Il figlio del Corsaro Rosso, sempre seguito da Mendoza e dal
mulatto, i quali non parevano troppo spaventati per la brutta piega che stava
per prendere quell'avventura, si era lanciato su per la gradinata.
Come aveva detto la Marchesa, quella scala era stata costruita
nello spessore d'una muraglia e probabilmente doveva aver servito a nascondere
i tesori del palazzo per sottrarli alle avide ricerche dei filibustieri e dei
bucanieri, i quali già più volte avevano saccheggiato San Domingo. Era così
stretta peraltro, che certe volte Mendoza, il più grosso di tutti, si trovava
molto imbarazzato a salire.
Quell'ascensione durò un paio di minuti, poi i tre corsari si
trovarono in una piccola stanza o, meglio, in una specie di solaio illuminato
da una sola finestra, abbastanza vasta perché un uomo potesse passarvi.
- Dove siamo? - si chiese il conte.
- In qualche nido di gufi - rispose Mendoza. - Di quassù si
scorgono dei tetti.
- Questo deve essere uno dei quattro pinnacoli che adornano il
palazzo - disse Martin.
- Siamo diventati falchi, camerata.
- Meglio falchi che gente da appiccare, mio caro Mendoza -
rispose il conte.
- Non dico di no, signore. Ai baschi come me non è mai
piaciuta la corda, specialmente quando è stata intrecciata dagli spagnuoli,
perché è la più pericolosa, almeno per le persone della nostra specie.
- Eppure sei uno stretto parente degli spagnuoli.
- È vero, capitano, ma non sono mai andato d'accordo con loro.
- E questo è forse un male - rispose il conte. - Avresti
almeno potuto pregarli di lasciarci libero il passo per raggiungere la fregata.
- Uhm! - fece Mendoza, strappandosi tre o quattro capelli - I
castigliani non sono così ingenui. Mi avrebbero senz'altro preso ed appiccato
al più alto pennone dei loro galeoni, come un pirataccio qualunque.
- Così, dovremo rimanere in questo nido di avvoltoi o di gufi,
come tu hai detto, finché la marchesa non avrà trovato un modo qualunque per
farci scappare.
- Voi non avete pensato, signor conte, che tre metri sotto di
noi vi sono dei tetti.
- Che cosa vuoi dire, Mendoza? - chiese il figlio del Corsaro
Rosso, colpito da quella risposta.
- Che si potrebbe spiccare un salto e andarcene
tranquillamente, prima che quei dannati alabardieri ci facciano vedere i loro
elmetti.
- E andarsene come ladri, senza nemmeno avvertire la generosa
donna che ha cercato di salvarci? Dov'è la galanteria, Mendoza?
- Quando si tratta di salvare la pelle, io non mi occupo mai
della galanteria, signor conte. Io non sono che un marinaio.
- Allora serba i tetti per più tardi - rispose il figlio del
Corsaro Rosso.
- Io e Martin aspetteremo finché voi vorrete, signor conte.
Sapete bene che siamo uomini d'arme e che non ci è mai spiaciuto menar le mani.
Quanti colpi di spada ho dato, quando navigavo agli ordini di vostro padre!
- Taci Mendoza - gridò il conte con voce alterata.
- Avete ragione, capitano: io sono un bestione grosso come una
balena, - rispose il vecchio marinaio.
Il conte si era appoggiato al davanzale della finestra e,
spingendo ansiosamente lontano gli sguardi, attraverso l'immensa selva di
campanili e di torricelle, cercò di scoprire la sua fregata, ancorata presso la
bocca del porto, ma senza riuscirvi.
Un'ansietà indescrivibile l'aveva preso e tendeva gli orecchi,
temendo sempre di udire una bordata di cannonate, annuncianti il principio
della lotta contro la sua nave. Si trovava in osservazione da una mezz'ora,
quando udì Mendoza che esclamava:
- La signora marchesa!
Il figlio del Corsaro Rosso si voltò bruscamente e vide la
bella vedova entrare nella soffitta, pallidissima, sconvolta.
- Voi, marchesa? - esclamò il conte, con meno strepito dei
suoi uomini. - Che cosa venite ad annunciarci?
- Che siete presi! - rispose la signora di Montelimar con voce
rotta.
- Hanno dunque scoperto il nostro rifugio? - chiese il conte
estraendo la spada.
- Il mio maggiordomo mi ha avvertito che il capitano degli
alabardieri ha dato l'ordine di visitare il tetto e anche le torricelle. Se vi
trovasse, vi arresterebbe.
- Non sarebbe una cosa facile, signora, - rispose il corsaro
con voce tranquilla.
- Voi non mi avete capito, conte
- Anzi, ho capito benissimo.
- E vorreste impegnare la lotta su un tetto, contro venti
alabardieri e un capitano che gode fama di essere coraggiosissimo?
- Ma no, marchesa. C'è sempre tempo a batterci.
- E allora? - chiese la bella vedova con grande ansietà
- Si fugge prima che giungano - rispose il conte.
- E dove?
- Buon Dio, è una cosa semplicissima, marchesa. Si salta sul
tetto del palazzo, si cerca il primo abbaino e si discende.
- Così vestito?
- Cambierò costume - rispose il corsaro sorridendo. -
Diventerò momentaneamente piantatore, contadino, facchino del porto, marinaio o
qualche cosa di simile.
- E andrete...?
- Che ne so io? Certo non a bordo della mia fregata. Sarebbe
come gettarsi in bocca al lupo.
- Credete di poter uscire dalla città, signor conte?
- Io non ne dubito.
- Ho una tenuta a S. Pedro, a sei leghe dalla città.
- Benissimo.
- Manderò immediatamente il mio maggiordomo, perché avverta il
mio intendente di ricevervi.
- Volete ospitarci nella vostra villa?
- Voglio salvarvi - disse la marchesa con voce commossa.
- E noi, marchesa, giacché c'invitate in campagna, accettiamo
- disse il figlio del Corsaro Rosso con voce perfettamente tranquilla. - Così
ci riposeremo delle fatiche del mare.
- E la vostra nave?
- Se la caverà meglio di quello che crediate, signora. Ho a
bordo un luogotenente che non ha paura di affrontare il fuoco. Potremo
rivederci, marchesa, almeno per ringraziarvi di quanto avete fatto per noi?
- Ve lo prometto.
- A S. Pedro?
- Sì, conte.
- Addio, signora: noi fuggiamo. Il conte si levò il cappello
di feltro per salutarla, poi balzò sul davanzale e spiccò risolutamente un
salto, fracassando tre o quattro tegole. Mendoza e Martin lo seguirono.
- Saldi in gamba, amici - disse il conte, salutando una
seconda volta la marchesa che si era affacciata alla finestra. - E soprattutto
non fate rumore.
Sguainarono le spade e si misero in marcia, tenendosi curvi
per non farsi troppo notare dalle persone che potevano affacciarsi alle
finestre delle case. Fortunatamente il palazzo era unito nella parte posteriore
ad una lunga fila di fabbricati, sicché i fuggiaschi poterono continuare la
loro fuga per più di seicento o settecento metri.
- Toh! - esclamò ad un certo momento il conte, fermandosi. Mi
hanno raccontato molte volte che anche a mio zio, il Corsaro Nero, era toccato
una volta di dover fuggire su pei tetti e che era riuscito a cavarsela
magnificamente. Perché non avrà altrettanta fortuna il nipote? Bah, vedremo!
Erano discesi sul tetto di un'altra casa ed avevano ripreso la
marcia. Continuarono così per circa cinquecento metri, senza alcun allarme né
alcun incidente spiacevole; poi si fermarono dinanzi ad un abbaino, la cui
finestra era chiusa solamente da una grata di legno.
- Ecco un bellissimo nascondiglio - disse il conte.
- Purché non diventi invece una trappola, capitano! - esclamò
Mendoza. - E poi non sappiamo dove metta.
- Mette in una casa.
- Lo credo benissimo, signor conte; ma la casa sarà abitata e
non so come ci accoglieranno gli abitanti.
- Vedendomi vestito di rosso mi prenderanno per il diavolo in
persona - rispose il fiero giovane ridendo - e scapperanno, ne sono certissimo.
Martin, strappa quella grata.
- Subito, capitano - rispose il robusto mulatto. - Non sarà un
affare né lungo, né difficile.
Afferrò con le due mani la sbarra centrale, appoggiò le
ginocchia contro il muro e tirò violentemente a sé. Fu un vero miracolo se non
rotolò giù dal tetto insieme alla grata. Buon per lui che Mendoza gli si era
posto dietro, sicché fu pronto ad afferrarlo e a fermarlo.
- Volevi fare un salto nella strada? - chiese il basco. - Hai
dei brutti gusti, amico.
- Silenzio! - disse il conte, il quale aveva cacciato la testa
dentro l'abbaino. - Mi pare che qualcuno russi.
- Ah, diavolo! - borbottò Mendoza, grattandosi la nuca. - Ecco
che la faccenda comincia a diventare seria.
- Seguitemi.
- No, capitano, lasciate prima passare me.
Era troppo tardi. Il corsaro era già sceso in una stanzetta semioscura,
ammobiliata miseramente, poiché non vi erano che un letto, un tavolino
sgangherato ed un paio di sedie, sulle quali stavano una corazza e dei vestiti
da soldato.
- Avrei preferito che abitasse questo bugigattolo una bella
fanciulla, - mormorò il basco.
Il conte si era accostato al letto con la spada alzata, pronto
a colpire. Il proprietario della stanzetta russava beatamente, quasi
interamente nascosto sotto le lenzuola.
- Se si potesse scappare senza svegliarlo! - mormorò il conte.
- Mendoza, vi è la chiave nella toppa della porta?
- Non la vedo.
- Devo buttarla giù? - chiese Martin, facendosi innanzi sulle
punte dei piedi.
- Allora si sveglierà.
In quel momento il proprietario del bugigattolo, il quale
aveva forse, da buon soldato, il sonno leggero, si alzò di colpo a sedere, poi,
scorgendo gli intrusi, si gettò rapidamente dall'altra parte del letto,
impugnando una draghinassa e urlando:
- Ah, bricconi! Derubare un soldato? Mai!
Stava per slanciarsi coraggiosamente addosso ai tre corsari,
quando un grido di spavento gli sfuggì:
- Il diavolo! Sogno o sono desto?
Aveva scorto il figlio del Corsaro Rosso e, vedendolo vestito
in quel modo, non c'è da stupirsi che lo avesse preso per un demonio,
specialmente in quell'epoca in cui tutti erano, e specialmente gli spagnuoli,
superstiziosissimi.
- Non sono il diavolo - disse il conte - bensì un suo stretto
parente.
- Allora siete un uomo come me, entrato qui per spaventarmi e
per derubarmi - disse il soldato, agitando minacciosamente la sua draghinassa.
- Fuori, o vi uccido tutti come polli.
- Ehi, non gridate troppo forte, perché potreste perdere la
lingua - disse il conte. - Vi avverto prima di tutto che io non sono un ladro,
ma un gentiluomo e che non ho affatto bisogno dei vostri stracci.
- Che cosa volete, allora?
- Nient'altro che il vostro vestito, pagandolo, s'intende.
Quanto lo stimate?
- Per che cosa farne?
- Alto là, amico! Io non ho l'abitudine di raccontare i miei
segreti al primo che incontro.
- E poi? Volete qualche altra cosa?
- Sì, la chiave della porta per poter uscire di qui.
- Rifarete la via che avete percorso per venire, signor
parente del diavolo - rispose il soldato. - Non si canzona un Barrejo!
- Non ho ancora finito - proseguì il conte, con la sua solita
calma.
- Ah, desiderate qualche altra cosa? Siete incontentabile, mio
bel signore!
- Non vi chiedo altro che di lasciarvi legare e imbavagliare
per impedirvi di seguirci o di gridare.
- Per tutti i pescicani della Biscaglia, questo è troppo! -
urlò il soldato. - Ora vi mostrerò come un guascone infila i ladri!
- Ah, siete guascone? - disse il conte. - Si dice che i vostri
compatrioti siano valorosi e anche molto spacconi.
- Vi farò vedere io come si spaccano le teste! - urlò il
soldato furiosamente.
- Infilatevi prima i calzoni - disse ironicamente il corsaro.
- Non vedete che avete indosso le sole mutande?
- Anche in camicia i guasconi sanno uccidere!
Con un'agilità da pantera aveva saltato il letto, piombando
sul corsaro con impeto feroce, ma aveva dovuto subito fermarsi, vedendo i compagni
del conte levare le pistole.
- Volete assassinarmi? - chiese, facendo sollecitamente due
passi indietro.
- Amico - disse il corsaro - In altri momenti vi avrei fata la
proposta di uscire, di fare una passeggiata fino alle mura del cimitero e là misurarvi
con me. Disgraziatamente, o meglio, fortunatamente per voi, non ho tempo da
perdere. O mi vendete il vostro vestito, o sul mio onore vi faccio uccidere con
un colpo di pistola. Orsù, accomodiamoci e lasciamoci da buoni amici. Vi offro
venti dobloni.
Il soldato spiccò un salto.
- Siete qualche principe per pagare così bene un miserabile
vestito, o avete fatto fortuna al Messico?
- Non sono altro che un conte e non ho mai veduto le miniere
di quel paese. Accettate o rifiutate?
- Per tutti i tuoni di Biscaglia! Sarei un gran cretino se
rinunciassi a una tal somma. Con venti dobloni compro due uniformi fiammanti e
faccio crepare di rabbia i miei camerati.
Il conte trasse una borsa ben gonfia e depose sull'orlo della
tavola le venti monete d'oro.
- Vi regalo anche la mia draghinassa, signor conte, - disse il
guascone che pareva volesse divorarle con gli occhi.
- Preferisco tenermi la mia spada.
- Cerca di regalarci qualche bottiglia invece, se l'hai -
disse Mendoza,
- Ho dell'aguardiente che non si beve nemmeno a
Vera-Cruz.
- Tirala fuori, camerata. Noi abbiamo il pessimo vizio di aver
sempre sete, forse perché respiriamo troppa aria salata.
- L'ho anch'io quel vizio: eccomi subito!
Lasciò cadere in un vecchio cassone i venti dobloni, facendoli
saltare l'uno sull'altro, per udire meglio il suono dell'oro; poi tirò fuori
una bottiglia e dei bicchieri. Mentre versava, il conte, che aveva quasi la
medesima statura del guascone, si spogliava rapidamente, per indossare il
vestito del soldato. Quand'ebbe finito di abbigliarsi, vuotò a sua volta un
bicchiere di aguardiente, poi, volgendosi verso il guascone, gli disse:
- Ed ora lasciatevi legare ed imbavagliare. Scendendo
avvertiremo qualcuno che è toccato un accidente al signor Barrejo, così verranno
a liberarvi.
- Siete gentile, signor conte, ma preferirei non sentirmi un
fazzoletto sopra i baffi.
- Le tentazioni sono pericolose per tutti. Potreste pentirvi
dell'affare concluso e mettervi a gridare dietro di noi: al ladro!
Il guascone fece un superbo gesto di diniego, poi si voltò per
lasciarsi legare. Mendoza e Martin che, come tutti i marinai, non mancavano mai
di corde, in pochi momenti ridussero il soldato all'impotenza; lo
imbavagliarono per bene e lo gettarono sul letto.
- Buona fortuna - disse il basco un po' ironicamente.
Il guascone si agitò un po' tentando di rispondere, poi restò
immobile come se si fosse addormentato di colpo. Il figlio del Corsaro Rosso si
calò l'elmetto sul viso per non essere riconosciuto, aprì la porta con la chiave
che il guascone gli aveva data e scese tranquillamente da una lunghissima
scala, seguito dai suoi due uomini. Erano entrati in una vecchia casa a tre
piani che aveva i gradini ormai consumati e le pareti annerite, abitata
certamente da popolani. Stavano per uscire sulla via, quando sulla porta
s'incontrarono con una vecchia negra, la quale portava sulla testa lanuta un
gran canestro pieno di banane.
- Buon giorno, signor Barrejo - disse vedendo il corsaro.
- V'ingannate, buona donna - rispose il conte. - Sono un suo
amico. Anzi, appena potrete, salite nella sua soffitta, perché pare che quel
povero uomo non stia troppo bene.
Ciò detto varcò la soglia e si allontanò velocemente, sempre
accompagnato dai due filibustieri, i quali potevano benissimo essere scambiati
per due marinai frettolosi d'imbarcarsi. La via era quasi deserta, poiché gli
abitanti di tutte le città spagnuole del Golfo del Messico hanno l'abitudine di
sospendere da mezzogiorno alle quattro i loro affari per schiacciare un
sonnellino.
- Martin, tu che conosci a menadito la città, guidaci verso il
porto - disse il conte, quando si trovarono in mezzo a degli orti.
- Non ne siamo lontani che due tiri d'archibugio - rispose il
mulatto.
- Mi preme di vedere come hanno circondato la mia fregata.
- Ma non potremo raggiungerla senza destare dei gravi sospetti
- osservò il prudente Mendoza.
- Lo so, ed è questo che mi dà noia. Come potremo noi metterci
in relazione col mio luogotenente? Ecco la gran questione. Io non dubito che egli
possa aprirsi un varco fra i galeoni, le caravelle e rifugiarsi tranquillamente
alla Tortue. Eppure è necessario che io m'imbarchi, prima che il segretario del
signor di Montelimar si rechi nei Messico.
- Forse a me riuscirebbe - disse Martin. Un mulatto non può
destare gravi sospetti, e voi sapete che io nuoto meglio d'un pesce e che so
anche percorrere dei tratti lunghissimi sott'acqua.
- Lo so bene - rispose il conte. - Ed appunto per questo ti ho
arruolato.
- Non sarà quindi una faccenda difficile per me calarmi
inosservato in mare e raggiungere la fregata.
- Potrebbero scorgerti e ucciderti. Degli ordini severissimi
saranno stati dati perché io non possa raggiungere la mia nave, o mandare
qualche messo.
- Non vi occupate di ciò, capitano - rispose il mulatto. - Se
gli spagnuoli sono furbi, io non lo sono meno di loro.
- Vedremo - rispose il signor di Ventimiglia, il quale
appariva molto pensieroso per la brutta piega che prendevano le cose.
Si erano rimessi frettolosamente in marcia, attraversando dei
giardini e delle piccole piantagioni di banani, e tenendosi prudentemente
lontani dalle rare case che sorgevano qua e là.
Un quarto d'ora dopo giungevano in vista della rada, sbucando
in un luogo quasi deserto.
Il conte si era bruscamente fermato e borbottava stringendo i
pugni.
- Affare serio! - disse Mendoza.
E l'affare era veramente grave.
Quattro galeoni, quelle grosse navi per lo più destinate a
portare i prodotti delle preziose miniere del Messico e dell'America centrale
in Europa, e cinque caravelle avevano lasciato i loro ancoraggi ed erano andate
a radunarsi presso l'uscita del porto, disponendosi su una doppia fila: i primi
dinanzi, le seconde, molto più deboli e meno equipaggiate, di dietro.
In mezzo alla rada, del tutto isolata, stava la fregata del
conte, una splendida nave a tre alberi, lunghissima e stretta, e armata di ben
ventiquattro pezzi d'artiglieria lungo i fianchi e di due grosse caronade in
coperta, sull'alto cassero.
Sulle calate, ingombre di mercanzie, numerosi alabardieri
passeggiavano, sorvegliando attentamente, a quanto pareva, le navi mercantili e
le barche da pesca che dovevano probabilmente aver ricevuto l'ordine di non
lasciare gli ancoraggi.
- Come se la caverà il luogotenente? - si chiese il conte, il
quale con un solo sguardo aveva abbracciato la situazione. - Che cosa ne dici
tu, Mendoza?
- Io dico, signor conte, che il signor Verra si leverà
d'impiccio con molto onore, e che darà una terribile lezione ai galeoni e anche
alle caravelle - rispose il vecchio filibustiere. - Ha un bel numero di bocche
da fuoco e della gente che ha un cuore che non ha mai tremato.
- È vero, ma... - fece il figlio del Corsaro Rosso, scuotendo
la testa.
- Voi sapete, signor conte, quale paura hanno gli spagnuoli
dei filibustieri. Ci credono figli del diavolo.
- Non dico di no, Mendoza.
- E allora vedrete quali miracoli saprà compiere il vostro
equipaggio guidato dal signor Verra! Forse che i liguri non sono sempre i primi
marinai del mondo?
- Ma una palla di cannone può uccidere l'uomo più audace del
mondo.
- Non un filibustiere però - rispose Mendoza, - specialmente
quando ha in mano un buon archibugio o si trova dietro a un pezzo di cannone.
Il corsaro sorrise, senza mostrarsi peraltro troppo persuaso
dalle parole del vecchio filibustiere.
- Cerchiamo un po' d'ombra - disse dopo qualche momento. Il
sole è caldo nel grande golfo.
A cinquanta passi da loro, presso una scogliera scendente
ripidissima verso la rada, s'alzavano dei maestosi banani con foglie enormi. La
raggiunsero e si gettarono sotto quegli splendidi vegetali, già carichi di
enormi grappoli.
- Armiamoci di pazienza ed aspettiamo - disse il conte. - Io
sono certo che, appena le tenebre caleranno, i galeoni e le caravelle daranno
battaglia alla mia nave.
- Io spero di raggiungere la fregata innanzi che si spari il
primo colpo di cannone - disse il mulatto. - Datemi le vostre istruzioni,
signor conte.
- Non avrai da dire al mio luogotenente che una sola cosa: che
ci aspetti al capo Tiburon e che sorvegli attentamente il passaggio della Santa
Maria.
- Permettetemi, capitano, che aggiunga una cosa - disse
Mendoza.
- Parla pure, amico.
- Suppongo, Martin, che tu aspetterai che il sole scompaia per
gettarti in acqua.
- Non è necessario - rispose il mulatto. - Nuoterò sempre
sott'acqua.
- E come faremo noi a sapere se giungerai alla fregata? È
troppo lontana per poter scorgere un uomo.
- E vuoi concludere? - chiese il conte.
- Che ci faccia segnalare se ha potuto dare al luogotenente le
vostre istruzioni.
- Sei sempre furbo, tu. Dirai al signor Verra, Martin, che
accenda quattro fanali verdi disposti in fila sul cassero.
- Sarà fatto, capitano - rispose il mulatto.
Si levò la casacca, i pantaloni, gli stivali e gettò a terra
le pistole e la spada. Non portando né camicia né mutande, era rimasto
completamente nudo.
- Che Dio vi aiuti, signor conte, - disse - Io non
dimenticherò le vostre istruzioni.
- Va, amico, e guardati dalle palle degli spagnuoli - disse il
signor di Ventimiglia.
- Addio, camerata - disse Mendoza. - Guardati anche dai pesci-cani.
- Io me ne rido di quelli - rispose il mulatto.
Spiccò tre o quattro salti, come per provare l'elasticità
delle sue membra, poi si gettò fra le rocce che scendevano accavallate
bizzarramente verso la rada, strisciando come un serpente. In pochi istanti
raggiunse il fondo e, con un magnifico salto di testa, scomparve sott'acqua.
- È un vero diavolo! - disse il conte. - Io non ho mai veduto
un nuotatore più abile di lui.
- Scommetterei la mia spada contro una carica per la mia pipa
- rispose il marinaio - che egli riuscirà ad eludere la sorveglianza degli
spagnuoli e a passerà sotto i loro nasi senza che se ne accorgano... Là! là: lo
vedete? È rimontato.
A duecento metri dalla riva un punto scuro era comparso sulla
superficie della rada scomparendo poi quasi subito.
Il mulatto aveva fatta la sua provvista di aria, mettendo
fuori solamente il naso, poi si era rituffato, nuotando sempre sott'acqua.
Era impossibile che i soldati, che vegliavano sulle calate che
si trovavano alquanto discoste dal luogo occupato dai due corsari, avessero
potuto accorgersi di qualche cosa. E poi quella macchia bruna si poteva anche
benissimo scambiare per una testa di pesce.
Altre due volte il conte e Mendoza, i quali spiavano
ansiosamente la superficie della baia, videro spuntare il naso del mulatto, poi
più nulla. La distanza era ormai troppo considerevole e cominciava a scendere
l'oscurità.
- Giungerà? - si chiedeva ansiosamente il conte.
- Non pensate a lui capitano - rispondeva Mendoza. - È
piuttosto della fregata che noi dobbiamo occuparci. Io non so che cosa
aspettino i galeoni e le caravelle.
- La notte.
- Io, se fossi il comandante della squadra, assalirei subito.
- Il combattimento non tarderà ad impegnarsi. Non vedi che
delle scialuppe cariche di soldati si staccano dalle calate e prendono il
largo?
- Pessima manovra, signor conte! Non ne sfuggirà una alle
bordate della fregata.
Il conte si era alzato e si era messo a passeggiare
nervosamente intorno ai banani; Mendoza invece aveva caricato la sua pipa e
fumava placidamente.
Quella calma del vecchio marinaio era più apparente che reale,
poiché di quando in quando si dimenticava di tirare e la pipa si spegneva.
Intanto le tenebre scendevano rapidamente avvolgendo la città, il porto e le
navi.
La fregata, che si trovava presso la bocca d'uscita, non si
scorgeva quasi più.
Ad un tratto il corsaro mandò un grido:
- Il segnale! Ah, bravo Martin!
Quattro fanali verdi, che spiccavano vivamente nella profonda
oscurità, disposti l'uno dietro l'altro, erano comparsi sull'altissimo cassero
della fregata.
- Ve lo avevo detto io, capitano, che quel diavolo sarebbe
riuscito - disse Mendoza vuotandosi la pipa. - Ora potremo andare un po' in
campagna a gustare i vini di San Josè. Si dice che siano squisitissimi.
- Adagio Mendoza. La fregata non è ancora fuori del porto.
- Se è per questo, riaccendo la pipa; sono sicuro che passerà
fra i galeoni e le caravelle. Una volta fuori del porto, le diano la caccia se
ne sono capaci.
- Se riesce ad aprirsi il varco, sarò pienamente tranquillo,
mio bravo marinaio. Nessuno può raggiungerla e nemmeno...
Un colpo di cannone interruppe il suo discorso.
La Nuova Castiglia aveva aperto il fuoco, sfidando le
navi spagnuole a battaglia.
Quel sinistro rimbombo, che si ripercosse fragorosamente
contro le case della città, fu seguito da un breve silenzio, poi si udì una
seconda cannonata.
Il corsaro e Mendoza avevano scalate rapidamente le rocce, per
meglio assistere alle diverse fasi del combattimento.
L'uno e l'altro, quantunque avessero piena fiducia nella
robustezza e nell'armamento della nave e nel coraggio dell'equipaggio, formato
interamente d'intrepidi filibustieri reclutati alla Tortue, erano in preda ad
una profonda angoscia.
Sapevano bene che la Spagna aveva pure valenti marinai, capaci
di disputare lungamente la vittoria.
Un altro mezzo minuto trascorse, poi terribili bordate
partirono dai galeoni e dalle caravelle.
La battaglia era cominciata.
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