ore passarono lente, lente, ma nessun uomo scese nel sotterraneo, nè
alcun rumore s'udì fuorchè gli urli della tempesta che continuava a
imperversare.
Quanto tempo passò? Egli
non lo seppe mai, ma probabilmente più giorni scorsero.
Aveva già perduta ogni
speranza e s'era accoccolato in un angolo della prigione, fiaccato dalla fame e
dalle angoscie, rassegnato a morire, quando un fischio repentino lo tolse dalla
sua disperazione.
Si alzò dopo incredibili
sforzi e si guardò d'attorno. Un vago chiarore trapelava da una piccola
screpolatura, aperta fra le umide pareti. Vi si trascinò sotto e raccogliendo
tutte le sue forze chiamò aiuto.
Udì un nuovo fischio poi
una voce, quella del bandito Debbeud, gridare:
- Olà! Saltate su, che
Elenka è in vista!
Abd-el-Kerim gettò un
ruggito d'ira; la benda gli cadde dagli occhi, comprese tutto. Egli si slanciò
come una tigre verso la fessura, ma le forze gli16 vennero meno e
cadde a terra sfinito, coi pugni minacciosamente chiusi e la schiuma alle
labbra.
Proprio in quell'istante
la sorella di Notis arrivava alle ruine d'El-Garch.
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