PARTE
TERZA
Il Mahdi
CAPITOLO I. - I prigionieri.
La mattina del 15 maggio
1883, una straordinaria agitazione regnava fra le innumerevoli orde dal Mahdi Mohammed
Ahmed, accampate in una immensa e sabbiosa pianura, a corta distanza da
El-Obeid la capitale del Kordofan.
Dal tugul, dalle
tende, dalle zeribak, dalle tettoie e dalle hose120
uscivano, vociferando a tutta gola, guerrieri vestiti con stoffe variopinte o
semi-nudi, o nudi affatto, slanciandosi all'impazzata fra i cannoni, fra i
fucili stretti in fasci, fra i cammelli e i cavalli che ingombravano il campo.
Ora passavan turbe di
Baggàra Salem, guerrieri d'alta statura, di forme massiccie, dalle fisonomie
feroci, coi cappelli intrecciati e ornati di pezzetti di ambra e di conterie di
Venezia; ora di Baggàra Hamran montati su buoi e coi corpi spalmati di grasso
di cammello e riparati dietro grandi scudi convessi e coperti di pelle
d'antilope; ora di Abù-Rof, bella gente dalla tinta bronzina, lineamenti fieri,
il petto racchiuso da scintillanti cotte di acciaio e il capo difeso da un
elmetto nasale; ora di guerrieri del Beni-Gerar, terribili predoni propri del
Darfur, colle membra cariche di anella d'avorio o di rame; poi attruppamenti di
beduini Kababich in uniforme bianca, di negri Megianin, di Aulad-el-Behr, di
Hababin; ondate di Sennaresi, di Nubiani, di Arabi, di Scilucchi, di
Basci-bozuk rinnegati, tutti armati chi di remington tolti agli egiziani nella
sanguinosa battaglia di Kasghill, chi di moschettoni a pietra o a miccia, chi
di lunghe spade dritte a due tagli, chi di scimitarre di tutte le lunghezze e
larghezze, o di lancie, o di mazze, o di scuri, o di coltellacci, o di randelli
ferrati.
Tutti quei guerrieri che
parevano impazziti, si dirigevano di corsa verso le trincee che difendevano il
campo dal lato meridionale e vi si affollavano confusamente sopra, urtandosi,
atterrandosi, bisticciandosi per arrivare primi. Mille e mille domande s'incrociavano
per l'aria formando un baccano assordante che veniva smisuratamente ingrossato
da un furioso strepitare di noggàra121 e di darabùke122,
da un rullare di tamburi egiziani e da uno squillare acuto di mille bizzarri
istrumenti musicali.
- Ma siete sicuri che
verranno? chiedevano gli uni.
- Ma sicurissimi,
rispondevano gli altri.
- Avete veduto il
cavaliere che recò la notizia?
- Coi nostri propri
occhi e l'abbiamo udito colle nostre orecchie.
- Hanno dunque vinto?
- Ma sì, sono vincitori.
- Ci sono prigionieri?
- Altro che! E
prigionieri egiziani. Una cinquantina.
- Un centinaio.
- Un migliaio.
- Che marmellata che
faremo. Li massacreremo tutti.
- E pianteremo le loro
teste dinanzi le porte di El-Obeid a tener compagnia a quella di Hicks pascià.
- Benissimo! Bravi!
Morte agli infedeli! Guerra ed esterminio.
- Morte agli infedeli!
- Eccoli! gridò una voce
tonante.
- Eccoli! ripeterono
cinquantamila voci.
- Viva lo scièk
Tell-Afab! urlarono tutti.
In lontananza scoppiò una
scarica di fucili e si udirono strepitare i noggàra e le darabùke.
Il più profondo silenzio regnò come per incanto fra quella moltitudine di
guerrieri accavallati sulle trincee: tutti gli occhi si fissarono attentamente
verso il sud.
Una nube di polvere
alzavasi verso quella direzione ed in mezzo ad essa, percosse dai raggi del
sole, brillavano lancie, scimitarre e baionette. Un grosso attruppamento di
guerrieri si avanzava a passo di corsa verso il campo.
In testa cavalcava un
bel negro col petto racchiuso in una cotta d'acciaio, un gran turbante verde
sul capo e una magnifica farda d'egual colore pendentegli dalle spalle.
Nella mano dritta impugnava una larga scimitarra, una sekkin, e nella
sinistra teneva la bandiera del Mahdi che faceva vivamente ondeggiare al
disopra della sua testa.
Dietro a lui si
trascinavano con grandi stenti ventisei prigionieri egiziani, scalzi, laceri,
insanguinati, tutti piagati e solidamente legati.
Venticinque erano poveri
fantaccini sulle cui spalle grandinavano ad ogni istante colpi di corbach
che strappavan a loro urla di dolore. Il ventiseiesimo era invece un tenente
arabo di alta statura, di forme eleganti ed insieme vigorose.
Era più triste e in più
deplorevole stato degli altri; camminava facendo sforzi sovrumani e teneva il
capo inclinato sul petto. Ogni qual tratto però lo rialzava con violenza e
allora mostrava una faccia abbronzata, maschia, ardita, ma sulla quale, un
attento osservatore, avrebbe scorto le traccie di crudeli dolori, di sofferenze
indicibili. Sulla piega delle palpebre si vedevano ancora le umide traccie di
recenti lagrime.
All'intorno dei
prigionieri si accalcavano confusamente guerrieri Baggàra, Denka e Bongo, che
agitavano freneticamente le loro armi, scaricando in aria colpi di fucile e
acclamando a piena gola lo sceicco Tell-Afab e Ahmed loro profeta.
Quando la truppa giunse
all'accampamento, una oscillazione violenta, burrascosa, si fece sentire da un
capo all'altro delle orde stipate addosso alle trincee. Un immenso e terribile
grido lacerò l'aria e salì fino alle nubi.
- A morte i prigionieri!
A morte gli infedeli! Viva Tell-Afab!
I guerrieri del Mahdi si
rovesciarono come una fiumana giù per le trincee e andarono a cozzare
furiosamente contro i guerrieri dello sceicco Tell-Afab dividendoli in mille
differenti gruppi. Ogni arma si tese minacciosamente verso gli egiziani che si
erano arrestati tremanti di spavento.
- A morte gli infedeli!
gridavano gli uni.
- Al fuoco gli egiziani!
urlavano gli altri.
- Tagliate a loro la
testa!
- Ammazzate col corbach
quei cani!
- A morte!... a
morte!...
Lo sceicco Tell-Afab,
scorgendo il pericolo che correvano quei poveri diavoli, volse in furia il
cavallo e urtando quelli che gli si stringevano d'attorno e calpestando quelli
che gli si paravano dinanzi, corse in loro aiuto.
- Largo! largo! tuonò lo
sceicco.
- Morte agli egiziani!
vociarono i guerrieri del Mahdi, agitando freneticamente le armi.
- Fate largo! ripetè
Tell-Afab. Fate largo!
I suoi guerrieri
percuotendo a dritta e a manca colle impugnature delle scimitarre, coi calci
degli archibusi, colle aste delle lancie, riuscirono a ributtare l'onda dei
fanatici e si spinsero innanzi trascinando con loro gli egiziani che non
avevano più sangue nelle vene.
Venti volte i guerrieri
di Ahmed tentarono di sfondare il cerchio formato dai Baggàra, dai Denka e dai
Bongo e venti volte furono ributtati lasciando sul terreno più di uno di loro
malconcio. Ciò non impedì però che una lancia spaccasse la testa ad uno dei
prigionieri, il quale, lasciato a terra moribondo, dopo essere stato
spietatamente calpestato dai Bongo, dai Baggàra e dai Denka, cadde nelle mani
dei guerrieri di Ahmed.
Il disgraziato,
quantunque ancora respirasse, fu sollevato sulle punte delle lancie e sbranato:
la sua testa, infissa in uno spiedo, andò ad ornare la capanna d'un potente
sceicco.
Questo incidente diede
tempo ai guerrieri di Tell-Afab di giungere in mezzo al campo dove rizzavasi
una vastissima zeribak123 con solide palizzate. I
prigionieri furono in fretta e a suon di legnate cacciati là dentro e
cinquecento uomini li circondarono colle armi in pugno sia per impedire a loro
la fuga, sia per arrestare i guerrieri di Ahmed che già tornavano alla carica
vociferando spaventosamente.
Gli egiziani, pallidi, disfatti,
tremanti di spavento, si lasciarono cadere a terra girando all'intorno sguardi
inebetiti. In piedi non rimasero che il tenente arabo e un vecchio soldato
sulla cui giacca stracciata e scolorita scorgevansi ancora dei gradi in gran
parte strappati.
- Tenente, ripetè,
toccandogli una spalla.
L'arabo che pareva
assorto in tetri pensieri, non rispose.
- Tenente, ripetè,
toccandogli una spalla.
- Che vuoi? chiese
l'arabo volgendosi verso di lui.
- Che succederà di noi?
- Fra qualche ora le
nostre teste andranno ad abbellire le capanne degli sceicchi.
- Giusto Allah!
- Hai paura della morte
tu? gli chiese con accento quasi ironico l'arabo. Per me la morte è un
sollievo. Benedirò la scimitarra che mi spiccherà la testa dal busto.
Il vecchio soldato lo
guardò con ispavento.
- Oh! non dite così!
esclamò.
- Perchè? Quale
speranza, ormai mi rimane? A che vivere quando la vita è un continuo tormento,
un continuo strazio? Soffro troppo... ho il cuore spezzato.... bisogna che
muoia!
- Ma forse non è morta...
chissà...
Sulle labbra dell'arabo
spuntò un sorriso pieno di amarezza.
- Perchè illudermi?..
Son tre mesi che io interrogo quanti uomini mi passano dinanzi, e non udii mai
parlare di lei. È morta!.. è morta... oh! io lo sento! esclamò egli.
- Ma chi lo afferma?
- Il mio cuore, il suo
silenzio, tutto!... Povera Fathma!... povera donna!
Egli si prese la testa
fra le mani con un gesto di disperazione e un singhiozzo lacerò il suo petto.
- Non parliamone più,
mormorò egli con voce cavernosa. Il dolore è troppo atroce. Forse nella tomba
troverò la felicità che mi fu negata quassù!..
La sua voce fu coperta
da uno spaventevole baccano, da un urlo indescrivibile, da un cozzar fragoroso
d'armi e da un rullar furioso di noggàra e di darabùke. Alzò la
testa che aveva chinata sul petto. Lo spettacolo che si presentò dinanzi ai
suoi occhi lo fece vivamente retrocedere, urtando il sergente.
- Siamo perduti! mormorò
egli. Ecco la morte.
I guerrieri del Mahdi,
che a poco a poco si erano addensati attorno alla zeribak scagliando
tremende occhiate sui prigionieri, si erano improvvisamente gettati sui
cinquecento Diuka di Tell-Afab, impegnando una sanguinosissima battaglia.
Gli egiziani, che
avevano subito compreso il motivo dell'attacco, erano balzati in piedi gettando
urla disperate, stringendosi l'un contro l'altro, facendo sforzi sovrumani per
ispezzare i legami e vendere almeno cara la vita.
- Coraggio! gridò il
tenente arabo. Tutti attorno a me!
Sette od otto lancie,
scagliate dagli insorti, caddero nel mezzo della zeribak. Alcuni
egiziani, spezzati i legami, raccolsero quelle armi e le impugnarono
disponendosi in cerchio intorno ai compagni inermi.
Era tempo. I guerrieri
di Tell-Afab, dopo una debole resistenza, oppressi dal numero strabocchevole
degli assalitori, avevano gettato le armi dandosi a precipitosa fuga. I
guerrieri del Mahdi, scalata la palizzata, si riversarono giù nella zeribak
mandando urla feroci.
L'urto che successe fra
questi e i prigionieri fu tremendo. Più di venti uomini caddero al suolo, chi
colla testa spaccata fino al mento, chi passato da parte a parte dalle lancie,
chi orribilmente mutilato, senza gambe o senza braccia. Il suolo s'inzuppò di
sangue per trenta passi all'ingiro.
Assaliti e assalitori,
spumanti d'ira, mugulando come belve, si mescolarono confusamente menando
all'impazzata le armi, adoperando i pugni, le unghie, i denti, strangolandosi,
straziandosi le carni, atterrandosi e calpestandosi rabbiosamente. In un
momento non si scorse più che un attruppamento di persone che ondeggiavano per
di qua e per di là, che avanzavano o che indietreggiavano, che cadevano o che
si rialzavano empiendo l'aria di spaventevoli clamori, di urla, di lamenti, di
rantoli.
Ogni qual tratto da quel
gruppo di combattenti uscivan dei guerrieri tutti coperti di sangue, che dopo
di aver barcollato rotolavano al suolo per non rialzarsi più. Talvolta era
invece un egiziano, livido, esangue, colle vesti a brani, che veniva quasi
subito raggiunto, sbranato a colpi di scimitarra o inchiodato a colpi di lancia
contro le palizzate.
Da cinque minuti la
sanguinosa pugna durava, rianimata dall'arrivo di nuovi guerrieri ohe volevano
«bere sangue egiziano», quando in lontananza si udì improvvisamente una voce
metallica, imperiosa gridare:
- Fermi tutti! Ahmed,
nostro profeta, lo comanda.
A quel comando
dell'inviato di Dio, la pugna tutta d'un colpo cessò. Le armi si arrestarono in
aria o caddero a terra, poi il gruppo di guerrieri si sciolse colla rapidità
del lampo. Ognuno volse le spalle fuggendo a rompicollo, scalando le palizzate
e confondendosi fra le orde che si pigiavano attorno alla zeribak.
Sul campo insanguinato
non rimasero che quattro uomini colle vesti a brani e imbrattate di sangue: il
tenente arabo che stringeva convulsivamente in mano una scimitarra e tre
egiziani che non si reggevano più sulle gambe.
Attorno ad essi c'erano
quaranta o cinquanta moribondi che si dimenavano urlando e altrettanti morti,
fra i quali uno scièk di colossale statura colla testa quasi staccata
dal busto.
- Fermi tutti!.. Ahmed
nostro profeta lo comanda! ripetè la voce metallica e imperiosa di prima.
All'entrata della zeribak
comparve lo scièk Tell-Afab seguito da dodici Abù-Rof della guardia del
Mahdi, montati su bianchi cavalli.
Egli si diresse verso i
prigionieri che lo aspettavano a piè fermo, risoluti ancora a vendere cara la
loro vita. Scorgendo lo scièk disteso ai piedi del tenente arabo, un
lampo di collera balenò ne' suoi occhi e le sue labbra si contrassero mostrando
i denti candidi come l'avorio.
- Chi ha ucciso questo scièk124
? gridò.
- Io! rispose il tenente
arabo senza sgomentarsi.
- Sei uomo morto!
- Poco mi cale.
- Abbassate le armi.
Il tenente invece di
ubbidire, impugnò saldamente la scimitarra, dirigendo l'insanguinata punta
verso di lui.
Lo scièk parve
più sorpreso che spaventato di quella minaccia.
- Abbassate le armi!
ripetè con un tono di voce da non ammettere replica.
- Io l'abbasserò quando
tu avrai promesso salva la vita a me e ai miei compagni, rispose il tenente.
- Non sono l'inviato di
Dio, io.
- In tal caso ci
difenderemo fino a che avremo la forza di alzare le braccia. Morremo tutti e
quattro, lo so, ma assieme a noi morrà anche un buon numero de' tuoi scherani.
Tell-Afab divenne
cinereo per l'ira, ma si contenne. Alzò la mano dritta e indicando l'immensa
pianura nella quale ondeggiavano e brontolavano minacciosamente le terribili
orde del Mahdi, gli disse con voce tetra:
- Guarda! Basta un mio
cenno, uno solo, capisci, perchè tutti quegli uomini si gettino su te e sui
tuoi. Se ti arrendi, il Profeta forse ti salverà, se ti rifiuti morrai: scegli!
L'arabo esitava. Era
evidente che se non deponeva le armi, i guerrieri del Mahdi non avrebbero tardato
a scannarlo assieme ai compagni per quanta resistenza avesse ad opporre. Non vi
eran molte probabilità di uscire salvi dalle mani del Mahdi, tuttavia qualche
speranza c'era.
- Mi arrendo, diss'egli,
scagliando lungi da sè la scimitarra. Compagni, abbasso le armi.
Non aveva ancor
terminato l'ultima parola, che dieci Abù-Rof si gettarono su di lui e sui suoi
compagni afferrandoli strettamente pei polsi e trascinandoli via.
I tre egiziani furono
condotti in una capanna lì vicina, dinanzi alla quale si affollarono urlando
parecchie centinaia di guerrieri; il tenente invece fu condotto dinanzi a un
gran tugul sul quale ondeggiava la bandiera del Mahdi.
Tell-Afab con un pugno
gli fe' volar dalla testa lo sdruscito e scolorito fez, poi lo
introdusse nella capanna, lasciandolo solo.
- Dove sono? si chiese
l'arabo che sentivasi agitato da sinistri timori.
Girò gli occhi
all'intorno con un misto di curiosità e di diffidenza. Vide che la capanna era divisa
da un tramezzo125 di pelle e che era assai miseramente
ammobiliata.
Stava per cercare
l'uscita, quando un lembo del tramezzo s'aprì e dinanzi gli comparve un uomo
che fissò su di lui due occhi vivi, brillanti, a riflessi di due colori.
Quell'uomo era alto di
statura, magro, esile, colla carnagione di un color caffè al latte, capelli
bruno chiari e barba nerissima. Sulle suo gote scorgevansi tre cicatrici
parallele e una verruca. Strana cosa, aveva un braccio più lungo dell'altro.
Il suo vestito era di
una estrema semplicità. Componevasi di una camicia e di un paio di calzoni alla
turca di damour (grossa tela di cotone); aveva sandali ai piedi e un
piccolo turbante verde sul capo.
Il tenente arabo nello
scorgere quell'uomo rabbrividì e cadde, senza volerlo, in ginocchio.
- Il Mahdi!... esclamò
con voce soffocata.
Infatti quell'uomo era
Mohammed Ahmed, il profeta del Sudan.
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