Chiusa l'entrata della caverna
con una lastra di pietra affinché durante la loro assenza qualche animale
feroce non ne prendesse possesso, essendo in quelle lontane epoche molto
popolato l'Egitto di leoni e di jene, il sacerdote ed il giovane si erano messi
in marcia, tenendosi l'uno presso l'altro e volgendo le spalle al Nilo.
Il deserto, che più tardi gli
Egiziani dovevano, con pene infinite, rendere fertile, stava dinanzi a loro,
stendendosi verso levante. Veramente non era proprio un deserto, simile a
quello libico od al Sahara, assolutamente arido e privo di vegetazione; si
poteva chiamare una immensa pianura incolta, che dalle rive del Nilo si
spingeva fino alle rive del mar Rosso.
Infatti qua e là si scorgevano
dei gruppi di palme dum, chiamate alberi del pan pepato e che acquistano
rapidamente uno sviluppo straordinario, anche sui terreni sterili, e qualche
palma deleb dal fusto rigonfio nel mezzo e che è amante piuttosto della
solitudine, non formando mai delle selve.
Degli sciacalli urlavano in
lontananza e fuggivano, rapidi come saette, all'accostarsi dei due uomini,
mentre delle jene sghignazzavano in mezzo alle dune sabbiose, senza osare
mostrarsi, non godendo nemmeno a quei tempi maggior coraggio di quello che
hanno anche oggidì.
La notte era splendida e
tranquilla, regnando nelle pianure egiziane una calma assoluta. La luna
splendeva sempre al di sopra delle foreste costeggianti il Nilo, allungando
smisuratamente le ombre dei due uomini, e la cometa scintillava vivissima fra
le stelle, avanzandosi su un cielo purissimo, d'una trasparenza che solo si può
ammirare in quelle regioni.
Né Ounis, né Mirinri parlavano:
parevano entrambi immersi in profondi pensieri.
Solo il primo, di quando in
quando, alzava gli occhi verso la cometa, fissandola intensamente. Il secondo
sembrava invece che seguisse cogli sguardi qualche cosa che gli fuggiva
dinanzi, forse la fanciulla che gli aveva fatto battere forte il cuore per la
prima volta da che era nato.
Avevano percorso già così
parecchie miglia, sempre avanzandosi nel deserto, quando Ounis appoggiò
famigliarmente una mano sulla spalla del giovane, chiedendogli a bruciapelo:
«A che cosa pensi, Mirinri?»
Il figlio dei Faraoni trasalì
bruscamente, come se fosse stato improvvisamente destato da qualche dolce
sogno, poi rispose, esitando: «Non so: a molte cose.»
«Al potere sconfinato che tu
raccoglierai in Menfi?»
«Può darsi.»
«O alla vendetta?»
«Anche questo può essere vero.»
«No: tu m'inganni. Io ti osservo
da quando abbiamo lasciata la nostra dimora. Non è né il potere, né
l'ambizione, né l'odio che turba il cervello ed il cuore del figlio del grande
Teti, il fondatore della dinastia. «disse Ounis, con una certa amarezza.»
«Che cosa ne sai tu?»
«I tuoi occhi non hanno guardato
nemmeno una volta la stella caudata che segna il tuo destino e il tuo cammino.»
«È vero,» rispose Mirinri con un
lungo sospiro.
«Tu pensavi alla fanciulla che
hai salvato dalla morte, sulle rive del Nilo.»
«A che negarlo? Sì, Ounis,
pensavo a lei.»
«Ti ha dato dunque da bere
qualche filtro misterioso, costei?»
«No.»
«Come puoi amarla così tanto da
dimenticare la grandezza suprema, che tutti i mortali t'invidierebbero?»
Mirinri rimase alcuni istanti
silenzioso, poi volgendosi con uno scatto improvviso verso il sacerdote, che si
era fermato e che lo guardava tristamente, gli disse:
«Io non so se gli altri uomini
siano eguali a me, perché in tanti anni io non ho veduto che le acque del Nilo,
le grandi palme che lo circondano, le sconfinate dune di sabbia e le belve che
le abitano. Io non ho udito fino ad oggi che la voce tua, quella del vento
quando strappava le foglie piumate o torceva i rami, ed il mormorìo delle
acque, colanti dai misteriosi laghi dell'interno. Come potevo io, giovane,
rimanere insensibile ad un essere diverso da me e da te e che parlava una
lingua armoniosa, più dolce del sussurrìo della brezza notturna? Tu mi dici che
io l'amo. Non so veramente comprendere questa parola, io che sono vissuto
sempre lontano dalle terre abitate e mai seppi che cosa possa significare. La
malìa gettatami nel cuore da quella fanciulla potrà chiamarsi così. Io so che
quando penso a lei mi vedo brillare sempre dinanzi, sia di giorno o di notte,
quei grandi occhi neri ripieni d'una infinita tristezza e che provo entro di me
una sensazione strana, che non saprei spiegarti e che prima non avevo mai
sentito, né ascoltando il mormorìo delle acque, né i sibili del vento, né
l'urlo delle fiere affamate vaganti pel deserto».
«Una sensazione pericolosa,
Mirinri, che potrebbe esserti fatale e fermarti nel tuo glorioso cammino.
Toglie le forze ai guerrieri, addormenta i forti, spegne le energie e rende
talvolta l'uomo perfino vile. Guardati! La tua grande impresa non ha bisogno di
quel fremito.»
«Rende perfino vili!» esclamò il
giovane, colpito da quella parola.
«Sì, vili.»
«Ebbene guarda se io potrei
diventarlo.»
Si era voltato guardando le dune
di sabbia che si estendevano dietro di loro, interrotte qua e là da qualche
cespuglio intristito.
Un'ombra gigantesca, che Ounis
non aveva prima osservata, ma che non era invece sfuggita agli sguardi del
giovane, era comparsa sulla cima d'uno di quei minuscoli monticelli di sabbia,
guatando i due egiziani.
«Lo vedi?» chiese Mirinri, senza
che nella sua voce si sentisse alcuna alterazione.
«Un leone!» aveva esclamato il
sacerdote, trasalendo.
«È da qualche poco che ci spia.»
«E non mi hai avvertito?»
«Se è vero che io ho nelle vene
il sangue dei guerrieri, perché dovevo preoccuparmi della sua presenza? Mio padre
non sarebbe fuggito, lui che ha vinto, come mi hai narrato, le sterminate
falangi dei Caldei.»
«Che cosa intendi di dire e di
fare?» chiese Ounis, guardandolo con ansietà.
«Accertarmi se io sono veramente
un Faraone, innanzi a tutto, e poi provarti che se anche quella fanciulla ha
gettato una malìa su di me, non sarei capace di diventare un vile.»
La corta spada di bronzo brillò
nella destra del giovane.
«A me, leone!» gridò. «Vedremo se
sarà più forte il re del deserto od il futuro re dell'Egitto!»
Come se la formidabile fiera
avesse compresa la sfida gettatagli dall'audace giovane, aprì le fauci e fece
rintronare le dune d'un ruggito poderoso, che parve un colpo di tuono.
Ounis aveva afferrato con ambe le
mani il braccio armato, dicendo:
«No, tu non puoi esporti contro
quella belva. Io sono vecchio e non ho alcuna missione da compiere al mondo,
lascia quindi che l'affronti io se verrà ad assalirci. Non ho bisogno che tu mi
dia una prova del tuo coraggio. Mi basta veder brillare nei tuoi occhi il lampo
fiero che animava quelli del grande Teti.»
Il giovane, con una brusca mossa,
si svincolò e mosse intrepidamente verso la fiera, che ruggiva sordamente,
sferzandosi i fianchi colla coda.
«Quando un Faraone getta una sfida
non retrocede!» gridò Mirinri. «Vince o muore! Il leone l'ha accettata: a noi
due!»
Il sacerdote non aveva più
cercato di trattenerlo. D'altronde la belva, che doveva essere affamata, non
avrebbe tardato ad assalirli egualmente.
«Prode come suo padre,» mormorò
il sacerdote che lo seguiva, tenendo in mano la spada e che lo guardava muovere
diritto verso la fiera, con un misto d'angoscia e d'orgoglio. «L'avevo
giudicato male: ha nelle vene il mio...»
Si morse le labbra per non
lasciarsi sfuggire il seguito di quelle parole, e allungò il passo onde porgere
aiuto al giovane Faraone.
Il leone che fino allora era
rimasto accovacciato, vedendo avanzarsi la preda che credeva di abbattere con
un solo colpo delle sue poderose zampe, si era alzato, scuotendo la sua folta
criniera.
Era un superbo animale, di taglia
grossa e robusta, dal pelame fulvo e la criniera nerastra come quella dei leoni
delle montagne dell'Atlante, che rappresentano oggidì la razza più bella di
quei terribili carnivori.
Mirinri, punto spaventato
dall'aspetto imponente del suo avversario, né dai suoi ruggiti, che diventavano
di momento in momento più possenti, muoveva avanti senza nemmeno guardarsi alle
spalle, per vedere se era o no seguito da Ounis.
I suoi occhi, che erano diventati
ardenti, fissavano intrepidamente l'avversario, spiandone le più lievi mosse.
Se Ounis era orgoglioso di
vederlo così calmo e così audace, il bel giovane si sentiva del pari orgoglioso
di non provare quel sentimento di paura che coglie tutti gli uomini, anche i più
intrepidi, dinanzi a quei re dei deserti e delle foreste africane. Aveva dunque
nelle vene il sangue degli antichi guerrieri? Era dunque proprio un Faraone?
Sì, ormai ne era convinto, quantunque non avesse ancora udito a crepitare la
statua colossale di Memnone, né avesse ancora veduto il fiore d'Osiride
schiudere le sue corolle e rivivere, dopo tante migliaia e migliaia d'anni.
Giunto a dieci passi dalla belva,
tese l'arma e si arrestò, gridando: «Ti aspetto a piè fermo: assalimi! Vedremo
se il grande Osiride proteggerà me, che discendo dagli dei o te ladrone del
deserto.»
Il leone lanciò un ultimo
ruggito, poi scattò, mettendosi a correre attraverso le dune con balzi
giganteschi. Volteggiava intorno ai due uomini, descrivendo un largo giro, che,
a poco a poco, restringeva, cercando il momento opportuno per sorprenderli alle
spalle.
Mirinri, sempre freddo, sempre
impassibile, ma col viso animato da una collera intensa, girava su se stesso
mostrando sempre alla belva la lama della sua spada di bronzo, che i raggi
della luna facevano scintillare vivamente.
Ounis invece si era inginocchiato
a breve distanza dal giovane tenendo la sua arma tesa in alto. Non perdeva di
vista il suo compagno, occupandosi più di lui che del leone.
Una profonda emozione alterava i suoi
lineamenti. Vi era nell'espressione dei suoi occhi, che in quel momento
brillavano non meno intensamente di quelli di Mirinri, lo stesso senso di
prima: orgoglio, gioia e terrore.
Si comprendeva che, quantunque
paventasse che il giovane potesse essere vinto da quel formidabile avversario e
ridotto un cadavere informe, dall'altro lato era superbo di vederlo così
coraggioso e così pronto a sfidare il pericolo, e quale pericolo!
Il leone continuava la sua corsa
circolare. Scattava come se le sabbie fossero coperte da migliaia di molle
invisibili e sembrava che le sue forze, invece di scemare, aumentassero sempre
poiché i suoi slanci diventavano più impetuosi.
Mirinri, fermo come una statua di
bronzo, col braccio armato sempre teso, attendeva l'assalto. Un sorriso di
sfida coronava le sue labbra sottili.
Ad un tratto la belva, che non
aveva cessato di stringere sempre più il cerchio, si precipitò sui due uomini,
mandando nel medesimo tempo un ruggito spaventevole, che parve una fanfara di
guerra udita in lontananza. Non scelse però il giovane come prima preda.
Con un salto immenso era piombato
sul sacerdote, cercando di fracassargli la spina dorsale o di aprirgli un
fianco con un colpo di zampa. Aveva però prese male le sue misure, giacché gli
cadde vicino, urtandolo solo con una spalla e rovesciandolo al suolo.
Stava per rivoltarsi, onde
mettere in opera le sue unghie, quando Mirinri gli fu addosso colla rapidità
del lampo.
Colla sinistra l'afferrò per la
folta criniera, tenendolo per un istante fermo, poi coll'altra gl'immerse fino
all'impugnatura la larga lama di bronzo, squarciandogli il petto.
«Il giovane Faraone ti ha vinto!»
gridò. «Sono più forte di te! L'Egitto sarà mio!»
Non era ancora una vittoria
completa. La belva, quantunque orribilmente ferita e tutta sanguinante, con uno
scatto improvviso gli era sfuggita e si era accovacciata a dieci passi,
ruggendogli in viso, pronta a ricominciare l'assalto.
«Guardati, Mirinri!» gridò Ounis,
con voce angosciata, rialzandosi prontamente.
Il giovane parve che non l'avesse
nemmeno udito.
Cogli sguardi sempre sfavillanti,
fissi in quelli della fiera, s'avanzava colla spada alzata, rossa di sangue
fino alla guardia.
«Bisogna che ti uccida,» disse.
E si slanciò sul leone, che non
osava più affrontare quel giovane avversario, che aveva dapprima disprezzato e
che pareva lo magnetizzasse colla potenza dei suoi occhi.
L'urto fu breve e terribile.
Ounis vide per alcuni istanti sollevarsi intorno ai due combattenti come una
nube di sabbia, che glieli nascose, poi si udì un ruggito soffocato ed un grido
che gli parve di trionfo:
«Muori!»
Quando la sabbia finissima cadde
al suolo, vide Mirinri ritto, colla fronte alta, la spada grondante sangue in
pugno ed un piede posato sul corpo della belva, che sussultava ancora fra gli ultimi
spasimi della morte.
«Sì, mio...» gridò Ounis, «degno
allievo! Sì, sei il figlio di Teti, il fondatore d'una dinastia che darà la
gloria e la potenza alla terra dei Faraoni. Solo un uomo creato da lui avrebbe
potuto compiere una simile impresa. Osiride ti protegge ormai e tutto puoi
osare.»
Mirinri si volse e dopo d'averlo
guardato per qualche istante in silenzio, rispose:
«Ora io non dubito più che
l'anima dei Faraoni si sia trasfusa in me. Come io ho ucciso il re dei deserti,
ucciderò l'usurpatore, che rapì a me ed a mio padre il trono. Vedi, Ounis, se
si può essere audaci anche quando il cuore vibra per una fanciulla. La prova
ultima, la prova!»
«Sei grande,» rispose il
sacerdote. «Partiamo subito. Gli astri cominciano ad impallidire e anche la coda
della cometa va spegnendosi. Vieni, Figlio del Sole!»
Il giovane asciugò la lama sulla
criniera del leone, se la rimise lentamente nella fascia che gli stringeva le
anche e raggiunse il sacerdote coll'indifferenza tranquilla d'un uomo che
avesse compiuta una cosa di nessuna importanza.
«Sangue freddo, forza ed
audacia,» disse Ounis, la cui ammirazione non pareva che fosse ancora cessata.
«Tu sei l'uomo del destino.»
Mirinri sorrise senza rispondere.
Gettò un ultimo sguardo sulla
belva, che non aveva più alcun sussulto e che sembrava addormentata, alzò per
un istante gli occhi verso la cometa, che cominciava a smorzarsi e seguì il
sacerdote, ricadendo nei suoi pensieri.
Non si udiva più alcun rumore fra
le dune sabbiose. La voce formidabile del morente leone aveva allontanato jene
e sciacalli, ed un profondo silenzio regnava sulla sterile landa,
Camminarono così, senza parlare,
per qualche mezz'ora ancora: poi Ounis ruppe pel primo quell'immensa calma.
«La vedi? La piramide fatta
costruire da tuo padre sorge laggiù.»
Mirinri si scosse, alzò il capo,
che fino allora aveva tenuto curvo sul petto e spinse lo sguardo dinanzi a sé.
Due masse enormi si delineavano
fra le dune, spiccando vivamente sull'orizzonte, che cominciava ad imbianchirsi
sotto i primi riflessi dell'alba.
«Le due statue di Memnone!»
esclamò, sussultando.
«Questa è l'ora.»
Mirinri girò lo sguardo verso
settentrione e scorse una massa ancora più enorme, tutta nera, giganteggiante
fra le semioscurità e che s'innalzava in forma di piramide.
«Il sepolcreto della mia
dinastia,» disse.
«Dove troveremo il fiore sacro
d'Osiride. Affrettati, o giungeremo troppo tardi. La pietra suona solo quando
nasce e tramonta il sole.
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