CAPITOLO XV. - Due tigri
Tepele, che si era
accoccolato accanto al fuoco, nello scorgere la greca si era subito alzato
andandole incontro. Egli le baciò la mano, la fece sedere su di un angareb
malandato e gettò una nuova bracciata di legne secche sul fuoco.
- Ebbene Tepele, disse
la greca, con un leggiero tremito nella voce. Sai alfine qualche cosa?
- Sì, ma dov'è Takir?
- Non ha potuto venire.
Su, narra, fa presto che ho l'inferno nel cuore. Dove si trova? È vivo?... È morto?...
- Posso assicurarvi che
Abd-el-Kerim è vivo.
Elenka scattò in piedi
come una pazza.
- È vivo!... Vivo!...
ripetè ella con un'esplosione di gioia che pareva delirio. Sei proprio
sicuro?.... L'hai veduto proprio coi tuoi occhi?... Dimmelo, Tepele, dimmelo!
- Io non l'ho veduto,
rispose il guerriero, ma ho parlato quest'oggi con un arabo che veniva dal sud.
Egli l'ha non solo visto, ma gli ha anche parlato.
- Posso fidarmi delle
parole di quell'arabo?
- Danàqla è incapace di
mentire.
- Dove si trova il
mio101 povero Abd-el-Kerim?
- È nelle mani dello
sceicco Tell-Afab il quale sta ora guerreggiando sulle rive del lago Tsherkela
contro una tribù di Bàggara102 che si è ribellata al nostro
signore.
- È prigioniero adunque?
chiese con trepidazione la greca.
- È prigioniero.
- Lo si maltratta forse?
- Non abbiamo questa
abitudine verso gli uomini che potrebbero esserci di grande utilità.
- Che vuoi dire?
- Abd-el-Kerim è
ufficiale che se ne intende di cose di guerra e potrà servire sotto le nostre
bandiere con un bel grado.
- Credi tu che
accetterà?
- E perchè no? Egli è
arabo e gli arabi non amano gli Egiziani.
- Ma se egli rifiutasse?
- In tal caso gli si
taglierà la testa, disse tranquillamente Tepele.
- Tu mi fai paura.
Rifiuterà, ne son certa.
- Non aver timore, che
egli anzi accetterà. Appena lo scièk103 Tell-Afab avrà
soggiogato quei miserabili Bàggara, tornerà a El-Obeid, presenterà
l'arabo a Mohammed-Ahmed e questi lo convertirà. Non sarei sorpreso se gli
affidasse qualche buona tribù di guerrieri.
- Ed io, dove potrei
vederlo? Cosa potrei fare per raggiungerlo? Oh! io voglio rivederlo, dovessi
arrischiare la mia vita mille e mille volte, dovessi passare in mezzo a
centomila ribelli.
- Sarà difficile che tu
possa raggiungerlo.
- Anche se Hicks pascià
rompesse le orde di Mohammed-Ahmed e s'impadronisse di El-Obeid?
Un sorriso ironico
apparve sulle labbra del ribelle.
- Non illuderti,
diss'egli. Non si vince l'inviato di Allàh. Ad un suo cenno i vostri cannoni
invece di vomitare fuoco e bombe vomiteranno acqua.
- Ma non sai che siamo
in undicimila e armati sino ai denti?
- Sicuro che lo so.
- Faremo di voi tutti un
massacro.
- E che importa a noi il
morire? Mohammed-Ahmed ci aprirà le porte del paradiso e tutti si batteranno come
leoni per guadagnare questo premio. Lo vedrai, Ahmed disperderà il tuo esercito
come il simoum disperde le sabbie, poi conquisterà l'Egitto sgozzando
egiziani, turchi e cristiani, passerà alla Mecca a rovesciare dal trono il
Sultano dei turchi, conquisterà l'India e diverrà il padrone del mondo per
farvi regnare la sua fede.
- Ti lascio nelle tue
credenze. Ma non potrei in qualche modo raggiungere Abd-el-Kerim? Se passassi
sotto la bandiera del Mahdi?
- Sei una donna e non si
saprebbe cosa fare di te.
- Valgo più di un uomo.
Sono una jena.
- Si potrebbe tentare.
- Quando?
- Questa istessa notte,
disse Tepele. Domani forse sarebbe troppo tardi.
- Mettiamoci in cammino
allora.
- Andiamo adagio Tu mi
aspetterai qui. A un miglio da queste colline accampano i miei compagni; io
andrò a chiedere a loro se ti accettano sotto la loro bandiera.
- Sta bene, ti aspetterò
disse Elenka.
Tepele gettò una nuova
bracciata di legne secche sulle due pietre che formavano il focolare, prese la
sua lancia e uscì.
Non erano ancora
trascorsi due secondi che al di fuori s'udiva una detonazione accompagnata da
un grido straziante. Elenka si precipitò verso la porta, ma retrocesse quasi
subito fino all'estremità della capanna coi capelli irti sul capo. Il sangue le
si gelò nelle vene; impallidì spaventosamente.
Dinanzi a lei, sul
limitare della capanna, era improvvisamente apparsa l'almea Fathma con
due pistole in pugno. La greca gettò un urlo.
- Fathma!... Fathma!...
balbettò poi con un filo di voce.
L'almea col volto
animato da una collera senza limiti e un crudele sorriso sulle labbra, le si
avvicinò togliendola freddamente di mira colle pistole.
- Elenka! diss'ella con
accento grave e cupo. Mi riconosci tu?
La greca, smarrita,
senza forze, non rispose. Ella guardava fissamente la rivale, chiedendosi se
era in preda ad uno spaventevole sogno. Un pallore cadaverico era diffuso sul
suo volto orribilmente alterato.
- Mi riconosci tu, o mia
odiata rivale? ripetè Fathma dopo qualche minuto di silenzio. Ah! Tu sei
sorpresa di vedermi qui, in questa capanna? Tu mi credevi nelle mani di tuo
fratello, laggiù, a Chartum non è vero? Elenka, sai che vengo a fare io qui?
La greca per un istante
annichilita dallo spavento, ritrovò ben presto tutto il suo coraggio e la sua
straordinaria energia. Ella si rizzò superbamente dinanzi all'almea, coi
denti stretti, gli occhi animati dall'ira e additandole la porta:
- Esci, spregevole almea!
le disse
Fathma ruppe in uno
scroscio di risa
- Elenka, sai tu, cosa
vengo a fare qui?
- Non m'importa di
saperlo.
- Te lo dirò lo stesso.
Io, Fathma, la Favorita del Mahdi, che tu tradisti e sferzasti nelle foreste
del Bahr-el-Abiad, vengo a chiedere la tua vita!.... Ho sete del tuo sangue,
sai, ma una terribile sete, nè uscirò di qui senza essermi dissetata. Sono due
mesi che io anelo l'istante di trovarmi di fronte a te, sono due mesi che cerco
la mia rivale, che mi rapì Abd-el-Kerim! Ora ti ho incontrata e non mi
sfuggirai mai più!
- Ah! tu vuoi
assassinarmi, adunque? Sta in guardia, perchè se mi ammazzi, col medesimo colpo
ammazzi Abd-el-Kerim.
- Ho udito tutto e so
tutto, Elenka; non riescirai no con degli inganni ad arrestare la morte che
pende sul tuo capo. So dove trovasi Abd-el-Kerim, perchè udii ciò che ti narrò
Tepele. Se conti poi sul ribelle, t'inganni; Omar l'ha ucciso.
Un tremito agitò le
membra della greca. Comprese ormai che era irremissibilmente perduta ed ebbe
paura.
- Fathma, diss'ella dopo
alcuni istanti di esitanza. Se io partissi subito per Chartum, se io ti abbandonassi
per sempre Abd-el-Kerim, mi lasceresti104 libera?
- No!
- Se io ti chiedessi
perdono di quello che ti feci e se io, la nobil greca, mi inginocchiassi
dinanzi all'almea?
- No, rispose
l'implacabile araba. Bisogna che una di noi muoia. Guarda, potrei assassinarti
scaricandoti addosso queste pistole e gettarti di poi in un burrone a pasto
delle iene e degli sciacalli, ma non sono io, l'almea Fathma, vigliacca
a tal segno. Ti propongo un duello coll'jatagan, ma un duello a morte,
mi capisci? Se ti rifiuti chiamo Omar e ti faccio saltare le cervella!
Un lampo di feroce gioia
guizzò nei neri occhi di Elenka.
- Ah! tu sei generosa
adunque! esclamò ella con ironia.
- Sì105,
generosa come un'araba, generosa come il leone del deserto.
- Accetto il duello che
mi proponi. Quando ci batteremo?
- Subito; la notte è
abbastanza chiara per colpirci al cuore.
- Vieni adunque, ma ti
pentirai di essere stata troppo generosa con me. Io non ti risparmierò.
Fathma si strinse le
spalla. Rimise le pistole nella cintura, prese i remington della rivale onde
non le saltasse il ticchio di servirsene e uscì dicendo:
- Seguimi?
- Sei sola? chiese
Elenka arrestandosi.
- Ho meco Omar che ti
darà il suo jatagan.
- Se io avessi la
fortuna di ucciderti mi lascierà libera egli?
- Non ti toccherà, te lo
prometto.
- Quand'è così, sono con
te.
Le due rivali uscirono.
La notte era chiarissima; la luna brillava in un cielo senza nubi rischiarando
come in pieno giorno le dirupato colline e la sottostante pianura. Un leggier
venticello fresco fresco spirava, facendo stormire lievemente le cime dei
cespugli.
Omar andò incontro a
Fathma.
- Dà il tuo jatagan
a quella donna, disse l'almea.
- Per che farne? chiese
il negro con ansietà.
- Ci battiamo.
- Non farlo padrona.
Diffida da quella donna che è più vile d'una iena.
- Lascia fare a me.
Odimi ora: qualunque cosa accada, tu non prenderai parte al combattimento. Se
io cado lascierai andare la mia rivale senza torcerle un sol capello. Io, la
fidanzata del tuo padrone lo voglio!
Omar la guardò con occhi
supplichevoli.
- Padrona! balbettò
egli.
- Lo voglio! ripetè l'almea
quasi con ira,
- Sia fatta la tua
volontà.
Trasse l'jatagan
e lo porse a Elenka che ne provò il filo e la punta.
- In guardia disse l'almea
con tono glaciale. Fra dieci minuti bisogna che tutto sia terminato.
Elenka alzò il
gonnellino per essere più libera e andò a mettersi a venti passi dal burrone
volgendogli le spalle. Fathma le si mise di fronte, raccolta su sè stessa come
una tigre, colla punta dell'arma diretta al seno della rivale.
- Fathma, disse la
greca. Una di noi due morrà, e probabilmente sarai tu quella che non vedrai il
sole di questa mane. Vuoi dirmi che è successo di mio fratello Notis?
- L'ho ucciso.
- Ah! miserabile! urlò
la greca furibonda. In guardia! In guardia che io t'ammazzo.
Le due rivali si
scagliarono a testa bassa l'una contro l'altra e il duello cominciò. Era
qualche cosa di strano, di fantastico, di terribile, il vedere quelle due donne
assetate di vendetta, cieche pel furore, illuminate dai pallidi raggi lunari,
avanzare con salti da felino, stringersi vicendevolmente e cercare tutte la
astuzie, tutti i mezzi possibili per iscannarsi. Parevano proprio due tigri che
volessero divorarsi.
I ferri si cozzavano
rumorosamente mandando scintille, fischiavano nell'aria, si abbassavano e si
alzavano con rapidità fulminea e si torcevano al punto da temere che si
spezzassero tanto erano impugnati fortemente da quelle due donne che parevano
deliranti.
Cinque minuti dopo la
greca mandava un urlo. L'jatagan di Fathma apparve bagnato di sangue.
- Toccata! esclamò l'almea,
saltando innanzi come una pantera.
- Ma non sono ancora
morta, rantolò la greca portando una mano al seno. Avanti, avanti!
L'almea attaccò
con uno slancio disperato, a corpo perduto, mirando il cuore della rivale e
stringendola così davvicino che questa fu costretta a indietreggiare. Per la
seconda volta il ferro dell'araba bevette sangue.
- Toccata, ripetè ella.
- Avanti! avanti! gridò la
greca che balzava indietro avvicinandosi, senza accorgersene, al burrone.
Il terribile duello
continuò per altri cinque minuti in capo ai quali la greca, che non riesciva a
tener testa all'araba che era assai più agile e assai più forte, trovossi
spossata, col giubettino insanguinato, sull'orlo del burrone.
- Guardati, le disse l'almea.
Sei morta.
La greca volse il capo
dietro di sè, vide l'abisso106 in cui stava per precipitare e gettò un
grido di spavento.
- Grazia, balbettò ella
che sentivasi mancare le forze.
- Una di noi deve
morire! Urlò l'implacabile Fathma facendo fischiare l'jatagan. Guardati!
Non aveva ancora
terminata l'ultima parola che il suo jatagan sprofondavasi più che mezzo
nella gola della greca, facendo uscire uno sprazzo di sangue spumoso.
Elenka, colpita a morte,
emise un rantolo. Traballò, cercò di rimettersi in equilibrio, ma le forze le
vennero meno; lasciossi sfuggire di mano l'arma, dilatò spaventosamente le
pupille nelle quali brillava un ultimo lampo di minaccia e precipitò, roteando,
nel fondo del baratro. S'udì un tonfo sordo sordo come d'un corpo che si
fracassa, poi successe un silenzio di morte,
L'almea, pallida
per l'emozione, coll'jatagan insanguinato in mano, s'avanzò fino
all'orlo del burrone e guardò giù. Nel fondo fra le roccie aguzze, scorse il
deformato e straziato corpo della bella Elenka illuminato vagamente dai freddi
e melanconici raggi dell'astro della notte.
Rabbrividì e dette
indietro.
- È morta! è morta!...
mormorò ella con voce cupa. Allàh mi perdonerà.
Si volse per fuggire da
quell'orribile luogo e si trovò dinanzi a Omar.
- È proprio morta?
chiese il negro.
- Sì, Omar.
- Siamo adunque
vendicati. Fratello e sorella sono entrambi spenti.
- Taci, fuggiamo di qui.
Questo luogo mi fa paura.
- Dove andiamo?
- A salvare il mio
fidanzato.
- Vuoi recarti sulle
rive del lago?
- Zitto, disse Fathma.
Odi?
Il negro tese
l'orecchio. In lontananza, verso il campo egiziano, s'udivano squillare le
trombe e rullare fragorosamente i tamburi.
- Che succede? chiese
egli. Una battaglia forse?
- No, è l'esercito
egiziano che marcia sulla capitale del Mahdi.
- E noi andiamo?
- A El-Obeid.
L'almea si gettò
ad armacollo il remington e discese di corsa la collina seguita dal negro. Ella
si arrestò alcuni istanti nella pianura cogli occhi fissi su due punti neri che
scendevano dal cielo, ingrandendo a vista d'occhio,
- Guarda, Omar,
diss'ella rabbrividendo.
- Vedo, rispose il
negro. Sono aquile che calano nel burrone.
- Povera Elenka! Questa
sera non rimarranno di lei che le spolpate ossa a pasto delle belve feroci.
Soffocò un sospiro e
riprese la corsa internandosi nel palmeto. Man mano che si avanzavano gli
squilli di tromba e il rullo107 dei tamburi diventavano più
sonori. Talvolta s'udivano nitriti di cavalli, voci confuse di uomini e muggiti
di buoi, che il vento portava.
Cominciava ad albeggiare
quando essi giungevano agli avamposti. Il campo era in piena rivoluzione ed
interamente mutato. Le tende erano state levate, i fasci di fucili sciolti, i
cannoni attaccati ai cavalli, i cammelli e i muli aggruppati alla rinfusa e
carichi di viveri, munizioni e bagagli.
Gli ufficiali correvano
dappertutto dando ordini, formando le compagnie, i battaglioni e i reggimenti
che si spiegavano formando un immenso quadrato ai cui lati galoppavano
disordinatamente i basci-bozuk colle scimitarre sguainate e le pistole
in pugno.
- Si parte? chiese
Fathma arrestando un basci-bozuk che le passava vicino.
- Sì, rispose il turco.
- Tutti assieme?
- Tutti assieme.
- E Aladin pascià?
- Viene con noi,
- Dov'è Hicks?
- In mezzo al campo col
suo Stato Maggiore.
- E
O'Donovan108?
- Sarà presso il pascià.
- Accorriamo, Omar,
disse Fathma, congedando con un gesto il basci-bozuk.
Entrarono nel campo facendosi
largo fra tutti quei soldati affaccendati ad arrotolare le tende, a caricarsi
degli zaini, a bardare i cavalli, a trascinare i cannoni, a dispensare armi
munizioni e raggiunsero lo Stato Maggiore in mezzo al quale stavano Hicks
pascià discutendo vivamente col colonnello Farquhard. O'Donovan, che era nel
gruppo, s'affrettò a correre a loro incontro conducendo tre cavalli bardati.
- By-good!
esclamò egli. Credeva che vi fosse toccata qualche disgrazia e stavo per
radunare alcuni basci-bozuk per venirvi a cercare... Sapete qualche cosa
di Abd-el-Kerim?
- Sì, mio nobile amico,
rispose Fathma. Sappiamo più di quello che speravamo.
- E dunque?
- È prigioniero dello scièk
Tell-Afab che sta ora guerreggiando sul lago Tscherkela.
- Vivo allora?
- Sì, vivo, ma non per
questo salvo.
- Che avete intenzione
di fare?
- Dove va
l'esercito?
- A dare battaglia alle
orde del Mahdi sotto El-Obeid, rispose il reporter.
- Vengo con voi.
- Fate bene. Quando
avremo espugnata la città pregherò Hicks pascià che ci dia un centinaio di
uomini per andar a liberare Abd-el-Kerim. Presto, amici miei, in sella, e che
Iddio ci aiuti a vincere!
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