CAPITOLO XIII. - Lo schiavo di Elenka.
Hicks pascià, appena
vide entrare O'Donovan e i suoi compagni, mosse sollecitamente a loro incontro
con un sorriso bonario sulle labbra. Salutati militarmente i due ufficiali
basci-bozuk che gli restituirono spigliatamente il saluto, strinse
vigorosamente la mano che il reporter gli porgeva.
- Dove diavolo siete
stato fino ad ora? chiese gaiamente il generale. Sono sei giorni che non vi
fate vedere nella mia tenda, amico caro, e cominciavo a temere che vi fosse
accaduta qualche disgrazia.
- Non ancora, generale,
disse O'Donovan, sorridendo. Ho fatto una escursione agli avamposti per vedere
come vanno le faccende.
- E che avete veduto?
- Ho trovato innanzi a
tutto questi due ufficiali che conobbi a Chartum e che venivano appositamente
in cerca del vostro esercito per arruolarsi. Vogliono combattere contro le orde
del Mahdi.
- Ah! fe' il generale,
fissando attentamente i due falsi ufficiali. Voi siete venuti appositamente per
combattere contro i ribelli?
- Sì, generale, disse
Fathma
- Da dove venite?
- Dal Bahr-el-Abiad.
- Avete incontrato dei
ribelli dietro via?
- Ci hanno inseguiti
dieci o dodici volte.
- Avete avuto un bel
coraggio, amici miei, e una bella costanza per raggiungere il mio esercito
attraversando un paese sollevato a rivolta. Ah! voi volete battervi? Vi
batterete e presto.
- Si fa partenza forse?
chiese O'Donovan92 .
- Fra qualche giorno,
rispose il generale, diventando d'un tratto pensieroso. Sapete, O'Donovan, che
noi ci troviamo in una posizione che può chiamarsi disperata? Se noi non
entriamo più che in fretta in El-Obeid, corriamo il pericolo di terminare la
campagna con una catastrofe.
- Cosa c'è di nuovo?
- Che l'esercito muore
di stenti e di sete. Non vuole più obbedire ai miei comandi, si lamenta che
manca di tutto, che così non la può durare, che ne ha abbastanza della campagna
e che vuole ritornare a casa.
- Quando è così si
ricorre a mezzi estremi per ridurlo all'obbedienza.
- Allora si ribella.
- Si fucilano i ribelli.
- Con Aladin pascià è
impossibile fucilare. Anche ieri l'altro un circasso sparò una fucilata contro
un ufficiale dei basci-bozuk e fu un vero miracolo se non l'uccise. Io voleva
far passare per le armi il circasso, ma Aladin s'interpose e dovetti cedere.
Come è possibile farsi ubbidire con questi esempi?
- Ma non siete voi il
comandante supremo dell'esercito?
- Sì, sono io, ma solo
di nome, disse con amarezza il generale.
- Qui mi si odia, qui si
mormora che io conduco l'esercito a completa ruina, che non so comandare, che mi
curo degli Egiziani come fossero i miei cani. Sono inglese, e voi sapete guanto
gli Egiziani odiano noi. Vi sono dei giorni che mi pento di essermi messo alla
testa di questi miserabili, ve lo giuro.
- Quando marcieremo su El-Obeid?
- Appena che avrò appianate
le questioni con Aladin pascià. Io voglio marciare seguendo la pianura, lui
vuole prendere la via dei monti, e intanto si perde tempo e il pericolo cresce.
- Dove trovasi
l'esercito del Mahdi?
- Chi lo sa? Le guide ci
tradiscono, le spie si contraddicono; non sappiamo affatto nulla. Per maggior
disgrazia un tedesco la scorsa notte disertò e si dice che siasi recato al
campo del Mahdi.
- Chi è questo
traditore? chiese con indignazione O'Donovan.
- Il vostro servo.
- Che?... Gustavo
Klootz...93 Tuoni e fulmini!... È impossibile.
- Ve lo dico io,
O'Donovan.
Il reporter vibrò
un pugno spaventevole ad una scranna che non resse all'urto e andò in pezzi.
- Miserabile Klootz!
tuonò. Chi avrebbe detto che quel giovanotto sarebbe diventato un traditore! io
non lo credo ancora.
- Eppure è vero. È
scomparso la scorsa notte.
- Forse fu ucciso.
- No, delle spie l'hanno
visto entrare nel campo di Ahmed.
- Allora siamo perduti.
Il miserabile narrerà al Mahdi che l'indisciplina regna nelle nostre
truppe e che manchiamo di tutto.
- È94 cosa
certa, disse il generale.
- Spingerà il Mahdi
a piombarci addosso.
Il generale crollò il
capo.
- Forse è meglio, disse,
dopo qualche istante di meditazione. Una battaglia la desidero poichè la sola
vittoria può salvarci.
- E se invece di vincere
si perde?
- Dio nol permetta;
neppur uno di noi scamperà all'eccidio!
La fronte del generale
s'aggrottò. Chinò il capo sul petto, incrociò macchinalmente le braccia e si
mise a passeggiare in preda a brutti pensieri.
Il più profondo silenzio
regnò per qualche minuto nella tenda.
- Ad un tratto O'Donovan
sentì urtarsi il gomito. Si volse e vide Fathma che lo guardava con occhi
supplichevoli; comprese subito ciò che voleva.
- Generale, disse.
Hicks pascià rialzò la
testa interrompendo la passeggiata.
- Avete qualche cosa da
dirmi, chiese distrattamente.
- Conoscete voi gli
ufficiali che condusse Dhafar pascià?
- Tutti.
- Fathma s'avvicinò
vieppiù a O'Donovan, Non respirò più e strinse le mani sul petto quasi volesse imporre
silenzio ai precipitosi battiti del suo cuore.
- Generale, continuò il reporter,
avete conosciuto un tenente che si chiama Abd-el-Kerim?
Hicks pascià lo guardò
in silenzio passandosi la mano manca sulla fronte come cercasse nella memoria,
- Un arabo? disse poi.
- Sì, un arabo esclamò
Fathma con veemenza.
- Era alto, dal nobile
portamento, capelli e baffi neri.
- Sì, proprio così,
proprio così, balbettò l'almea.
- L'avete conosciuto
anche voi?
- Era... Era un mio
amico.
- Ah! fe' il generale.
Lo conobbi a Duhem assieme al capitano Hassarn.
Un rauco sospiro sortì
dalle labbra contratte di Fathma e la sua fronte si coprì di stille di sudore.
I suoi occhi si aprirono smisuratamente fissandosi in quelli del generale, come
volesse leggere ciò che passavagli per la mente.
- L'avete conosciuto,
mormorò ella con un filo di voce. Ed ora... si trova qui?
- No, nè lui ne Hassarn.
L'almea
indietreggiò tre o quattro passi barcollando come se fosse stata percossa dalla
folgore. O'Donovan l'afferrò per un braccio stringendoglielo come in una morsa.
Ella s'arrestò di botto; comprese il pericolo che correva, l'abisso in cui
stava forse per precipitare.
- Che è successo di
loro? chiese O'Donovan stornando l'attenzione del generale. Sono stati forse
uccisi?
- Sono caduti in una
imboscata appena usciti da Duhem. Il capitano Hassarn fu ucciso da tre colpi di
lancia, l'altro...
- L'altro?... chiese
Fathma con voce strozzata.
- Fu fatto prigioniero
dagl'insorti!...
- Dio!... rantolò ella.
Cacciò fuori un urlo
disperato, straziante, portò le mani alla testa e cadde fra le braccia di Omar.
O'Donovan impallidì come un morto; credette che tutto fosse perduto.
- Che è successo? chiese
il generale correndo verso Fathma.
- Non è nulla generale,
disse O'Donovan, sbarrandogli il passo. Abd-el-Kerim era suo... era suo
fratello.
- Ah! disgraziato!...
slacciategli le vesti, lasciatemi vedere:
- Non è nulla, vi
ripeto, non è nulla.
- Chiamatemi il capitano
medico, replicò il generale cercando di avvicinarsi all'almea svenuta.
Lasciatemi vedere se posso fare qualche cosa io.
- Lo chiamerò più tardi,
generale, non datevi pensiero di nulla, lasciate che lo trasporti nella mia
tenda. Portalo via Omar.
Il negro vedendo il
generale avvicinarsi e comprendendo il gran pericolo che correva l'almea
se veniva scoperta, s'affrettò a gettarle sul volto il turbante, poi, presala
fra le braccia, uscì di corsa dalla tenda.
- Permettetemi di
seguirlo, generale, disse O'Donovan che sentì il cuore allargarsi. Quel povero
ufficiale ha avuto un terribile colpo.
- Fate pure O'Donovan,
ma potevate lasciarlo qui.
Il reporter finse
di non aver udito e raggiunse il negro.
- Ah! che disgrazia!...
esclamò il povero Omar colle lagrime agli occhi. Povero mio padrone!...
- Pensiamo a Fathma ora,
poi penseremo a lui. Omar, disse il reporter. Portiamola nella mia
tenda.
In pochi minuti
entrarono nella tenda elevata a cinquecento passi da quella del generale.
O'Donovan adagiò Fathma su di una coperta, le slacciò le vesti e l'esaminò
attentamente per qualche istante.
- Ebbene? chiese il
negro, con voce rotta.
- Non sarà nulla, Omar.
È svenuta, ma fra poco si riavrà. Questa donna è troppo forte per rimanere a
lungo così.
Si fece dare la sua
fiaschetta e spruzzò il volto della svenuta. Un sospiro non tardò ad uscire dalle
labbra di lei, seguito da un singhiozzo straziante, rauco, soffocato.
O'Donovan le versò in
bocca alcune gocce di merissak; l'almea sbarrò spaventosamente
gli occhi e si rizzò a sedere guardando all'intorno con smarrimento.
- Abd-el-Kerim! Abd-el-Kerim! balbettò ella con disperato accento. Dov'è Abd-el-Kerim? Oh! Dio!
- Coraggio Fathma, disse
O'Donovan commosso. Siate forte.
- Padrona non disperarti
così, singhiozzò Omar. Cerca di essere forte.
- Amici miei... ho il
cuore spezzato... ho l'anima infranta... Abd-el-Kerim, mio
adorato Abd-el-Kerim! Tutto
è perduto, tutto è crollato... non v'è più speranza... Ah!
sorte crudele!
Un singhiozzo le soffocò
la voce e scoppiò in lacrime nascondendosi la faccia fra le mani. Un eccesso di
delirio spaventevole la prese quasi subito.
Si strappò i capelli, si
lacerò le carni colle unghie, si rotolò per terra forsennatamente. O'Donovan e
Omar penarono molto a tenerla ferma e a riadagiarla sulla coperta.
- Abd-el-Kerim urlava la
sventurata cogli occhi stravolti, schizzanti fuori dalle orbite, Abd-el-Kerim
dove sei?... lascia che ti veda, lascia che ti abbracci, lascia che ti
contempli! Dove sei, vieni da me, dalla tua Fathma che tanto ti amò, vieni fra
le mie braccia... Prigioniero!... M'hanno detto che tu sei caduto prigioniero!...
No, non è possibile, non è vero... mi hanno ingannato... ma perchè non vieni,
ah! è adunque vero, i ribelli ti hanno preso, ti hanno condotto via...
Maledetto sia il Mahdi!...
Si dimenò per qualche
tempo urlando e ruggendo come una belva, straziandosi le labbra coi denti,
stringendo freneticamente le braccia di O'Donovan e di Omar che si sforzavano
di tenerla ferma, poi con un improvviso scatto si alzò a sedere colle mani tese
innanzi a sè.
- Ah! ripigliò ella con
uno scoppio di risa convulse. Sei tu... ancora tu, che mi vieni dinanzi...
sempre tu, maledetta donna, mostruosa creatura, spaventevole apparizione!...
Che vuoi da me? che vuoi dalla tua vittima? Non ti basta avermelo rubato, non
ti basta avermelo perduto, non ti basta di avermi dilaniato il cuore... vieni a
deridermi, vieni ancora a sogghignare dinanzi alla vittima... Ti odio! ti
odio... ho sete del tuo sangue! Ah! potessi fulminarla!...
Gli occhi della
delirante si chiusero e le mani si raggrinzarono. Poco dopo si calmò e cadde in
un profondo torpore che potevasi chiamare un semi-svenimento.
- Ma con chi l'ha?
chiese O'Donovan. Chi è questa orribile creatura che tanto odia e che tanto la
sgomenta?
- Delira, rispose Omar.
Non so chi sia, Potrà riaversi da questo terribile colpo?
- Non sarà nulla, ti
ripeto, rispose O'Donovan Quando si sveglierà starà molto meglio.
- E del mio povero
padrone, che ne sarà? Ah quante disgrazie. Se fosse morto? Se non lo
rivedessimo più mai?
- Ho paura che tutto sia
finito per lui, mormorò O'Donovan con un sospiro. Sventurata ragazza!
- Non c'è alcuna
speranza? Nemmeno la più piccola probabilità di poterlo un giorno rivedere?
- Forse, Omar. Se noi
siamo tanto fortunati da rompere le orde del Mahdi e di entrare in El-Obeid,
chissà si potrebbe ritrovarlo fra i prigionieri.
- Voi dunque credete che
sia ancor vivo.
- So che parecchi
ufficiali egiziani che caddero nelle mani degl'insorti, invece di essere
decapitati o fucilati furono nominati capi-tribù.
- È vero quello che mi
raccontate?
- Verissimo, amico mio. Il
Mahdi ha bisogno di buoni ufficiali per istruire le sue orde che sono affatto
disorganizzate.
- Quanto bene mi fanno
queste parole.
- Non illuderti amico
mio.
- Non mi illudo ma
spero.
- Sta zitto ora. Alza un
po' un lembo della tenda che qui sotto si soffoca.
Omar ubbidì, ma aveva
appena alzata la tela che gettava un urlo feroce. Dette indietro traballando
come un ubbriaco cogli occhi stralunati.
- Ah!... esclamò egli
con voce strozzata.
- Che hai? chiese
O'Donovan, sorpreso. Chi hai veduto?
Il negro non rispose.
Curvo, guardava innanzi a sè col più profondo terrore scolpito in volto e colle
mani convulsivamente strette sui calci delle pistole. Pareva che fosse lì lì
per slanciarsi fuori della tenda.
- In nome di Dio, ma chi
hai visto? chiese O'Donovan che non capiva il perchè di quella viva emozione.
Cosa ti è accaduto? Perchè tanto spavento? Viene forse Hicks pascià?
- Silenzio, balbettò il
negro. Rimanete qui, io devo uscire.
- Ma perchè? dove vuoi
andare?
- Ho visto una persona
che non credeva di vedere in questi luoghi, ecco tutto. Fra venti minuti sono
di ritorno.
- E tanta paura ti
cagiona quella persona?
- No, mi ha sorpreso.
Il negro raccolse un
mantello, s'avvolse da capo a piedi avendo cura di nascondersi parte della
faccia e uscì in furia.
La notte era di già
scesa sull'immensa pianura sabbiosa. In cielo scintillavano le stelle e
sull'orizzonte alzavasi l'astro delle notti serene, il quale illuminava
fantasticamente quel caos di tende, di cavalli, di cammelli, d'uomini, di
fucili, di cannoni, di bandiere.
Per ogni dove
s'accendevano i fuochi pel rancio della sera, per ogni dove s'aggruppavano
Arabi, Negri, Egiziani, Turchi e Circassi a narrarsi vicendevolmente le
avventure della giornata, fumando il narghiléch o il sibouk; per
ogni dove s'aggiravano cavalli e muli condotti a dissetarsi ai pozzi.
Dappertutto s'udiva un
brusìo, un mormorìo, un chiacchierìo, un muggire, un nitrire, che venivano
coperti talvolta dalle preghiere dei devoti, o dai canti e dai tamburelli degli
Arabi, o da un fragoroso rullar di tamburi, o da uno squillar improvviso di
trombe e non di rado da una scarica di fucili delle compagnie accampate agli
avamposti che venivano assalite dai bersaglieri insorti.
Omar, dopo aver girato
rapidamente lo sguardo attorno e di aver esitato qualche istante si cacciò fra
una doppia fila di tende, saltando via i soldati che sonnecchiavano per terra.
Un minuto dopo si arrestava soffocando a gran pena un grido di furore.
Davanti a lui, avvolto
in un lungo taub, camminava un negro di statura colossale con un
remington ad armacollo. Quantunque fosse notte e il mantello coprisse una buona
parte del volto a quell'uomo, Omar lo riconobbe subito.
- Takir! esclamò egli
con voce sorda. Che fa qui lo schiavo di Notis? Ti trovo sul mio cammino, il
Profeta l'ha voluto: tu sei un uomo morto.
Un feroce sorriso, un
sorriso da tigre sfiorò le labbra dello schiavo di Abd-el-Kerim. Le sue mani
corsero all'impugnatura della scimitarra, la accarezzò con compiacenza e si
mise dietro al nubiano, dandosi l'aria di un ufficiale in ispezione.
Takir in breve tempo
oltrepassò le tende e giunse agli avamposti, dove arrestossi qualche istante a
scambiare alcune parole colle sentinelle. Omar lo udì chiedere notizie sulle
posizioni occupate dai ribelli e se questi ronzavano attorno al campo da quel
lato. Ricevuta una risposta negativa, il nubiano, passatosi il remington sotto
al braccio, uscì dall'accampamento inoltrandosi in un palmeto.
- Dove va? mormorò Omar.
Seguiamolo.
Aspettò che il nubiano fosse
lontano un centocinquanta passi, poi si gettò a terra e si mise a strisciare
fra i cespugli e le roccie con sveltezza straordinaria e senza produrre rumore.
Giunto nel bosco si rialzò e s'avvicinò al nubiano che camminava con
precauzione girando gli sguardi ora a destra ed ora a sinistra. Stava per
puntare il fucile quando Takir si arrestò mandando un debole fischio.
- Chi aspetta? mormorò
Omar aggrottando la fronte.
Si gettò in mezzo ad una
fitta macchia di acacie gommifere e attese colle pistole in pugno.
Passarono cinque minuti,
poi un uomo, un negro quasi nudo armato di una corta lancia e difeso da un
grande scudo di pelle d'elefante, sbucò dai cespugli. Con pochi salti egli
raggiunse il nubiano che si era addossato al tronco di una palma col fucile
montato.
- Sei tu Tepele? chiese
il nubiano.
- In persona, Takir,
rispose il negro che Omar riconobbe per un guerriero del Mahdi.
- Che hai saputo?
- Nulla fino ad ora. So
però che fu fatto prigioniero dallo scièk Tell-Afab.
- È vivo adunque?
- Non te lo posso
assicurare ancora. Domani parlerò con un arabo che si trovò presente al
combattimento e che accompagnò lo scièk verso il sud.
- Abbiamo almeno qualche
speranza?
- Non bisogna nè sperare
ne disperare, disse Tepele. Io credo però che Abd-el-Kerim non sia stato
ucciso. Abbiamo bisogno di ufficiali per organizzare le nostre tribù ed
insegnare a esse a combattere contro gli Egiziani.
- Quando potrò sapere se
è vivo o morto?
- Vedi tu quel tugul
che s'arrampica su quella collina che sta a noi di faccia?
- Lo vedo.
- Domani, a sera, alla
mezzanotte, trovati là e saprai ogni cosa.
- E i ribelli?
- Domani mattina
abbandoniamo questi dintorni e ci portiamo in coda all'armata Egiziana. Questo
luogo sarà deserto. Dammi ora i talleri, se gli hai portati.
Il nubiano gli porse un
sacchetto.
- Qui vi sono cento
talleri, disse Takir. Domani a sera verrò colla mia padrona al tugul e
ne avrai altrettanti.
- Che Allàh ti conservi,
Takir.
- Che il Profeta ti
guardi.
Il ribelle s'allontanò
correndo come un'antilope. Takir, dopo esser rimasto qualche minuto immobile,
pensieroso, volse i suoi passi verso il campo mettendosi il fucile in ispalla.
Non aveva percorso
ancora dieci metri che un colpo di pistola partiva dalla macchia di acacie. Il nubiano
fece un salto gigantesco gettando un ruggito di dolore e cadde a terra con una
gamba spezzata da una palla. Prima che potesse risollevarsi o porsi sulla
difensiva, Omar gli ruinava addosso coll'jatagan in pugno.
- Guardami in volto,
Takir! gli urlò agli orecchi lo schiavo di Abd-el-Kerim.
- Omar! esclamò con
profondo terrore il nubiano.
- Sì, proprio Omar,
venuto al campo per vendicare l'infelice Fathma!
- Grazia!... balbettò
Takir che si sentì agghiacciare il sangue. Grazia, Omar.
Il negro lo guardò con
profondo disprezzo.
- Ah! Tu hai paura della
morte, gli disse sogghignando.
- Sono giovane per
morire. Lasciami la vita e io sarò tuo schiavo.
- Vigliacco!... Odimi,
Takir: tu puoi riscattare la vita rispondendo alle domande che ti farò ed
eseguendo quello che ti ordinerò.
- Sono pronto a
ubbidirti, ma lasciami la vita. La morte mi fa paura.
- Sta bene. Dimmi
innanzi a tutto come Abd-el-Kerim cadde prigioniero.
- Fu preso mentre
eseguiva una ricognizione nei dintorni di El-Duêm,
- Che ne fu del capitano
Hassarn?
- I ribelli gli
tagliarono il capo.
- Cosa sei venuto a fare
qui? Ti ho veduto parlare con un ribelle.
- Voleva sapere se
Abd-el-Kerim era vivo o morto.
- Tanto interessa a te
il saperlo? chiese ironicamente Omar.
- Non a me, ma alla mia
padrona.
- A Elenka? Dove trovasi
questa donna? Dove ha la sua tenda?
Il nubiano non rispose e
lo guardò con smarrimento.
- Takir, gli disse
cupamente Omar. La tua vita è in mia mano; se taci io la spengo.
- Che vuoi fare della
mia padrona? Oh! non toccarla, Omar!
- Ne farò quello che
meglio mi piacerà. Dov'è la tenda?
- Si trova a
quattrocento passi da quella di Hicks pascià.
- Takir, disse
gravemente Omar, sta in guardia, perchè se mi inganni io ti spezzo il cranio.
- Lo so, ed è per questo
che non ardisco ingannarti. Anzi ti dirò che sulla tenda ondeggia una piccola
bandiera greca.
- Chi ha con sè Elenka?
- Nessuno. I due
dongolesi che l'accompagnavano sono stati uccisi.
- Conosce il tugul
che ti additò Tepele?
- Come conosci Tepele?
- Ti ho veduto parlare
assieme e ho udito il suo nome. Rispondi, conosce quel tugul?
- Sì, ci siamo recati
assieme un'altra volta.
Omar estrasse da una
saccoccia un pezzo di carta e una matita.
- Scrivi quanto ti
detterò, disse al nubiano.
- Tu vuoi rovinarmi,
Omar.
- Se rifiuti ti rovinerò
io e per sempre, disse Omar.
Il nubiano comprese la
minaccia e scrisse, sotto dettatura di Omar, il seguente biglietto:
«Padrona,
«Non posso venire al
campo perchè sono prigioniero degli insorti. Domani a mezzanotte recatevi al tugul
che già voi conoscete. Tepele vi darà informazioni precise sulla sorte di
Abd-el-Kerim.
Takir.
Omar prese la carta, la
lesse e la nascose con cura in petto.
- Takir, gli disse,
recita una preghiera.
Il nubiano guardò con terrore
Omar che teneva alzato l'jatagan.
- Perchè vuoi che reciti
una preghiera? gli disse con voce tremante.
- Perchè fra un minuto
ti presenterai al Profeta.
- Grazia!... grazia!...
M'avevi promesso di non uccidermi!... Grazia, abbi pietà di me, Omar!
- Se io ti lascio in
vita tu puoi tradirmi e mandare in fumo tutti i miei progetti. Recita una
preghiera, Takir, che ho fretta.
- Allàh, aiutami, non
uccidermi, sono giovane..., pietà, Omar, balbettò il nubiano che non aveva più
sangue nelle vene.
- Recita una preghiera,
urlò ferocemente Omar.
Il nubiano cacciò fuori
un ruggito di disperazione e cercò, con un'improvvisa scossa, di rovesciare
Omar, ma le forze lo tradirono e ricadde al suolo cogli occhi stravolti.
- Aiuto! aiuto!... urlò
egli dibattendosi sotto il ginocchio dello schiavo. Aiu...
L'jatagan di Omar
scese rapido come un lampo fendendogli il cranio fino al mento; dall'enorme
ferita sfuggì un torrente di sangue misto a brani di cervella. Il nubiano
sollevò la terra colle unghie per due o tre volte poi s'irrigidì.
- E uno, disse Omar,
asciugando la lama dell'jatagan. Domani Fathma scannerà l'altra.
Gettò uno sguardo sul
colossale cadavere del negro, stette alcuni istanti in ascolto, poi, assicurato
dal funebre silenzio che regnava nel palmeto, ripresa la scimitarra e le vesti,
si allontanò a rapidi passi dirigendosi verso il campo.
|