LA SOCIETA
DELLA «CAMPANA D'ARGENTO»
Sing-Sing,
presa una piccola lanterna, attraversò la sala, poi parecchi corridoi oscuri e
si fermò dinanzi ad una porta massiccia laminata in ferro e che aprì facendo
scattare una molla segreta, nascosta in mezzo ad alcuni ornamenti di
porcellana.
I due europei
si trovarono in una camera assai spaziosa, colle pareti tappezzate di seta
bianca trapunta in oro, ammobiliata semplicemente e nello stesso tempo
elegantemente, con leggeri tavoli di lacca e madreperla e con scaffali d'ebano
intarsiato.
Nel mezzo v'era
il letto del ricco cinese, basso, massiccio, in legno di rosa, con ricche
coperte di seta infioccate e collocato proprio sotto una lanterna coi vetri di
talco che spandeva una luce scialba, diafana.
Accanto, su un
leggero canterano laccato e filettato d'argento, vi erano due grosse rivoltelle
e una corta scimitarra snudata.
Sing-Sing
chiuse la porta, gettò un pizzico di polvere di sandalo su un catino d'argento
dove bruciavano pochi pezzi di carbone odoroso, offrì ai due europei due sedie
di bambù, quindi fatto il giro della stanza come per accertarsi che non vi
fosse nessuno, disse:
- È qui che da
quindici giorni vivo in angosce inenarrabili, quantunque la morte non abbia mai
fatto paura ad alcun cinese. Ho fatto mettere delle solide inferriate alle finestre,
cambiare tappezzerie e visitare le pareti onde accertarmi che non esistevano
passaggi segreti; ho chiuso la mia stanza con una porta che potrebbe resistere
anche ad un pezzo d'artiglieria; ho delle armi a portata della mano. Eppure,
credete che io mi tenga sicuro? No, perché sento che malgrado tante
precauzioni, i bravi della hoè giungeranno egualmente fino a me e che mi
colpiranno al cuore.
- I bravi
della hoè! - esclamò Fedoro impallidendo.
- Della
«Campana d'argento» - aggiunse Sing-Sing, con un sospiro.
- Voi siete
affiliato a qualche società segreta?
- Tutti i
cinesi, quantunque l'imperatore abbia emanato ordini rigorosi e colpisca senza
pietà i membri delle società segrete, sono ugualmente affiliati a qualche hoè.
Per noi è una
necessità e anche un'abitudine prepotente ed io ho fatto come gli altri e come
avevano fatto prima i miei avi. Disgraziatamente una sera, dopo un'orgia e dopo
aver fumato parecchie pipate d'oppio, preso chissà da quale strano capriccio,
mi sono lasciato sfuggire dei segreti che riguardavano la hoè alla quale
sono iscritto. Il governo imperiale non ha osato colpire me, ma ha proceduto
senz'altro, con rigore feroce, contro la mia società, torturando e dannando
alle galere quanti membri aveva potuto acciuffare. Sono stato un miserabile, ed
ora toccherà a me pagare il fallo commesso, colla perdita della vita. Sia
maledetto l'oppio che mi ha fatto perdere la ragione.
- È potente
questa società della «Campana d'argento»? - chiese Fedoro, assai preoccupato da
quella confessione.
- Ha migliaia
e migliaia di membri, dispersi in tutti gli angoli di Pechino, perfino entro la
città interdetta (la città imperiale).
- E hanno
saputo che siete stato voi a tradirla?
- Purtroppo -
rispose il cinese.
- E vi hanno
condannato? - chiese Rokoff.
- Quindici
giorni or sono ho trovato sotto il mio capezzale una carta con il sigillo della
società, una campana con due pugnali intrecciati sopra e sotto. Mi si avvertiva
che entro due settimane, la mano della hoè, mi avrebbe colpito.
- Chi aveva
messo quella carta? - chiese Fedoro.
- Lo ignoro,
ma certo qualcuno dei miei servi.
- Ve ne sono
alcuni affiliati alla «Campana d'argento»?
- Sarebbe
impossibile saperlo. I membri non si conoscono l'un l'altro ed i soli capi
tengono l'elenco dei soci.
- Sicché non
siete sicuro dei vostri servi.
- Anzi io li
temo, e da quando ho ricevuto quella carta, non ne ho fatto entrare più nessuno
qui, per paura d'un tradimento.
- Ignorano il
segreto della porta? - chiese Rokoff.
- Lo spero -
rispose Sing-Sing.
- Quanti giorni
sono trascorsi?
- Quattordici.
- E questa
notte voi dovreste morire - chiese Fedoro.
- Sì.
- È già
mezzanotte e siete ancora vivo, io credo quindi che la società abbia voluto
solamente spaventarvi.
Sing-Sing
crollò, la testa con un gesto di scoraggiamento.
- L'alba non è
ancora sorta - disse poi.
- Ci siamo noi
- disse Rokoff. - Vedremo chi avrà il coraggio di entrare qui.
- Eppure sento
che l'ora della morte si avvicina.
Rokoff e
Fedoro, quantunque coraggiosissimi, provarono un brivido.
- Bah! - disse
poi il primo. - Io credo che nulla accadrà. Signor Sing-Sing, coricatevi, e
noi, Fedoro, sediamoci l'uno presso il letto e l'altro presso la porta, colle
rivoltelle in mano.
Sing-Sing tese
loro ambo le mani, dicendo con voce commossa:
- Grazie, e se
domani sarò ancora vivo, non avrete a pentirvi di questa prova d'amicizia.
Signor Fedoro, voi siete venuto per un grosso acquisto di tè.
- Ve lo
scrissi già.
- Cinquecento
tonnellate rappresentano una fortuna ed io sarò lieto di offrirvela.
- Che dite,
Sing-Sing?
- Tacete.
- Fedoro, -
disse Rokoff - tu presso il letto; io vicino alla porta e voi, signore,
coricatevi.
Il cinese fece
un gesto d'addio e si gettò sul letto senza spogliarsi, coprendosi colla
coperta di seta azzurra.
Rokoff abbassò
il lucignolo della lanterna, onde la luce diventasse più fioca, estrasse la
rivoltella per accertarsi che era carica, poi appoggiò una sedia contro la
porta e si sedette, accendendo una sigaretta.
Un profondo
silenzio regnava nell'ampio palazzo del ricco cinese e anche nelle vie. La
festa delle lanterne era finita e la folla a poco a poco si era sbandata, non
essendo i cinesi nottambuli al pari degli europei e degli americani.
Rokoff
continuava a fumare, tendendo però gli orecchi. Di quando in quando si alzava e
guardava ora Fedoro ed ora il cinese per accertarsi che né l'uno né l'altro si
fossero addormentati. Quantunque coraggiosissimo, avendo dato prove di valore
straordinario nella sanguinosa guerra russo-turca, entrando pel primo in uno
dei più formidabili ridotti di Plewna, pure si sentiva a poco a poco invadere
da una strana sensazione, che rassomigliava alla paura.
Gli pareva di
udire talvolta dei rumori misteriosi e di vedere agitarsi, negli angoli più
oscuri della stanza, delle ombre silenziose, armate di pugnali e di smisurate
scimitarre.
Talora invece
gli pareva di scorgere, fra la semioscurità, dei draghi volare per la stanza,
pronti a piombare su Sing-Sing per dilaniargli il petto. Erano pure fantasie,
create dal terrore misterioso che lo invadeva, perché quando si alzava, le
visioni scomparivano ed ogni rumore cessava.
Vegliava da
un'ora, scambiando qualche parola sottovoce con Fedoro o col cinese, quando si
sentì prendere da un'improvvisa stanchezza e da un desiderio irresistibile di
chiudere gli occhi. Si fregò replicatamente il viso e cercò di alzarsi. Con suo
profondo stupore non riuscì a lasciare la sedia. Le gambe gli tremavano, le
forze lo abbandonavano e gli pareva che il letto di Sing-Sing e tutti gli altri
mobili gli girassero intorno.
- Fedoro! -
chiamò facendo uno sforzo supremo. - Sing-Sing.
Nessuno
rispose. Il suo amico si era accasciato sulla sedia come se si fosse
addormentato ed il cinese conservava una immobilità perfetta. Un terrore
improvviso lo prese.
- Che siano
morti? - si chiese.
Quasi nello
stesso momento gli parve di vedere un lembo della parete aprirsi e sbucare
fuori delle forme umane armate di pugnali.
La visione
però non ebbe che la durata d'un lampo, perché senti che le forse lo abbandonavano
e che le palpebre si chiudevano irresistibilmente, come se fossero diventate di
piombo.
. . . . . . .
. . . . . . . .
Quando si
risvegliò, Rokoff si trovò a letto, nella stanza che la sera innanzi gli era
stata destinata dal maggiordomo del ricco cinese.
Su un altro
letto Fedoro dormiva profondamente, senza fare alcun gesto che annunciasse un
prossimo risveglio.
Il cosacco,
stupito, girò intorno un lungo sguardo, non potendo credere ai propri occhi.
- Che io abbia
sognato? - si chiese Rokoff. - Le società segrete... le ombre misteriose... i
terrori... Sì, devo aver fatto un cattivo sogno.
A un tratto si
slanciò verso il letto di Fedoro, mandando un urlo.
Nelle vicine
stanze, nei corridoi, sulle verande, aveva udito alzarsi acute grida improntate
al più vivo terrore:
- L'hanno
assassinato! Ah! Povero padrone! L'hanno ucciso!
- Fedoro!
Svegliati! - urlò.
Il russo si
era alzato bruscamente, stropicciandosi gli occhi. Vedendo Rokoff fermo dinanzi
al letto, col viso sconvolto e gli occhi strabuzzati, fece un gesto di
meraviglia.
- Che cos'hai?
Poi, prima che
l'amico potesse rispondergli, gli sfuggì un grido.
- E Sing-Sing?
- Ucciso! Lo
hanno ucciso! - disse Rokoff facendo un gesto disperato.
- Sing-Sing
morto! Ah! Ma dove siamo noi?... Ieri sera non eravamo in questa stanza!...
Rokoff! Che cosa è successo? Chi ci ha portati qui?
- Non so...
non so nulla... è tutto un mistero inesplicabile... Vieni... usciamo... l'hanno
ucciso
Le grida, i
pianti, i singhiozzi della numerosa servitù del ricco cinese, echeggiavano
dovunque.
Fedoro e
Rokoff, non essendo stati spogliati dai misteriosi nemici che li avevano
trasportati in quella stanza, approfittando dell'inesplicabile sonno che li
aveva colpiti, si slanciarono verso la porta.
Nel corridoio
s'incontrarono col maggiordomo, il quale singhiozzava.
- È vero che è
morto il tuo padrone? - chiese Fedoro, afferrandolo per le braccia.
- Sì,
signore... assassinato... assassinato!
- E i suoi
uccisori?
- Scomparsi.
- E non sai
dirmi chi ci ha trasportati qui, mentre eravamo col tuo padrone?
Il maggiordomo
li guardò con sorpresa.
- Voi... col
padrone! - esclamò.
- Eravamo
nella sua stanza per vegliare su di lui e ci siamo svegliati in questa, sui
nostri letti.
- È impossibile!...
Voi avete sognato!
- Andiamo da
Sing-Sing - disse Rokoff. - A più tardi le spiegazioni. Preceduti dal
maggiordomo, il quale pareva inebetito, entrarono nella stanza del ricco
cinese, che era guardata da quattro servi.
Sing-Sing
giaceva sul letto, cogli occhi sbarrati esprimenti un terrore impossibile a
descriversi, colle labbra aperte e lorde d'una schiuma sanguigna, colle braccia
penzolanti.
Una macchia di
sangue si era allargata sopra la ricca casacca in direzione del cuore e altro
sangue si vedeva sulle lenzuola di seta bianca.
- Morto! -
esclamò Rokoff, indietreggiando.
Fedoro si
curvò sull'assassinato, aprì la casacca, strappò la camicia e mise allo
scoperto il petto.
Una ferita,
che pareva prodotta da un pugnale triangolare, a margini taglienti, si vedeva
dal lato sinistro, un po' sotto la mammella.
Il colpo,
vibrato da una mano robusta e sicura, doveva aver spaccato il cuore del povero
cinese e la morte era stata certo fulminante.
- I miserabili
hanno mantenuto la parola! - esclamò. - E da dove sono entrati? Rokoff, non eri
appoggiato contro la porta tu?
- Sì - rispose
il giovine.
- Non l'hai
udita aprirsi?
- No, almeno
fino a che ero sveglio.
- Ah! Sì, mi
ricordo che un sonno irresistibile mi aveva preso. Anche tu?
- Sì, Fedoro,
ma prima di chiudere gli occhi ho veduto un lembo della parete aprirsi ed
entrare degli uomini.
- E non hai
fatto fuoco?
- Mi è mancato
il tempo; un momento dopo cadevo addormentato.
- Allora ci
hanno dato qualche narcotico per ridurci all'impotenza!
- E chi? Io
non avevo bevuto nulla dopo il banchetto - disse Rokoff.
- Prima di
addormentarti non hai notato alcun che di straordinario?
-
Assolutamente nulla.
- Non hai
avvertito alcun odore?
- Non mi
parve.
- Devono aver
bruciato qualche sostanza per farci addormentare.
- Lo credi?
- Ne sono
certo - rispose Fedoro.
- Eppure prima
non ho veduto entrare nessuno.
- Da qual
parte si sono introdotti quegli uomini?
- Da quella -
rispose Rokoff, indicando un angolo della stanza.
- Stavo per
addormentarmi, eppure ho veduto aprirsi una porta o qualche cosa di simile.
Fedoro si recò
a visitare la parete battendola col calcio della rivoltella e udì un suono
sordo che non annunciava di certo che al di là ci fosse un vuoto.
- È strano! -
disse. - Eppure tu li hai veduti entrare per di qui?
- Sì, me lo
ricordo.
- E non vedo
alcuna traccia sulla tappezzeria; tuttavia non mi stupisco. Questi cinesi hanno
inventato mille segreti. Dov'è il maggiordomo?
- Eccomi,
signore - rispose il cinese, il quale stava ritto accanto al letto, piangendo
silenziosamente.
- Sono devoti
i servi di questa casa?
- Lo credo,
signore.
- Sono
affiliati a qualche società?
- Non potrei
dirvelo, perché nessuno lo direbbe, anche se sottoposto alla tortura.
- Chi è stato
il primo ad accorgersi del delitto?
- Io - rispose
il maggiordomo. - Ogni mattina premo il bottone d'un campanello elettrico per
svegliare il mio padrone. Stamane feci come il solito, e non ricevendo
risposta, né udendo alcun rumore, mi nacque il sospetto che fosse accaduta
qualche disgrazia. Fatta abbattere la porta, ho trovato il mio signore
assassinato.
- Era ben
chiusa? - chiese Fedoro.
- E per di
dentro.
- Non vi era
alcuna traccia che fosse stata forzata?
- Nessuna,
signore.
- Sapevi che
noi eravamo chiusi qui col tuo padrone?
- Lo ignoravo,
e poi... come spiegare questo mistero? Voi vi siete svegliati proprio nella
stanza che io stesso vi ho assegnata per espresso ordine del mio padrone.
- Ti dico che
eravamo qui. Chi può averci trasportati in quella stanza?
- Ne siete
certo, signore? - chiese il maggiordomo con accento alquanto incredulo.
- Sì, noi
eravamo qui.
- Se la porta
era chiusa!
- Eppure non
abbiamo sognato. Il tuo padrone aveva paura di venire assassinato e ci aveva
pregati di tenergli compagnia.
- E vi siete
svegliati nella vostra stanza? Oh!
- Ci hai ben
veduti uscire.
- È vero -
disse il cinese, il cui stupore non aveva più limiti.
Poi, come
fosse stato colpito da un improvviso pensiero, chiese:
- Voi avete
veduto il mio padrone toccare la molla segreta che doveva aprire la porta?
- Eravamo
assieme a lui - rispose Fedoro.
Il viso del
maggiordomo si fece oscuro ed i suoi occhi si fissarono sul russo.
- Ah - disse
poi.
- Che cos'hai?
- chiese Fedoro con inquietuline.
- Dico che se
conoscevate il segreto della molla, potevate anche uscire e tornare nella
vostra stanza.
- Tu oseresti
sospettare di noi?
- Non è a me
che tocca indagare su questo affare misterioso, - disse il cinese con voce
lenta - bensì ai magistrati della giustizia. Ecco la polizia: sbrigatevela come
meglio potete.
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