CAPITOLO VIII. - Notis in trappola.
El-Obeid, quartiere
generale del Mahdi, è la città più bella, più popolosa e più fortificata del
Kordofan, di cui è pure la capitale.
Essa sorge nel mezzo di
una immensa pianura ondulata, ed è difesa da bastioni di terra e di mattoni cotti
al sole, ma in gran parte ruinati in seguito ai ripetuti assalti che dovettero
sostenere nell'ultimo assedio.
È divisa in cinque
differenti quartieri abitati da una popolazione che supera le 35,000 anime; uno
è abitato dai dongolesi, l'altro dai mercanti esteri, il terzo dai coloni di
Barnou, il quarto dei nativi di Darfur e così via.
Il principale quartiere
chiamato El-Orfa, contiene gli edifizi governativi, delle piccole moschee, una
casa ad un piano abitata prima dal governatore egiziano, una caserma, un
magazzino di polvere ed una filiale168 dello missioni cattoliche
di Chartum, tutta ruinata dai guerrieri del Mahdi che la saccheggiarono dopo la
presa della città.
Tutte le altre case sono
misere capanne circolari di venti piedi di diametro, con mura in argilla alte
quattro o cinque piedi e sormontate da un tetto conico di paglia disposto in
istrati regolari e impenetrabili alla pioggia. Ogni famiglia ne possiede di
queste capanne, chiamate tokles, quel numero che è sufficiente ai suoi
bisogni ed il gruppo è quasi sempre circondato da una siepe di spine e
ombreggiato da palmizi che danno alla città un pittoresco aspetto.
Il Mahdi se ne era
impossessato il 15 gennaio 1883 e ne aveva fatto il suo quartier generale,
fortificandola alla meglio che aveva potuto e facendola occupare da una parte
delle sue orde che bivaccavano nelle vie e nelle piazze sotto tugul
improvvisati e sotto tende169.
Quando Abù-el-Nèmr e
quelli che lo seguivano scambiate alcune parole coi guerrieri che vegliavano dinanzi
alla porta, entrarono, la città era ancora addormentata.
Nè per le vie, nè per le
piazze scorgevasi anima viva; nè da alcuna capanna trapelava un raggio di luce
che desse indizio che entro si vegliava.
Persino i
guerrieri170 del Mahdi che accampavano all'aperto, russavano
sotto i tugul di paglia o sotto le tende curvate per la pioggia che cadeva a
torrenti allagando le polverose strade.
Il silenzio funebre che
regnava nella città, era rotto di quando in quando da un colpo di tuono secco
secco che faceva tremare i tugul e dal lugubre scricchiolar delle palme
violentemente scosse dal vento del sud-est.
Abù-el-Nèmr, dopo di
aver esitato alcuni istanti, prese la via che menava al quartiere di El-Orfa,
spingendo il cavallo al piccolo trotto. Notis e il suo compagno, tirato il
fiato, gli si misero bravamente dietro, determinati a sapere dove andasse a
finire e sicuri di scoprire qualche cosa di nuovo che li riguardava.
Venti minuti dopo lo scièk
si arrestava dinanzi a una capanna piuttosto malandata, situata all'estremità
del quartiere e circondata da un orticello nel quale crescevano superbi
tamarindi. Dalle fessure delle pareti trapelavano dei raggi di luce.
- Oh! fe' Notis,
arrestandosi di botto e aprendo bene bene gli occhi. Il birbante ha delle persone
che lo aspettano. Ira di Dio! Qui sotto gatta ci cova.
Abù-el-Nèmr spostò un
lembo di siepe che racchiudeva171 l'orticello, condusse il cavallo
sotto una piccola tettoia poi battè tre volte le mani.
La porta della capanna
si aprì lasciando vedere un gran fascio di luce, poi si rinchiuse dietro lo scièk.
- Medinek, disse Notis,
volgendosi al compagno. Chi abita in quel tugurio?
- Non lo so, rispose il
guerriero. Una volta quella capanna era deserta.
- Bisogna sapere a
qualsiasi costo chi la abita.
- Uhm! Non è cosa tanto
facile. Non trovo altro mezzo che quello di salire sul tetto e di appoggiare
gli occhi alle canne.
- Andiamo sul tetto,
Medinek.
- Noi corriamo il
rischio di venire scoperti.
- Hai il tuo jatagan?
-
- Sì.
- Hai paura?
- Non lo credo.
- Allora andiamo
concluse il greco.
In pochi minuti
raggiunsero l'orticello e vi entrarono. Medinek appoggiò un orecchio alla
parete per udire se giungeva fino a lui qualche parola, ma non udì che un
mormorio indistinto.
- Saliamo, mormorò egli.
- Sta saldo, rispose il
greco.
S'arrampicò sulle spalle
del guerriero, si aggrappò ai travicelli che formavano l'ossatura del tetto e
con un salto giunse in cima.
Stendere le mani al
compagno e tirarlo su, fu l'affare di un istante.
- Là, così, borbottò il
greco soddisfatto. Ora apriremo un pertugio che ci permetterà di vedere senza
essere veduti. Ci bagneremo fino alle ossa, ma ciò che udremo compenserà
largamente il bagno.
Trasse l'jatagan,
lo cacciò senza far rumore tra le canne inzuppate172 d'acqua, e
lentamente, con infinite precauzioni, praticò un forellino appena capace di
lasciar passare due dita. Ciò fatto si distese sul ventre, accostò l'orecchio
al pertugio e guardò attentamente, nell'interno della capanna, senza occuparsi
della pioggia che lo innondava.
Due uomini erano seduti
presso un braciere che spandeva all'intorno una vivissima luce. In uno di essi,
Notis conobbe lo scièk Abù-el-Nèmr, ma l'altro non fu capace di vederlo
in volto pel motivo che volgevagli le spalle, ma si accorse che era un negro.
- Non monta, bisbigliò
il birbante. Lo saprò più tardi chi esso sia. Zitto ora, e non perdiamo una
parola.
La conversazione fra lo scièk
e il padrone della capanna era di già cominciata.
- Come ti dissi, diceva
Abù-el-Nèmr, mi sono presentato questa sera istessa a Mohammed Ahmed. Egli mi
ha accolto con molta gioia e mi ha subito parlato dell'uomo che noi cerchiamo.
- Oh! esclamò il suo
compagno, facendo un balzo sull'angareb. È proprio vero quello che tu
dici?
- Te lo giuro. Egli mi parlò
di Abd-el-Kerim.
- E dunque?
- Mi narrò che lo aveva
dato in mano ad un uomo che aveva molto insistito per averlo.
- In mano ad un uomo?
-Sì.
- Era un bianco
quell'uomo? chiese il negro con viva emozione.
- No, un beduino.
- Respiro, Abù-el-Nèmr. Avevo paura che173 fosse.
- Chi mai? Forse il
rivale di Abd-el-Kerim?
- Appunto credevo che
fosse il greco Notis. Ma quale interesse poteva avere quel beduino per averlo
in sua mano? Qui sotto ci deve essere qualche raggiro, qualche mistero che
bisogna svelare.
- È quello che penso pur
io, tanto più che quel beduino scomparve dal campo, nè fu possibile scoprirlo.
- Che sia il greco
dipinto? Non so ma il cuore mi batte forte forte e mi sento assalire da forti
sospetti.
Notis, che non avea perduto
sillaba di quel colloquio, involontariamente rabbrividì.
- Ira di Dio! borbottò.
Che mi abbiano scoperto? Chi può essere mai quel negro d'inferno che indovina
le cose tanto bene? Ragazzo mio, se posso averti sotto le unghie non ti
risparmierò. Udiamo la fine.
- Ad ogni modo, ripigliò
il negro, staremo in guardia. Non credo che quel birbante sia ancora vivo nè
abbia avuto tanto fegato da spingersi fino a El-Obeid. E che ti disse Ahmed?
- Egli mi promise di
cercare attivamente quel beduino. Per ogni precauzione, sarà bene che avvisiamo
Fathma di stare in guardia.
- Non mancherò di farla
avvisare.
- L'hai condotta dove ti
dissi?
- Sì, rispose il negro.
All'estremità della zeribak dei prigionieri le ho costruito una bella
capanna.
Notis si rizzò sulle ginocchia
così in furia che il tetto gemette. Fu con grande fatica che rattenne il grido
di sorpresa e di gioa che stava per isfuggirgli dalle labbra.
- Nella zeribak
dei prigionieri! esclamò, tremando per l'emozione. Fathma fra i prigionieri!...
Per Dio!...
- Che hai? chiese
Medinek.
- Scappiamo!
- Siamo stati scoperti?
- No, ho saputo ove si
trova la donna che cerco.
- Ah!... E dov'è?
- Nella zeribak
dei prigionieri.
- I furbi!
- Andiamocene Medinek.
Non bisogna perder tempo.
Il guerriero si alzò in
furia. Quella brusca mossa tornò a far gemere il tetto.
- Ira di Dio! brontolò
il greco. Fa piano, animale.
- Chi va là? chiese in
quell'istante Abù-el-Nemr.
Notis, quantunque fosse
coraggioso, provò un brivido e rimase immobile. Medinek invece saltò giù dal
tetto cadendo sopra una tavola di legno che si spezzò con fracasso.
La porta della capanna
si aprì e lo scièk e il suo compagno comparvero con dei tizzoni accesi.
- Alto là! gridò lo scièk,
vedendo il guerriero che scalava rapidamente il recinto dell'orticello.
Medinek invece di
arrestarsi precipitossi nella via allontanandosi a tutte gambe.
- Ah! razza di un cane!
gridò lo scièk, sparandogli dietro174 un colpo di pistola.
- Che abbia udito i
nostri discorsi? chiese il suo compagno. Se lo inseguissimo?
- A quest'ora deve
essere assai lontano poichè correva come un cervo. Chi può essere e quale scopo
lo spinse a salire sul tetto della capanna? amico mio, non vedo chiaro in
questa faccenda,
- E neppur io se vuoi che
te lo dica francamente. Era almeno solo?
- Non ne ho visto che
uno, ma faremo bene a dare un'occhiata sul tetto. Chissà, potrebbe darsi che
lassù, si tenesse celato qualche altro curioso. Fammi la scala che io salga.
- Prendi l'altra pistola
e armala. Non si sa mai quello che può accadere.
- Hai ragione, amico
mio. Orsù, sta fermo che salgo sulle tue spalle.
In quella sul tetto
s'udì una voce che bestemmiava. Lo scièk e il suo compagno si guardarono
in faccia tirando nel medesimo tempo le scimitarre.
- Oh! oh! esclamò Abù-el-Nèmr. Lassù c'è qualcuno. Aspetta un po' canaglia che
ti acconcierò io come si deve.
- Afferralo pei piedi e
gettalo giù. Bisogna che cada a qualunque costo nelle nostre mani per vedere
con che razza di gente abbiamo da fare, disse il suo compagno, appoggiandosi
alla parete della capanna, Per Allàh! Anche questa è bella!
Uno, due....
Abù-el-Nèmr saltò sulle
spalle del negro a si aggrappò alla sporgenza del tetto non ostante i torrenti
d'acqua che gli cadevano addosso. Prima cosa che vide fu una pistola che lo
toglieva di mira a un passo di distanza. Afferrò lestamente la mano che la
stringeva e l'attirò violentemente a sè. Un corpo umano scivolò giù dal tetto e
cadde pesantemente a terra rimanendo immobile.
Il negro si precipitò
sul greco e lo trascinò in fretta nella capanna lasciandolo cadere presso il
fuoco.
- L'abbiamo ucciso?
chiese lo scièk. Mi dispiacerebbe.
- Perdio! esclamò il
negro che si era curvato su quel corpo inanimato. Che vedo?... Sogno forse?...
È impossibile!
- Che hai? disse Abù.
Conosci, forse, questo mariuolo?
Il negro non rispose.
Curvo innanzi, colle pugna strette, gli occhi sbarrati, contemplava il greco.
Pareva sorpreso e spaventato.
- Di' su, lo conosci?
ripetè lo scièk.
- Ma sicuro, balbettò il
negro. Non mi inganno no, è lui, proprio lui, il birbante, il rapitore,
l'assassino... eh! mio caro non mi fuggirai più, te lo dico io. Perdio! Quale
incontro! Non me lo aspettavo così presto!
- Lui! Ma chi lui?
- Il nostro mortale
nemico, il rivale di Abd-el-Kerim, il greco Notis infine.
- Eh! Sei sicuro di non
prendere un granchio? Guardalo bene, amico mio, fissalo ancora.
- Lo guardo, lo fisso, e
più che lo guardo più mi assicuro che è lui. Abù, bisogna farlo rinvenire e
farlo parlare. Abd-el-Kerim non può essere che in sua mano.
- Ma... e parlerà?
- Vedrai che canterà e
molto alto.
Abù-el-Nèmr staccò dal
suo turbante una penna d'airone l'abbrustolò al fuoco poi la mise sotto il naso
allo svenuto. Un trasalimento nervoso scosse il corpo del greco; distese le
braccia, aprì le mani convulsivamente chiuse, emise un sospirone e sbarrò gli
occhi arrestandoli sul volto del negro. Un «oh!» di sorpresa e di terrore gli
uscì tosto dalle labbra.
Si stropicciò gli occhi
più volte, poi gli riaprì tornando a fissare il negro che era sempre curvo su
di lui. Divenne pallido come uno spettro e portò le mani alla cintura come se
cercasse qualche arma.
- Omar! Omar! esclamò
egli a più riprese.
Lo schiavo di
Abd-el-Kerim, poichè era proprio lui, proruppe in uno scroscio di risa.
- Si vede, padron Notis,
che avete buon occhio, diss'egli. Vi sorprende di trovarmi ancor vivo? Anch'io
sono sorpreso di trovarvi qui. Eppure, sul Bar-el-Abiad Fathma vi aveva mandata
una palla nelle reni... Perdio! Si vede che avete l'anima incavigliata, padron
mio!
Il greco si morse le
labbra, e cercò, con un moto repentino, di levarsi in piedi, forse per gettarsi
sui due uomini, ma la fredda canna di una pistola che lo scièk gli
appoggiò alla fronte lo fece ricadere per terra.
- Sono perduto, pensò il
greco.
- Padron mio, ripigliò
Omar, col medesimo tono beffardo. Non tentate di fare resistenza se non volete
che il mio amico Abù vi scarichi la sua pistola in faccia. State cheto e
rispondete alle nostre domande.
- Se speri che io parli,
t'inganni di molto, Omar, rispose Notis col tono calmo d'un uomo che nulla
teme.
- In tal caso
ricorreremo agli estremi espedienti. Che direste se il mio buon amico Abù vi
pigliasse i piedi e ve li arrostisse sui carboni accesi.
- Miserabile!
- Potete fare a meno di dispensare
dei titoli che non ci fanno nè caldo nè freddo. Orsù, padron Notis, carte in
tavola: che avete fatto di Abd-el-Kerim?
- Ah! tu vuoi sapere che
feci del tuo padrone? Ebbene ti dirò che egli è morto. Le sue ossa spolpate dai
denti delle jene e degli sciacalli, giacciono175 sulle ardenti
sabbie di Kasseg.
- Tu menti! urlò Omar.
- Se non vuoi credermi
fa di meno.
- Notis, disse
Abù-el-Nèmr. Giochi una partita pericolosissima. Ieri sera parlai con Ahmed, ed
egli mi disse che Abd-el-Kerim era in mano tua ed ancor vivo. Come vedi,
sappiamo qualche cosa.
Il greco strinse i
denti.
- Maledetto Ahmed!
esclamò egli.
- Non insultare
l'inviato di Dio, se ti è cara la vita. Parla: dove hai nascosto Abd-el-Kerim?
- Non lo saprete nè
oggi, nè domani, nè mai!
- Sta bene, disse lo scièk.
Afferrò il prigioniero
per le braccia, e lo trascinò accanto al fuoco non ostante la sua disperata
resistenza. Omar gli prese i piedi e li accostò176 alla fiamma.
Notis cacciò fuori un
urlo di dolore. La pelle delle piante, al contatto dei carboni accesi s'annerì
e si screpolò mostrando la viva carne.
- Basta!.....
basta!..... ruggì il greco pazzo di dolore.
- Parlerai? gli chiese
le scièk.
- Sì..... basta ira di
Dio! Mille tuoni! Volete bruciarmi vivo?
- Vi brucieremo se non
sciogliete la lingua, disse Omar, tirandolo indietro.
Il greco, col volto
contraffatto per lo spasimo, rotolò al suolo bestemmiando, gemendo e
contorcendosi come un serpente.
- Parlate, padron Notis,
riprese lo schiavo.
- No, cane maledetto,
rettile schifoso. No, e poi no!
- Come vi piace. Abù,
rimettiamolo sul fuoco. Gli consumeremo i piedi fino all'osso.
A quell'atroce minaccia,
il greco si sentì mancarsi le forze per resistere oltre. Con un gesto della
mano arrestò i due tormentatori che si disponevano ad accostarlo al braciere.
- Parlerò... parlerò,
balbettò egli. Ma... ad una condizione... Ira di Dio! Mi avete rovinati i
piedi! Sentite, ho una sorella... la mia povera Elenka... voi sapete ciò che è
avvenuto di lei... non potete negarlo... Ah! cani di negri!
- Avanti, disse Omar.
- Se voi mi direte dove
trovasi... Elenka, vi giuro che parlerò... che vi darò in mano... quel
maledetto Abd-el-Kerim.
- Ve lo dirò.
- Giuralo.
- Lo giuro sulla barba di
mio padre, lo giuro su Allàh, lo giuro sull'Alcorano.
- Parlate, ma non
cercate d'ingannarci. Rimarrete qui prigioniero, e se ci avrete ingannati ve ne
pentirete.
Il greco per alcuni
istanti rimase muto e pensieroso. Perdere Abd-el-Kerim che tanta fatica gli era
costato, che tanti pericoli aveva sfidato per averlo in sua mano, e perderlo
proprio nel momento in cui credeva di avere in mano anche Fathma, era per lui
un terribilissimo colpo. Si vedeva completamente rovinato, vedeva sfasciarsi il
progetto, con tanta arditezza e con tanta pazienza condotto quasi a termine.
Nondimeno, vedendo che non vi era più scampo di sorta, che non era più
possibile giuocare d'astuzia, e smanioso di sapere qualche cosa sulla sorte di
sua sorella Elenka, che infine tanto e tanto amava, prese l'eroica risoluzione
- se così può dirsi - di confessare ogni cosa, riservandosi a tempi più propizi
di riparare al mal fatto e di vendicarsi.
- Uditemi, diss'egli,
facendo uno sforzo supremo, Abd-el-Kerim, da parecchi giorni si trova in mia
mano. Lo tradii e Ahmed pagò il tradimento cedendomelo. Ieri sera, sospettando
qualche cosa d'insolito, lasciai il campo e lo feci trasportare in una capanna
che trovasi all'estremità meridionale del Mercato. Quattro uomini lo guardano e
non ve lo cederanno che dopo essersi fatti uccidere.... e ora parlatemi di
Elenka che più nulla ho da dirvi su Abd-El-Kerim.
- Posso prestar fede
alle vostre parole, disse Omar, che fremeva di gioia e d'impazienza.
- A che pro ingannarvi?
Non sono in vostra mano?
- Avete ragione. Voi
volete sapere che accadde a Elenka, adunque. Mi dispiace sinceramente, ma devo
darvi una brutta notizia.
Il greco si levò sulle
ginocchia; una viva ansietà era dipinta sul suo volto. Egli guardò Omar con
occhi supplichevoli e portò le mani al cuore che battevagli forte forte. Un
terribile dubbio gli balenò in mente.
- Oh! Dio... balbettò.
- Devo parlare?
- Sì... lo voglio.
Omar esitò. Pareva che
fosse commosso, e chissà, forse lo era veramente.
- Ma parla, ma parla, ripetè
con impeto quasi feroce Notis.
- Ebbene, Elenka è
morta. Fu uccisa dai ribelli a Kassegh!
Il greco divenne
spaventosamente pallido; un urlo gli lacerò il petto.
- Morta! Morta!...
ripetè egli con voce rotta, e quell'uomo dall'animo così fiero, così forte,
nascose il volto fra le mani e pianse come un fanciullo.
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