CAPITOLO XI. - Il perdono.
El-Mactud era verde per
l'ira e si rodeva d'impazienza. Cinque interminabili giornate erano trascorse da
che aveva dato nelle mani di Ahmed, Fathma, e non ancora gli era pervenuta la
tanto desiderata grazia di Notis.
Venti volte, lo sceicco,
che aveva una paura fortissima che Ahmed lo avesse corbellato, aveva chiesto di
entrare nel tugul e venti volte gli avevan risposto che Ahmed non
riceveva nessuno. Stava per uscir dai gangheri e ricorrere a qualche mezzo
estremo a rischio di farsi tagliare la testa, quando il mattino del sesto
giorno vide i tre vizir del campo Ibrahim, Juban e Ahmed e Gustavo Klootz182
entrare in furia nel tugul del Mahdi.
Con un salto lo sceicco
fu alla porta della capanna. Aveva compreso che qualche cosa di grave era
accaduto e che forse lo riguardava. Dopo di aver insistito, ma invano, per
entrare, si rassegnò ad aspettare che i vizir uscissero per
interrogarli.
Non corse molto tempo
che uno di essi, Juban, comandante delle truppe irregolari, comparve. Egli
mosse incontro allo sceicco che brontolava a pochi passi dalla capanna.
- Cercava appunto te,
gli disse il vizir.
- Ne era ben tempo,
rispose El-Mactud.
Juban si trasse dalla
cintola una pergamena arrotolata e la porse allo sceicco che la prese con
vivacità.
- Questa è la grazia che
tu hai chiesto. Vattene, ma non dimenticare che questa grazia l'hai ottenuta
condannando a morte la più bella donna del Kordofan.
- Che intendi di dire?
chiese lo sceicco tremando. Spiegati, vizir.
- Han condannato a morte
la povera Fathma.
- Giusto Allàh!
- Fra un'ora Yokara
l'annegherà nel lago Tscherkela. Vattene, traditore, nè osa comparirmi più
dinanzi. Io ti disprezzo.
Il vizir gli
volse sdegnosamente le spalle e rientrò nel tugul. El-Mactud,
trasecolato, rimase lì, colla testa china sul petto e le labbra strette,
strette.
- Han condannato a morte
l'almea! mormorò egli con isgomento. E sono stato io a darla nelle loro
mani. Povera donna!... Orsù, cacciamo le emozioni in fondo al cuore e tiriamo
avanti. È l'inviato di Dio che l'ha condannata. D'altronde non vi era altro
mezzo per salvare il greco.
Si passò a più riprese
la mano sulla fronte e terminò col crollare le spalle. Si avvicinò a Medinek,
il quale teneva per le briglie un magnifico cavallo nero, di razza abù-rof, che
scalpitava impazientemente e rodeva il freno macchiandosi il lucente petto di
candida bava.
- Tu rimarrai qui, gli
disse lo sceicco. Qualunque cosa accada, non ti allontanerai dal tugul
di Ahmed.
Balzò agilmente in
arcione, cacciò un paio di pistoloni nelle fonde della sella, raccolse le
briglie e lanciò l'ardente corsiero sulla via di El-Obeid.
I muezzin
dall'alto degli esili minareti invitavano i credenti all'ed-dòkr
(preghiera del mezzodì) quando lo sceicco giungeva alla capanna dove era
custodito il prigioniero.
Alcuni guerrieri erano
accocolati dinanzi alla porta, pranzando con fegato di cammello condito con
pepe rosso, fiele e orina di mucca183. Vedendo lo sceicco arrestarsi e
scendere da cavallo, s'alzarono come un sol uomo brandendo le lancie e i loro
moschettoni.
- Chiamatemi il vostro
capo, disse El-Mactud. Ordine dell'inviato di Dio!
Un istante dopo sulla
soglia della capanna appariva un negro riccamente vestito e armato fino ai
denti. Quest'uomo era Omar.
- Sei tu il capo di
questa gente? gli chiese El-Mactud.
- Sì.
- Leggi, disse lo
sceicco, consegnandogli la pergamena del Mahdi.
Omar l'aperse e vi gettò
sopra gli occhi. Tosto trasalì come un condannato che vede la mannaia del
carnefice levarsi improvvisamente sulla sua testa e fece un gesto di
disperazione.
- Graziato!... Notis
graziato!... balbettò egli. Questa pergamena è falsa! Non può essere... non può
essere!
- Bada ai casi tuoi,
disse El-Mactud minacciosamente. Porre in dubbio una pergamena dell'inviato di
Dio è pericoloso per la testa di un uomo.
Omar lo comprese e non
osò continuare. Tuttavia non voleva cedere quel greco che tanto odiava, senza parlare
prima con Abù-el-Nèmr.
- Odimi, disse allo scièk.
Io credo alla pergamena, ma lasciami due ore di tempo onde io parli collo
sceicco Abù-el-Nèmr; poi ti cederò il prigioniero.
- Non ti accordo nemmeno
cinque minuti. Ad Ahmed occorre sull'istante il greco.
- E se io mi opponessi
colla forza?
- In tal caso mi recherò
dal mudir (governatore della città), farò assalire il tuo tugul
dalla guarnigione e uccidere tutti i tuoi guerrieri.
A quella minaccia, Omar si
sentì mancare la forza di resistere oltre. Egli si trasse da un lato
appoggiandosi alla parete per non cadere. Un sordo gemito gli uscì dalle
labbra.
El-Mactud attraversò con
un salto la soglia e si precipitò come bomba nella capanna. Là, su di un angareb
disteso supino, col volto fra le mani, se ne stava il greco Notis. Al fracasso
che fece lo sceicco entrando, scattò in piedi. Due grida rimbombarono.
- Notis!...
- El-Mactud!...
Bianco e negro si
abbracciarono con effusione.
- Tu qui! esclamò il
greco che stentava a credere di aver proprio dinanzi a sè lo sceicco. Ma come
mai? Chi ti condusse? Sei forse prigioniero?
El-Mactud invece di
rispondere, prese il suo jatagan e lo passò nella cintura dell'amico.
- Ma che vuol dire ciò?
chiese Notis che non capiva assolutamente nulla.
- Ciò significa, amico
mio, che tu sei libero.
- Libero!... Io
libero!... Ma come!... Hai sbaragliato i guerrieri che mi custodivano, forse?
- Niente affatto; è
Ahmed che ti ha graziato.
- Ah! l'eccellente uomo!
- Non dire così, Notis,
disse gravemente lo scièk.
- Perchè?
- La tua grazia è
costata la vita di una superba donna; Ahmed l'ha condannata all'annegamento nel
lago Tscherkela.
- Una donna!... Una
superba donna annegata!... Spiegati, El-Mactud, chi è questa donna?
- Indovina.
- Non saprei.
- È una donna che io
trovai nella zeribak dei prigionieri e che diedi nelle mani di Ahmed per
ottenere la tua grazia.
Notis impallidì
orribilmente. Un sospetto, ma un sospetto terribile gli attraversò il cervello.
- Chi è!... Chi è!...
balbettò egli. Il nome... Voglio il nome di quella donna!
- La donna che ho
tradito per salvarti si chiama Fathma!
Un grido selvaggio
soffocò l'ultima sua parola. Il greco fuori di sè, pallido di rabbia, di dolore,
di disperazione, colla spuma alle labbra, gli occhi schizzanti fuor dalle
orbite, era piombato addosso alla parete come fosse stato fulminato.
- Perduta!... perduta!
ruggì egli.
El-Mactud, spaventato,
si precipitò verso di lui per sostenerlo. Non ne ebbe il tempo. Notis si era
raddrizzato in preda ad una tremenda collera.
Egli si scagliò come una
tigre addosso allo sceicco, scaraventandolo contro la parete opposta con
violenza tale da fargli scricchiolar tutte le ossa del corpo.
- Aiuto!... Aiuto!...
urlò il povero diavolo.
- Miserabile! tuonò il
greco.
Tornò a gettarglisi
addosso colpendolo in mezzo al petto con un furioso colpo di testa. Bianco e
negro, afferratisi a mezzo corpo, rotolarono184 a terra urlando come
belve, tempestandosi di pugni e dilaniandosi le carni coi denti.
Ad un tratto Notis
violentemente si separò dall'avversario, balzando in piedi; nella mano dritta
stringeva l'jatagan bagnato di sangue fino all'impugnatura.
L'assassino mirò con
occhi stravolti El-Mactud che contorcevasi disperatamente colla testa fessa
fino al mento, poi fuggì come un forsennato.
Al di fuori della
capanna scalpitava il cavallo dello sceicco. Notis con un salto fu in sella e
lo spinse a sfrenata corsa per le vie di El-Obeid, senza nemmeno accorgersi che
un drappello di cavalieri guidati da Omar si era slanciato dietro di lui.
La gente, vedendo
quell'uomo tempestare il cavallo coll'impugnatura dell'insanguinato jatagan,
si riparava dietro ai muri o dentro le capanne, credendolo pazzo.
Ed infatti l'assassino
aveva l'aspetto di un demente.
Schiacciato da quella
catastrofe inaspettata, che dalle cime raggianti della speranza, lo aveva
precipitato nell'abisso della disperazione, era addirittura irriconoscibile.
Aveva i capelli irti, la spuma alle labbra, il volto spaventosamente scomposto,
chiazzato di rosso e gli occhi roteanti in un cerchio sanguigno. Il petto, a
mala pena coperto dalle vesti lacerate ed imbrattate di sangue, gli si
sollevava violentemente quasichè volesse scoppiare e dalle labbra gli uscivan
parole sconnesse, bestemmie, urla disperate, ruggiti.
Egli attraversò, sempre
di gran carriera, la città, rovesciando e storpiando più di dieci persone,
passò come un uragano sotto la porta che dava nella campagna fugando la
sentinella che aveva tentato di fermarlo e in quindici minuti giunse dinanzi
alla capanna di Ahmed. Con una violenta strappata arrestò lo sbuffante corsiero
che stava per passare sul corpo di Medinek.
- Dov'è Fathma? chiese
rabbiosamente al guerriero.
- Il carnefice l'ha portata
via, rispose l'interpellato.
- Maledizione!... Dove?
- Al lago.
- Quando?
- Venti minuti fa.
Notis s'allontanò,
lanciando il cavallo ventre a terra.
- Padrone! gli gridò
dietro Medinek. State in guardia! Avete Abù-el-Nèmr dinanzi!
- Ira di Dio! tuonò il
greco. È uomo morto!...
L'animale, col petto
spruzzato di spuma, il ventre insanguinato dai colpi d'jatagan del
furente cavaliere, andava rapido come una freccia, colla criniera al vento, le
nari fumanti, gli occhi dilatati, gettando di quando in quando un sordo
nitrito. Vi era da temere che soffocasse.
In venti minuti
l'immenso campo del Mahdi fu attraversato, poi il cavallo slanciossi attraverso
le pianure del sud-est sollevando nembi d'impalpabile sabbia.
- Vola! vola! gli urlava
incessantemente il greco, tempestandolo di pugni. Bisogna che giunga in tempo
di salvarla!
La via era diventata
deserta. Qua e là si scorgevano qualche solitario palmizio e dei tumuli ornati
di lapilli a svariati colori che formavano bellissimi disegni, e di armi, come
lancie, archi, vecchi moschetti irruginiti e scudi. Il greco trasalì nel
riconoscere delle tombe.
Erano le sette circa
quando udì in distanza lo scalpitìo di parecchi cavalli.
- Eccoli! mormorò egli
con intraducibile accento.
Il cavallo eccitato colla
briglia e colla punta dell'jatagan raddoppiò la velocità ansimando
furiosamente e raggiunse i piedi di una catena di colline che piegava verso il
sud-est, dividendo per metà la deserta e sabbiosa pianura.
Il greco cacciò fuori
una spaventevole bestemmia ed arrestò di colpo l'animale.
- Ira di Dio! Eccoli!
Dinanzi a lui, a un
seicento metri di distanza, galoppavano dei guerrieri guidati da uno sceicco.
In quest'ultimo Notis aveva riconosciuto Abù-el-Nèmr.
- Ah! cane! ruggì egli
allungando le mani verso le fonde della sella dalle quali uscivano i calci di
due pistole.
Per un istante ebbe la
pazza idea di inseguire quei guerrieri e d'impegnare con essi una disperata
pugna, ma la paura di avere la peggio lo trattenne. Gettò all'intorno uno
sguardo crucciato e l'arrestò su di un negro che erasi levato dietro una
montagnola di sabbia.
- Dove mena questa via?
gli chiese.
- Al lago Tscherkela.
- E quella delle
colline?
- Egualmente.
- Quale è la più corta?
- Quella delle colline.
- Fathma185 è
salva!
Tornò rapidamente
indietro e si cacciò in una stretta gola rinserrata da colline tagliate a
picco.
Il cavallo la percorse
tutta d'un fiato, poi entrò in una valle ingombra di cespugli gommiferi e di
tamarindi colossali. Il lago, se lo sentiva, era ormai vicinissimo. L'aria era
più fresca e volavano per l'aria stormi di pellicani e di fenicotteri, volatili
che mai si allontanano dalle acque.
Ad un tratto il cavallo
si arrestò. Tremava, rantolava, e aveva chinata la testa sul petto. Notis
comprese che era agli estremi.
Lo percosse
coll'impugnatura dell'jatagan, ma l'animale non si mosse.
- Ira di Dio! bestemmiò
egli furibondo. Bisogna che tu cammini!
Accese un po' d'esca e
lasciò cadere una bricciola in un orecchio della povera bestia. A quel contatto
si diede subito a precipitosa fuga scuotendo disperatamente la testa.
Era giunto quasi
all'uscita della valle quando tornò ad arrestarsi. Cacciò fuori un ultimo
nitrito, poi rotolò pesantemente al suolo; uno sprazzo di sangue gli uscì dalle
nari e rimase immobile, irrigidito dalla morte.
Il greco non si perdette
ancora d'animo. Strappò dalle fonde della sella le pistole e si mise a correre
come un pazzo.
Appena uscito dalla
valle il lago Tscherkela gli si svolse dinanzi tutto d'un tratto, racchiuso fra
ridenti rive. Un mahari era legato al tronco di un palmizio, e sulla
cima di una piccola roccia che cadeva a picco sulle acque, stava un negro di
colossale statura, tenendo alzato al disopra della sua testa un gran sacco di
pelle che pareva racchiudesse un corpo umano.
- Ferma! Ferma!... gridò
il greco con accento disperato.
Il muggito delle onde,
che sollevate da una fresca brezza, si frangevano contro le roccie, impedì al
carnefice di udirlo. Il momento era terribile. Fathma stava per essere
precipitata nel lago. Un momento ancora e tutto sarebbe finito.
Un'improvvisa idea
balenò nella mente del greco. Puntò una delle due pistole; s'udì una strepitosa
detonazione seguita da un urlo di dolore e da un tonfo. Yokara e la sua vittima
erano capitombolati nel lago.
Il greco, fuori di sè,
si precipitò verso la costa e scagliate via le pistole balzò nelle onde. Passò
un minuto lungo quanto un secolo, poi riapparve. Con una mano nuotava e
coll'altra sosteneva il sacco contenente la povera Fathma.
Nuotò vigorosamente
verso la riva, scalò agilmente le roccie, depose l'almea sulla sabbia e
con un rapido colpo di jatagan squarciò il grosso tessuto.
Si chinò ansiosamente su
quel bel corpo che non dava più segno di vita e appoggiò una mano sul cuore.
Sentì che batteva leggermente.
- Viva! Viva!... tuonò
egli. Ah! sei alfine mia!
Le sue labbra sfiorarono
dieci volte di seguito quelle scolorite dell'almea; egli rideva e
piangeva dalla gioia.
Il galoppo di parecchi
cavalli, che rapidamente si avvicinava, gli richiamò alla mente Abù-el-Nèmr.
Gettò uno sguardo verso il lago, nel quale dibattevasi ancora il carnefice
Yokara colla testa fracassata dalla palla della pistola, afferrò strettamente
fra le braccia Fathma, scattò in piedi e si diede a precipitosa fuga senza
sapere dove andasse nè che cosa avesse in mente di fare.
Aveva percorso duecento
passi, quando udì una voce gridare:
- Ehi, alt! Se non
t'arresti sei morto!
Il greco a
quell'intimazione si volse digrignando i denti. A cinquanta passi da lui stava
Abù-el-Nèmr col fucile spianato, circondato dai suoi guerrieri.
- Maledizione! gridò il
greco che comprese d'essere irremissibilmente perduto.
Con un rapido gesto
sguainò l'jatagan e lo puntò sul seno dell'almea gridando ad Abù:
- Se non ti fermi la
uccido!
Nell'istesso istante
Omar sbucava da una macchia di bauinie slanciandosi verso il miserabile. Cinque
negri lo seguivano armati fino ai denti.
- Ah! cane! gridò lo
schiavo tendendo la dritta armata di revolver.
Quattro detonazioni
scoppiarono l'una dietro l'altra. Il greco girò due volte su sè stesso,
stravolse gli occhi, un getto di sangue gli sgorgò dalle labbra e piombò a
terra bestemmiando.
- È morto! esclamarono i
guerrieri accorrendo.
Omar in pochi salti lo
raggiunse. Il morente si agitava ancora stringendosi furiosamente al petto
Fathma e macchiandola di sangue.
- Mi riconosci? gli
chiese il negro.
- Sii... maledet...to!
mormorò Notis.
Il negro gli appoggiò la
canna del revolver alla fronte e con un quinto colpo gli fece saltare le
cervella.
- Ora sono vendicato!
esclamò.
Gli strappò dalle
braccia la sua padrona, l'adagiò sulla fine sabbia, e le si inginocchiò accanto
esaminandola attentamente.
- Vive? chiese
Abù-el-Nèmr con profonda emozione.
- È viva, rispose Omar.
Fra pochi minuti ritornerà in sè.
Abù-el-Nèmr respirò e si
terse un freddo sudore che grondavagli dalla fronte.
- Povera donna, mormorò
egli. Che tu possa essere alfine felice.
Una nube oscurò la sua
fronte e i suoi sguardi s'intenerirono. Quell'abbronzato volto, di solito così
aperto e fiero divenne triste, cupo.
- Che hai? gli chiese
Omar che s'era accorto di quell'improvviso cambiamento.
- Nulla, Omar, nulla,
balbettò con voce soffocata lo sceicco. Dov'è Abd-el-Kerim?
- Eccolo, disse un
guerriero.
Infatti l'arabo era improvvisamente
apparso all'uscita della gola e s'avvicinava a spron battuto. Ma non era più lo
spaventevole agonizzante di dieci giorni prima, privo di forze, ischeletrito,
orrendamente deturpato e che incuteva ribrezzo.
Era ancora pallido,
scarno, ma aveva ricuperato nel lasso di pochi giorni e la salute e le forze.
Abù-el-Nèmr, avutolo in sua mano, gli aveva tagliati uno ad uno i tumori e
strappati gli schifosi vermi che lo stremavano succhiandogli il sangue.
Egli giunse come una
bomba fra i suoi amici, nel mentre che due guerrieri gettavano nel lago il
cadavere di Notis con una pietra appesa al collo.
Tese le mani a Omar ed
allo sceicco, poi si precipitò sul corpo dell'almea.
- Fathma! mia adorata
Fathma! esclamò egli delirante.
Non seppe dire di più.
La gioia di rivedere alfine l'infelice sua fidanzata, lo soffocava. Afferrò
quel corpo ancora inanimato e lo coprì di baci e di lagrime.
Abù-el-Nèmr si nascose
il volto fra le mani e un rauco singhiozzo gli rumoreggiò in fondo al petto.
Una tremenda disperazione aveva improvvisamente scomposto i suoi lineamenti.
In quell'istante Fathma
emise un profondo sospiro e si scosse. Abd-el-Kerim se la strinse teneramente
al petto.
- Fathma! Fathma! ripetè
egli.
L'almea aprì gli
occhi, li chiuse, poi tornò a riaprirli. Un grido inesprimibile le uscì dalle
labbra.
- Abd-el-Kerim!...
Si raddrizzò, gettò le
braccia attorno al collo del fidanzato e scoppiò in singhiozzi.
- Dio!... Dio!...
balbettò ella, fa che io non sogni!
- No, povera donna, tu non
sogni, sono io, proprio io, il tuo amato Abd-el-Kerim che non si separerà più
mai da te.
Ad un tratto Fathma
impallidì terribilmente.
- E Ahmed, esclamò ella
con profondo terrore. Ho paura, Abd-el-Kerim, ho paura.
Abù-el-Nèmr si fece
innanzi.
- Ahmed vi ha perdonato,
diss'egli con voce appena distinta. Voi siete liberi, interamente liberi. Che
Allàh vi faccia felici!
Retrocesse di alcuni
passi coi lineamenti alterati da una tremenda disperazione, le braccia
incrociate convulsivamente sul petto, la testa china.
Gli ultimi raggi di sole
che ancor indoravano le sponde del lago, si rifletterono su due grosse lagrime
che scendevano silenziosamente sulle abbronzate gote del guerriero.
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