Gli adoratori di Bast, sempre più
esaltati pel troppo vino bevuto e che non dovevano aver ancora digerito, come
abbiamo detto, si erano gettati in massa sul sett muovendo risolutamente
verso il veliero, che si trovava sempre stretto ed immobilizzato fra le erbe
acquatiche, non ostante gli sforzi prodigiosi degli etiopi per aprirsi un
passaggio.
Parecchi si erano muniti di rami
resinosi, che bruciavano come torcie e che non dovevano certo servire a
rischiarare la via, essendo le notti, in Egitto, d'una trasparenza
meravigliosa, che permette di discernere un oggetto, anche piccolo, a distanze
incredibili.
Erano appunto quelle torcie
vegetali che avevano impressionato Ata, il quale non era già la prima volta che
combatteva sulle rive del Nilo.
«Guardiamoci!» aveva esclamato.
«Ci copriranno di freccie ardenti e corriamo il pericolo di morire abbruciati.»
Anche Ounis aveva aggrottata la
fronte ed una profonda inquietudine si era diffusa sul suo viso.
«Che il Figlio del Sole debba
finire qui, prima ancora d'aver potuto vedere l'orgogliosa Menfi?»
Mirinri, che si sentiva ardere
nelle vene il sangue di prodi guerrieri, aveva prontamente organizzata la
difesa. Sembrava che tutto d'un tratto fosse diventato un vecchio ed
esperimentato condottiero.
«Coprite il ponte colle vele ed innaffiatele
d'acqua!» aveva gridato.
Poi, volgendosi verso la
maliarda, che conservava sempre la sua impassibilità, come se tutto quello che
accadeva non la riguardasse, le disse:
«E tu, ritirati nella camera di
poppa.»
La maliarda scosse il capo con un
gesto di diniego e si limitò a fissare con intensità il giovane.
«Mi hai compreso?» chiese
Mirinri, stupito.
«Sì,» rispose Nefer con voce
dolcissima, ma ferma.
«Le freccie stanno per cadere e
saranno munite di fiocchi infuocati.»
«Nefer non ha paura. Se tu, che
mi hai salvato, sfidi la morte, perché dovrò cercare di evitarla io? E poi io,
umile donna, salvata da te!... La luce che brilla nei tuoi occhi mi dice che il
tuo corpo è divino.»
«Che cosa ne sai tu?»
«Nefer legge il futuro.»
Le grida furibonde degli ubriachi
interruppero il loro dialogo. Quei frenetici accorrevano all'assalto del
piccolo veliero, con slancio irrefrenabile, balzando come una legione di demoni
sul sett.
Ata aveva mandato un grido
d'allarme:
«Attenzione!»
Gli etiopi avevano tesi gli archi,
saettando i più vicini e trapassandone parecchi colle loro lunghe freccie, le
cui punte mobili rimanevano entro le carni.
Mirinri era a sua volta accorso
dietro la murata, brandendo una mazza pesantissima, col capo dentellato, che
solo il suo braccio vigoroso poteva reggere. Nella sinistra aveva lo scudo di
pelle coperto di lamine di metallo dorato e così spesso da ripararlo benissimo
dai dardi nemici.
La gagliarda risposta degli
etiopi arrestò per un momento gli assalitori, ma una voce tuonante, che si alzò
in mezzo all'orda, li decise a ritornare all'attacco:
«Il gran sacerdote lo vuole!»
Ata avea mandato un grido di
rabbia.
«Lo avevo sospettato! Era un
agguato!»
I bevitori avevano ripresa la
corsa attraverso il sett, riparandosi dietro i loro grandi scudi. Delle
freccie, la cui punta era impregnata d'una materia ardente, che bruciava,
spandendo una luce azzurrognola, volavano attraverso le tenebre, conficcandosi
nei fianchi del veliero e contro l'alberatura, minacciando di sviluppare un
incendio a bordo.
Gli etiopi non si perdevano
tuttavia d'animo, e continuavano a saettare gli assalitori, facendone cadere
parecchi sulle erbe galleggianti. Quelli che lavoravano all'apertura del canale
erano pure entrati in lotta, abbattendo a gran colpi d'ascia i primi arrivati.
La lotta stava per assumere
proporzioni spaventose, quando la voce della maliarda echeggiò strillante fra
le urla dei combattenti.
«Bacino di fuoco! Anime dei
boschi! Toro delle tenebre! Spirito della notte! uditemi! Eh! Eh! Eh! Ih! Ih!
Ih! Oh! Oh! Oh! Che Api, il dio del Nilo, spenga per sempre, nelle viscere
delle vostre donne i figli vostri; che Hakaon, dio della fertilità, inaridisca
per sempre le vostre campagne; che Ovadjit il simbolo del Nord e che Nekhbit il
simbolo del Sud devastino l'alto e basso Egitto; che Khnum, il fabbricatore
degli esseri umani, spenga la vostra razza infame se voi non vi arrestate! Non
penetra nei vostri cuori la potenza divina che il giovane guerriero emana e che
io sento? Egli ha lo spirito d'Osiride: la sua carne è sacra. Osate toccarlo!
Nefer, la maliarda, ha letto nel suo cuore: uccidetelo e l'Egitto sarà finito!»
Mirinri, Ata e Ounis, stupiti da
quello strano linguaggio, si erano voltati.
La maliarda stava ritta, rigida
come una statua di bronzo, colle mani alzate, come se stesse per scagliare
qualche terribile maledizione, gli occhi sfolgoranti d'una luce intensa ed i
lineamenti alterati da una collera impossibile a descriversi.
Gli assalitori si erano
arrestati. Pareva che un improvviso terrore si fosse impadronito di loro,
poiché avevano lasciati cadere gli scudi, gli archi e le spade.
Ata si era slanciato verso la
maliarda, colla spada alzata, gridando:
«Miserabile! Tu ci hai traditi
annunciando la presenza d'un Faraone a bordo del mio veliero.»
«Salvo il Figlio del Sole,»
rispose Nefer, con voce metallica.
Mirinri aveva fermato Ata, il
quale stava già per colpire la fanciulla.
«Non vedi che gli assalitori
arretrano?» esclamò. «Perché vuoi uccidere chi mi salva?»
I bevitori infatti si ripiegavano
lentamente verso la riva del Nilo, senza più scagliare alcuna freccia. Tutti i
loro occhi erano fissi su Mirinri e quegli sguardi, che pochi momenti prima
esprimevano una rabbia folle, sembravano terrorizzati.
L'improvvisa rivelazione della
maliarda era caduta sui loro crani eccitati dal vino, come una goccia gelata,
calmando di colpo i loro cervelli.
Chi avrebbe osato lanciare ancora
una freccia contro quella barca montata da un Faraone, da un dio? Era troppo
grande la potenza di quei discendenti del Sole perché osassero rivolgere contro
di loro le armi.
Se la maliarda lo aveva detto,
gli assalitori che, come tutti gli altri egizi, credevano a quelle donne che
affermavano saper leggere nel futuro e tutto indovinare di primo acchito,
doveva essere vero. Lottare contro un dio sarebbe stato impossibile ed i
Faraoni non rappresentavano sulla terra che la più grande divinità adorata dai
popoli abitatori delle terre fecondate dal Nilo.
Narrano le antiche cronache
egizie, che tutta quella regione racchiusa all'est dal mar Rosso e all'ovest
dal deserto libico, era stata per un numero infinito di secoli governata da un
dio chiamato, secondo gli uni Horus e secondo gli altri Osiride; che quel dio
un giorno, stanco, la abbandonò nelle mani d'un essere umano chiamato Mêna, che
fu il primo dei Faraoni, ed a cui passò il diritto divino.
Potevano dunque quei miserabili
beoni alzare le armi contro un uomo che discendeva da un dio e che la maliarda
aveva loro rivelato?
La ritirata degli assalitori non
tardò a cambiarsi in una fuga precipitosa e ben presto, con grande stupore di
Mirinri, che non si rendeva ancora conto della sua infinita potenza, la riva
del Nilo rimase deserta.
«Fuggiti tutti!» esclamò,
guardando Nefer che si teneva sempre ritta sulla murata, colle mani tese in
alto. «Chi è costei e quale forza occulta nasconde nel suo corpo per mettere in
rotta un piccolo esercito?»
«Ella ti ha tradito, mio
signore,» disse Ata che teneva ancora la spada in mano e che pareva in preda ad
una vivissima eccitazione.
«Mi ha salvato invece,» rispose
Mirinri.
«No: essi ormai sanno che nella
mia barca si nasconde un Faraone e fra giorni questa voce giungerà a Menfi.
Uccidila! Il Nilo è qui profondo e non restituisce la preda che gli si affida.
I coccodrilli faranno sparire ogni traccia.»
«Quando un Faraone salva, non
sopprime l'essere che ha strappato alla morte. Se è vero che sono un Figlio del
Sole quella giovane donna vivrà.»
«Ecco che parla il sangue di suo
padre,» disse Ounis, guardandolo con ammirazione. «Tu hai ragione, Mirinri. Quella
fanciulla, chiunque sia, ha tratto da un grave pericolo il futuro re
dell'Egitto e per noi è sacra.»
Ata, come era sua abitudine,
scosse il capo e non rispose subito. Dopo però alcuni istanti di silenzio
riprese:
«Non siamo ancora a Menfi. Quegli
uomini ci avevano teso un agguato e non ci lascieranno scendere tranquillamente
il Nilo. È Pepi che li ha mandati. Egli ha sospettato che tu, mio signore, non
eri morto.»
Poi, volgendosi improvvisamente
verso la maliarda, le chiese:
«Tu conoscevi quegli uomini?»
«Sì» rispose Nefer.»
«Perché hanno scelto quel luogo
per ubbriacarsi e festeggiare Bast?»
«Non lo so.»
«Chi sono costoro?»
«Battellieri e pescatori ma...»
«Continua.»
«Ho notato fra di loro delle
persone che non ho mai veduto nelle borgate bagnate dal Nilo.»
«Gente venuta da Menfi?»
«Lo sospetto,» rispose la
maliarda.
«Tu conosci questi luoghi?
«Da parecchi anni erro di
villaggio in villaggio, predicando la buona e la cattiva ventura perché io so
leggere nel futuro. Mia madre era una famosa indovina.»
Mirinri si fece innanzi.
«Come hai potuto tu sospettare
che io sia un Faraone?»
«Quando ti ho veduto, mio
signore, mi sono subito sentita correre un fremito strano per le vene, quel
fremito che io ho provato quando predissi la sorte alla principessa che un mese
fa salì il Nilo.»
«Come!» esclamò Mirinri, che ebbe
un rapido sussulto. «Tu hai veduto quella principessa?»
«Sì, mio signore.»
«E le hai predetta la sorte?»
Nefer fece col capo un cenno
affermativo.
«Che cosa le hai detto?» chiese
Ounis con voce alterata.
La maliarda esitò un istante,
poi, vedendo che Mirinri la fissava con uno sguardo imperioso, disse:
«Che un grande disastro
minacciava suo padre, e che questo disastro avrebbe, in un tempo non lontano,
travolta la sua potenza e offuscata per sempre la sua gloria.»
«Vuoi predire anche a me la mia
sorte?» chiese il giovane Faraone.
«Sì, ma non ora,» rispose Nefer.
«Bisogna che aspetti lo spuntare del sole perché tu sei un Figlio del Sole e
non già delle tenebre. In quel momento l'anima del grande Osiride vibrerà nel
mio cervello e la profezia sarà più sicura, perché ispirata da lui.»
«Aspetterò,» disse Mirinri,
«quantunque io creda poco alle tue profezie.»
«Eppure, mio signore, ti ho dato
poco fa la prova che io difficilmente m'inganno. Solo io ho riconosciuto in te
un essere divino e me ne sono accorta appena ti vidi dinanzi a me.»
«Forse tu lo avevi saputo prima.»
«In quale modo, mio signore, e da
chi?»
«Dai bevitori.»
«Io non ho mai udito parlare da
loro che aspettassero un Faraone.»
«Loro, forse no; quelli che tu
sospetti giunti da Menfi, sì; dovevano saperlo od almeno sospettare che su
questa barca si trovava il figlio di un grande Faraone,» disse Ata. «La festa
non doveva essere che un pretesto per nascondere un agguato e uccidere il
futuro Figlio del Sole.»
«Io non ho parlato con loro,
quindi non potevo sapere nulla.»
«E perché ti volevano uccidere?»
chiese Ounis.
«Per vendicare la morte d'un
giovane pescatore che era stato mio fidanzato e che, per appagare la mia smania
di ricchezza, si era recato nel tempio di Kantapek a raccogliervi l'oro colà
nascosto.»
«Che istoria ci narri tu?» chiese
Ata, guardandola con diffidenza.
Nefer stava per rispondere,
quando delle grida di stupore e anche di terrore s'alzarono fra gli etiopi che
stavano tagliando l'ultimo tratto del sett.
«Tornano i beoni?» chiese Ata, slanciandosi verso
prora.
«Guardate, padrone, guardate!»
gridavano gli etiopi.
«Dove? Non vedo nessuno sulla
riva,» rispose Ata.
«Là, in alto.»
Tutti alzarono gli occhi e con loro
grande stupore scorsero volteggiare al di sopra delle palme, che coprivano la
riva del Nilo, un numero infinito di punti luminosi che avevano dei riflessi
azzurrognoli e che pareva si dirigessero verso il veliero.
«Che cosa sono?» chiese Mirinri.
«Delle stelle?»
«Sì, delle stelle che portano
fuoco alla nostra nave se non fuggiamo,» rispose Ata. «Quei miserabili non
hanno avuto il coraggio di assalire un Faraone, ma si servono dei volatili.»
Si volse verso gli etiopi, che
avevano sospeso il lavoro e che guardavano con ispavento quella falange immensa
di punti luminosi, che s'accostava con rapidità prodigiosa.
«Quanto manca perché il passo sia
libero?» chiese.
«Fra cinque minuti la massa
erbosa sarà tagliata,» rispose uno per tutti.
«Affrettatevi se vi è cara la
vita. Questo pericolo è forse peggiore dell'altro. Sei uomini a bordo per
spiegare le vele. Il vento è favorevole e la corrente è forte al di là della
barra.»
Poi, tornando verso Ounis e
Mirinri, aggiunse:
«Prendete gli archi e non
risparmiate le freccie. Fra pochi minuti saremo avvolti in una rete di fuoco.
Che il grande Osiride protegga il futuro re dell'Egitto.»
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