LA PRINCIPESSA
DI TURFAN
Se Fedoro e il
capitano non erano pronti a trattenerlo, il cosacco aveva già preso lo slancio
per fuggire verso lo «Sparviero», piantando in asso la vecchia principessa coi
suoi montoni, i suoi cammelli, le sue gioie ed il suo monaco.
Diventare lo
sposo di quella vecchia centenaria! Ah, perbacco! era troppo grossa la pillola
da mandar giù, anche indorata da un titolo principesco e rimbombante.
- Torcerò il
collo e farò scoppiare il ventre a quel gaglioffo che ha avuto il coraggio di
propormi tale unione! - gridò Rokoff, gettando sguardi feroci sul monaco. - Ma
costui è pazzo! Pazzo da legare.
- Non
prendetevela così calda, signor Rokoff - disse il capitano tenendolo sempre per
un braccio, onde non gli sfuggisse. - Il mandiki ha creduto in buona
fede di proporvi uno splendido affare. E poi, un figlio di Buddha che sposa una
principessa calmucca! Vi pare che non sia un grande onore per questa tribù? E
che fama acquisterà il povero monaco per aver condotto a termine la faccenda.
Diverrà hellung e realizzerà i suoi sogni ambiziosi.
- Che il
colera se lo prenda!
- Tu non sei
un buon amico - disse Fedoro. - Faresti felice la principessa ed il monaco.
- Basta o
accoppo quella vecchia strega con un pugno!
- Ci
mettereste in un serio imbarazzo - disse il capitano. - E se la principessa si
ostinasse ad avervi?
- Proponetegli
il vostro macchinista.
- Mi è
indispensabile. Guardate come la bella vi guarda! -
- Ti sorride -
aggiunse Fedoro.
- Che scoppi!
- gridò Rokoff.
Fortunatamente
né il monaco, né la principessa comprendevano il russo e poi i tam-tam
ed i tamburelli facevano un tale fracasso che le grida d'indignazione del
cosacco non potevano espandersi.
La processione
giungeva, preceduta dai suonatori. I calmucchi, tenendo le lampade in mano,
saltavano come caproni impazziti, cercando di evitare le buche ed i fossati
scavati intorno alla piazza.
Il corteo fece
tre volte il giro intorno all'altare, inchinandosi dinanzi alla principessa, al
monaco e ai figli di Budda, poi si sciolse bruscamente.
Tutti
correvano alle loro case o alle loro tende, dove le donne avevano preparate le
cene che dovevano prolungarsi fino alle prime ore del mattino. Anche la tenda
della principessa era stata illuminata e si vedevano aggirare numerosi servi i
quali portavano enormi piatti colmi di pilao, di carni arrostite, di
frittelle, di pasticci e di enormi pezzi di cavallo in stufato, il vero piatto
forte dei calmucchi che non si fanno scrupolo alcuno di divorare, quantunque,
come buddisti, non dovrebbero cibarsi altro che di vegetali e di latticini,
proibendo la vera religione di sacrificare alcun animale agli appetiti del
ventre.
- Che sia la
cena di nozze? - si chiese Rokoff, vedendo il monaco far cenno al capitano di
seguirli nella tenda, dove già la principessa li aveva preceduti. - Vivaddio,
non mi lascerò prendere in trappola.
Il capitano
gli si era in quel momento avvicinato e non sorrideva più, anzi si mostrava
piuttosto preoccupato.
- Signor
Rokoff - disse con voce un po' grave - credo che l'aria cominci ad intorbidirsi
e temo che abbiamo commesso una vera minchioneria imbarazzandoci in questa
avventura che avremmo potuto evitare facilmente. Quel mandiki comincia a
diventare pericoloso.
- Insiste
nella sua idea di farmi sposare quella vecchia?
- Più che mai,
mio caro tenente e minaccia d'impadronirsi del nostro «Sparviero» se non
accettate.
- Volete che
lo faccia scoppiare come una vescica?
- So che ne sareste
capace, ma dietro di lui vi è la popolazione di Turfan, un quattro o
cinquecento nomadi e tutti armati. Se ci guastano le ali od i piani
orizzontali, non potremo più fuggire.
- Capirete
bene che io non ho alcuna voglia di diventare principe di Turfan e tanto meno
il marito di quella vecchia scopa vestita da donna.
- Non domando
tanto da voi - disse il capitano. - Non sono così pazzo da consigliarvi ad
accettare.
- Che cosa
volete infine da me?
- Che teniate
a bada il monaco e anche la principessa, almeno fino dopo la cena. Ah se
potessimo ubriacare l'uno e l'altra!
- Non avete
quel famoso liquore dei monaci del monte Athos?
- La splendida
idea! - esclamò il capitano. - Accompagnate la principessa, mentre io vado a
prendere delle bottiglie per loro e per noi.
Il mandiki
che non li perdeva di vista, sospettando qualche trama, vedendo che il futuro
principe di Turfan rimaneva, anzi, che s'avvicinava alla vecchia col sorriso
sulle labbra, non si occupò di sapere dove si recava il capitano. A lui bastava
che rimanesse il cosacco e non interruppe la conversazione che aveva cominciata
con Fedoro sul numero dei montoni e dei cammelli e sulle ricchezze che
possedeva la vecchia strega.
Quando
entrarono nella tenda, trovarono quattro capi della tribù, certe figure gigantesche,
colle cinture riboccanti di pistoloni e di certe specie di corte scimitarre
somiglianti alle tarwar dei montanari dell'Himalaya, e d'aspetto ben
poco rassicurante.
La principessa
aveva preso posto sul divanetto, mentre i servi avevano coperto il tappeto, che
occupava parte della tenda, di giganteschi piatti ricolmi di cibi.
Vedendo
comparire Rokoff, lo guardò sorridendo e gli fece un grazioso inchino.
Il cosacco,
che non voleva scatenare una tempesta, specialmente con quei quattro figuri,
rispose con un altro sorriso, anzi fece di più, giunse perfino a mandare un
bacio, sulle punte delle dita, alla futura moglie! Se Fedoro non scoppiò in
un'omerica risata fu un vero miracolo e dovette soffocarla con una tazza di kumis
che per caso si trovava a portata della sua mano.
Stavano per
cominciare la cena, quando entrò il capitano portando un cesto pieno di
bottiglie di ginepro, whisky, gin, brandy e anche alcune
di quel famoso liquore del monte Athos, che Fedoro e Rokoff avevano
esperimentato dopo la celebre pesca delle trote.
Ne mise una
dinanzi a ciascun commensale, tenendo in serbo quelle dei monaci, per dare più
tardi l'ultimo colpo.
Quantunque
avesse pranzato poche ore prima, il mandiki si era messo a divorare come
una belva a digiuno da una settimana, gagliardamente imitato dai quattro capi e
anche dalla principessa, la quale, fra un boccone e l'altro, guardava sempre
Rokoff che le faceva gli occhi dolci, pur mandandola, in cuor suo, a
raggiungere presto i suoi cinque mariti ed il diavolo.
Il mandiki,
che aveva vantato la squisitezza delle bottiglie dei figli di Buddha, si era
attaccato alla sua con tanta avidità da asciugarla completamente in pochi
minuti. Anche la principessa aveva cominciato a baciare la sua con tale
frequenza da sperare che si ubriacasse presto senza attendere il liquore del
monte Athos.
I suoi
occhietti neri a poco a poco si animavano, il suo naso adunco come il becco
d'un pappagallo si coloriva meglio, diventando color cioccolata e si era messa
a chiacchierare con vivacità, rivolgendosi più spesso verso Rokoff il quale, si
capisce, non la comprendeva affatto non conoscendo la lingua calmucca.
Immaginandosi
però che gli indirizzasse delle gentilezze, rispondeva coi più amabili sorrisi
e con inchini infiniti.
Il capitano
intanto sorvegliava l'effetto che produceva l'whisky sui quattro capi,
che erano i più pericolosi con tutte quelle armi che avevano indosso. Vedendo
che avevano meravigliosamente resistito a quella prima prova, sturò due
bottiglie di ginepro, poi provò il brandy con grande consolazione del mandiki
il quale beveva come una spugna.
Quell'acquavite
vecchissima e di prima qualità, fu come un colpo di mazza anche pei capi.
- Cominciano a
sentirlo - mormorò il capitano all'orecchio di Fedoro.
- Ed il sonno
li prende - rispose questi. - Che bevitori però, questi selvaggi!
- Guardate se
fuori non vi è nessuno.
- Ci saranno i
servi.
- Ho regalato
anche a loro delle bottiglie perché si ubriachino.
Fedoro si alzò
colla scusa di respirare una boccata d'aria fresca e rientrò quasi subito,
dicendo:
- I servi
russano presso i fuochi.
- E gli altri?
- Sono tutti
nelle loro case e nelle loro tende.
- Avanti il
liquore del monte Athos.
Sturò quattro
bottiglie, riempì le ciotole d'argento e le offrì ai calmucchi dicendo al mandiki:
- Questo è il
liquore che offre il mio amico dalla barba rossa ed è il migliore che si beva
nella luna e nel paradiso di Buddha.
Il monaco, che
già barcollava, afferrò una ciotola e la porse alla principessa, traducendole
come meglio poté le parole del capitano, poi tracannò la propria d'un colpo
solo.
- Questo è il
nettare dell'immortalità - barbugliò. - Si beveva sotto Gengiz Khan per rendere
i guerrieri più formidabili.
- Aspetta un
po', vedrai come diventerai terribile - mormorò Rokoff. - Sarai ben bravo se
domani ti sveglierai.
I capi vedendo
la principessa bere l'avevano imitata, quantunque non potessero più tenersi
seduti, non avendo la resistenza del mandiki.
Avevano appena
vuotato le ciotole che si videro, uno dietro l'altro, accasciarsi e quindi stramazzare
col corpo innanzi ed il viso in mezzo ai tondi ancora semipieni di pasticci e
di carne.
La
principessa, dopo un lungo sospiro ed un'ultima occhiata al cosacco si era
rovesciata sul divanetto, cadendo addosso al mandiki il quale pareva che
non sapesse più in quale mondo vivesse.
Rokoff, Fedoro
e il capitano si erano alzati, estraendo le rivoltelle.
- Fuggiamo -
disse il cosacco. - Cara sposa, non mi vedrai mai più. Ti lascio i montoni, i
cammelli e anche il secolo che ti pesa sulle spalle.
Stavano per
slanciarsi fuori, quando videro il monaco alzarsi e fare, brancolando, qualche
passo innanzi.
- Fug...
gono... all'ar... mi... ca... pi...! servi...! - gridò facendo sforzi disperati
per attraversare la tenda.
- Non l'hai
ancora finita? - urlò Rokoff, furibondo. - Prendi!
Il suo pugno
piombò col rumore d'una mazza, sulla faccia paffuta del mandiki.
Il calmucco
cadde in mezzo ai piatti e alle salse, colle gambe levate, facendo tremare
perfino il suolo.
I tre
aeronauti, sbarazzatisi di quell'importuno, balzarono fuori della tenda,
passando sul corpo dei servi ubriachi e si precipitarono verso il luogo ove
avevano lasciato lo «Sparviero».
Qualcuno se
n'era accorto, poiché tutto d'un tratto si udì rimbombare un gong, poi un
secondo, quindi un terzo.
- Presto! -
gridò il capitano, precipitando la corsa. - Vengono!
Degli uomini
uscivano dalle tende che erano ancora illuminate! Vedendo quei tre fuggire si
misero ad inseguirli, urlando a piena gola.
Lo «Sparviero»
era però vicino e la macchina era pronta a funzionare, avendo il capitano
avvertito il macchinista.
I tre
fuggiaschi con un solo salto varcarono la balaustrata, mentre lo sconosciuto
che si era armato d'un Winchester a ripetizione apriva un magnifico fuoco
accelerato contro i calmucchi che accorrevano da tutte le parti, vociando
minacciosamente.
- Via! - gridò
il capitano che bruciava le cariche della sua rivoltella.
Lo «Sparviero»
agitò le sue immense ali correndo addosso ai calmucchi per prendere lo slancio,
poi cominciò ad innalzarsi fra alcuni spari.
- Eccoli
corbellati - esclamò Rokoff, mentre il trenoaereo fuggiva con una velocità di
quaranta miglia all'ora. - Io spero che quel briccone di monaco, dopo una
simile avventura, non resterà nemmeno mandiki. Ah! Voleva innalzarsi
sulle mie spalle e sul mio matrimonio! Sposala tu quella vecchia strega!
Formerete una coppia unica al mondo.
Turfan
scompariva rapidamente; non si vedevano che pochi punti luminosi che
diventavano, di momento in momento, sempre meno visibili.
- Dove
andiamo, capitano? - chiese Fedoro.
- Verso il
lago Bagratsch-kul - rispose il comandante.
- A pescare
delle altre trote?
- Non sono più
necessarie. Lo attraverseremo verso la sua estremità orientale poi ci
slanceremo sopra le sabbie dello Sciamo meridionale per raggiungere le frontiere
del Tibet. Comincio ad averne abbastanza della Mongolia.
- Ed io pure -
disse Rokoff. - Speriamo che non trovi anche là qualche principessa che
s'innamori della mia barba rossa.
- Ci
guarderemo dall'accostare i tibetani, molto più pericolosi dei calmucchi, non
vedendo volentieri gli stranieri sul loro territorio. Se volete andare a
riposarvi, fatelo pure; veglierò io assieme al macchinista.
- Non vi
fermerete in qualche luogo? - chiese Fedoro.
- Domani,
quando avremo raggiunto il deserto.
- Allora
possiamo tenervi compagnia - disse Rokoff.
Lo «Sparviero»
filava colla velocità d'un uccello, costeggiando l'acquitrino che si estende al
sud di Turfan e muovendo verso la piccola catena dei Chacche-tag.
Alla
mezzanotte gli aeronauti si libravano sopra Toksun, piccola fortezza mongola,
occupata da un presidio cinese per frenare le tribù nomadi del deserto che
esercitano, su vasta scala, il brigantaggio contro le carovane degli zingari.
All'alba il
lago di Bagratsch-kul era già in vista e le sue acque salate assai scintillavano,
come bronzo ardente, ai primi raggi del sole.
È un bel
bacino, di forma molto allungata, formato dal Chaidagol e che ha, a poca
distanza, delle cittadelle molto importanti e popolose, assai frequentate dalle
carovane. Al pari di tanti altri, del Tibet specialmente, è tenuto in molta
venerazione e nelle sue acque vengono gettate le ceneri dei defunti, credendo
gli abitanti che giungano più presto nel paradiso di Buddha.
Lo «Sparviero»
rasentò per alcune miglia le rive orientali, poi continuò la sua corsa verso la
piccola catena dei Kuruk-tag, entrando poco dopo il mezzodì nello Sciamo
occidentale, molto più sabbioso, più brullo e più pericoloso di quello
orientale, in causa dei venti impetuosi che soffiano dagli elevati altipiani
del vicino Tibet.
Non è però
arido quanto il Sahara, avendo dei laghi di estensione considerevole, come il
Lob-nor che si trova ad un'altezza di settecentonovanta metri sul livello del
mare ed il Tustik-dum, ed anche un fiume di largo corso che lo attraversa dal
sud al nord, il Darja, senza contarne altri minori.
Sabbie se ne
vedevano dappertutto e sempre irrequiete. I venti del Tibet le sollevavano in
ondate e cortine e talvolta in colonne immense, roteando su se stesse e le cui
cime toccavano di frequente anche lo «Sparviero», quantunque questo si
mantenesse ad una altezza di quattrocento metri.
- Come è
brutto questo deserto - disse Rokoff che lo guardava con una certa curiosità.
- Non è
allegro di certo - rispose il capitano, che gli stava vicino, tracciando delle
piccole croci rosse su una carta geografica. - In tre giorni e anche meno lo
attraverseremo e ci slanceremo sugli immensi altipiani del Tibet.
- E mi pare
che non faccia nemmeno caldo qui.
- Ci troviamo
a milleduecento metri sul livello del mare.
- Ditemi, capitano,
è vero che sulle rive dei fiumi che attraversano lo Sciamo si trova molto oro?
- Tutta l'Asia
centrale e specialmente la Cina ha miniere ricchissime, forse più che l'America
e l'Australia.
- E non si
lavorano?
- Voi
dimenticate che la Mongolia appartiene all'impero cinese.
- E che cosa
volete dire con ciò? - chiese Rokoff.
- Che il
governo imperiale proibisce severamente ai suoi sudditi di lavorare sia le
miniere d’oro, che d'argento e di mercurio.
- E per quali
motivi?
- Per non
togliere braccia all'agricoltura e anche per evitare disordini. Ogni minatore
sorpreso a cercar l'oro, qui come in Cina, senz'altro viene decapitato.
- Oh! gli
stupidi! Eppure la Cina non è molto ricca in fatto di monete d'oro e d'argento.
- Lo so e
anche l'Imperatore ricaverebbe immensi vantaggi se levasse la sciocca
proibizione. Ciò non impedisce però che nella Mongolia, la quale è
prodigiosamente ricca di miniere, talune vengono lavorate di nascosto. I
minatori per far ciò devono riunirsi in bande numerose e bene armate, onde
tener testa alle truppe che il governo non esita a mandare contro di loro per
catturarli e decapitarli. Si può anzi dire che buona parte delle ribellioni
interne avvengono precisamente per la lavorazione delle miniere, essendo i
minatori costretti ad inalberare il vessillo della rivolta. Sono per lo più
banditi, bene armati, che non s'accontentano solamente di frugare le viscere
della terra, saccheggiando anche le vicine regioni per provvedersi
gratuitamente dei viveri necessari.
- All'incirca
come i primi minatori californiani e australiani - disse Fedoro. - Anche essi,
prima della proclamazione della famosa legge di Lynch, derubavano tutti.
- Peggio
ancora - disse il capitano. - Non sono molti anni, precisamente in queste regioni,
un cinese, e ve ne sono molti che sono dotati d'una capacità straordinaria per
trovare i giacimenti auriferi, regolandosi, a quanto si assicura, sulla
conformazione delle montagne e sulle piante che vi crescono, scopriva una
ricchissima miniera. Sparsasi la voce, in pochi giorni diecimila banditi si
radunavano per sfruttarla. Mentre però la metà di quei minatori passavano al
crogiuolo i quarzi che contenevano oro in abbondanza incredibile, l'altra metà
devastava i dintorni saccheggiando mezzo regno d'Uniot, che allora era
tributario della Cina. Per due anni lavorarono estraendo tali ricchezze, che
l'oro in tutta la Cina diminuì la metà del suo valore.
- Che miniera!
- esclamò Rokoff. - Saranno diventati tutti ricchissimi costoro.
- No, finirono
invece tutti male - disse il capitano - e in causa dei loro continui saccheggi
e dei loro disordini. Il loro numero era così aumentato, che il re d'Uniot non
osava assalirli, malgrado i reclami dei suoi sudditi e anche della Cina; ma un
giorno costoro ebbero l'imprudenza di fermare la regina mentre stava
attraversando una vallata per recarsi a pregare sulla tomba dei suoi avi e di
depredarla di tutte le gioie che aveva indosso.
- Si vede che
non erano ancora contenti dell'oro che estraevano - disse Rokoff.
- E fu la loro
rovina, perché il re, indignato, mosse contro di loro, aiutato da buon nerbo di
cavalleria tartara e ne fece un orribile macello. Essendo alcuni riusciti a
fuggire e riparare entro la miniera, i tartari turarono tutte le uscite e poi
li affumicarono. Per alcuni giorni si udirono le urla e i gemiti di quei
disgraziati, che erano racchiusi in parecchie migliaia, poi a poco a poco si
spensero, finché il silenzio regnò assoluto.
- L'oro non
aveva portato fortuna a quei minatori.
- Nemmeno ai
pochi che erano caduti vivi nelle mani dei vincitori; furono fatti tutti
accecare per ordine del re. E ora, se volete, signor Rokoff, andate a lavorare
le ricche miniere dell'impero cinese. Per parte mia vi rinuncio, preferendo
conservare i miei occhi e anche la testa.
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