Mentre nell'ampio serbatoio del
Nilo, Pepi Mirinri giocava la sua ultima carta contro il fratello per tentare
di salvare il trono che ormai gli sfuggiva, un drappello d'arcieri usciva dal
palazzo reale scortando una lettiga tutta coperta da una tenda variopinta e
sorretta da quattro giganteschi schiavi nubiani.
Nella lettiga vi erano Nitokri e
Nefer. Strappata a Pepi la grazia di Mirinri, si dirigevano verso la necropoli
per liberare il disgraziato, rinchiuso vivo nell'immenso cimitero sotterraneo,
che occupava quasi la quinta parte dell'opulenta città. Nitokri pareva lieta;
Nefer invece, che sapeva ormai di aver perduto per sempre l'uomo che aveva
intensamente amato, anche se non corrisposta, era triste e faceva sforzi
supremi per frenare le lagrime che le tremolavano sotto le palpebre.
«Sorella,» diceva Nitokri, «le prove
terribili che Mirinri ha subite, ormai sono giunte alla loro fine. Ormai non
correrà più alcun pericolo perché io veglierò su di lui e mio padre non oserà
più nulla. Egli sarà l'orgoglio della corte e quando mio padre, che è già
vecchio, morrà, il popolo lo acclamerà re dell'Egitto.»
«Accetterà Mirinri di aspettare
tanto?» chiese Nefer. «Egli ha lasciato il deserto ed ha disceso il Nilo per
impadronirsi del trono di tuo padre.»
«Il mio non può abdicare così
d'un tratto. Forse più tardi, ma non ora.»
«Ti ripeto, Nitokri, accetterà?»
«Non insisterà dinanzi a me: mi
ama troppo.»
«Ah! È vero,» mormorò Nefer,
soffocando un singhiozzo. «Tu sei stata la sua eterna visione, sia nel deserto,
sia sul Nilo, sia qui.»
«Parlava dunque sempre di me?»
chiese Nitokri, mentre nei suoi bellissimi occhi s'accendeva come una fiamma.
«Sempre... sempre...»
«Ed anch'io non avevo scordato
quell'eroico giovane, che per salvare la mia vita, espose freddamente, con un
coraggio da leone, la sua. Sentivo in me qualcosa che mi diceva che egli non
era un uomo comune.»
Erano ormai uscite dalla città e
i nubiani affrettavano il passo, dirigendosi verso le ultime ondulazioni della
catena libica, dove si vedevano spiccare un numero infinito di piramidi più o
meno alte, che occupavano una immensa estensione di terreno. Era l'immensa
necropoli di Menfi, il cimitero più gigantesco del mondo, dove ricchi e poveri,
gli uni entro le mastabe, gli altri nei sotterranei infiniti che
serpeggiavano fino alla punta del delta del Nilo, dormivano da secoli e secoli,
indisturbati.
Nefer, scorgendo in mezzo a quel
caos di piramidi un'alta muraglia formata da blocchi di basalto grigio, aveva
provato un fortissimo tremito.
«Egli si trova là, dietro quella
muraglia, è vero?» aveva chiesto a Nitokri.
«Sì,» aveva risposto la figlia di
Pepi che aveva pur provato un fremito di spavento.»
«Sarà ancora vivo?»
«Non sono che poche ore che vi è
chiuso dentro.»
«E se, in un momento di
sconforto, si fosse ucciso?»
«Taci, Nefer!» esclamò Nitokri
con angoscia. «E poi, come uccidersi? Non vi sono armi là dentro.»
«Affrettiamoci.»
«Sì, di corsa!» gridò Nitokri ai
nubiani.
Gli schiavi si slanciarono,
obbligando così anche gli arcieri a mettersi in corsa.
Il palanchino s'avanzava ora fra
quella moltitudine di piramidi e di monticelli di pietra, che le sabbie del
vicino deserto, quelle terribili sabbie che più tardi dovevano seppellire
tutto, in parte coprivano. Nessun essere umano si scorgeva fra queste tombe,
poiché gli Egiziani, all'infuori delle grandi feste, si tenevano lontani dalla
necropoli, quasi avessero paura di turbare il riposo dei loro morti.
Il drappello, giunto dinanzi
all'alta muraglia di basalto che s'inalzava pure in forma di piramide e che
segnava l'entrata della necropoli sotterranea, si era fermato. I nubiani
deposero a terra il palanchino e Nitokri e Nefer scesero.
«Dov'è la pietra?» chiese la
figlia di Pepi che pareva in preda ad una vivissima emozione.
«Eccola,» rispose un arciere,
mostrando colla mano un masso di marmo più oscuro. «È la quinta.»
«Avanti gli operai.»
Sei uomini, che erano pure
vestiti da soldati e che portavano dei pali di bronzo e certe specie di
pesantissimi martelli in forma di cunei, si fecero innanzi.
«Non perdete tempo,» disse a loro
Nitokri. «E voi» riprese poi rivolgendosi agli arcieri, «preparate le torce.»
La pietra, un masso enorme, di
due metri cubi per lo meno e scelta fra le più dure della catena libica, fu
subito assalita vigorosamente; ma non era cosa facile spezzarne i margini.
Trascorsero tre ore e di sforzi
titanici, prima che l'intonaco che la saldava alle altre fosse frantumato e che
il masso cominciasse a muoversi.
Durante quel tempo parecchie
volte Nitokri aveva fatto sospendere il lavoro e aveva appoggiato un orecchio
alla pietra, colla speranza di udire un grido o qualche altro segnale di
Mirinri e senza nessun risultato. Il disgraziato giovane si era smarrito nelle
tenebrose gallerie, credendo di trovare in qualche luogo un'apertura, o
in un accesso di disperazione si era spaccato il cranio contro le pareti?
Una vivissima ansietà si era
impadronita di tutti. La pietra si era già spostata e cominciava a scivolare
sotto i pali di bronzo e nessun grido si era ancora udito, eppure la luce
entrava e poteva essere scorta anche da lontano.
Nitokri aveva guardato Nefer, la quale
era diventata smorta, come se tutto il suo sangue le fosse uscito dalle vene.
«Temi anche tu, sorella?» le
chiese.
«Sì, ho paura.»
«Che si sia ucciso?»
«O che si sia smarrito.»
«Lo cercheremo: le redab non
hanno alcuna uscita.»
«E se fosse avvenuta qualche
frana?»
Nitokri guardò gli arcieri che
aiutavano gli operai a far scivolare il masso.
«Voi avete accompagnato Mirinri,
quel giovane che mio padre aveva fatto rinchiudere, è vero?»
«Sì,» rispose il capo del
drappello.
«Il sepolcreto è bene conservato?»
«Ho visitate tutte le gallerie
ieri mattina e non ho verificato alcun franamento.»
«Si è ribellato il giovane quando
l'avete cacciato qui dentro?»
«No.»
«Era abbattuto?»
«Oh sì!»
«Accendete le torcie.»
«Sono già pronte.»
«Entriamo: vieni, Nefer!»
Scalarono le quattro pietre
inferiori e penetrarono nella necropoli, precedute da quattro arcieri che
portavano fiaccole composte d'una materia resinosa, che luccicando, spandeva
all'intorno una luce vivissima e quasi bianca. Al di là dell'apertura vi era
una scala che scendeva sotto terra, formata da gradini di pietra molto alti e
molto larghi; essa conduceva in una immensa galleria a vôlta, fiancheggiata da
un numero infinito di animali imbalsamati, disposti in bell'ordine su una
doppia fila.
Vi erano gatti, ibis,
coccodrilli, vitelli, tutte bestie, come abbiamo già detto, se non adorate,
almeno assai rispettate dagli antichi Egiziani.
Nitokri e Nefer, sempre precedute
dagli uomini che portavano le fiaccole e seguite dalla scorta, s'inoltrarono
nella galleria, impregnata d'un tanfo poco gradevole, sprigionato da milioni e
milioni di mummie che, malgrado l'imbalsamazione, lentamente si corrompevano,
trattandosi di gente povera che non poteva permettersi il lusso di far subire
ai loro corpi un trattamento eguale a quello dei ricchi e dei re.
Percorsi due o trecento passi,
Nitokri si volse alla scorta dicendo:
«Mandate un gran grido che si
ripercuota nelle profondità delle serdab. Il giovane che voi avete qui
rinchiuso deve essersi smarrito.»
Gli arcieri si raccolsero in
circolo e fecero rintronare le profonde ed infinite gallerie, che per leghe e
leghe si susseguivano sotto l'ultimo pianoro del Delta, con un rimbombante:
«Wohè!...»
Quando l'eco cessò, perdendosi in
lontananza, tutti si misero in ascolto.
Trascorsero parecchi istanti
d'angosciosa aspettativa, poi un grido fievolissimo, che veniva chissà da dove,
giunse:
«Wohè!»
«È lui!» avevano esclamato ad una
voce Nitokri e Nefer, trasalendo.
«Sì, quella che ha risposto è una
voce umana,» disse il capo degli arcieri.
«Cerchiamolo! Cerchiamolo!» gridò
la principessa.
Si erano rimessi in marcia,
sfilando fra quelle file immense, interminabili, di bestie imbalsamate e fra
pareti di granito che mostravano delle piccole tavole portanti inciso il nome
dei morti sepolti o sotto o sopra la galleria.
Di quando in quando delle
s'incontravano ramificazioni. Erano altri serdab tenebrosi che avevano
altre direzioni. La scorta gettava, a piena gola, un nuovo e più potentissimo
grido e non ricevendo risposta, proseguiva attraverso la galleria principale.
Mirinri doveva essersi molto
allontanato dall'entrata della necropoli, fors'anche senza saperlo in causa
della profonda oscurità che regnava là dentro.
«Che sia morto?» chiedeva
insistentemente Nefer.
«Se ha risposto!»
«E se fosse stata l'eco,
Nitokri?»
«No, signore,» rispondeva il capo
degli arcieri. «Era una voce umana quella, ben diversa dall'eco. Avanti sempre,
noi...» Si era bruscamente interrotto, comandando: «Fermi tutti! Nessuno si
muova!»
In lontananza aveva udito come un
rumore di passi. Qualcuno camminava sulle pietre di marmo che lastricavano la
galleria.
«Egli ha veduto la luce delle
nostre fiaccole e ci muove incontro,» disse finalmente il capo.
«Ne sei certo?» chiese Nitokri.
«Sì, principessa.»
«Prova.»
«Wohè!» tuonò l'arciere.
Una voce, molto più distinta di
prima, rispose subito: «Chi è il coraggioso che viene a cercare il figlio di
Teti?»
«Mirinri!» avevano gridato
Nitokri e Nefer.
Successe un breve silenzio, come
se il giovane, colto da uno stupore facile d'altronde a comprendersi in quel
momento, si fosse arrestato, poi le pietre tornarono a risuonare
precipitosamente, come sotto un passo velocissimo.
«Lasciate qui due fiaccole e
andate ad aspettarci all'uscita della necropoli,» disse Nitokri alla scorta.
«Ormai non corriamo più alcun pericolo.»
Gli arcieri erano appena
scomparsi dietro una svolta della galleria, quando Mirinri, che si era
slanciato a corsa sfrenata appena aveva veduto la luce delle fiaccole, giunse
dinanzi alle due fanciulle.
«Voi! Nitokri! Nefer!» aveva
esclamato. «Sogno io o la mia anima ha già abbandonato il mio corpo?»
«No, Mirinri, siamo noi,» disse
Nitokri, prendendolo per una mano. «Noi che siamo qui scese, in questa orribile
necropoli, a salvarti.»
«Ed a morire con me? Possibile
che Pepi m'abbia fatto dono della vita dopo d'avermi fatto rinchiudere qui?
Nitokri, Nefer, parlate.»
«Sei salvo e libero,» disse la
figlia di Pepi. «Il palazzo reale aspetta il suo principe ed il suo futuro re.»
«Io un re!» gridò Mirinri,
trasfigurato. «No, è impossibile, questo è un sogno.»
«No, mio signore,» disse Nefer.
«Io libero e re!»
«Futuro re,» corresse Nitokri.
«Che m'importa, purché io esca da
qui e non mi separino più mai da te, Nitokri.»
Nefer si voltò da un'altra parte,
appoggiando le mani alla parete. Mirinri se ne accorse e comprese l'effetto che
dovevano aver prodotto le sue parole sull'animo della povera fanciulla. «Mi
amava,» sussurrò a Nitokri.
La Faraona s'avvicinò alla
fanciulla e la prese dolcemente per una mano, dicendole: «Vieni, sorella: il
palazzo reale ci accoglierà tutti.»
Si misero in cammino: Mirinri e
Nitokri erano preoccupati, Nefer era sempre triste. Già cominciavano a
intravedere la luce che entrava dallo squarcio aperto nella grande muraglia,
quando Mirinri s'arrestò, fissando Nefer.
«E Ounis?» chiese.
«Preso anche lui,» rispose la
fanciulla.
«Ounis!» esclamò Nitokri. «Chi è?
Io ho già udito questo nome.»
«L'uomo che mi condusse nel
deserto, che mi curò nell'infanzia, che mi fu più che amico, padre,» rispose
Mirinri. «È vero che si trova nelle mani di tuo padre?»
«Non lo so.»
«Lo so ben io,» disse Nefer. «Ero
presente quando lo arrestarono.»
«E che cosa ne hanno fatto?»
gridò Mirinri, con voce minacciosa. «Che un capello cada dalla testa di
quell'uomo ed io, Nitokri, romperò la tregua che regna ora fra me e tuo padre.»
«Non parlare così, Mirinri,»
rispose Nitokri. «Se vi è un altro da salvare, noi lo salveremo e non
rientreremo nel palazzo reale se prima non avremo la sua grazia. Sorella, tocca
a te ora.»
«Che cosa devo fare?» chiese la
giovane stupita.
«Precedermi al palazzo reale, e
recarti da mio padre a dettargli la mia volontà se vorrà rivedere sua figlia. O
la grazia dell'uomo che ha salvato e guidato Mirinri o rinunciare per sempre a
me. Io lego il mio destino a voi due e sono risoluta a gettare via l'ureo che
porto sulla fronte.»
Mirinri guardò Nefer con
angoscia.
«Sì, mio signore,» disse la
fanciulla. «Andrò.»
«E Ata? E gli altri?»
«Tutti presi.»
Mirinri ebbe un moto d'ira, ma
subito si calmò.
«A noi, Nitokri,» disse. «Uniamo
le nostre forze. Tuo padre sarà per me sacro; ma guai a lui però se tutti i
miei amici cadranno sotto la sua vendetta.»
«Mio padre cederà dinanzi a noi
tre, che siamo tutti Figli del Sole,» rispose la giovane Faraona. «Usciamo da
qui: l'aria è troppo pestifera e dobbiamo respirarne ben altra.»
Raggiunsero rapidamente l'uscita
della necropoli, dove gli schiavi e gli arcieri li aspettavano.
«Sali nel palanchino, Nefer,»
disse Nitokri, «e precedici al palazzo reale. Tu sai che cosa deve fare mio
padre se vorrà rivedermi e avere ancora una figlia. Il sole tramonta, non
indosso le vesti regali e nessuno farà attenzione a noi. Parti, Nefer, e
strappa a mio padre la grazia di Ounis e per i suoi amici.»
La fanciulla salì nel palanchino,
fece abbassare le tende e gli schiavi partirono a passo di corsa seguiti da
dodici arcieri.
In pochi minuti raggiunsero le
prime case della città, senza aver incontrato anima viva. Pareva che tutti gli
abitanti avessero abbandonato Menfi. Si trovavano invece raccolti nell'immenso
serbatoio del Nilo, ad assistere alla lotta fra il vecchio Ounis ed il leone
libico.
Giunta, dopo una buona mezz'ora,
al palazzo reale, Nefer salì lo scalone, risoluta a presentarsi a Pepi.
Stava per entrare nelle stanze
private dell'onnipossente Faraone, quando si vide sbarrare il passo da un
vecchio sacerdote, che era uscito rapidamente da una porta laterale.
Nefer si fermò di colpo, gettando
un grido di spavento:
«Her-Hor!»
«Sì, il gran sacerdote del tempio
di Ptah, che non ha lasciate le sue ossa nell'isola delle ombre, - rispose il
vecchio, con accento ironico.
L'afferrò bruscamente per un
braccio e la trasse a forza in una vasta stanza che si trovava dietro la sala
del trono.
«Che cosa eri venuta a fare qui?»
chiese Her-Hor, socchiudendo la porta che metteva
nell'immenso salone scintillante d'oro.
«A cercare il re,» rispose Nefer,
che aveva ripreso il suo sangue freddo.
«Pepi! Ha ben altro da fare in
questo momento. Chi ti ha mandato?»
«Nitokri.»
«Allora avete già tratto dal suo
sepolcro Mirinri.»
«Sì.»
«E si trova colla figlia di Pepi
in questo momento.»
«È vero.»
Her-Hor ebbe
un sorriso feroce. «L'ha salvato» disse.
«L'abbiamo trovato ancora vivo.»
«E vengono qui?»
«Questo è il posto di Mirinri.»
«Sì, lo so, Pepi ha ceduto
stupidamente dinanzi a Nitokri. Lo ha graziato, ma sai a quali condizioni?»
«Le ignoro, né m'interessano.»
«T'inganni, Nefer,» disse
Her-Hor. «Quando Mirinri sarà qui, che cosa accadrà della
principessa dell'isola delle ombre? Che cosa rimarrà a te, che sei pure una
Figlia del Sole? In quale gradino del trono siederai tu?»
Nefer lo guardò con smarrimento.
«Io non avevo pensato a questo,»
disse poi, con voce soffocata. «Sì, che cosa sarà di me dopo?»
Her-Hor fece
udire un breve sogghigno.
«La principessa dell'isola delle
ombre ha alzato la sua mano su un grande sacerdote,» disse poi, «ed ecco gli
dei che mi vendicano. Mirinri sarà un giorno re, Nitokri sarà un giorno regina
e tu, che lo hai amato?»
«Taci
Her-Hor!» gridò Nefer. «Non spezzarmi il cuore.»
Il sacerdote, niente commosso
dalla disperazione che si leggeva sul viso della povera fanciulla, continuò
implacabile:
«E tu, dall'ultimo gradino del
trono; e tu che hai amato intensamente il futuro re del regno faraonico, il
figlio di quel Teti che gl'imbecilli chiamavano il Grande, assisterai...»
«Taci,
Her-Hor!» ripeté Nefer, singhiozzando.
«Alle nozze del giovane fortunato
con la figlia di Pepi!»
«Tu m'uccidi!»
«Forse che non hai cercato di
uccidere anche me?» chiese il sacerdote, con voce dura. «Ho sofferto io, soffri
anche tu!»
«Allora a me non rimane altro che
morire!» gridò la disgraziata.
Her-Hor alzò
una tenda che nascondeva una specie d'armadio e mostrò alla fanciulla una
piccola panoplia, dove vi erano delle daghe, dei pugnali e certe armi in forma
di piccole falci. «Non hai che da scegliere,» disse freddamente.
Nefer stava per slanciarsi,
quando in lontananza si udì un fragore assordante che rapidamente s'avvicinava.
Pareva che migliaia di persone s'accostassero al palazzo reale.
Her-Hor
arrestò Nefer, mettendosi in ascolto.
«Che cosa avviene in città?» si
chiese, con inquietudine. Trasse la fanciulla verso un'ampia finestra e alzata
la tenda variegata, guardò verso l'immenso viale che conduceva al palazzo
reale.
Una folla immensa s'avanzava
rumoreggiando minacciosamente. Erano le falangi che Teti guidava per strappare
all'usurpatore il trono.
«Una ribellione od una
insurrezione?» Si chiese Her-Hor, che manifestava una
crescente inquietudine.
Ad un tratto mandò un grido di
terrore. Pepi circondato da pochi soldati, era comparso sul viale. I suoi
schiavi correvano all'impazzata, minacciando di sbalzarlo da un momento
all'altro dal palanchino. Guardie, sacerdoti, suonatori, danzatrici, portatori
d'insegne reali, non erano più con lui. Il magnifico corteo si era disciolto.
«Il re fugge!» gridò
Her-Hor.
Poi una rauca imprecazione gli
sfuggì. Gli erano giunte agli orecchi le grida della moltitudine, acclamante
Teti.
«Tutto è finito,» mormorò. «Non
mi rimane che la vendetta. Ounis è stato riconosciuto dal suo popolo e ucciderà
Pepi!»
Rimase alla finestra, tenendo
sempre stretta per una mano Nefer, la quale pareva che non comprendesse affatto
ciò che stava per succedere.
Le falangi del popolo intanto
giungevano schiamazzando ed acclamando Teti. Her-Hor le
vide entrare nel palazzo reale, mentre le guardie del corpo, i servi, gli
schiavi, le donne fuggivano disordinatamente attraverso gli immensi giardini.
«Vieni,» disse con voce imperiosa
a Nefer, «ma prima prendi questo perché la nostra ultima ora sta per suonare e
avrai una prova che Mirinri è definitivamente perduto per te.»
Staccò un pugnale e la trasse
verso la porta che metteva nella sala del trono.
Proprio in quel momento Teti,
dopo d'aver strappato a suo fratello l'ureo, aveva atterrato l'usurpatore,
alzando su di lui la daga, pronto a ucciderlo.
Già il terribile vecchio stava
per compiere il fratricidio, senza che il popolo che gremiva la sala avesse
fatto nessuna mossa per salvare il possente re, che fino a pochi istanti prima
aveva adorato e temuto come un dio, quando la folla s'aprì impetuosamente.
«Padre! Che cosa fai?» gridò una
voce d'uomo. E nello stesso tempo una voce femminile implorò: «Salvate il re!
Me lo uccidono! Grazia per lui!»
Mirinri era comparso, seguito da
Nitokri, pallida come uno spettro e piangente.
Teti aveva alzata la testa, poi
abbassò la daga.
«Padre!» ripeté Mirinri,
precipitandoglisi incontro. «Ah, il cuore non mi aveva ingannato! Mio padre!
Viva il grande Teti!»
«Che cosa vuoi, figlio?» chiese
il vecchio monarca, mentre una gioia sconfinata gli irradiava il viso.
«È il padre di Nitokri, della
fanciulla che io ho salvata» disse Mirinri.
«L'ami tu?»
«L'amo, padre.»
Teti gettò lontano da sé la daga.
«Dono la vita a quest'uomo,»
disse poi. «Osiride lo vuole e tu lo vuoi: sia!»
Her-Hor,
udendo quelle parole, aveva fatto echeggiare la stanza del suo riso stridente.
«Credi ora tu, Nefer, che Mirinri possa amarti?»
«No... tutto è finito,» rispose
la disgraziata. «Venga la morte!»
Alzò l'arma che teneva in pugno.
Guardò un istante la luccicante lama, poi se la immerse tutta intera nel petto,
in direzione del cuore.
Her-Hor
l'aveva presa fra le braccia. La sollevò senza badare al sangue che gli lordava
le vesti e si slanciò nell'immensa sala, gridando:
«Ecco la mia vendetta!»
Le file del popolo per la seconda
volta si erano aperte, sicché il sacerdote poté giungere senza fatica dinanzi
al trono.
«Her-Hor!»
avevano esclamato Teti e Mirinri.
«Ecco tua figlia!» gridò il sacerdote,
con voce stridula, deponendo dinanzi a Teti la fanciulla. «Si è uccisa: è morta
d'amore ed io sono vendicato. Tu mi cacciasti dal tempio, dove esercitavo le
funzioni di grande sacerdote, ma io vengo ad amareggiarti il trionfo.»
«Nefer!» avevano esclamato
Mirinri e Teti, con orrore.
«No, Sahuri, tua figlia che io
avevo condotto sulle tracce di tuo figlio, perché l'amasse e come vedi vi sono
riuscito. S'è uccisa, udendo Mirinri confessare il suo amore per Nitokri.»
Un urlo di belva ferita era sfuggito
dal petto di Teti.
«Arrestate questo miserabile!»
Mirinri, prima di tutti, era già
piombato sul grande sacerdote, afferrandolo per la strozza. «Devo ucciderlo?»
chiese.
«No: si facciano imponenti
funerali a mia figlia, si porti la sua salma nella grande piramide che io ho
fatto costruire sui margini del deserto e vi si chiuda dentro vivo quest'uomo.
Rinuncio il trono a mio figlio: egli è degno di suo padre.»
«E tu?» chiese Mirinri.
«Io torno nel deserto, dove per
diciotto anni vissi, e vado là per udire le urla fameliche di quest'uomo che ha
causata la morte di mia figlia. Ti ascolterò, Her-Hor,
attraverso la pietra che ti chiuderà per sempre, fino all'ultimo tuo ululato.»
Raccolse l'ureo che aveva
strappato a Pepi e lo posò sulla fronte di Mirinri, il quale si era
inginocchiato presso al cadavere di Nefer, frenando a gran pena i singhiozzi.
«Popolo,» gridò, «ecco le mie
ultime volontà! Sia fatta grazia a mio fratello e lo si esili nell'alto Nilo:
egli è il padre della fanciulla che mio figlio ama. E tu, Mirinri, non
scordarti Ata: benché abbia le mani tagliate, pure potrà essere un buon
ministro. Ed ora addio: vado ad udire le urla feroci di
Her-Hor dinanzi al sarcofago di mia figlia.»
Prese fra le sue braccia il cadavere
di Nefer, che grondava sangue e s'avviò verso una delle ventiquattro porte di
bronzo, mentre la immensa sala rintronava d'un grido immenso:
«Viva Mirinri, re dell'Egitto!»
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