IL MONASTERO
DI DORKIA
Come abbiamo
già detto, il monastero di Dorkia è il più celebre di quanti sorgono sui
promontori del lago sacro, perché è sede d'un Bogdo-Lama, ossia d'una specie di
pontefice che porta il titolo di Perla dei sapienti, potente quasi quanto
l'altro che risiede nell'altro famoso monastero di Tascilumpo, che si chiama
invece il Dalai-Lama.
Questi due
pontefici sono i custodi della religione e sono venerati per i lumi della loro
scienza, ma non hanno che un potere limitato, spettando il diritto di governare
al Grande Lama, il cui nome significa Perla dei vincitori e anche dei re.
Il Dalai-Lama
di Tascilumpo è indubbiamente più venerato e molto più potente del Bogdo-Lama
di Dorkia; nondimeno anche questo gode grande fama, dominando la regione in cui
si trova il famoso lago sacro.
Il monastero
che si presentava agli sguardi stupiti di Fedoro e del cosacco, era degno della
sua fama. Era un insieme di costruzioni enormi, con in mezzo un tempio a
quattro piani, sormontato da una cupola colossale, coperta di foglie d'oro e
sorretta da un numero infinito di colonne del pari dorate.
Terrazze
ampissime s'estendevano tutto all'intorno, cinte da balaustrate di pietra e già
piene di monaci in attesa dell'arrivo dei due figli del cielo. Ce n'erano delle
centinaia con lunghe tonache di feltro bianco e nero che il vento, sempre
impetuosissimo, scompigliava con un effetto fantastico.
I tam-tam
sospesi alle diverse parti del monastero squillavano fragorosamente sotto i
colpi precipitosi dei martelli, destando l'eco delle immense montagne che
giganteggiavano dietro al lago, mostrando le loro punte aguzze coperte di nevi
e i loro fianchi ingombri di ghiacciai.
Il capo della
scorta si era fermato dinanzi a un'ampia gradinata che metteva a un vasto
edificio di stile cinese, coi tetti doppi e che finivano, agli angoli, in punte
arcuate, adorne di campanelli che il vento sbatacchiava con un tintinnio
assordante.
Fedoro e
Rokoff, ancora abbagliati dalla magnificenza di quel monastero, si erano decisi
a scendere da cavallo e a salire la gradinata, passando fra due ali di monaci
che si curvavano fino a terra.
Dinanzi alla
porta dell'edificio, circondato da altri monaci, un uomo dalla lunga barba
nera, che gli scendeva fino a metà del petto, coperto d'un'ampia tonaca rossa e
che aveva al collo grossi monili d'oro, pareva che li aspettasse per dare loro
il benvenuto.
- Che sia il
capo del monastero? - chiese Rokoff, che si sentiva scombussolato da quel
ricevimento che sorpassava tutte le sue previsioni.
- È la Perla
dei sapienti, il Bogdo-Lama - rispose Fedoro.
- Come ci
accoglierà? Mi sento indosso un certo malessere che si direbbe paura. Se
indovinasse in noi degli europei?
- Taci,
Rokoff; mi fai venire la pelle d'oca.
- Non perderti
d'animo e dalle da bere grosse, a quella Perla dei sapienti. Se potessi
parlare correntemente il cinese, improvviserei un discorso tale da farlo
piangere, mentre...
- Zitto.
Erano giunti
sulla cima della gradinata.
- Fa come
faccio io - disse Fedoro, rapidamente.
Il Bogdo-Lama
e i due europei si guardarono per parecchi istanti in silenzio, mentre tutti i
monaci cadevano al suolo toccando le pietre colla fronte e sporgendo, più che
potevano, le loro lingue, poi il grande sacerdote fece alcuni passi,
inchinandosi profondamente.
Fedoro ritenne
opportuno rispondere con un altro inchino, meno deferente però nella sua
qualità di figlio di Buddha, subito imitato da Rokoff. Poi il Lama prese per
mano i due europei e li introdusse nel tempio, fermandosi dinanzi a una
gigantesca statua del Dio, simile a quella che già avevano veduto nell'altro
monastero e pronunciò delle parole che né Fedoro, né Rokoff riuscirono a
comprendere.
Ciò fatto li
condusse attraverso una galleria le cui pareti erano coperte da paraventi
ricamati in seta e oro, d'una finitezza e d'una bellezza meravigliosa, ed entrò
in un'immensa sala illuminata da una specie di lucerna di talco e circondata da
divani di seta azzurra e bianca, ricamati in argento.
Anche le
pareti erano coperte da arazzi di manifattura cinese e il pavimento di tappeti
del Kascemir a mille colori.
Tutti i monaci
si erano arrestati sulla porta, continuando gl'inchini e salmodiando, a mezza
voce, delle preghiere.
Fedoro e
Rokoff, quantunque facessero sforzi sovrumani per apparire tranquilli, si
sentivano tremare non solo il cuore, ma anche le gambe e si chiedevano
ansiosamente come sarebbe andato a finire quel ricevimento e come avrebbero
potuto sostenere dinanzi alla Perla dei sapienti, di essere veramente
degli esseri superiori, dei figli della grande divinità.
Si guardavano
l'un l'altro con occhi smarriti, maledicendo in loro cuore quell'uragano che li
aveva precipitati nel lago sacro, invece che in qualche bacino deserto.
Il Bogdo-Lama
lasciò che i monaci sfilassero dinanzi alla porta, poi, quando se ne furono
andati, fece sedere i due europei su un divano, pronunciando alcune parole che
Fedoro non riuscì a capire.
Non ricevendo
risposta, il Lama si lasciò sfuggire un gesto di sorpresa. E infatti il
sapiente doveva ben stupirsi di non farsi capire dai figli di Buddha. Trovava
certo strano che non parlassero il tibetano.
Fortunatamente
Fedoro non aveva perduto completamente il suo sangue freddo. Comprendendo che
stava per tradirsi, giocò risolutamente d'audacia.
- La Perla
dei sapienti ha parlato una lingua che noi non possiamo capire - disse in
cinese. - Non deve stupirsi, perché noi eravamo stati incaricati dallo spirito
divino che regna nel nirvana, di visitare i monasteri buddisti della
Mongolia e non già quelli del Tibet. In quattro siamo discesi dal cielo con
diverse missioni e quello che doveva qui venire, non è ancora giunto.
- E perché vi
siete spinti fino qui? - chiese il Bogdo-Lama rispondendo nell'eguale lingua.
- Volevamo
venire a vedere il lago sacro e ritemprarci nelle sue acque, prima di
riguadagnare la Mongolia.
- Voi siete
scesi dal cielo sul dorso d'un immenso uccello, è vero?
- Sì - rispose
Fedoro. - Una grande aquila, che era prima la guardiana del nirvana, un
uccello terribile che è stato incaricato di difenderci dalle insidie e dalle
offese di coloro che non credono in Buddha e che sono i nemici della nostra
religione.
- Quanto
desidererei vedere anch'io quel volatile! - esclamò la Perla dei sapienti.
- M'hanno narrato meraviglie della potenza di quel mostro alato; m'hanno detto
che turbinava sulle ali della tempesta, lasciandosi dietro una striscia di
fuoco. Solo il grande Buddha poteva creare un simile uccello. Verrà qui?
- Lo aspettiamo.
- E condurrà
l'essere divino incaricato di rimanere fra di noi?
- Nostro
fratello verrà.
- Ha eguale
potenza di voi? -
- Siamo tutti
eguali.
- È bianco
come voi?
- Sì.
- E perché il
grande Buddha che era bronzeo al pari degli indiani, ha creato dei figli dalla
pelle bianca?
- Tutti nel nirvana
sono bianchi, perché la luce intensa che regna lassù, scolorisce presto gli
uomini che hanno la pelle nera o bronzina.
- Buddha è
grande! - esclamò il Lama battendo il petto con ambo le mani. - È contento di noi?
- Se non lo
fosse, non ci avrebbe mandati sulla terra a visitare i suoi fedeli - rispose
Fedoro. - Egli però vorrebbe che la sua religione si estendesse maggiormente e
che si diffondesse in tutto il mondo.
- Siamo in
molti.
- Non basta.
- Abbiamo
monasteri nell'India, in Cina, nel Siam e anche nella Birmania e persino nel
Turchestan.
- Ne vorrebbe
di più.
- Ne
costruiremo degli altri e manderemo i nostri monaci in altre regioni a fare
nuovi proseliti.
- Ecco quel
che desidera da voi il grande Illuminato.
- L'avete
finita? - chiese Rokoff, che cominciava a perdere la pazienza. - Riprenderei
volentieri il sonno così inopportunamente interrotto; manda a dormire
quest'uomo barbuto e fagli comprendere che ci ha seccati abbastanza col suo
Buddha.
- Il vostro
compagno parla un'altra lingua! - esclamò il Lama. - Non andrà nella Mongolia?
- No - rispose
prontamente Fedoro. - Egli è destinato a recarsi presso le tribù dei Calmucchi
e dei Kirghisi, presso le quali la religione buddista non è rigorosamente
osservata; ecco perché non parla il cinese.
- E il vostro
quarto fratello dove andrà?
- Nella
Siberia.
- Un paese che
non ho mai udito nominare, ma il mondo è così vasto! E poi noi non usciamo mai
dai confini del Tibet.
Stette un
momento silenzioso, guardando ora Fedoro e ora Rokoff con una cert'aria
imbarazzata. Pareva che volesse fare una domanda, ma che non osasse.
- Fedoro -
disse Rokoff a mezza voce - sta in guardia. Mi pare che questo monaco rimugini
qualche cosa di pericoloso nel suo cervello. Bada di non farti cogliere in
fallo.
- Me ne sono
accorto anch'io - rispose il russo.
Il Lama, dopo
aver scosso più volte la testa ed essersi lisciata ripetutamente la lunga
barba, disse con una certa timidezza.
- Vorrei
rivolgere una preghiera ai figli del grande Illuminato.
- Parlate -
rispose Fedoro - quantunque, prevedendo un grave pericolo, si sentisse
accapponare la pelle.
- La voce del
vostro arrivo deve essersi sparsa fra tutti gli abitanti e i monasteri del
Tengri-Nor e domani i pellegrini accorreranno in folla a vedere gl'inviati del
nostro Dio.
- Non abbiamo
alcuna difficoltà a mostrarci alle turbe dei fedeli - rispose Fedoro, credendo
che tutto si limitasse a quella domanda.
- Il nostro
monastero organizzerà una grande cerimonia religiosa per rendere grazie
all'Illuminato d'essersi degnato di mandare qui i suoi figli.
- Diavolo,
dove andrà a finire costui? - pensò Fedoro.
- Vorrei
pregarvi di tenere una conferenza sui doveri dei buoni buddisti, per ispirare
maggior zelo nei nostri pellegrini. Sarà un avvenimento pel nostro monastero,
il quale acquisterà una maggior celebrità tale da oscurare per sempre quella di
Tascilumpo.
Altro che
pelle d'oca! Fedoro sudava a freddo.
- Hai capito
nulla? - chiese a Rokoff.
- Affatto -
rispose questi.
- Domanda a me
di fare un discorso.
- Trovi
difficile il farlo?
- Non conosco
che vagamente la religione buddista. Che cosa potrei dire? Che racconti delle
frottole? Non dobbiamo scherzare colla Perla dei sapienti.
- Come vuoi
cavartela? Se ti rifiuti chissà che cosa potrà nascere. Per ora acconsenti,
tanto per guadagnare tempo, poi vedremo.
- Il figlio
del grande Illuminato accetta? - chiese il Lama.
- Sì - rispose
Fedoro, a denti stretti.
- Quale onore
pel nostro monastero! - esclamò il Lama. - Poi sospirò a lungo, guardando
Fedoro.
- Si prepara a
darti un altro pugno - disse Rokoff. - Lo vedo; prepara la difesa, Fedoro.
- Potessi
prepararla almeno tu, questa volta!
- Io non so il
cinese; non parlo che il calmucco e il kirghiso - rispose il cosacco che rideva
sotto i baffi.
- Ah! Se voi
voleste! - disse finalmente il Lama con un altro sospiro più lungo del primo. -
Quale sarebbe l'onore pel nostro monastero!... Più nessun pellegrino si
recherebbe a quello di Tascilumpo e nemmeno a quello di Lhassa.
- Con tutti
questi onori chissà in quale ginepraio finirà per cacciarmi - mormorò il povero
russo, le cui inquietudini aumentavano. Nondimeno si fece animo, dicendo:
- Parlate,
spiegatevi meglio.
- Rimanete
sempre qui con me - disse il Lama. - Faremo di voi, due Buddha viventi, due
vere incarnazioni del Dio.
- È
impossibile! - esclamò Fedoro, spaventato.
- E perché?
- Siamo attesi
in Mongolia e in Siberia.
- I mongoli e
i siberiani potranno farne a meno di voi - rispose il Lama, con una certa
durezza che sconcertò il russo. - La vera religione buddista è qui, non fra
quei selvaggi, ed è sulle sacre rive del Tengri-Nor che viene più
scrupolosamente osservata.
- E se nostro
padre non lo permettesse?
- Buddha è
grande e ama i suoi adoratori, potrebbe lui scontentarli? Noi raddoppieremo le
preghiere e i sacrifici e sarà contento.
- Ciò che voi
ci chiedete non sarà mai possibile - rispose Fedoro, con voce recisa. - Noi
dobbiamo compiere la nostra missione.
- E se i
montanari si opponessero alla vostra partenza? - chiese il Lama. - Come potrei
io impedirlo? Non ne avrei l'autorità.
- Voi, un
Bogdo-Lama! - esclamò Fedoro. - Un pontefice della religione a cui tutti i
fedeli debbono obbedienza?
- Sono molti e
quando vogliono una cosa nessuno potrebbe più domarli. Pensate che io non ho
forze da opporre loro.
- Minacciate
di scomunicarli e di scatenare tutti i fulmini del grande Buddha.
Un sorriso un
po' beffardo spuntò sulle labbra del Bogdo-Lama.
- Vedremo -
disse poi - spero che non spingeranno le cose fino a tal punto. Però vi dico
che sarebbero orgogliosi di avere, sulle sponde del lago sacro, due Buddha
viventi.
Si era alzato.
- Sarete
stanchi - disse.
- Molto -
rispose Fedoro, che non desiderava altro che tagliare corto quel dialogo, che
diventava di momento in momento più imbarazzante.
- Gli esseri
celesti saranno miei ospiti e nulla mancherà loro, finché si fermeranno nel mio
monastero. Fin da questo istante verranno trattati cogli onori dovuti ai Buddha
viventi.
- Il grande
Illuminato sarà riconoscente ai suoi fedeli adoratori del Tengri-Nor,
dell'accoglienza fatta ai suoi figli.
Il Bogdo-Lama
s'accostò a un piccolo tavolo e scosse un campanello d'argento.
Quattro
monaci, che dovevano essersi fermati al di fuori, in attesa dei suoi ordini, entrarono.
Il Lama rivolse loro alcune parole, poi s'inchinò dinanzi ai due europei,
facendo quindi segno di seguire i religiosi.
- Siamo
finalmente liberi? - chiese Rokoff. - Se la durava ancora un po', perdevo la
pazienza e prendevo quel monaco per la barba.
- Avresti
compromesso gravemente la nostra posizione di Buddha viventi - rispose Fedoro,
asciugandosi il sudore che gli bagnava la fronte.
- Di Buddha
viventi? Che cosa dici, Fedoro?
- Taci per
ora.
Restituirono
al pontefice di Dorkia il saluto e uscirono preceduti dai quattro monaci, i
quali a ogni istante si volgevano verso i due europei inchinandosi fino al
suolo e balbettando delle preghiere incomprensibili.
- Come sono
cerimoniose queste persone - brontolò il cosacco - comincio ad averne fino ai capelli.
Percorsero
parecchi corridoi sempre tappezzati di meravigliosi paraventi, salirono
parecchie gradinate e finalmente furono introdotti in una sala immensa, colle
pareti coperte di seta gialla fregiata da iscrizioni tibetane, ammobiliata con
divani d'eguale stoffa e colla volta a cupola la quale, essendo composta di
lastre di talco, lasciava trapelare un debole chiarore.
All'estremità
s'aprivano due porte che pareva mettessero in altre sale o in altre stanze. Un
dolce tepore regnava là dentro, nonostante la vastità dell'ambiente.
- Il vostro
appartamento - disse uno dei quattro monaci, in lingua cinese. - Tutto quello
che potrete desiderare vi sarà recato; basta battere il gong sospeso
alla porta.
- Una bella
prigione - disse Fedoro, volgendosi verso Rokoff, mentre i monaci uscivano.
- Una
prigione! - esclamò il cosacco. - Come! Questi bricconi osano mettere in gabbia
degli uomini scesi dal cielo?
- Faranno di
più, mio povero Rokoff.
- Che cosa
vuoi dire?
- Che noi
stiamo per diventare dei Buddha viventi.
- Ne so meno
di prima.
- Non hai mai
udito parlare dei Buddha che vivono?
- Niente
affatto, Fedoro. Mi spiegherai ciò dopo colazione. L'aria del lago mi ha messo
indosso un appetito indiavolato. Non so più dove sia andata a finire la cena
che ci ha offerto l'altro monaco.
- Tu scherzi?
- Vorresti
vedermi piangere?
- Rokoff la va
male.
- Perché
vogliono fare di noi dei Buddha viventi? Se così fa piacere a loro, lasciali
fare amico mio. Purché non ci impalino o non ci gettino in qualche cantina
piena di scorpioni, non vi è motivo di spaventarci.
- Non sai tu
che cosa sono i Buddha...?
- Persone che
mangiano e bevono al pari di tutti gli altri mortali, a quanto suppongo.
- Se non
vengono strangolati.
- Eh! Che cosa
dici, Fedoro? Vuoi guastarmi l'appetito?
- Non ne ho
alcun desiderio. E poi, come me la caverò colla predica che devo tenere ai
fedeli? Io che conosco così poco la religione buddista! Sarà una catastrofe
completa.
- Dimmi,
Fedoro, credi tu che quel monaco barbuto abbia prestato cieca fede a quanto noi
abbiamo narrato?
- Uhm! Ho i
miei dubbi. Non deve essere così sciocco la Perla dei sapienti.
- E perché non
ci ha scacciati come impostori?
- Non avrebbe
guadagnato nulla, mentre presentandoci come figli del cielo attirerà al suo
monastero migliaia e migliaia di pellegrini.
- E gli
abitanti?
- Sono così
idioti da credere a tutte le panzane che smerciano i loro Lama.
- E come te la
sbrigherai colla predica?
- Non lo so,
Rokoff.
- Chi è,
innanzi tutto, questo signor Buddha?
- Un saggio,
un illuminato nato a Ceylon che creò una nuova religione, non so precisamente
se per convinzione o per detronizzare la triade indiana di Brahma, Siva e
Visnù.
- Un
brav'uomo?
- Certo,
perché predicò la pietà verso il prossimo non solo, bensì anche verso gli
animali.
- Allora dirai
che il paradiso di Buddha è pieno d'asini, di cavalli, d'insetti, di balene...
un vero serraglio.
- Ah! Rokoff.
- Non
preoccuparti. Facciamo colazione e vedrai che dopo riempito il ventre le idee
scaturiranno in tale abbondanza da fare un predicone. Ah! se conoscessi il
cinese vorrei far stupire perfino la Perla dei sapienti. Ci metterei
perfino dentro il Don e i cosacchi delle steppe. Combineremo tutto insieme e...
- Ci farai
prendere a legnate.
- E noi
risponderemo a calci.
Rokoff s'alzò
e percosse furiosamente il gong, gridando:
- La colazione
pei figli di Buddha e per oggi non seccateci più le tasche. Siamo occupati a
pregare Domeneddio, cioè no, l'Illuminato.
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