CAPITOLO IV. - Omar e Fathma.
All'indomani, due ore
dopo il mezzodì, Ibrahim lasciava il gran battello di Daùd colla ferma idea di
allontanare e ridurre a completa impotenza il greco Notis. Imbarcatosi sul suo
canotto con pochi colpi di remo prese il largo e venti minuti dopo sbarcava su
molo di Quetêna ingombro di Sennaresi e di Arabi che caricavano e scaricavano
la lunga fila di barche ancorate sotto la sponda.
Girando lo sguardo
all'intorno vide subito che uno dei suoi barcaiuoli lo aspettava seduto su di
una balla di mercanzia. Gli si avvicinò sollecitamente:
- Che abbiamo di nuovo
Saba? gli chiese, battendogli sulle spalle.
- Stavo a vedere quando
tu ritornavi, rispose il battelliere. Questa mane venne a bordo un beduino
chiedendo di te.
- Si trova ancora sulla dahabiad47
quest'uomo?
- No, ma mi disse che
appena tu giungessi ti mandassi da lui.
- Non ho tempo per
recarmi da quell'uomo, disse Ibrahim. Ascoltami ora, Saba.
- Sono tutt'orecchi.
- Farai armare tutti i battellieri
di buoni moschetti e di jatagan e vi terrete pronti ad entrare in
campagna al mio comando.
- Oh!... che c'è in
aria?
- Dobbiamo assalire
quella villa che tu vedi là, sulla riva sinistra, e salvare una donna che si
trova rinchiusa. Hai capito, state pronti a tutto e basta. Recati a bordo ora,
portami quella scatola d'oppio che trovasi nella mia cabina, e vieni a
raggiungermi al caffè.
- Io corro.
- Va dunque e spicciati.
Il battelliere non se lo
fece dire due volte e se ne andò di corsa. Ibrahim si stropicciò allegramente
le mani ed entrò nel caffè che trovavasi pochi passi lontano. Non vi era che il
wadgi (caffettiere) che faceva fuoco al fornello alzandosi e
abbassandosi per soffiarvi sopra.
- Meglio così, borbottò
il reis. Si addormenterà senza testimoni.
Chiamò il wadgi,
si fece portare una tazza di moka fumante e due scibouk. Aveva
appena cominciato a sorseggiare la deliziosa bevanda che entrava Saba.
- L'oppio? chiese
brevemente Ibrahim.
- Eccolo, padrone,
rispose il battelliere porgendogli una scatoletta.
Il reis l'aprì
con precauzione; conteneva una dozzina di pallottoline d'oppio. Ne prese
quattro e le mise in uno dei scibouk coprendolo con un fitto
strato48 di tabacco.
- Le fumi? chiese Saba,
sorpreso. Ti ubriacherai terribilmente,
- Zitto, giovanotto,
disse Ibrahim con aria misteriosa. Ora ti recherai alla villa che poco fa ti
additai, e chiederai del greco Notis, tieni bene in mente questo nome. Gli
dirai che venga subito qui che devo parlargli su cose assai interessanti. Va!
Il battelliere uscì di
corsa dirigendosi verso il molo, e Ibrahim, empito l'altro scibouk di
tabacco l'accese mettendosi a fumare colla maggior calma del mondo. Mezz'ora
dopo entrava in furia il greco Notis.
- Ah! Siete qui,
padrone! esclamò Ibrahim con mal celata gioia. Abbiamo delle grandi novità.
- Narra, Ibrahim, disse
Notis sedendosi di fronte a lui.
- Accendete il scibouk
ed ascoltatemi, disse il reis spingendo verso di lui la pipa carica
d'oppio.
Il greco prese il scibouk
e vedendo che era di già carico l'accese avvolgendosi fra dense nubi di fumo.
- Ditemi, innanzi tutto,
come sta quella donna che voi tenete prigioniera. Essa mi interessa qualche
poco.
- Non mi curerò di lei
per tre giorni, rispose Notis stizzito. Ma dopo, oh la vedremo chi di noi due la
vincerà. Raccontami ora, queste novità.
Il reis vuotò il fingiam
(vasetto) di caffè e rovesciandosi indolentemente sull'angareb, gli
disse a bruciapelo:
- Padrone, lo schiavo di
Abd-el-Kerim è arrivato a Quetêna.
Il greco fece un soprassalto
sul sedile emettendo un gran oh! di sorpresa.
- Da quando? chiese con
ansia. L'hai veduto tu?
- Sono due giorni che è
giunto e sa già che Fathma trovasi nelle vostre mani.
- È solo?
- Solo e in miseria per
soprappiù.
- Non è da temersi adunque!
esclamò Notis che respirò.
- Non c'è da darsene
pensiero. Il povero diavolo l'ho veduto ieri sera che rosicchiava una
pannocchia di durah sotto una rekuba. Mi pareva assai malandato.
- Come facesti a sapere
che era Omar?
- Perchè gli ho parlato
assieme.
- Tu!... Scherzi forse?
- Niente affatto.
- E... ti ha conosciuto?
- Non sa nemmeno chi
sia.
- Potevi dargli un colpo
di coltello e freddarlo.
- Ma parve una fatica
inutile. Che ne dite?
Il greco rispose con una
risata da ebete. Appoggiò la testa sulle mani e continuò a fumare con maggior
furia cogli occhi vitrei fissi dinanzi a sè. Egli provava allora una voglia
irresistibile di fumare, un senso di benessere strano, nuovo, una calma
inesprimibile, un alleviamento di testa unico e una leggerezza tale che credeva
di galleggiare in mezzo all'aria.
Il reis lo guardò
attentamente e sorrise. La faccia del fumatore era smorta smorta, attorno agli
occhi cominciavano a disegnarsi due cerchi azzurrognoli e muoveva le mani
convulsivamente.
- L'oppio opera, pensò
il barcaiuolo. Fra poco cadrà nel mondo dei sogni.
- Dunque tu dicevi?...
ripigliò Notis, dopo qualche minuto di silenzio.
- Che freddarlo con una
coltellata mi pareva fatica inutile.
- Chi?...
- Lo schiavo di
Abd-el-Kerim.
- Abd-el-Kerim, balbettò
il greco come non avesse ben compreso. Dov'è quest'uomo?
- A Gez Hagiba.
- Non mi ricordo più
nulla... ho come della nebbia dinanzi agli occhi... mi pare di galleggiare...
di sognare....
Ibrahim non aprì bocca.
Il greco continuava a fumare rabbiosamente e tuffavasi, per così dire, fra le
ondate del fumo oleoso e pesante.
Passarono cinque minuti.
Notis cambiò tre o quattro volte posizione e cercò di riappiccare il discorso,
ma dalle labbra tremanti non gli uscivano che frasi interrotte e senza senso.
Ad un tratto si rovesciò sull'angareb, chiuse a poco a poco gli occhi e
lasciò sfuggire il scibouk che cadde a terra spezzandosi. Cercò ancora
di rialzarsi, agitò le braccia quasicchè cercasse d'abbracciare qualche cosa
che danzavagli dinanzi, poi restò immobile.
Il reis si alzò e
mirò per qualche tempo l'addormentato, il quale era così pallidissimo da
scambiarlo per un cadavere. Un sorriso di viva soddisfazione e anche di
commiserazione apparve sulle labbra di Ibrahim.
- Ecco un uomo terribile
ridotto inoffensivo quanto un fanciullo, mormorò egli. Quando si sveglierà io
avrò pagato il sacro debito con Dàud ed egli si troverà senza amante. Povero
Notis!
S'avvicinò al wadgi
e gli mise in mano un tallero.
- Quell'uomo là dorme
profondamente, gli disse. Dormirà tutto oggi e probabilmente tutto domani.
Portalo in qualche stanza senza fargli male alcuno e se dei beduini vengono a
cercarlo, rispondi a loro che tu non l'hai nemmeno visto. Se tutto va bene
avrai cinque talleri in regalo.
- Non temere di nulla,
vecchio Ibrahim, rispose il wadgi.
Il reis uscì dal
caffè nel momento che il sole precipitava dietro i monti di Semin e di Lao Lao.
Respirò una boccata d'aria, poi si diresse verso il molo sul quale
passeggiavano impazientemente Dàud e Omar.
- Eccomi a voi, amici
miei49, disse avvicinandosi.
- Il greco? chiesero al
un tempo il negro e il sennarese.
- Dorme come un
serpente, nè si sveglierà prima di quarantott'ore. Gli ho fatto fumare una
forte dose di oppio.
- Bravo Ibrahim, disse
Dàud, stringendogli energicamente la mano. Andiamo ora alla villa a liberare
quella cara amante di Abd-el-Kerim.
- E come si entrerà?
interrogò Omar.
- Ci arrampicheremo su
per una delle finestre, rispose Ibrahim. Le tenebre calano in furia; noi
approderemo senza essere visti ed entreremo nella stanza della prigioniera. Ho
qui una fune e con questa discenderemo. Avete le vostre pistole?
- Non manchiamo nemmeno
degli jatagan. E i tuoi uomini sono avvisati? Potremmo aver bisogno di
loro.
- Non aspettano che il
comando di partire, Omar. E i tuoi Dàud?
- Sono sotto le armi.
- Quando è così andiamo
e che Allàh ci aiuti.
Saltarono nel canotto,
lo allontanarono e si misero a vogar verso la riva opposta dandosi l'aria di pescatori.
Salirono per un buon tratto il fiume, poi, quando fu notte oscura, ridiscesero
cautamente e approdarono dinanzi alla villa di Notis.
- Vedi nessuno Ibrahim?
chiese Dàud.
- Assolutamente nessuno.
- Zitto, mormorò
improvvisamente Omar. Abbassatevi tutti.
Alcuni uomini che furono
riconosciuti per dei beduini, uscivano allora dalla porta che metteva sul Nilo.
Essi presero posto in una barchetta che era lì ormeggiata.
- Cercatelo dappertutto,
disse una voce che si capì essere quella dello sceicco Debbeud. Vi sono dei
pericoli nell'aria e non è prudente rimaner fuori di notte.
- Sta bene, risposero i
beduini.
La barca si allontanò
scomparendo fra le tenebre e la porta della villa tornò a chiudersi.
- Hai compreso? domandò
Omar a Daùd.
- Perfettamente; vanno a
cercare il greco.
- Spicciamoci, amici
cari. Ecco là quel tamarindo che mi aiutò ieri a salire fino alla finestra di
Fathma. Io mi arrampico, entro nella stanza e getto la corda. Voi rimarrete qui
a difendermi nel caso che venga scoperto.
- Siamo intesi, non ti
perderemo di vista.
Il negro armò le
pistole, onde essere pronto a servirsene qualora ve ne fosse stato bisogno e si
avanzò fino ai piedi del tamarindo. Tese l'orecchio per udire se vi fosse
qualcuno che girasse nei dintorni, lanciò uno sguardo a dritta e a manca, poi
abbracciò il tronco e si mise a salire coll'agilità di una scimmia, fino ai
rami. Sostò ancora un momento per ripigliare fiato, indi si mise a strisciare
sul ramo, che protendevasi fino ad una delle finestre, con mille precauzioni
onde il fogliame non susurrasse o il legno gemesse.
- Ci sei? chiese
sottovoce Daùd, dopo qualche istante.
- Ci sono, rispose egli.
Attenti.
Guadagnò il davanzale
della finestra e guardò entro. Una lampada illuminava fiocamente50 la stanza
e seduta su di un divano vide Fathma: respirò.
Allungò una mano e aprì
le imposte. Al cigolìo che mandarono girando sui cardini, l'almea si
levò in piedi non dissimulando un gesto di terrore. Omar si slanciò entro
cadendo ai suoi piedi.
- Zitto, Fathma, mormorò
egli, vedendo che apriva le labbra per mandare un grido. Zitto, che sono io,
Omar, il fedele schiavo di Abd-el-Kerim.
L'almea fu ancora
in tempo di arrestare il grido che stava per uscirle. Ella prese la testa del
negro fra le mani e l'alzò guardandola con occhi umidi.
- Tu, Omar, tu, balbettò
con un filo di voce che la gioia e l'emozione rendevano tremula. Gran Dio! Che
vieni a far qui, in questa stanza, dove sono prigioniera?
- Vengo a salvarti,
Fathma, vengo a strapparti dalle mani di Notis.
- Ma, disgraziato, non
sai dunque che vi sono quindici beduini che vegliano e che potrebbero da un
momento all'altro entrare ed ucciderti?
- Che importa a me? Del
resto sono armato e ho abbasso degli amici che vegliano.
- Degli amici?
- Sì, Fathma, dei cuori
generosi che s'interessarono della tua disgrazia. Non temere di nulla; io ti
libererò per ridarti al prode Abd-el-Kerim.
L'almea emise un
gemito e portò ambe le mani al cuore.
- Narrami, Omar, dove
trovasi colui che tanto amo. Non so più nulla di lui e non lo rividi più da
quel funesto dì in cui fummo separati. È vivo ancora?... Pensa egli alla
sventurata Fathma? Parla!... Parla!...
- Sì, è vivo, e trovasi
a Gez-Hagida ed è sempre innamorato di te. Fu lui che mi comandò di venire qui
e che mi procacciò i mezzi necessari per disertare; mi capisci, fu lui. Ah! se
tu sapessi quanto ti ama il mio povero padrone e quanto egli è infelice!
- E perchè non
disertò?... Perchè, Omar.
- Ha una donna, una
furia che veglia su di lui, che lo segue dì e notte in ogni suo passo e che gli
impedisce di fuggire.
- Una donna! mormorò
Fathma che si sentì mordere il cuore dalla gelosia. Chi è questa donna? Io
voglio saperlo. Omar, lo voglio!
- È sempre Elenka.
- Ah! maledetta!
- Ma non aver paura che
abbia a vincerlo. Abd-el-Kerim l'odia talmente che se potesse ucciderla la
ucciderebbe.
- Ah! quanto bene mi
fanno queste parole, Omar. Sono venti giorni che ho il cuore straziato dalla
più terribile gelosia, venti giorni che soffro atrocemente!.. Povero
Abd-el-Kerim, potessi farti felice.
- Ma che ti ha fatto
quel miserabile Notis?... Ho udito parlare di pugnalate, di...
- Zitto disse Fathma.
Quello che fu fu, eppoi sono ormai guarita. Dove sono questi tuoi amici?
Omar la prese per una
mano e la condusse alla finestra.
- Guarda, le disse.
- Vedo due uomini.
- Sono i miei amici. Hai
paura di discendere da questa finestra attaccata ad una corda?
- Discenderei appesa a
un filo di seta.
- Quando è così non
perdiamo un sol secondo.
Il negro svolse una lunga
corda a nodi che teneva arrotolata attorno al corpo, fissò un capo a una sbarra
di ferro della finestra e gettò l'altra nel vuoto. Tosto si videro Daùd e
Ibrahim accorrere a prenderlo.
- Andiamo, Fathma,
coraggio. Fra cinque minuti saremo lontani da qui,
L'almea salì
arditamente sul davanzale e si appese alla corda: Omar vi si mise allato
sostenendola con una mano e la pericolosa discesa cominciò nel più profondo
silenzio.
Erano giunti già a mezza
fune, quando si udì Daùd intimare:
- Ferma!...
Omar e Fathma si
arrestarono tendendo l'orecchio. Non si udiva rumore alcuno, eccettuato il
gorgoglìo del Nilo che rompevasi sulle sabbie degli isolotti e il lieve
susurrìo delle frondi agitate dal venticello notturno.
- Possiamo discendere?
chiese Omar che sentiva Fathma tremare.
Risposero un colpo di
carabina e un grido straziante. Ibrahim che si teneva ritto sulla riva barcollò
e precipitò nel fiume. I coccodrilli che dormivano lì presso furono pronti a
saltargli addosso e a farlo a pezzi.
- All'erta! - -gridò una
vociaccia.
- Sali, sali, Omar! urlo
Daùd. I beduini!
Sei o sette beduini si
slanciarono fuori della villa. Daùd scaricò le sue pistole poi saltò nel
canotto e s'allontanò arrancando disperatamente.
- Sali, sali, gridò egli
un'ultima volta.
Omar e Fathma,
quantunque si trovassero in una posizione terribile non si perdettero d'animo.
Aiutandosi vicendevolmente, adoperando le mani, ed i piedi e persino i denti,
in meno che lo si dica raggiunsero il davanzale e si slanciarono nella stanza
ritirando in furia la corda.
Erano appena entrati che
si udì picchiare furiosamente alla porta.
- Aprite! comandò una
voce imperiosa. Aprite per tutti i fulmini del cielo!
Omar si scagliò contro
di essa colle pistole in pugno, ma non ebbe il tempo necessario per giungervi, poichè
violentemente s'aprì e due beduini irruppero nella stanza colle scimitarre
alzate.
Fathma gettò un grido.
- Non aver paura Fathma,
gridò Omar. Uno, due...
S'udirono due
detonazioni. I due beduini colpiti dalle palle delle sue pistole caddero l'un
sull'altro colle cervella bruciate.
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