CAPITOLO X. - Le due rivali.
Quando uscì dal
sotterraneo, dopo di aver chiusa la porta, non era più la stessa donna che
abbiamo veduta entrare. La sua faccia bella, fiera sì, ma niente affatto truce,
era stravolta in modo da far paura; la tinta pallida era scomparsa per dar
luogo a una tinta bronzina che una collera illimitata rendeva sempre più cupa
fino a diventare mattone; gli occhi profondi, scintillanti, che magnetizzavano,
eransi ingranditi in modo strano e vi si vedevano dentro certi guizzi feroci da
credere talvolta che gettassero fiamme; le labbra di solito sorridenti, erano
increspate che lasciavan vedere i candidi denti convulsivamente serrati e sulla
fronte spiccava una vena azzurra che ingrossavasi a tratti.
Una sete inestinguibile
di vendetta ardeva quella donna veramente terribile nelle sue sfrenate
passioni, una smania feroce l'agitava, una smania di schiacciare l'arabo prima
e la sua rivale dopo, che l'avevano offesa nel suo orgoglio e che le avevano
straziato il cuore.
Ella percorse l'oscuro
corridoio come un lampo e s'arrestò dinanzi ai due dongolesi.
- Il prigioniero?
chiesero.
- Silenzio, disse
Elenka, raucamente. Chiamatemi Notis.
Uno di essi si mise a
urlare per tre volte imitando il lamentevole urlìo dello sciacallo; il canto
melodioso dello sberegrig (merops) vi rispose subito.
Tosto i cespugli
gommiferi s'aprirono e Notis apparve seguito a corta distanza dallo sceicco Fit
Debbeud e da tutta la banda. Egli s'affrettò a raggiungere Elenka che spezzava
nervosamente i robusti steli di alcuni ingiorò dai fiori caliciformi, di
un bel colore roseo.
- Ebbene, sorella?
chiese Notis ansiosamente.
- Nulla, rispose Elenka
con un amaro sorriso.
- Come? Non ti capisco.
- Il traditore è
irremovibile come una roccia.
- Tuoni e fulmini!...
Sì, m'ha disprezzata e
rifiutata. Tutto ho tentato per affascinarlo, ho pregato, ho supplicato, ho minacciato,
ma tutto fu inutile. Non so poi il come, seppe che fu cacciato nel sotterraneo
per vendetta che egli attribuì a me invece che a Fit Debbeud,
- È impossibile! esclamò
il greco. Da chi lo seppe?
- L'ignoro, il fatto è
che m'ha udito arrivare.
- E tu che gli hai
detto?
- Era impossibile
negarlo e gli confessai tutto, attribuendo la colpa a me.
Il greco respirò come
gli si fosse levato un gran peso che gravitavagli sul petto. L'idea di essere
scoperto lo sgomentava.
- Ignora adunque che io sia
vivo? chiese egli con ansietà.
- Perfettamente.
- E adunque, che fai
ora?
- Che faccio? E tu me lo
chiedi? Vado al campo e pugnalo la mia rivale.
- Alto là, sorella.
Fathma io l'amo, è impossibile quindi che io ti dia il permesso di
ammazzarmela.
- Ma io la esecro questa
miserabile che mi rubò Abd-el-Kerim.
- Ed io esecro
Abd-el-Kerim che mi cacciò un pollice di lama nel petto e che mi rubò Fathma,
disse il greco con ira mal frenata.
- E allora?... Notis,
fratello mio, io ti darò tutto ciò che vorrai purchè mi lasci spegnere questa
sete di vendetta che mi brucia l'anima.
- Odimi, sorella.
Perdere Fathma per me è come perdere la vita, tanto io amo quella donna. Io ti
abbandono Abd-el-Kerim che conquistai colla mia astuzia, ti lascio ampia
libertà di tormentarlo, se vuoi anche di farlo morire fra le più atroci
torture, ma bisogna che tu m'abbandoni completamente l'almea, che mi
aiuti per di più a rapirla dal campo. È un contratto quello che ti propongo e
nulla più.
- Io rapirla! esclamò la
greca.
- E perchè no? Tu sei
forte, astuta, conosci Hassarn e Dhafar pascià, e tutto puoi. Se rifiuti io
spezzo il cuore al mio rivale.
La greca lo guardò per
alcuni istanti in silenzio cogli occhi accesi; una subitanea idea le balenò in
mente e l'afferrò di volo.
- Accetto, diss'ella
colla maggior tranquillità.
- Me la porterai proprio
qui?
- Sì, qualora io riesca
a rapirla. Se per te è impossibile a trarla in agguato per me sarà difficile,
tu ben lo sai.
- Non ti dico di no, ma
farai quello che potrai. Se non riesci allora cercherò io qualche altro mezzo
più violento. Quando parti?
- Subito, se così vuoi.
Mi darai per aiutarmi i due dongolesi.
Il greco fece un cenno a
Fit Debbeud che stava seduto lì vicino. Subito dopo tre mahari
accuratamente bardati vennero condotti vicino a Elenka che esaminava la
batteria di una carabina Martini.
- Sorella, le disse
Notis. Non tentare nulla contro l'almea se non vuoi che capiti sfortuna
ad Abd-el-Kerim.
- Non temere di nulla:
mi frenerò.
I mahari vennero fatti
inginocchiare ed Elenka e i due dongolesi salirono in sella.
- Che Iddio ti protegga,
sorella, disse Notis gravemente.
- E che Iddio protegga
Abd-el-Kerim, rispose su egual tono la greca. Non dimenticare che muore di
fame.
L'ich! ich! venne
emesso dai due dongolesi e i mahari partirono di corsa inoltrandosi su
di un largo sentiero coperto di alfek spinoso e fiancheggiato da grandi ardèb
(tamarindi) dai rami lunghissimi ed assai flessibili sui quali strillavano e
facevano mille versacci bande di scimmie di un pelo verde-dorato bellissimo (cercopithecus
fistulosa).
Elenka si volse due o
tre volte verso le ruine di El-Garch, e le sue labbra s'aprirono ad un sorriso
sardonico e quasi compassionevole.
- Hai torto, fratello,
mormorò ella quando perdette di vista le ruine. Tu t'affidi a me e io
approfitterò di questa fiducia. Quando il leone ha fame divora carne ed io
gli20 darò da divorare la carne di Fathma!
Un lampo sinistro guizzò
nei neri suoi sguardi e la sua fronte s'aggrottò. Le sue manine accarezzarono
con feroce compiacenza la brunita canna della carabina, sospesa all'arcione,
La traversata della
foresta del Bahr-el-Abiad si compì felicemente in poco più di tre quarti
d'ora. I tre mahari sostarono un momento presso le ultime palme deleb
poi ripresero la celere loro corsa attraverso le pianure, dirigendosi verso
Hossanieh i cui tugul apparivano distintamente, inondati dai cocenti
raggi del sole che cominciava a discendere all'occaso.
Trottavano da un'ora ed
erano giunti ad un gran macchione di acacie, quando Elenka gettò
improvvisamente il chrr! chrr! pronunciandolo così in furia che i mahari
s'arrestarono di colpo a rischio di far balzare di sella coloro che li
montavano.
- Che succede? chiesero
i dongolesi, portando istintivamente lo mani alla loro harba.
- Fermi tutti, disse
Elenka con un tono di voce che non ammetteva replica.
Fece inginocchiare il
suo mahari, saltò a terra e si internò silenziosamente nella macchia
fino a raggiungere il lembo estremo. Ella s'arrestò cogli occhi fissi su due uomini21
che si dirigevano a lenti passi a quella volta.
- Bene, mormorò ella con
gioia. Quello là è Hassarn, lo riconosco, e l'altro è Omar, lo schiavo di
Abd-el-Kerim. Dove si dirigono essi?
Si cacciò sotto ad un
cespuglio aggomitolandosi su sè stessa come una serpe e attese pazientemente
che le passassero vicini. Non corse molto tempo che udì i loro passi e Hassarn
che diceva al compagno:
- Sei proprio sicuro che
furono dei beduini a rapirlo?
- Sì, capitano, rispose
Omar. Mussa che era in sentinella vicino gli ultimi tugul d'Hossanieh,
li vide saltar fuori da una macchia e gettarsi su di lui come tanti leoni. Il
mio povero padrone fu oppresso dal numero.
- E ti dissero che?....
- Che presero la via che
conduce a Sceh-el-Mactud.
- A me parve che fuggissero
verso le foreste del Bahr-el-Abiad.
- Mussa sostiene il
contrario. Tirava vento e la notte era troppo oscura per vederci bene; è
probabile quindi che vi siate ingannato.
- Povera Fathma! esclamò
Hassarn, sospirando.
- È agitata?
- Ho paura che abbia a
diventare pazza, Omar. Chi mai lo fece rapire? A quale scopo? Se fosse vivo
Notis, ma è morto da un bel pezzo. Orsù, cerchiamo verso Sceh-el-Mactud, Chi
sa?...
Essi s'allontanarono
senza aggiungere parola, dirigendosi verso il sud a passi più rapidi. Elenka
appena li perdette di vista saltò fuori e si diresse di corsa verso i mahari.
- Fathma è sola, mormorò
ella. Ci troveremo l'una di fronte all'altra!
Saltò in sella, e lanciò
il mahari alla carriera sempre seguita dai due dongolesi. Dopo dieci
minuti giungevano dinanzi al villaggio arrestandosi presso un gruppo di arabi
occupati a dissetare le loro vacche dal pelo tigrato.
- Voi rimarrete qui,
disse Elenka ai dongolesi. Quando mi vedrete uscire da quella casupola che
vedete laggiù, mi seguirete alla lontana, e non perderete di vista la donna che
avrò meco. Al primo fischio che io emetto vi getterete su di lei e la ridurrete
all'impotenza. Vi sono dieci talleri da guadagnare.
- Contate su di noi,
risposero i dongolesi.
La greca s'avvolse accuratamente
nel suo candido taub nascondendosi parte della faccia e s'incamminò
verso la casupola di Fathma statale precedentemente descritta da Notis. Un
negro armato di fucile la fermò nel momento che varcava la soglia.
- Sono la sorella del
capitano Hassarn, diss'ella pacatamente. Lasciami libero il passo; devo parlare
a Fathma.
Il negro non ardì a
respingerla. Elenka salì i gradini come spintavi da una molla, colla fronte
aggrottata, la collera negli occhi e una mano sull'impugnatura d'ebano del suo
pugnale, passato fra le pieghe della fascia.
Il cuore saltellavale
nel petto, nubi di fuoco passavanle dinanzi alla vista e sentiva il sangue
accendersi e turbinare nelle vene. Ebbe paura di non potersi dominare in
presenza dell'odiata rivale.
Ella si slanciò come una
leonessa nella prima stanzuccia che si vide dinanzi; subito si fermò lasciando
sfuggire una esclamazione sorda.
Sdraiata su di un angareb
tra morbidi tappeti trapunti d'oro, se ne stava Fathma coi lunghi capelli neri
sciolti sulle nude spalle, colla testa appoggiata ad una mano ed il suo
tamburello d'almea ai piedi. La sua faccia tanto bella e tanto fiera
portava le traccie di atroci sofferenze e i suoi occhi rilucevano d'un fuoco
selvaggio. Pareva in preda a una cupa disperazione che invano sforzavasi di
vincere, e tratto tratto qualche cosa d'umido solcava le vellutate e abbronzate
gote.
Alla vista della
sconosciuta che entrava in quella furia, ella s'alzò lentamente squadrandola
più con curiosità, che con collera. Elenka sostenne imperterrita quello sguardo
di fuoco che gareggiava in potenza col suo.
- Chi sei? chiese l'almea
con voce brusca.
Elenka si volse
indietro, chiuse la porta col chiavistello e si mise in tasca la chiave. L'almea
non dissimulò un gesto di sorpresa e fece due passi verso la finestra, forse
per chiamare il negro che vegliava sulla via, ma la greca fa pronta a sbarrarle
il passo.
- Chi sei? ripetè l'almea
duramente.
- Non mandare un grido,
non tentare nulla, disse Elenka risolutamente. Voglio parlarti.
- Non ti conosco.
- Mi conoscerai fra
poco. Non sei tu Fathma?
- Ebbene?
- L'amante dell'arabo
Abd-el-Kerim?
Abd-el-Kerim! esclamò l'almea.
Che sai tu del mio fidanzato? Dove trovasi egli? Vieni a dirmi qualche cosa?
Parla, parla, che ho il cuore infranto.
Un beffardo sorriso
apparve sulle labbra della vendicativa greca e il cuore le si allargò dalla
gioia. La rivale soffriva; era per lei una felicità.
- Io so più di quello
che tu credi, ma voglio sapere una cosa prima, diss'ella.
- Parla, parla, io sono
tua, rispose l'almea con emozione. Io ti dirò tutto quello che tu
vorrai, purchè mi additi ove trovasi il mio Abd-el-Kerim, il mio fidanzato.
- Dimmi da dove vieni,
bisogna che io lo sappia.
- Da El-Obeid. Fui
la favorita di Mohamed Ahmed il Mahdi del Sudan.
- Ah! fe' la greca
sogghignando. Fosti la favorita del ribelle Ahmed!
- Che trovi tu di
strano? Io vo' superba d'aver appartenuto a un tal uomo, all'inviato d'Allàh.
- Non trovo nulla di
straordinario. Un'almea sarà sempre un'almea.
Fathma alzò il capo con
fierezza e le lanciò una occhiata sprezzante.
- Quale scopo avevi
quando salisti da me? domandò ella. Non ti conosco, sento istintivamente che
tutto ho da temere da te, che tu hai degli strani progetti nel tuo capo;
vattene che io non ti cerco. Abd-el-Kerim saprò trovarlo da me.
- Sai chi io sono? disse
la greca senza muoversi.
- Non mi curo di
saperlo.
- Voglio che tu lo
sappi.
- Non abusare della
pazienza di Fathma. Irritata diventa una leonessa.
- Ed io una iena assetata
di sangue capace di sbranare anche la leonessa.
L'almea fremette
di collera e le additò superbamente la porta.
- Fathma, disse la greca
con rabbia concentrata. Hai mai saputo tu, che Abd-el-Kerim abbia lasciata a
Chartum una fidanzata?
Quella domanda gettata
là freddamente fece su Fathma l'effetto di un morso al cuore. Ella balzò
indietro gettando un ruggito furioso, coi denti convulsivamente stretti,
pallida d'ira e le sue braccia s'allungarono verso un tavolo sul quale stava un
jatagan snudato.
- Chi sei?... Chi
sei?... gridò con voce strozzata.
Elenka svolse lentamente
il taub e lo gettò a terra. Ella apparve dinanzi all'almea
vestita colla sua casacchetta a maniche strette con sottili spallini listati in
oro allargantisi in punta, colla sua tunica a pieghe, stretta in vita e che non
oltrepassava il ginocchio, cinta da una fascia di seta rossa e oro, bella,
superba, affascinante nel suo costume greco. Ella posò una mano sul calcio di
una pistola e l'altra sul pugnale passati nella cintura.
- Guardami in volto,
Fathma, io sono Elenka la fidanzata dell'arabo Abd-el-Kerim!...
- Elenka! esclamò Fathma
con accento feroce.
Le due rivali si erano
raccolte su se stesse come per islanciarsi l'una addosso all'altra; l'almea
aveva impugnato l'jatagan e la greca aveva levata la pistola e l'aveva
armata. Esse si squadrarono per alcuni istanti provocandosi collo sguardo,
- Fathma, disse d'un
tratto la greca con voce stridula. Io ti odio!
- Ed io ti disprezzo e
vorrei averti nelle mie mani per dilaniarti le carni.
- Odimi, abborrita
rivale. Noi amiamo tutte due Abd-el-Kerim; è quindi necessario che una di noi
scompaia dalla terra.
- Non chiedo altro che
di misurarmi con te e di assassinarti, rispose Fathma che fremeva tutta
dall'ira.
- Se noi ci assaliamo in
questa stanza qualcuno potrebbe udire le nostre grida e venire a separarci. Sei
tu tanto coraggiosa da seguirmi nella foresta? Nessuno ci vedrà e potremo
scannarci a nostro agio.
- Vieni, maledetta
greca!
- Prendi un fucile, che
noi ci batteremo a fucilate. Ti conviene?
- Sì, perchè ti spezzerò
il cuore con una palla.
- Ed io ti fracasserò
quel superbo capo che dopo aver affascinato il ribelle Ahmed affascinò
Abd-el-Kerim. Lo deformerò così orribilmente che nessuno riconoscerà più nel
tuo cadavere l'almea Fathma.
Un sorriso sprezzante e
insieme incredulo sfiorò le labbra dell'araba; lanciò lungi da sè l'jatagan,
si gettò sulle spalle una magnifica farda ricamata in oro e staccò da un
chiodo una carabina rabescata e incrostata d'argento.
- Con quest'arma
abbattei più che dieci leoni, diss'ella fissando Elenka che s'avvolgeva nel suo
taub. Oggi abbatterò te!...
- È ciò che io voglio
vedere, o mia rivale. Vieni! rispose la greca.
Le due rivali
abbandonarono la stanza e scesero nella via, nel mezzo della quale stavano i
tre mahari guardati dai dongolesi. Bastò un cenno di Elenka perchè due
degli animali venissero condotti dinanzi ad esse; vi salirono e pochi secondi
dopo trottavano verso le foreste del Bahr-el-Abiad.
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