CAPITOLO XII. - Il salvatore.
Nel mentre la
vendicativa Elenka poneva in esecuzione la mostruosa vendetta contro la rivale.
Abd-el-Kerim languiva negli umidi sotterranei delle ruine di El-Garch.
L'infelice, da che aveva avuto la visita dell'antica sua fidanzata, e da che
aveva udito le sue minaccie e i suoi propositi di vendetta, non aveva avuto più
pace.
In sulle prime, quando
trovossi solo, si era avventato come un pazzo contro la ferrata-porta
rompendosi le dita e le unghie, cercando di scuoterla e d'atterrarla, chiamando
disperatamente la greca, supplicandola di nulla tentare contro la povera almea,
poi quando s'avvide di non essere udito nè di poter uscire, fu preso da un
tremendo accesso di furore che poteva chiamarsi delirio.
Si credette rinchiuso in
quell'umida spelonca per morirvi di fame. Si mise a correre attorno alle gelide
pareti cercando un'apertura, urlando come un dannato, bestemmiando Dio e il
Profeta, si gettò per terra rotolandosi fra le pozzanghere, e tre volte
precipitossi contro le pietre colla testa bassa, colla idea fissa di spaccarsi
ii cranio, ma fosse un barlume di speranza, la paura di lasciar sola Fathma
nelle mani della vendicativa greca o che altro, sempre s'arrestò. Quando le
forze gli vennero meno, lo sciagurato si trascinò in un angolo e si rannicchiò
su sè stesso, piangendo e ruggendo ad un tempo, coll'anima schiantata da paure
e da angoscie inenarrabili.
Egli fu strappato da
quell'abbattimento sei o sette ore dopo, da un vago chiarore che penetrava
sotto la fessura della porta ed un avvicinarsi di passi che l'eco della
spelonca ripercuoteva distintamente. Una subitanea idea balenò nel suo cervello
quantunque scosso da tante sofferenze fisiche e morali, una idea ardita, quasi
impossibile, l'idea di tentare la fuga colla speranza di salvare Fathma prima
che cadesse nelle mani della sua spietata rivale.
Era allora ritornato
completamente in sè e le forze, poche ore prima esauste dal delirio, gli erano
se non del tutto, almeno in parte tornate. La sete della libertà, in quel
momento decisivo gliele raddoppiò, più ancora, gliele triplicò.
Con un salto andò ad
appostarsi dietro alla porta, colle mani tese innanzi pronto a piombare
sull'individuo che scendeva e torcergli il collo prima che potesse gettare un
grido e difendersi.
I passi che rapidamente
s'avvicinavano, si arrestarono dinanzi alla porta; fu tirato il chiavistello e
un beduino apparve con una torcia nella dritta e un paniere di logna
(grano triturato sulla moràka e ridotto in pasta) nella sinistra. Era appena
entrato che Abd-el-Kerim gli saltava addosso stringendolo alla gola con tal
forza da strozzargli la voce e farlo cadere sulle ginocchia. Con un pugno su di
una tempia lo gettò a terra mezzo morto.
- Zitto, miserabile!
disse l'arabo fremente.
- Grazia, balbettò il
beduino.
Abd-el-Kerim gli strappò
l'jatagan dalla cintura e prima che l'altro potesse parare il colpo
glielo cacciò attraverso il ventre. Con una seconda sciabolata lo irrigidì.
- E uno, mormorò l'arabo
freddamente. Se Allàh e il Profeta m'aiutano, Fathma è salva!
Tolse al morto le
pistole e le munizioni, inghiottì in furia alcuni bocconi di logna per
calmare la fame e si cacciò risolutamente nel corridoio coll'jatagan in
mano.
Faceva oscuro assai,
essendosi la torcia del beduino spenta, di più, la via era ingombra di rottami
che rendevano malagevole il cammino, ma Abd-el-Kerim non si smarriva. Tastando
le pareti, cadendo e rialzandosi, facendo il meno rumore che fosse possibile,
giunse in brev'ora a una ventina di passi dall'uscita. S'arrestò vedendo un
beduino fermo dinanzi, il quale, scorgendolo gridò:
- Olà! spicciati
Sceiquek che non abbiamo tempo da perdere.
L'arabo non sapendo cosa
rispondere e temendo che riconoscesse la sua voce, credette bene di tacere e di
tirarsi lestamente indietro.
Il beduino fece due o
tre passi nel corridoio.
- Chi è là? chiese egli.
Sei tu Sceiquek?
Non ricevendo ancora
risposta s'avanzò coll'hàrba in resta, Abd-el-Kerim si diede alla fuga e
si nascose in una incavatura della parete coll'jatagan alzato.
- Per la barba del
Profeta rispondi, gridò per la terza volta il beduino. Non fare scherzi,
maledetto Sceiquek.
Abd-el-Kerim emise un gemito lugubre. Il beduino si fermò indeciso e forse spaventato,
poi si fece animo e tirò avanti colla lancia sempre innanzi a sè. Egli passò
rasente al muro opposto a quello dove trovavasi l'arabo e continuò a camminare
chiedendo di quando in quando:
- Rispondi, Sceiquek,
maledetto dal Profeta. Dove ti sei cacciato tu?
Abd-el-Kerim aspettò che
si fosse allontanato, poi saltò fuori e si precipitò verso l'uscita del
corridoio, ma non ebbe il tempo necessario per condurre a buon fine l'audace
progetto. Dieci o dodici beduini sbarravano l'apertura e l'accolsero con urla
minacciose dirigendo verso di lui le lance e gli jatagan.
Per un momento il
fuggiasco ebbe l'idea d'avventarsi furiosamente contro di loro e d'aprirsi il
passo colla forza, ma male armato e mal fermo com'era, non lo ardì e retrocesse
di corsa. A mezza via si incontrò col beduino che era poco prima entrato, il
quale gli si faceva addosso a testa bassa.
- Arrenditi, cane d'un
arabo! gli urlò l'assalitore.
Abd-el-Kerim evitò un
colpo di lancia tiratogli proprio in mezzo al petto, spezzò col rovescio dell'jatagan
l'arma e s'internò nel corridoio scaricando una delle sue pistole. S'arrestò
vicino alla porta prendendo l'altra pistola, risoluto di difendersi sino all'estremo
prima di farsi ammazzare e guardò se il nemico s'avanzava.
Non distinse nulla ma
udì le grida minacciose dei beduini e i loro passi. Un freddo sudore gli colò
sulla fronte e un tremito di spavento e d'angoscia lo prese.
- Sono perduto, mormorò egli.
Le voci andavano
avvicinandosi lentamente e a quelle univasi un cozzar di daghe. Si rannicchiò
dietro a un macigno e caricò rapidamente la pistola che aveva scaricata.
- Piano, piano, gridò
una voce, che riconobbe per quella dello sceicco Debbeud. Dove è andato
a finire, innanzi a tutto, quel povero diavolo di Sceiquek?
- Se quel cane d'arabo
era nel corridoio l'avrà ammazzato, rispose un'altra voce.
- Ma come? egli non
possedeva alcuna arma che io sappia, ed era mezzo morto di fame. Hai veduto
nulla tu Mussa?
- Non potei arrivare
alla porta, ma nell'uomo che fuggiva riconobbi perfettamente il prigioniero ed
era armato di un jatagan che mi tagliò l'hàrba.
- Olà! gridò una
vociaccia imperiosa, tirate innanzi, ira di Dio! L'arabo, vivo o morto, ma
possibilmente vivo, bisogna pigliarlo.
Quella voce fece
scattare in piedi Abd-el-Kerim.
- Sogno! esclamò egli
con profondo terrore. Gran Dio!...
Si sporse innanzi,
rattenendo il respiro, colla faccia livida, tutto in sudore, i pugni chiusi
convulsivamente attorno alle armi.
- Ira di Dio! gridò la
medesima voce. Avanti tutti!
Abd-el-Kerim gettò un
grido strozzato e retrocedette suo malgrado.
- Notis! Notis! ripetè
egli. Non l'ho dunque ucciso io?... Ah! mostro!
Varcò la porta e andò a
tasteggiare il suolo fino a che trovò il cadavere del beduino. L'alzò, se lo
gettò in ispalla, se lo fece scivolare sul petto in maniera che gli servisse in
certo qual modo di scudo, e si spinse innanzi, cieco di collera e assetato di
vendetta.
- Avanti, Notis! gridò
egli con terribile accento. Io t'ho scoperto!
- Ira di Dio! urlò il
greco. È lui!
Da una parte e
dall'altra s'udì un rumore delle pistole che si montavano, poi la voce tonante
di Fit Debbeud urlare:
- Tutti avanti!
Abd-el-Kerim s'appoggiò al
muro indeciso, non sapendo se arrischiare la vita per una quasi impossibile
vendetta o d'asserragliarsi nel sotterraneo e aspettare gli eventi. Stava per
ritirarsi quando vide le torcie dei beduini.
Tese la dritta armata di
pistola, mirò un secondo e fece fuoco. La detonazione fu seguita da un urlo
straziante e uno dei beduini capitombolò al suolo cadendo sulla torcia che
portava.
- Aiuto! rantolò il
poveretto, dibattendosi e cercando di alzarsi.
Abd-el-Kerim con una
seconda pistolettata lo fece ricadere al suolo. Tutti gli altri batterono
rapidamente in ritirata scaricando le loro armi, che a causa dell'oscurità, non
riuscirono a far male alcuno all'arabo.
- Ira di Dio! tuonò
Notis. Arrenditi Abd-el-Kerim!
- Ah! se ti potessi
cogliere, maledetto morto risuscitato, gridò l'arabo. Fatti avanti che ti veda
in faccia se sei un fantasma od un uomo!
Per risposta s'ebbe due
colpi di pistola e un proiettile andò a colpire il cadavere che teneva in
ispalla. Al chiarore della polvere accesa, egli scorse in quel momento, di
fronte a lui, presso la volta della galleria, un gran crepaccio che pareva
s'internasse assai nella parete. A mala pena rattenne un grido di gioia che
stava per uscirgli dalle labbra.
- Ah! mormorò egli.
Retrocesse d'alcuni
passi e gettò a terra il cadavere, poi, senza por tempo di mezzo, messesi le
armi alla cintura, si raccolse su sè stesso, spiccò un gran salto e introdusse
le mani nell'orlo di quel foro. Issarsi a forza di braccia e guadagnarlo, fu
per lui l'affare di un sol momento.
Si trovò in una specie
di bassa galleria che s'addentrava nelle viscere della terra, le cui pareti
erano coperte da bizzarre sculture assai sporgenti. Proprio in quell'istante i
beduini tornavano alla carica a passo di corsa colle lancie in resta,
animandosi l'un l'altro con selvaggie urla di guerra.
Temendo d'essere
scoperto si mise a strisciare innanzi a tastoni, salendo e scendendo dei cumuli
che non riusciva bene a distinguere che cosa fossero, ma che di spesso erano sì
accuminati e taglienti che gli ferivano le ginocchia. L'atmosfera era calda,
pesante, viziata e pareva certe volte che mancasse sicchè l'arabo esitava a
procedere temendo di morire asfissiato.
Non udiva allora più le
grida selvaggie dei beduini, ma per l'aria udiva certi svolazzamenti, certi
stridi che facevangli supporre di trovarsi in mezzo a bande di pipistrelli;
anzi provava sulla faccia il freddo contatto delle loro ali e più d'uno
s'aggrappò alle sue vesti. Dieci e più volte s'arrestò, per paura di smarrirsi
fra le gallerie che si succedevano le une alle altre sempre più tortuose, ma la
speranza di trovare uno sbocco e la tema di ricadere nelle mani di quel mostro
che chiamavasi Notis e nelle mani della vendicativa Elenka, lo spingevano suo
malgrado innanzi.
D'un tratto si
trovò28 in presenza di una parete che chiudeva il passo, ma
girando per di qua e per di là trovò una apertura per la quale si cacciò e
sbucò in una caverna di quindici metri di diametro richiarata da una vaga luce
che scendeva dall'alto.
Si guardò attorno
sorpreso. Vide dei sepolcri fregiati d'ibis religiose e di piante di loto
sacro, e negli angoli dei coccodrilli mummificati, infissi nel petto come usasi
fare, cogli scarabei che voglionsi conservare, e avvolti per metà in istuoie.
Sul terreno vi erano monti d'ossami alcuni appartenenti ad animali ma molti
altri a uomini.
L'arabo non si smarrì.
Aggrappandosi alle sporgenze delle pareti, aiutandosi colle mani e coi piedi,
giunse a una gran fessura dalla quale veniva quel po' di luce e si trovò
all'aperto in mezzo a sei o sette sepolcri sormontati da tarbusch
colossali. A cento passi da lui v'era la foresta e a duecento vi erano le tende
e i cammelli dei beduini. Un dongolese solo vegliava, appoggiato alla sua hàrba,
fumando flemmaticamente in un gran scibouk malandato.
- Se posso fuggire
senz'essere visto da quell'uomo, sono salvo, mormorò l'arabo. La notte cala, la
foresta è vicina e i beduini sono nel sotterraneo. Mi caccierò in mezzo ai
cespugli e sfido i cani a trovarmi. Ah! Elenka, guai a te se riesco a
sorprenderti nel tugul dell'adorata mia Fathma!
Si gettò contro terra e
si avanzò a carponi tenendosi dietro ai cumuli di rottami, ma il dongolese
aveva buoni occhi e vegliava attentamente.
- All'armi! gridò egli.
Gli sparò addosso una
pistolettata che aveva tratta rapidamente dalla cintura.
Abd-el-Kerim evitò la
palla abbassandosi bruscamente, poi si rialzò e si precipitò in mezzo alle
boscaglie, nel momento istesso che Fit Debbeud e i suoi beduini saltavano fuori
dalla galleria.
Non si volse nemmeno per
vedere se l'inseguissero. Prese un sentiero e si die' a fuggire rapido come una
saetta, ora correndo come una palla di cannone e ora deviando e saltando,
lacerando i cespugli, lasciando mezze vesti fra le spine, cozzando o
incespicando fra i rami e le radici che le tenebre non gli permettevano ben di
distinguere.
Udì dietro di sè le voci
rauche dei beduini poi tre o quattro colpi di moschetto ma non s'arrestò.
Percorse così più d'un chilometro e stava per rallentare la corsa quando si
trovò improvvisamente dinanzi a una donna che veniva avanti a gran passi.
- Fermati, Abd-el-Kerim!
esclamò quella donna con tono minaccioso.
L'arabo dette indietro e
barcollò come se fosse stato colpito da una coltellata. Dinanzi gli stava
Elenka, tutta trafelata, sconvolta, colle mani tese innanzi come per
arrestarlo.
- Tu! Tu! ruggì egli.
Tu, Elenka!
- Sì, Abd-el-Kerim,
ancora io che giungo in tempo per salvarti!
L'arabo la guardò cogli
occhi strambasciati e nei quali balenava una fiamma d'ira, d'immenso furore.
- Fermati, Abd-el-Kerim!
ripetè la greca. Dove vai? Dove fuggi? Chi ti liberò?...
- Sciagurata!... Che hai
fatto dell'almea? chiese l'arabo con voce strozzata.
- Non chiedermi conto di
quell'odiata rivale. Vieni con me, ritorna fra le braccia della tua Elenka che
tanto ti ama.
Un'ondata di sangue
montò alla testa dell'arabo: si scagliò sulla greca ebbro di collera e cercò di
rovesciarla, urlando come una belva inferocita.
- Dov'è l'almea?
Dov'è l'almea?
Tutti e due rotolarono
l'un sull'altra. La greca se lo strinse contro il seno e invece di difendersi
gli stampò sulle labbra un ardente bacio.
- Ti odio e ti amo
immensamente! esclamò ella delirante.
Quel bacio fece
sull'arabo l'effetto di un morso di serpente. Le sue mani nervose si strinsero
attorno il collo di cigno della greca ed ebbe per un momento l'idea di
strozzarla.
Ma s'arrestò subito
senza forze e senza coraggio e cercò d'alzarsi spaventato, inorridito e
fors'anche affascinato. Alcuni beduini apparvero a duecento passi di distanza
agitando freneticamente le armi.
- Fermate! Fermate!
urlarono essi correndo.
Abd-el-Kerim comprese il
pericolo e si raddrizzò, ma la greca si era aggrappata disperatamente alle
braccia di lui.
- Lasciami, mostruosa
creatura! balbettò egli fuori di sè.
- Abd el-Kerim, ti amo,
ti adoro, perdonami! mormorò con voce fioca Elenka. Fa di me quello che vuoi ma
rimani!
Egli la trascinò seco
per dieci o dodici passi, poi con una violenta scossa l'atterrò e l'abbandonò
mezza stordita fra le erbe, ripigliando la fantastica corsa sotto gli alberi.
Il sangue gli oscurava
la vista, le arterie gli battevano febbrilmente e parevagli che delle lingue di
fuoco gli serpeggiassero per le vene e salissero su, su fino al cervello. Gli
parve di essere diventato pazzo o di essere in preda ad uno spaventevole incubo
che perdurava per quanto facesse per risvegliarsi.
Corse per un'ora,
smarrendosi fra i meandri della gigantesca foresta, fugando le iene e gli
sciacalli che rompevano il silenzio della notte con orribili scrosci di risa e
urla interminabili, poi si fermò, anelante, spossato, colla spuma alle labbra.
Tutto ad un tratto udì
un grido straziante, terribile, prolungato; era un grido d'angoscia, una
invocazione suprema, un appello disperato. Nell'udirlo, i capelli si rizzarono
sulla fronte e il sangue poco prima infiammato gli si gelò nelle vene.
- Dio! Dio! qual voce!
balbettò egli. Dove ho udito io questa voce? Sono o non sono sveglio. Avanti!
avanti!
Partì come una freccia
coll'jatagan in mano, dirigendosi verso un macchione di piante di palme dal
quale era partito il grido e sbucò29 in una piccola radura.
Là legata ad un
gigantesco tamarindo, semi-nuda, stava una donna e ritta dinanzi a lei una
spaventevole jena che la stringeva fra i suoi artigli. Abd-el-Kerim gettò un
urlo selvaggio, furioso, strozzato.
- Fathma!... Fathma!...
Ruinò come una valanga
addosso alla jena che stava per sbranare la sventurata almea e con un
terribile fendente le spaccò il cranio.
- Fathma! mia adorata
Fathma! esclamò l'arabo con istrazio.
Tagliò rapidamente i
legami e ricevette fra le braccia quel corpo inerte e semi-gelato: gli occhi
dell'arabo s'inumidirono.
- Rispondi, Fathma,
rispondi, continuò egli, baciandola sulle gote. Gran Dio! che è successo
mai?... Come sei qui e in questo stato?...
Un debole sospiro uscì
dalle labbra dell'almea e poco dopo aprì gli occhi e li fissò in quelli
dell'amante.
- Dove sono? chiese ella
con un filo di voce.
- Fra le mie braccia, al
sicuro d'ogni offesa! esclamò Abd-el-Kerim che rideva e piangeva ad un tempo. Non
aver paura, Fathma, sono qui io a difenderti, sono qui io a salvarti.
L'almea lo mirò
per alcuni istanti con occhi smarriti, poi gli gettò le nude braccia attorno al
collo e se lo strinse al seno.
- Tu, tu, mio amato
Abd-el-Kerim! Allàh, fa che io non sogni! esclamò ella.
- No, non sogni mia
povera Fathma, sono proprio io, il tuo Abd-el-Kerim giunto in tempo per
infrangere il capo a quell'immonda jena che stava per dilaniare le tue spalle.
Fathma fece un gesto
d'orrore.
- Ah sì, mi ricordo... mi
ricordo... L'aveva dinanzi a me... era salita sulle mie spalle, mi guardava
ferocemente... mi mostrava i denti... mi soffocava fra le sue zampe... Oh Dio!
quale spavento! Oh Dio, quale angoscia!
- Ma chi fu quel mostro
che t'abbandonò legata in questa selva a pasto delle bestie! Dimmi chi fu, che
io vada a strappargli il cuore!
- La greca, la mia
rivale, Elenka, balbettò Fathma tremando di rabbia. Mi tradì, mi flagellò, poi
mi lasciò sola... Se tu sapessi quanto odio quell'orribile creatura!
- Elenka!... esclamò
Abd-el-Kerim con trasporto furioso. Maledetto il momento in cui non la
strozzai! Guai, guai, mostruosa donna se riesco a riafferrarti!
La sua voce fu soffocata
da una scarica di fucili che risuonò in lontananza e da uno scoppio di urla
feroci.
- Abd-el-Kerim! esclamò
Fathma con ispavento.
Egli la sollevò e se
l'appoggiò al petto come una madre fa d'un fanciullo.
- Vieni, Fathma,
diss'egli sordamente. Sono inseguito dai beduini che mi rapirono. Vieni, vieni!
Egli fuggì a grandi
salti e colla medesima facilità come se portasse un leggero fardello, tanta era
la forza che infondevagli l'amore e la gioia d'aver ritrovata colei che egli
credeva per sempre perduta.
Attraversò sempre
correndo l'ultimo tratto della foresta e giunse nella pianura d'Hossanieh proprio
nel momento che un plotone di basci-bozuk sbuccava alla carriera da una
gola formata da due ripide colline.
- Fathma! esclamò
Abd-el-Kerim, con emozione. I basci-bozuk!
L'uomo che cavalcava
alla testa dei soldati, venne a loro incontro a tutta velocità e gettò un gran
grido:
- Abd-el-Kerim! Abd-el-Kerim!
- Hassarn! gridò
l'arabo.
Il capitano balzò di
sella e li raggiunse colle braccia aperte; Abd-el-Kerim e Fathma si
precipitarono incontro a lui.
- Ah! esclamò il
capitano Hassarn stringendoli ambedue in un tenero amplesso. Vi credeva per
sempre perduti!
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