CAPITOLO IX. - Lo scièk Abù-el-Nèmr.
Erano le quattro del
mattino quando Fathma si svegliò. Il sole alzavasi allora sull'orizzonte,
rapidamente, versando torrenti di luce incandescente sul paese circostante che
presentava un magnifico colpo d'occhio, tutto affatto speciale delle regioni
dell'alto Nilo.
Il fiume scendeva
tranquillo tranquillo descrivendo una gran curva, fra due magnifiche rive,
coperte di superbi alberi, che si specchiavano quasi con civetteria nelle
trasparenti acque, prolungando capricciosamente i loro rami sui quali andavano,
venivano e saltellavano con sorprendente agilità numerose schiere di
scimmie-leoni dal pelame cenerino azzurro, con una folta criniera affatto
simile alla giubba dei leoni e il muso e le natiche d'un bel colore carneo.
Sugli isolotti sabbiosi
sonnecchiavano pacificamente colossali ippopotami, grossi più dei rinoceronti,
con testa enorme, muso assai rigonfio, nari larghe e sporgenti, gambe
brevissime ma grossissime e la pelle cosparsa di rade setole e così grossa da
sfidare le palle di fucile.
Alcuni di quei mostri
talvolta si tuffavano con un fragore formidabile, portando sulla schiena i loro
piccini grandi quasi quanto un bue e ricomparendo poco dopo nitrendo come
cavalli.
Per l'aria volteggiavano
invece stormi di fenicotteri, di pellicani, di ibis bianche e nere, di tantali,
di anastomi, di pivieri e di falchi, che si incrociavano in mille differenti
guise con un gridio incessante, precipitandosi di tratto in tratto nel fiume
per uscirne quasi subito con un pesciolino nel becco.
Fathma e Omar, dopo di
essersi rinforzati con una sorsata di merissak, visto che le rive erano
deserte, s'affrettarono a spingere la zattera verso quella di destra e
sbarcarono caricandosi delle armi, delle munizioni e di quanti viveri potevano
portare.
- Dove andiamo? chiese
l'almea, indecisa sulla via da prendere.
- Questo è il bello a
sapersi, rispose Omar, imbarazzatissimo. A mio parere bisognerebbe guadagnare
il villaggio più vicino per procurarsi dei cavalli o dei cammelli, senza i
quali non riusciremo a raggiungere El-Obeid, Se ben mi ricordo a una quindicina
di miglia da qui trovasi Sciula.
- Vi potremo entrare?
Temo che i ribelli l'abbiano occupata.
- Lo so bene io, ma non
c'è altra via da scegliere. Chissà forse i ribelli non l'hanno ancora assalita.
Ad ogni modo ci avvicineremo con precauzione.
- La via sarà libera
poi?
- È difficile saperlo.
Sono certo che prima di giungervi incontreremo dei ribelli.
- La situazione nostra
non mi sembra brillante.
- È quello che penso pur
io, mormorò Omar sospirando. Mettiamoci nelle mani di Allàh che tutto può; è
quanto ci resta da fare.
- Quando è così
mettiamoci in cammino, disse Fathma risolutamente. Arma il fucile e apri per
bene gli occhi. Che Allàh ci protegga.
Essi salirono la sponda
e s'inoltrarono coraggiosamente sotto le foreste, aprendosi a gran pena il
passo fra quegli immensi vegetali, dai tronchi colossali i cui rami
s'intrecciavano a perdita d'occhio come gli archi gotici di una cattedrale
sconfinata. Regnava là sotto un caldo soffocante, una temperatura da stufa che
toglieva il respiro e che faceva zampillare addirittura il sudore dalla fronte
degli intrepidi viaggiatori. Un silenzio lugubre rendeva la marcia più penosa,
più monotona.
Dopo di aver percorso
più di un miglio, essi si trovarono dinanzi ad una foresta di baobab. Nulla di
più meraviglioso della vista di questi giganti delle boscaglie africane, ai
quali non si esita a dare una longevità di seimila anni, dal tronco
sproporzionato che supera spesso i venticinque metri di circonferenza dai rami
bassissimi ma immensi che formano da soli un boschetto picchiettato da capsule
legnose che sembrano zucche, lunghe venticinque o trenta centimetri, di tinta
verdognola, coperte di bianca peluria, e delle quali sono ghiottissime le
scimmie.
Fathma e Omar si erano arrestati
ai piedi di uno di quei colossi per prendere un po' di riposo, quando a sei o
settecento metri lontano echeggiò improvvisamente una detonazione seguita poco
dopo da un formidabile ruggito e da un grido straziante.
Scattarono
simultaneamente in piedi coi fucili in mano, gettando un rapido sguardo
all'intorno paventando di veder sbucare dai cespugli qualche banda di ribelli
- Che è successo? chiese
ansiosamente Fathma, riparandosi prudentemente dietro una fitta macchia.
- I ribelli forse! esclamò
Omar che tremava, suo malgrado, verga a verga.
- No, ho udito il
ruggito del leone.
- Ma la detonazione? E
quel grido?
- Che sia stato qualche
cacciatore?
- Non credo, disse Omar.
Quale cacciatore può avventurarsi in queste foreste battute dalle orde del
Mahdi? Fathma ripieghiamoci sul fiume prima che capitino72
malanni.
- Ripieghiamoci, ma sta
bene attento. Vi sono dei pericoli in aria.
Stavano per ritornare
nella foresta di palme e di tamarindi, quando udirono una voce lamentevole
gridare ripetutamente:
- Aiuto! aiuto!..
- Fathma si fermò
bruscamente stringendo forte forte il braccio dello schiavo.
- Vi è qualcuno in
pericolo, diss'ella...
- Lascialo che muoia,
rispose il negro. Che dobbiamo farci noi?...
- Forse quell'uomo non è
un ribelle.
- Peggio per lui. Non
possiamo esporre le nostre vite per soccorrere uno sconosciuto. Vieni con me
Fathma, spicciamoci a guadagnare il fiume.
L'almea scosse il
capo.
- Aiuto!... Aiuto!...
ripetè la voce lamentevole.
- Non è possibile
abbandonare così un povero uomo, Omar, disse Fathma. Accada ciò che vuole, io
vado a soccorrerlo. Forse quell'uomo può esserci ancora di qualche utilità,
forse... Vieni, io lo voglio!
Vi era tanta autorità in
quel comando che Omar non ardì opporsi altro. Uscirono dalla macchia e si
slanciarono di corsa verso il luogo ove erasi udita l'invocazione disperata.
Cinque minuti dopo
giungevano in una piccola radura circondata da bauinie. Là in mezzo eravi un
leone che si dibatteva nelle ultime convulsioni della morte, colla testa bruttata
di sangue a pochi passi da lui stava sdraiato per terra un bel negro, di
statura alta colle braccia e le gambe ornate di anelli d'oro, un ricco turbante
ricamato d'argento sul capo e una farda rossa avvolta intorno al corpo. Gemeva
lugubremente e colle mani stringevasi fortemente la gamba destra scarnata fino
all'osso. Un torrente di sangue nero e spumoso sfuggiva a rapide pulsazioni
dall'enorme ferita
Appena egli scorse
Fathma e Omar si rovesciò all'indietro raccogliendo un pistolone che puntò
rapidamente verso di essi.
- B'Allai!
(perdio!) bestemmiò egli facendo fuoco.
La palla andò a forare
il fez di Omar, un pollice appena sopra la testa. Fathma puntò il fucile
verso il ferito.
- Se ti muovi ti ammazzo
come un cane! diss'ella con un tono di voce da non mettere in dubbio la
minaccia.
A quella voce il volto
del ferito s'alterò. S'alzò bruscamente a sedere fissando l'almea con
due occhi che fiammeggiavano.
- Fathma! esclamò egli
con profondo terrore.
Il fucile sfuggì di mano
all'almea.
- Fathma! mormorò ella
sorpresa.
- Fathma! ripetè Omar,
che cadeva dalle nuvole. Cosa vuol dir ciò?...
L'almea e il
ferito si guardarono per alcuni istanti fissamente senza dir parola. La prima
era sorpresa di udirsi chiamare per nome da quell'uomo che non aveva mai veduto;
il secondo invece pareva sorpreso di non essere riconosciuto da quella donna
che aveva veduta più di cento volte.
- Chi sei? chiese alfine
Fathma. Come sai il mio nome?
Un sorriso apparve sulle
labbra del ferito.
- Non mi conosci?
- Non mi ricordo d'averti
veduto.
- Non sei tu Fathma l'almea?
- Non lo nego.
- Non sei stata tu a
El-Obeid?
- Sì, disse sordamente
l'almea. Vi fui.
- Non sei stata un tempo
una donna potente? continuò il ferito che pareva avesse dimenticata completamente
la sua gamba scarnata.
Il volto dell'almea
s'alterò spaventosamente, burrascosamente. La sua fronte si aggrottò e i suoi
occhi parvero incendiarsi.
- Lo fui, diss'ella dopo
qualche istante di silenzio.
- Allora non m'inganno
più. Tu fosti la favorita di Mohammed-Ahmed.
- Come tu sai questo?
Chi te lo disse?
- Lo so perchè ti vidi
cento e più volte quando io era guardiano dell'harem di Mohammed-Ahmed.
L'almea gettò un
grido di spavento e di sorpresa e retrocesse vivamente.
- Chi sei?... Chi sei?...
chiese ella tremando.
- Sono lo scièk
Abù-el-Nèmr luogotenente del Mahdi, comandante gli insorti del Bahr-el-Abiad.
Omar aveva rapidamente
puntato il fucile verso di lui.
- Ah! cane d'un ribelle!
esclamò il negro,
L'almea con un
brusco gesto abbassò l'arma, poi traendo una pistola e posando la fredda canna
sulla fronte del ferito gli disse con calma glaciale:
- Abù-el-Nèmr, tu sei in
nostra mano. Se tu giuri di farci uscire sani e salvi da questa foresta io ti
guarisco, se tu invece rifiuti ti faccio saltare le cervella. Scegli!
- Perchè vuoi che io
alzi la mano su chi fu un tempo la mia signora? disse dolcemente il ferito.
Avrei paura che Allàh mi fulminasse. Comanda e io farò per l'antica favorita
del Mahdi, tutto quello che ella vorrà.
- Grazie Abù-el-Nèmr,
mormorò Fathma con voce commossa. Non credeva d'avere ancora degli amici fra i
ribelli. Distendi la tua gamba ferita; io ti guarirò.
Lo scièk ubbidì.
L'almea esaminò accuratamente la ferita che continuava a sanguinare. Era
orribile: il leone con un potente colpo d'artiglio aveva lacerato la carne fino
all'osso della coscia. Comprese subito che un ritardo di pochi minuti poteva
riuscire funesto.
- Vammi a prender
dell'argilla in quel fossatello, diss'ella a Omar, e raccogli un po' d'acqua
fresca.
Il negro partì come un
lampo e ritornò poco dopo con una grossa palla d'argilla grigiastra e morbida e
una fiasca d'acqua. Fathma ravvicinò delicatamente le labbra della ferita, vi
sovrappose un pezzo di tela bagnata, e coprì il tutto con un grosso strato di creta
che impediva al sangue di trasudare. Tre o quattro foglie e alcune braccia di
corda terminarono l'operazione. La gamba del ferito si trovò chiusa in una
specie di manicotto ben legato.
Ora, diss'ella, bisogna
lasciare il più presto possibile questa foresta e raggiungere qualche luogo
abitato. Dove possiamo trovar gente?
- L'ignoro, rispose il
ferito con voce debole, tergendo il sudore che colavagli abbondante dalla
fronte. Ho lasciato da due giorni il campo e mi sono smarrito in questa
foresta.
- Quale distanza corre
dal fiume a Sciula?
- Meno di una giornata
di cammino. Se tu mi conduci là troverò i miei guerrieri.
- Ma... e noi?
- Oh! non temere!
esclamò vivamente lo scièk. Io sono il loro capo e sventura a colui che
ardirà alzare una mano sopra di voi.
- Sta bene, ma come ti
trasporteremo? Bisognerà costruire una barella.
- Ho il mio cavallo che
deve pascolare nei dintorni, se non fu divorato da qualche leone.
- Chiamalo. Non bisogna
perdere tempo; la febbre e forse il delirio fra poche ore ti assaliranno.
Abù-el-Nèmr accostò le
mani alla bocca e mandò un lungo fischio. Quasi subito si udì un calpestìo
precipitato e un cavallo comparve movendo sollecitamente verso il padrone.
Era questo un superbo
corsiero, Abù-Ròf puro sangue, piuttosto piccolo, dalla fronte larga e un po'
schiacciata, l'occhio vivo e intelligente, le nari molto aperte, orecchie
piccole, corte, sottili, le ossa zigomatiche molto sporgenti, muso elegante,
gambe secche e vigorose, petto sviluppatissimo e ventre assai ristretto che
annunciava quella grande sobrietà che è propria degli animali dei deserti
sudanesi.
Omar e Fathma
sollevarono con molte precauzioni il ferito che non lagnavasi malgrado
soffrisse atroci dolori e lo misero in sella. L'almea vi salì dietro
sostenendolo fra le vigorose braccia e il negro prese l'animale per le briglie.
- Avanti, disse Fathma.
Essi si misero in
viaggio percorrendo un largo sentiero che un tempo doveva essere stato una via
per le carovane. Il ferito si lasciò sfuggire suo malgrado un gemito soffocato.
- Soffri molto? gli
chiese l'almea.
- Un po' lo confesso,
rispose titubando lo scièk. Il moto del cavallo mi fa orribilmente male.
- Appoggiati bene sul
mio petto.
- Ah! esclamò il ferito.
Quanto sei buona Fathma eppure sono un ribelle.
- Questo ribelle un
tempo fu mio suddito, disse con voce commossa l'almea.
Il ferito si volse verso
di lei e la guardò con tenerezza.
- Fathma, perchè hai
abbandonato il mio signore che tanto ti amava e che ti avrebbe resa tanto
potente?
- Non chiedermelo se non
lo sai, disse con aria tetra l'almea.
- Fu la fatalità forse?
- Forse.
- Sai che quel giorno
che tu sparisti io l'ho veduto piangere il mio Signore?
La faccia dell'almea
diventò ancor più cupa.
- Che fece egli quando
io scomparii? chiese ella.
- Ti cercò per una
settimana intera mandando guerrieri in tutte le borgate del Kordofan. Ti amava
alla follia, e quando ritornarono senza che sapessero dire ciò che era accaduto
di te lo vidi piangere come un bambino, lui, Mohamed Ahmed, l'inviato di Dio!
- Povero Ahmed73
, mormorò Fathma con un rauco sospiro. Fu il destino che mi spinse ad
abbandonarlo.
- Ma che ti aveva fatto?
- Nulla.
- E allora?
- Non parliamo di ciò.
Dimmi, mi si crede morta?
- No, Ahmed ha saputo
che tu sei viva.
L'almea trasalì
- Chi glielo disse?
- L'ignoro, ma bada a
me, Fathma, non farti più mai vedere in El-Obeid. L'amore di Mohamed Ahmed si è
cangiato in terribile odio.
- Mi guarderò da lui;
d'altronde sarà difficile che mi si veda nella capitale del Kordofan.
- Dove vai adunque che
scendi al sud?
- A unirmi all'armata
egiziana.
- Tu!... tu cogli
egiziani!... esclamò lo scièk con dolorosa sorpresa. Vedremo adunque noi
la favorita del nostro signore, militare nelle file nemiche e volger il ferro
contro i suoi antichi sudditi?
- No, non volgerò mai le
mie armi contro gl'insorti, a meno che non mi costringano loro. Appena avrò
raggiunto l'uomo che cerco e che avrò compiuta una vendetta che da due mesi
aspetto, ritornerò per sempre al nord.
- Ah! tu hai delle
vendette da compiere?
- Sono araba.
- Ma sai almeno dove
puoi trovare Hicks pascià?
- No, ma lo troverò
dovessi percorrere cento volte il Kordofan. Ah! se io potessi saperlo!...
- Lo vuoi proprio?
- Tu lo sai? Ah!...
- Sì Fathma, lo so,
giacchè a noi nulla può sfuggire. Il 10 ottobre era giunto a Sange-Hamferid;
ora si troverà nei dintorni di Kaseght. Il maledetto marcia rapidamente sulla
capitale, ma Ahmed lo romperà e farà uno spaventevole massacro delle sue
truppe, te l'assicuro.
- Grazie, Abù-el-Nèmr.
- Non ringraziarmi, Fathma.
Forse questa indicazione ti riuscirà fatale.
- Perchè?
Lo scièk non
rispose. Egli si curvò verso terra portando una mano all'orecchio e ascoltò
attentamente.
- Alto! diss'egli
raddrizzandosi.
Aveva appena terminato il
comando che da ambo i lati del sentiero scoppiava un clamore spaventevole. Il
cavallo, colpito da una lancia nella testa, cadde sulle ginocchia gettando a
terra coloro che lo montavano. Una cinquantina di guerreri armati di lance, di
sciabole e di mazze saltò fuori dalle macchie empiendo l'aria di urla feroci.
Omar e Fathma furono
pronti a levarsi afferrando le pistole e la scimitarra, ma lo scièk,
invece non si mosse. La caduta, la perdita del sangue e lo sfinimento l'avevano
fatto svenire.
- Fermi tutti! gridò l'almea.
Abbiamo con noi lo scièk Abù-el-Nèmr!
Gl'insorti nell'udire il
nome del loro capo si erano arrestati colpiti da stupore: ma questo stupore
durò un istante. Essi circondarono Fathma e Omar e in meno che lo si dica li
atterrarono strappando a loro le armi. Sei o sette si precipitarono sullo scièk;
vedendolo a terra pallido come un morto ed immobile lo credettero assassinato.
Lo scièk è stato
ucciso! gridò una voce. Ah! cani di arabi!
Tutti i ribelli si erano
affollati attorno ad Abù-el-Nèmr urlando furiosamente. Un guerriero d'alta
statura colle braccia armate di numerosi braccialetti d'oro e un ricco turbante
sulla testa, s'inginocchiò accanto allo svenuto e lo esaminò attentamente per
alcuni istanti.
- Chi ha ferito il mio
capo? chiese egli, lanciando un'occhiata torva sui due prigionieri.
- Un leone, risposo
Fathma senza perdersi d'animo.
- Tu menti, lingua di
vipera, gridarono in coro gl'insorti digrignando i denti.
- Lo giuro su Allàh e
sull'Alcorano. Noi l'abbiamo trovato ferito e lo medicammo, rispose l'almea!
- Non è vero disse il
guerriero d'alta statura. Dove lo conducevi ora?
- Al vostro campo.
- Non è vero; tu volevi
condurlo nel folto del bosco per assassinarlo a tuo comodo. Olà! miei prodi
accendete un bel fuoco e abbruciamo questi arabi.
Omar e
Fathma74 nell'udire quell'atroce comando, sentirono raggrinzarsi
le carni e gelare il sangue nelle vene dallo spavento. Compresero di essere
irremissibilmente perduti se lo scièk non tornava più che presto in sè.
- Prodi guerrieri! gridò
l'almea con uno slancio disperato. Frenatevi, aspettate che Abù-el-Nèmr
rinvenga, aspettate che egli parli, che egli solo ci giudichi. Noi siamo suoi
amici, ve lo giuro, ed egli punirà orribilmente colui che avrà alzato la mano
su di noi.
La sua voce invece di
calmare gl'insorti parve che li eccitasse maggiormente. S'udì un solo grido
tremendo, formidabile:
- Al fuoco gli arabi! A
morte gli assassini dello scièk.
Ad un cenno del
guerriero d'alta statura, che pareva fosse il sotto-capo, gl'insorti
sollevarono con infinite precauzioni lo scièk che era sempre svenuto.
- Portatelo al tugul
che trovasi in capo a questo sentiero, diss'egli, e voialtri accendete un bel
fuoco e quando Abù-el-Nèmr ritornerà in sè gli mostreremo le ossa carbonizzate
dei suoi feritori.
Il comando venne
immediatamente eseguito. Lo scièk Abù-el-Nèmr fu collocato su di una
specie di barella formata con lancie incrociate e gli altri si misero a
schiantare alberi o raccogliere legne morte, formando una catasta colossale
attorno ad una palma isolata.
Il supplizio
spaventevole s'avvicinava. Omar e Fathma, vedendo che ormai ogni speranza era
perduta, tentarono salvarsi colla fuga. Gettati a terra con una repentina
scossa coloro che li trattenevano, si scagliarono a testa bassa sul cerchio dei
ribelli impegnando una disperata pugna colle mani, coi denti e persino coi
piedi.
Per cinque minuti
riuscirono a tener testa al nemico, poi scomparvero sotto una montagna di
corpi. Atterrati, legati, percossi a sangue, colle vesti a brandelli, i due
disgraziati, malgrado le disperate loro grida e i loro contorcimenti furono
trascinati sul rogo e legati saldamente al tronco della palma.
Fathma gettò un grido
d'angoscia.
- Aiuto
Abù-el-Nèmr75! Aiuto! urlò ella.
Le grida selvaggie dei
ribelli e il fragore della daràbuka76 soffocarono la sua voce e
le imprecazioni di Omar che si dibatteva furiosamente insanguinandosi i polsi.
Erano perduti.
Già un uomo si
avvicinava con un tizzone per mettere fuoco alla pira, già i ribelli alzavano
le lancie per saettare i corpi dei due prigionieri, quando si udì una voce
tonante, imperiosa, gridare:
- Fermi tutti! voi
abbruciate la favorita di Mohamed Ahmed!
Lo scièk
Abù-el-Nèmr era improvvisamente apparso sul sentiero, portato a braccia da
quattro guerrieri, I ribelli, nello scorgerlo col volto contraffatto dall'ira,
e nell'udire quelle parole, si erano arrestati come pietrificati, guardando con
occhi smarriti ora il loro capo e ora i due prigionieri che tendevano le braccia
verso il salvatore.
Abù-el Nèmr con un gesto
imperioso li fece cadere tutti in ginocchio col volto nella polvere.
- Sciagurati! esclamò
egli. Liberate la favorita del vostro signore e ringraziate Allàh che m'abbia
fatto giungere in tempo per salvarvi dalla vendetta dell'inviato di Dio!
Il guerriero d'alta
statura che aveva ordinato il supplizio si avvicinò umilmente ai due
prigionieri e tagliò i loro legami. Egli s'inginocchiò quindi dinanzi a Fathma
baciandole i piedi.
- Perdono! perdono!
balbettò con voce tremante.
L'almea, lo
rialzò con un gesto da regina.
- Ti perdono, diss'ella.
Vattene.
- Ma non io! gridò
Abù-el-Nèmr baciando impetuosamente la mano di Fathma. Chi alza un dito sulla favorita
dell'inviato di Allàh merita la morte e non una volta, ma cento, ma mille.
E'l-Maktud, tu non puoi sopravvivere, io non lo voglio.
- Ti obbedisco scièk,
disse il guerriero puntandosi una pistola sulla fronte. Che Allàh mi perdoni.
Fathma e Omar si
slanciarono verso di lui per disarmarlo ma non ne ebbero il tempo, il
guerriero, obbediente al comando del suo capo, premette il grilletto, facendosi
saltare le cervella. Cadde su di un banco col volto inondato di sangue.
- È orribile! esclamò
Fathma con ribrezzo.
- No, è giustizia, disse
lo scièk freddamente.
- Quell'uomo non mi
conosceva, Abù-el-Nèmr.
- Peggio per lui.
Fathma, perdonami se io non giunsi in tempo per impedire che questi cani di Baggàra
avessero a maltrattarti. La caduta mi cagionò un dolore sì atroce che svenni.
Orsù ritorniamo alla capanna che mi sento estremamente debole. Tu rimarrai
qualche giorno con me?
- Non è possibile, Abù;
ho fretta di raggiungere Hicks pascià, ora che so dove trovasi.
- Ti preme molto,
adunque, quella vendetta?
- Molto, rispose Fathma.
- Con chi partirai?
- Col mio schiavo Omar.
- Non arriverai a Sciula
che cadrai in mano degli insorti. Quasi tutti i villaggi che conducono a El
Obeid sono occupati dalle bando di Mohamed Ahmed77.
- Allàh mi proteggerà.
Abù-el-Nèmr stette
alcuni istanti pensieroso.
- Vuoi proprio
lasciarmi? chiese alfine.
- Sì, e subito, se è
possibile.
- Sta bene, Fathma. Olà
Mustafah!78
Un guerriero lungo e
magro, ma dai muscoli di ferro dalla figura ardita e feroce, semi-nudo, spalmato
tutto di grasso di cammello, e con un pugnale legato al braccio destro si fece
innanzi.
- Mustafah, disse lo scièk,
barderai tre dei migliori cavalli, li caricherai di provvigioni e partirai
colla favorita del nostro signore. Tu le obbedirai come a me stesso, e le farai
strada fra le orde dei ribelli.
Il guerriero partì come
una freccia e cinque minuti dopo ritornava conducendo tre magnifici cavalli
Abù-Rof puro sangue, bardati e carichi di provviste e con parecchie otri piene
di fresca acqua, appese ai fianchi. I tre viaggiatori balzarono in arcione.
- Abù-el-Nèmr, disse
Fathma, con voce commossa stendendo la mano allo scièk. Non mi scorderò
mai di quello che tu hai fatto per me.
Fathma, rispose
gravemente lo scièk senza di te io sarei a quest'ora probabilmente
morto. Serberò a te eterna riconoscenza e se mai un giorno tu avessi bisogno di
un uomo per proteggerti pensa ad Abù-el-Nèmr. Va ora, e che Allàh ti salvi.
Baciò un'ultima volta la
mano all'almea e chiuse gli occhi sospirando. I tre cavalieri subito
dopo lasciavano gl'insorti galoppando verso l'occidente.
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