CAPITOLO X. - La pianura dei Leoni.
Calava la notte quando i
tre cavalieri lasciavano gli ultimi alberi della foresta del Bahr-el-Abiad inoltrandosi
arditamente nel deserto.
La luna, che alzavasi
allora allora, rossa come un disco incandescente, illuminava vagamente quelle
sterminate pianure del Kordofan, aride, sabbiose calcinate dagli ardente raggi
del sole equatoriale. La vista che esse presentavano in quell'ora non poteva
essere più sinistra, più bizzarra, più desolante.
Colline di sabbia
formate dallo spirar furioso del simoum, si succedevano le une alle
altre, in mille differenti guise, fino agli estremi limiti dell'orizzonte. Era molto
se si scorgeva qualche palmizio intristito, ingiallito, morente di sete; era
molto se vedevasi qualche gruppetto di cespugli uscire fra le sabbie
accumulate. Non un tugul non un zeribak, nemmeno il più piccolo
recinto che indicasse la dimora di qualche essere umano.
Lunghe file di ossa
biancheggiavano lugubremente su quei polverosi terreni; ossa di cammelli, ossa
di buoi e di cavalli ma non di rado anche ossa umane che torme di schifose jene
e di sciacalli rosicchiavano avidamente manifestando la loro soddisfazione o la
loro delusione con atroci scrosci di risa e con urla lamentevoli che si
ripercuotevano di collina in collina.
Il guerriero di Abù-el
Nèmr, dopo aver esaminato attentamente la pianura e di aver dato uno sguardo
alla stella del nord per non smarrire la via, spronò il cavallo dirigendosi
verso l'occidente. Fathma e Omar, dopo aver calato il cappuccio del taub
sugli occhi per difendersi dalle sabbie e di aver collocato il fucile dinanzi
alla sella, si misero dietro alla guida nel più profondo silenzio.
Faceva un caldo
veramente terribile, quantunque la notte fosse di già assai inoltrata. Nessun
soffio di vento spirava al disopra di quelle sconfinate e deserte pianure arse
e riarse dal sole. Talvolta pareva che uscissero dal suolo vampe di fuoco.
I cavalli, uniti, a capo
basso, grondanti di sudore, avanzavano con grande fatica e alzavano nubi di
polvere impalpabile che penetrava negli occhi per quanto ben chiusi fossero,
che penetrava nel naso nella bocca e nei polmoni rendendo la respirazione difficile
e penosa. I cavalieri, presi da violenti colpi di tosse, ogni qual tratto erano
costretti ad accostare alle labbra la fiaschetta dell'acqua, per inumidire la
gola secca, arsa.
Per dieci ore marciarono
senza interruzione, scendendo e salendo le colline, facendo spesso fuoco contro
le bande di jene che rese audaci dal numero si avvicinavano minacciosamente con
risa sgangherate, poi fecero alto. L'orizzonte allora s'infiammava e il sole
alzavasi rapido rapido inondando la pianura di luce e di fuoco; sfidare quel
calore sarebbe stata follìa.
La tenda che portava il
guerriero fu rizzata e ognuno si affrettò a ripararvisi sotto aspettando con
impazienza la notte per ripigliare la faticosa marcia.
Appena infatti il sole
sparve all'occidente si rimisero in sella mantenendo una via rigorosamente
diritta a El-Obeid, guidandosi sempre colla stella nord che per gli arabi vale
quanto la bussola e forse meglio.
Così, per sette lunghe
notti galopparono attraverso a quelle immense pianure, evitando con gran cura
le borgate per non incorrere in imbarazzi, quantunque un ribelle li guidasse.
All'ottavo giorno essi fecero alto a una trentina di miglia dal villaggio di
Rakai, in una pianura cosparsa di monticelli pietrosi e di piccole oasi ricche
di palmizi e di acacie gommifere.
Erano le sei di sera. La
tenda era stata di già rizzata e si preparavano a cuocere alcuni grani di durah,
gli ultimi che possedevano, quando Omar si accorse che le otri non contenevano
nemmeno una goccia d'acqua. Questa scoperta, trovandosi in mezzo a quel
deserto, lo sgomentò.
- Dove possiamo
trovarne? chiese egli al guerriero che fumava beatamente sul limitare della
tenda
- L'ignoro, ma in
qualche luogo la troveremo rispose l'interpellato. Il paese che attraverseremo
domani manca totalmente di pozzi.
- Ti ricordi di aver
visto qualche fonte, questa notte?
- No, ma adesso che ci
penso, quattro o cinque miglia verso il sud deve trovarsi un pozzo, quello di
Gelba, mi pare.
- Bisogna andarci, disse
Fathma. Tanto noi che i cavalli siamo morenti di sete. Hai paura tu a recarti a
quel pozzo?
- È ancora giorno e le
bestie feroci sono rifugiate nelle loro tane; non posso incontrare che dei
ribelli e questi non faranno male alcuno ad un loro fratello d'armi, rispose il
guerriero. Fra due ore sarò di ritorno.
Fe' alzare il suo
cavallo dilombato da tante corse, vi appese ai fianchi una dozzina di otri,
salì in sella e dopo di aver cangiata la polvere al suo moschettone partì alla
carriera. Dieci minuti dopo scompariva dietro le colline di sabbia.
Era trascorsa appena
un'ora quando una rumorosa detonazione d'arma da fuoco fece saltare in piedi
Omar e Fathma. In sulle prime credettero che fosse stato il guerriero che
avesse tirato su qualche capo di selvaggina, ma alcune grida lontano e un
rumore sordo sordo come di parecchi cavalli lanciati alla carriera e che andava
rapidamente avvicinandosi, fecero a loro supporre che fosse invece accaduta
qualche disgrazia.
- Resta qui e prepara i
cavalli, disse Omar pigliando il fucile. Io vado a vedere cosa è successo.
Si diresse verso la
collina più vicina che alzavasi una sessantina di metri sul suolo e la scalò.
La scena che vide dall'alto della vetta gli agghiacciò il sangue nelle vene.
A soli ottocento passi
di distanza trottava furiosamente il cavallo Abù-Rof, trascinandosi dietro il
guerriero insanguinato, un piede del quale era rimasto impigliato nella staffa.
A mille passi e forse meno, galoppavano venti cavalieri colle lancie in aria e
urlando come ossessi.
Il negro non volle
saperne di più. Scese a precipizio la collina e corse verso la tenda
giungendovi nel momento in cui Fathma terminava di bardare i cavalli.
- I ribelli! esclamò
egli. A cavallo, padrona, presto che fra poco ci saranno alle spalle!...
- Come? E il guerriero?
chiese l'almea arrestandolo violentemente.
- L'hanno ammazzato. A
cavallo! a cavallo!
Le grida andavano
avvicinandosi sempre più. Omar e Fathma, senza aggiungere parola balzarono in
arcione spronando furiosamente i cavalli.
Avevano appena percorso
cinquecento passi che la banda nemica compariva. Vedendo i due fuggiaschi
lasciarono il cavallo del guerriero per dare la caccia a loro.
- Dove andiamo? chiese
Fathma, senza volgersi indietro.
- Dritti a quella gola
che vedi laggiù, rispose Omar. Sferza o siamo perduti.
La pianura fu
attraversata alla carriera coi ribelli alle calcagna che percuotevano colle
aste delle lancie gli affranti loro corsieri. I due fuggiaschi stavano per
cacciarsi nella gola designata che metteva capo ad una foresta, quando una
banda di quindici negri armati di fucili, sbarrò la via.
- Maledizione! esclamò
Fathma, rattenendo violentemente il corsiero.
- Siamo perduti! urlò
Omar, strappando la carabina e armandola.
- Olà! gridò in quella
uno dei negri, fatevi da un lato che malmeneremo noi quei cani di ribelli. Su i
fucili! Fuoco!
Una scarica formidabile
seguì il comando. Cinque ribelli vuotarono sconciamente l'arcione insanguinando
le sabbie. Gli altri, dopo di aver un momento esitato volsero le briglie
dandosi a precipitosa fuga fra una densa nube di polvere.
- Là, così va bene,
ripigliò con accento allegro la medesima voce di prima. Ohe! fatevi innanzi
senza paura, che non siamo Abù-Ròf, noi.
Fathma e Omar, ancora
sorpresi da quell'inaspettato soccorso, si affrettarono a raggiungere i loro
salvatori. Erano quindici uomini semi-nudi, d'alta statura, magri e ossuti.
Riconobbero subito in quelli dei giallàba, trafficanti dongolesi che
viaggiano tutto il tempo dell'anno pel Kordofan portando durah e maiz,
infaticabili camminatori dotati di una frugalità eccessiva. Basta un pugno di
grano ogni ventiquattr'ore per accontentare quei negri, che sanno però, quando
si presenti loro l'occasione, divorarsi un montone intero in due o tre persone.
Il loro capo aiutò
galantemente Fathma a discendere da cavallo baciandole la mano.
- Posso chiamarmi
fortunato di aver salvato una così bella araba, diss'egli, sorridendo.
M'immaginai subito che quei cani di ribelli ti dessero79 la
caccia. Sei ferita?
- Niente affatto, mio
bravo giallàba, rispose Fathma. Lascia che io ti ringrazi d'avermi
salvata.
- Non corriamo troppo,
tu non puoi chiamarti ancora salva.
- Cosa intendi di dire?
esclamò l'almea sorpresa.
- Credi tu che i ribelli
non tornino alla carica? Non sarei sorpreso se fra un paio d'ore ci vedessimo
capitare addosso un due o trecento di loro.
- E non ti fanno paura?
- Altro che paura, io
rabbrividisco al sol pensarlo.
- E che intendi di fare?
- Faccio montare i miei
uomini e me la batto. Se vuoi venire con noi?
- Dove vai?
- Al campo di Hicks
pascià per arruolarmi sotto la sua bandiera.
- Ma anch'io vado al
campo di Hicks! esclamò l'almea.
- Meglio così; allora
verrai con noi.
- Credi che la via sia
libera?
- Uhm! fe' il giallàba
crollando il capo. Ne dubito.
- Credi che quei selvaggi
abbiano tanto coraggio da ronzare attorno al campo Egiziano? Hicks pascià, se
non erro, deve avere con sè un esercito di dieci od undicimila uomini.
- E il Mahdi
duecentomila80 . Sai che ho una paura maledetta che un dì o l'altro
Hicks o Aladin pascià vengano sconfitti? Quel diavolo di Mohamed-Ahmed è un
uomo di ferro e di gran coraggio che dirige le sue bande come noi dirigiamo i
nostri mahari e fors'anche meglio. I suoi guerrieri non hanno paura
della morte, perchè il furbo ha dato ad intendere che chi morrà
combattendo81 per la santa causa andrà dritto in paradiso a trovare le
urì. Con simile promessa anche i più vigliacchi diventano leoni.
- Sai tu quali idee
abbia Hicks pascià?
- Di muovere su
El-Obeid, a quanto potei udire. Pare che voglia dare il colpo di grazia al Mahdi
privandolo della sua capitale che è anche il suo quartier generale. Bisogna
raggiungerlo prima che dia battaglia. Orsù tutti in sella e avanti, prima che
arrivino quei cani di Abù-Rof.
I diciasette uomini
ubbidirono e si cacciarono nella gola, sbucando in una seconda pianura sabbiosa
ondulata, perfettamente deserta, limitata all'est e all'ovest da rocce
colossali, dirupate, di una aridità spaventosa. I cavalli vennero spronati e si
diressero al galoppo verso l'occidente sollevando ondate di finissima polvere
bianca.
Per quattro ore
consecutive viaggiarono con celerità sorprendente, poi, essendo i cavalli
stanchi, si arrestarono nelle vicinanze di un largo pozzo colmo di acqua sulle
cui rive s'alzavano due grandi palmizi. Fathma additò al capo giallàba
una gran zeribak82 che mostrava qua e là dei varchi.
- Possiamo accamparci là
dentro, diss'ella. Siamo abbastanza lontani dal luogo dello scontro. Gli
insorti non ci raggiungeranno più.
- Veramente il luogo non
mi pare adatto, rispose il giallàba. Siamo troppo vicini a questo pozzo.
- E che vuol dir ciò?
- Che tutte le bestie
feroci, essendo la pianura arida, verranno dissetarsi qui. Corriamo il rischio
di passare il rimanente della notte assai malamente.
- Abbiamo i nostri
fucili, rispose Fathma.
I giallàba si
affrettarono a raggiungere la zeribak nella quale trovavasi abbondante
raccolta di fieno, di sterpi e di sterco di cammello, usato dagli arabi per
accendere il fuoco. I cavalli furono legati, i fuochi accesi e la magra cena di
durah in un batter d'occhio fu preparata e divorata.
Dopo di aver a lungo
discusso sulla83 via da tenersi all'indomani, ciascuno s'accomodò
alla meglio coi piedi rivolti al fuoco, acceso nel mezzo della zeribak.
Erano le due quando Omar fu svegliato dal nitrire e dallo scalpitare
disordinato dei cavalli.
Si levò, prese la
carabina e si spinse fuori della zeribak. La luna faceva capolino fra
uno squarcio delle nubi e illuminava vagamente la pianura fino agli estremi
limiti dell'orizzonte. Il negro s'arrestò sorpreso e spaventato alla vista di
sei o sette leoni che s'avanzavano silenziosamente verso il recinto tenendosi
dietro le collinette sabbiose. Alzò l'arma e tolse di mira uno di essi ma poi
l'abbassò e andò a svegliare Fathma.
- In piedi, padrona,
diss'egli, con un tono di voce che non ammetteva replica.
- Gli Abù-Ròf sono
vicini forse? chiese l'almea alzandosi subito.
- No, ma s'avvicinano
dei nemici ancor più pericolosi di quei ladroni. Vi sono dei leoni che vengono
a questa volta.
Fathma non disse verbo.
Armò la sua carabina e seguì il negro fuori della zeribak.
Non erano più sei o
sette leoni, ma una ventina. Alcuni strisciavano e altri saltellavano fra le
sabbie colla criniera al vento emettendo bassi ruggiti,
- Che facciamo? chiese
Omar spaventato.
- Or ti farò vedere,
rispose tranquillamente l'almea.
Appoggiò la carabina
sulla biforcazione di una magra acacia che cresceva stentatamente fra le sabbie
mirò attentamente il leone più vicino.
- Fuoco! mormorò ella.
La detonazione non era
ancora cessata che il felino faceva un salto di quindici piedi ricadendo poi su
un fianco. I giallàba al rumoroso scoppio saltarono in piedi colle armi
in pugno, credendo d'aver a che fare cogli Abù-Ròf.
- All'erta! gridò Fathma
caricando prontamente l'arma.
- Che accadde? chiesero
i giallàba accorrendo presso di lei.
- Tutti nella zeribak!
comandò Omar.
I cavalli nitrivano di
spavento, scalpitavano e saltellavano cercando spezzare i legami e al di fuori i
leoni ruggivano con furore e minacciavano di varcare le cadenti barriere del
recinto.
I giallàba,
perduto il loro sangue freddo, si precipitarono confusamente nella zeribak
cercando di salire sui cavalli per darsi alla fuga. Fathma si gettò in mezzo a
loro colla carabina spianata.
- Fermi tutti! gridò
ella. Chi si muove è uomo morto!
Nuovi leoni erano
comparsi dietro alla zeribak e tagliavano la ritirata. La pianura s'empì
di ruggiti formidabili, che crescevano ad ogni istante d'intensità e ai quali
facevano eco le smodate e lugubri urla dei sciacalli.
- Attenzione! gridò ad
un tratto Omar, dominando colla tonante sua voce quello spaventevole baccano.
Due leoni, i più grossi
e forse i più affamati della banda, s'avanzavano verso la zeribak con
salti giganteschi. I giallàba, dopo di aver esitato, si fecero animo e
scaricarono le loro armi, mirando alla meno peggio. Uno degli assalitori cadde,
ma l'altro continuò la corsa, varcò la palizzata e si precipitò proprio nel
mezzo della zeribak rovesciando il capo dei negri e addentandolo
furiosamente alla nuca.
S'udì un grido
straziante, terribile, supremo. I giallàba si gettarono verso i cavalli
urlando disperatamente ma Fathma si slanciò addosso al felino che ruggiva
spaventosamente dilaniando orrendamente la vittima e gli spaccò la testa con un
colpo di jatagan.
Non ebbe nemmeno il
tempo di curvarsi sul povero negro ormai morto, perchè altri leoni assalivano
il recinto. Omar alla testa dei più coraggiosi li accolse con un fuoco nutrito
di carabine; tre o quattro furono fulminati, due ammazzati a colpi di
scimitarra e gli altri s'allontanarono in furia, prendendo diverse direzioni.
Non vi era un momento da
perdere se volevano salvarsi. Omar si avvicinò a Fathma che caricava
tranquillamente la carabina.
- Padrona, le disse. Se
non approfittiamo di questo momento di tregua per fuggire, prima di domani
saremo tutti morti.
- E dove dirigersi?
chiese l'almea.
- O al nord o al sud o
verso qualunque altro punto, purchè si fugga.
- Ma la pianura
formicola di leoni,
- Ce li lascieremo
indietro. I cavalli sono spaventati e andranno più rapidi del simoum.
- Ma corriamo il
pericolo di venire raggiunti.
- Non aver paura. I
nostri cavalli galopperanno più dei leoni, te l'assicuro. Orsù, non vi è da
esitare; tutti sono pronti a fuggire. Approfittiamo.
Fathma gettò uno sguardo
all'intorno. I leoni continuavano a saltellare nella pianura, a meno di
quattrocento passi dalla zeribak e i giallàba s'affannavano a
bardare i cavalli.
- In sella! comandò ella
risolutamente.
I giallàba si slanciarono
sul dorso dei cavalli che s'impennavano sferrando calci per ogni dove, nitrendo
di spavento e con gli occhi in fiamma. Ognuno raccolse le briglie, strinse
fortemente le ginocchia e impugnò l'jatagan e le pistole.
- Attenti! gridò Fathma
allentando le briglie. Via tutti.
I cavalli spronati a
sangue s'affollarono confusamente all'apertura della zeribak e si
slanciarono con rapidità fulminea attraverso l'arida pianura. I leoni, vista la
preda fuggire, si gettarono sulle loro traccie facendo salti giganteschi.
- Mano alle pistole!
comandò l'almea che aggrappata alla criniera dell'impaurito corsiero,
cavalcava in testa a tutti.
Fra cavalli e leoni
s'impegnò una gara furiosa. I giallàba, curvi in sella, tempestavano di
sferzate i destrieri e laceravano loro le carni cogli jatagan,
procurando di mantenersi in gruppo serrato. Tratto tratto si volgevano indietro
per vedere se i leoni guadagnavano via e scaricavano le pistole, ma le palle si
perdevano altrove.
In capo a dieci minuti i
cavalli, spossati dalle precedenti corse, cominciarono a rantolare e a dare
segni di stanchezza. Uno di essi intoppò in una pietra e cadde balzando
d'arcione il cavaliere; tre leoni si gettarono sul disgraziato e lo fecero a
brani ancora prima che si potesse alzarsi per difendersi.
- Avanti! avanti!
coraggio! gridò Fathma che non si smarriva d'animo. Tenetevi riuniti e spronate
a sangue. Se teniamo duro i leoni ci lasceranno. Attenti agli ultimi: sferzate!
sferzate!
Un grido terribile,
straziante seguì la sua ultima parola. Un altro cavallo cadde trascinando nella
sua caduta colui che lo montava. Altri quattro s'accasciarono e altri quattro
uomini furono sbranati; un quinto precipitava di sella, un momento dopo
fracassandosi la testa contro un macigno.
Fathma e Omar che
possedevano i migliori cavalli, visto che era impossibile salvarsi, allentarono
le briglie e si lasciarono indietro gli altri che, pazzi di terrore,
cominciavano a sbandarsi prendendo diverse direzioni. L'almea e il negro
si diressero verso alcune colline inseguiti da una dozzina di quei terribili
carnivori, scaricando di quando in quando le pistole sul più vicino di essi.
In lontananza s'udivano
le grida disperate degli sbandati che venivano ad uno ad uno raggiunti e scoppi
d'armi da fuoco.
- Sprona, Omar, sprona! gridò
ancora una volta l'almea tempestando il cavallo coll'impugnatura dell'jatagan.
Erano giunti allora ad
un trecento passi dalle colline e già credevano ormai di essere salvi, quando
il cavallo di Omar rotolò a terra. Il negro si drizzò coll'jatagan in mano.
- Aiuto! aiuto! gridò
egli.
Due leoni gli correvano
sopra colle bocche spalancate, Fathma ritornò indietro alla carriera per
accorrere in suo soccorso.
- Aiuto! aiuto! ripetè
il negro.
- All'armi! gridò una
voce tonante.
Due drappelli di
egiziani uscirono di corsa da una gola formata da due colline e scaricarono i
loro fucili sui leoni che batterono rapidamente in ritirata. Fathma si
precipitò di sella correndo accanto a Omar.
- Gli egiziani? esclamò
ella.
- Allàh sia ringraziato,
Fathma, disse il negro stringendole fortemente le mani. Noi siamo salvi.
- E i giallàba?...
- Non pensiamo più ad
essi. I disgraziati sono caduti dal primo all'ultimo. Vieni, Fathma, andiamo
incontro ai salvatori che non abbiamo più nulla da temere.
Gli egiziani si
avanzavano a passo di corsa. Un ufficiale inglese camminava alla loro testa.
Appena egli giunse dinanzi all'almea portò rispettosamente la mano al
berretto.
- Sono felice di essere
giunto in tempo di salvarvi, diss'egli gaiamente.
- Grazie, comandante,
disse Fathma. Senza di voi e dei vostri valorosi compagni a quest'ora sarei
morta.
- Lo credo bene. Da dove
venite? come mai vi trovate qui?
- Vengo dalle rive del
Bahr-el-Abiad e cerco Hicks pascià,
- Il mio generale!
esclamò sorpreso l'inglese.
- Sicuro. Accampa lontano?
Devo recarmi subito da lui.
Il campo dista una mezza
dozzina di chilometri. Mi dispiace di non potervi accompagnare.
- Vi accompagnerò io, miss,
disse un uomo vestito di bianco, con un cappello a cupola ornato di un velo
verde.
- Perdio, avete ragione!
esclamò l'ufficiale. Miss, permettetemi che vi presenti sir
O'Donovan, corrispondente del giornale il Daily News di Londra.
O'Donovan stese la mano
all'almea che gliela strinse amichevolmente, sorridendo.
- Miss, disse il reporter
del giornale londinese inchinandosi dinanzi a lei. Sono a vostra disposizione.
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