CAPITOLO XII. - L'esercito egiziano.
Kassegh è un piccolo villaggio
distante una sola giornata di cammino da El-Obeid, la capitale del Kordofan.
Questo villaggio si
compone di un gruppetto di miserabili tugul conici87, circondati
da pochi pozzi e abitati un tempo da un pugno di arabi. Hicks pascià, appena
giuntovi, l'aveva fatto occupare da alcune compagnie di negri per tenere in
rispetto i ribelli che scorazzavano i dintorni e farne, all'uopo, la base delle
sue operazioni contro El-Obeid.
O'Donovan, affidati i
cavalli ad alcuni soldati si affrettò a condurre Fathma e Omar in una capanna,
che fu subito sgombrata da coloro che l'occupavano e fece portare della birra merissak
e una terrina di durah bollite.
- Voi rimarrete qui,
diss'egli, e mentre vuoterete questo fiasco di birra andrò a dire due parole al
comandante della guarnigione, che è mio amico.
- E al campo, quando ci
andremo? chiese Fathma, che non dissimulava la sua impazienza.
- Fra mezz'ora noi vi
entreremo, e forse potrete vedere Hicks pascià senza correre rischio di essere
riconosciuta.
Il reporter se ne
andò lestamente cacciandosi in mezzo alle tende degli Egiziani. Omar e Fathma,
rimasti soli, si scambiarono uno sguardo.
- Che ne dici di
quell'uomo, Omar? chiese l'almea.
- Dico che possiamo
fidarci di lui, rispose il negro.
- Credi tu che troveremo
Abd-el-Kerim?
- Lo spero.
- Eppure O'Donovan non
l'ha mai veduto e non ha mai udito pronunciare il suo nome. Non so, ma ho un
funesto presentimento.
- Io trovo naturalissimo
che O'Donovan non lo abbia mai veduto. Undicimila uomini non sono già un centinaio.
- Ma la greca l'ha pure
veduta, disse Fathma con collera.
- Una donna si fa presto
a notarla, tanto più che Elenka si mostrava spesso nella tenda di Hicks pascià.
- Ma non si mostrerà
più, te lo giuro Omar. Appena sarò entrata nel campo mi metterò in cerca di lei
e la pugnalerò in qualsiasi luogo la trovi.
- Non lo farai, Fathma,
disse il negro fermamente.
- Perchè?... Chi me lo
impedirà? chiese con impeto selvaggio l'almea.
- Perchè correrai il
rischio di farti prendere.
- E che importa a me quando
l'avrò uccisa?
- Ma verrai scoperta,
riconosciuta per la favorita del Mahdi e forse fucilata lì per lì.
Questi inglesi non ischerzano, Fathma.
- Sarò prudente, Omar.
- Me lo prometti?
- Te lo prometto.
- Lascia fare a me. La prenderò,
la trascinerò lungi dal campo e te la darò in mano legata.
- Ah! esclamò l'almea
con feroce accento. Quando penso che la vedrò ai miei piedi gelata dalla morte,
sento il cuore balzarmi in petto e provo una gioia sino ad oggi mai provata.
Ah! quanto è bella la vendetta.
- Zitto, Fathma; ecco
O'Donovan, disse Omar. O'Donovan entrò seguito da un negro che portava in
ispalla un gran rotolo di vesti.
- Che ci portate? chiese
Fathma affettando88 una certa noncuranza.
- L'occorrente per
entrare nel campo senza destare sospetti, rispose O'Donovan congedando il
negro.
- Forse con quelle vesti
sulle spalle?
- Sedete e ascoltatemi.
O'Donovan empì una tazza
di birra e la tracannò in un sol fiato, poi sedendosi dinanzi a loro due:
- Amici miei, diss'egli,
in tempo di guerra, fare entrare in un campo degli sconosciuti, è sempre
pericoloso.
- È giusto, disse
Fathma.
- Ho fatto portare qui
delle vesti di basci-bozuk, e mi pare che camuffati da soldati sia facile
entrare ed uscire dal campo.
- Ah! fe' Omar ridendo.
Voi volete vestirci da basci-bozuk?
- Sicuramente.
- Anch'io? chiese
Fathma.
- Voi più del vostro
compagno.
- È ridicola.
- Niente affatto, io la
trovo una precauzione saggia.
- Mi si conoscerà
facilmente per una donna.
- Non così facilmente
come credete. Avete un bel portamento e una faccia ardita. Orsù, spicciamoci.
O'Donovan sciolse il
rotolo e levò sei o sette vestiti di ufficiali basci-bozuk coi turbanti e le
scimitarre. Fathma non esitò a scegliere quello che meglio adattavasi al suo
taglio.
Si ritirò in una stanza
attigua e cominciò a vestirsi, calzò le uose di pelle di capra, infilò i larghi
calzoni rossi e la casacca ricamata d'argento, cinse la larga fascia nella
quale passò un jatagan e le pistole e raccolse i capelli a chignon,
nascondendoli interamente sotto un gran turbante verde. Appesasi la scimitarra,
ritornò dai compagni, colla dritta posata fieramente sulla guardia dell'arma e
la testa alta.
- Ah! il bell'ufficiale!
esclamò O'Donovan By-good! Non mi ricordo d'aver visto in Oriente un
basci-bozuk così ammirabile.
- Siete certo? disse l'almea
sorridendo.
- Ve lo giuro. Se
io fossi Hicks pascià vi darei subito da comandare uno squadrone di cavalleria.
- Burlone.
- E sono sicuro che lo
comanderebbe meglio di qualche ufficiale, aggiunse Omar, che terminava di
abbigliarsi.
- Siete certo che non
riconosceranno in me una donna? chiese l'almea.
- Certissimo.
- Allora affrettiamoci a
recarsi al campo. Mi preme d'interrogare Hicks pascià.
- Volete proprio venire
dal generale?
- Certamente e voi mi
presenterete per un vostro aiutante di campo o per qualche cosa di simile.
- Mi mettete in un
bell'impiccio.
- Che c'è di nuovo?
Avete paura che vi tradisca?
- Non è questo, ma...
- Che cosa allora? Dite
su, voglio saperlo.
- Se Hicks pascià... se
vi dasse qualche notizia su Abd-el-Kerim... Chissà, potrebbe darsi che questa
notizia non fosse troppo buona...
- Sapete forse qualche
cosa voi?...
- No, non so niente, ve
lo giuro.
La faccia dell'almea
si alterò orribilmente; stette per alcuni istanti muta colle mani strette sul
cuore.
- Sono forte, disse poi
rizzandosi fieramente, e sono preparata a tutto. Conducetemi da Hicks pascià.
- Quando mi dite di
essere preparata a tutto possiamo andare.
Si gettarono ad
armacollo i remington e uscirono dal tugul inoltrandosi fra le
tende delle compagnie accampate. Gli egiziani, vedendo uscire due ufficiali
basci-bozuk invece di un uomo e di una donna si guardavan l'un l'altro
sorpresi, non potendo89 credere ai loro occhi, ma O'Donovan non
lasciò a loro tempo di osservare troppo.
- Prendiamo questo
sentiero, diss'egli. Questi soldati si sono accorti del travestimento.
- Forse non ho il
portamento d'un soldato, mormorò Fathma.
- Non è questo. Si sono
accorti perchè vi avevano visto entrare e sapevano che il tugul non
alloggiava basci-bozuk. Del resto poco importa.
Presero un sentieruzzo
che scendeva, serpeggiando, il declivio di un colle ed in poco tempo giunsero
sul limite estremo del bosco. Fathma e Omar s'arrestarono sorpresi dal
grandioso spettacolo che si presentava dinanzi ai loro occhi.
A duecento metri da
loro, in una immensa pianura ondulata, cosparsa da gruppetti di palme,
accampava l'esercito egiziano comandato da Hicks e da Aladin pascià, forte di
undicimila e più uomini.
Immaginatevi tre o
quattro mila tende, disposte nel massimo disordine, secondo il capriccio di
coloro che le abitavano, ritte o atterrate, lacerate o rattoppate, bianche o
dipinte, alcune aggruppate strettamente, altre separate da centinaia e
centinaia di piedi, arrampicantesi sulle colline sabbiose o sui pendii di
aridissime rupi. Nel mezzo s'alzavano, e queste con un po' d'ordine, le tende
più elevate degli ufficiali, dello stato maggiore e quelle dei
generali90 sulle quali ondeggiavano lacere bandiere egiziane.
Dappertutto si vedevano
soldati, chi sdraiati per terra o aggomitolati come gatti al sole, chi seduti
attorno ai fuochi a preparare il rancio, chi occupati a manovrare, chi a
esercitarsi al tiro; vi erano egiziani, negri, turchi, basci-bozuk, europei, tutti
in differenti costumi. Dappertutto vi erano fasci di fucili che rifulgevano ai
torridi raggi del sole, cannoni, tamburi, barili di munizioni, e in mezzo a
tuttociò cavalli, muli e cammelli che nitrivano, che ragliavano, che muggivano,
formando colla voce degli uomini un baccano assordante, continuo, paragonabile
al fragore del mare in tempesta.
- Quanti uomini! esclamò
Omar. Che baccano, che confusione, quante armi, quante tende, quanti
animali!...
- Tanti ma sempre pochi,
disse O'Donovan91 con un sospiro.
- Non vi pare che
bastino tutti questi?
- Pel Mahdi no, sono
ancora pochi.
- Lo credete? disse
Fathma.
- Sì mia cara, questi
uomini non sono sufficienti per vincere il leone del Sudan. Orsù, andiamo da
Hicks pascià.
- Qual'è la sua tenda?
- Quella che vedete là
in mezzo.
- E quella...
- Di chi?...
- Tiriamo innanzi,
mormorò Fathma mordendosi le labbra.
Entrarono nel campo,
attraversando quel labirinto di tende, d'uomini e di animali e mezz'ora dopo si
arrestavano presso la tenda d'Hicks pascià, dinanzi la quale vigilavano due
sentinelle.
- Vammi ad annunciare al
generale, disse O'Donovan ad una di esse.
- Ci accoglierà? chiese
Fathma con voce visibilmente alterata.
- Certamente, rispose il
reporter. Siate forte.
- Lo sono.
- Rammentatevi che un
sol gesto può tradirvi e forse perdervi. Il generale non tollererebbe nel suo
campo una favorita del Mahdi.
- Vi dissi già che sono
pronta a tutto. Non abbiate paura.
Due ufficiali uscirono
in quell'istante dalla tenda, e salutarono rispettosamente il reporter
che restituì a loro il saluto.
- Chi sono? chiese
Fathma.
- Il capitano di stato
maggiore Farquar e il barone Cettendorfs. Due uomini di ferro, specialmente il
primo.
La sentinella ritornò
annunciando che erano aspettati. O'Donovan strinse fortemente le braccia de'
suoi compagni, come per raccomandare a loro prudenza, e li condusse dentro.
In mezzo alla tenda,
seduto su di un tamburo, se ne stava il generale Hicks con alcune carte
topografiche spiegate sulle ginocchia.
Era questi un uomo di
bell'aspetto, alto, robustissimo, non ostante che gli pesassero sulle spalle
più che cinquant'anni, con una faccia alquanto dura, abbronzata dai raggi
solari delle torride regioni e rugosa per le fatiche, ombreggiata da una barba
piuttosto lunga, liscia e brizzolata da parecchi fili bianchi.
Hicks pascià era un
soldato nel vero senso della parola, che sorto dal nulla, mercè la sua rara
intrepidezza, la sua energia e il suo talento, era riuscito, passo a passo, a
guadagnarsi il grado di generale.
Era entrato nell'esercito
indiano l'anno 1848. Dopo aver combattuto in quasi tutte le battaglie della
grande insurrezione indiana era corso in Abissinia a prendere parte alla guerra
contro Re Teodoro, anzi entrava fra i primi in Magdala.
Ritiratosi in
Inghilterra col grado di maggiore e nominato più tardi colonnello, ripartiva i
primi del 1883 per Suakim onde prendere parte alla spedizione del Sudan.
Il 13 febbraio, nominato
comandante supremo della spedizione, lasciava Suakim con uno stato maggiore
composto di dodici ufficiali europei, dieci inglesi e due tedeschi.
Giunto a Chartum
organizzava l'esercito incorporandovi Arabi, Egiziani, Etiopi e Basci-Bozuk e
il 9 settembre mettevasi in campagna con 6000 fantaccini, 4000 basci-bozuk,
ventidue cannoni, alcune mitragliatrici, 590 cavalli e 5500 cammelli.
Doveva avanzarsi lungo
il fiume Bianco costruendo sei forti onde mantenere le relazioni e nell'ottobre
o novembre dare battaglia alle orde del Mahdi.
Al forte di Kawa batteva
i ribelli e poche settimane dopo tornava a vincerli, ma a nulla erano giovate
queste vittorie.
Assalito continuamente,
male organizzato, senza commissariato, senza mezzi di trasporto sufficienti,
senza fondo di cassa, l'esercito s'era ben presto demoralizzato.
Hicks pascià aveva però
tenuto fermo, e sfidando imperterrito le lancie dei mahdisti, la fame, la sete
e il caldo, era finalmente riuscito a raggiungere El-Dhuem.
Riorganizzato alla
meglio l'esercito erasi subito rimesso in campagna risoluto ad espugnare
El-Obeid, la capitale del Mahdi, affrontando nuovamente altri ostacoli e altri
pericoli senza nome. I soldati cadevano per la stanchezza, i pozzi erano pieni
di cadaveri putrefatti appositamente gettativi dai ribelli, i cammelli
insufficienti, i nemici sempre più accaniti.
Nella prima sola
giornata di marcia aveva perduto sette ufficiali, cinquanta soldati e
altrettanti cammelli per l'insoffribile caldo!
Il 10 ottobre, dopo un
continuo scaramucciare, giungeva a Sange-Hamferid e agli ultimi di ottobre faceva
accampare l'esercito sfinito, demoralizzato, a Kassegh, aspettando il momento
opportuno per gettarsi su El-Obeid ed espugnarla.
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