La Nuova Castiglia, salpate le sue âncore e spiegate le
sue vele, approfittando di una fresca brezza che soffiava dalla parte di terra,
si era messa arditamente in marcia, muovendo verso la bocca del porto, niente
atterrita per la presenza dei galeoni e delle caravelle.
I suoi fucilieri, quei terribili filibustieri che quasi mai
sbagliavano un colpo e che erano armati di grossi archibugi tutti di buon
calibro, si erano disposti in un lampo dietro le murate, sopra le quali avevano
arrotolato le brande, aprendo subito un fuoco infernale sui ponti delle navi
avversarie, per abbattere i timonieri e gli ufficiali.
Altri si erano lestamente arrampicati sulle coffe, per
lanciare bombe, delle quali quei formidabili scorridori del mare facevano molto
uso e con buon successo.
Le navi spagnuole, fidando nella loro superiorità, avevano
accettato risolutamente la lotta; stringendosi le une alle altre per impedire
il passo alla nave nemica e opporle una formidabile barriera.
Disgraziatamente per loro, avevano da fare con un uomo di mare
che ben altre ne aveva vedute e che era rotto a tutte le astuzie, e per di più
con un veliero estremamente maneggiabile e che poteva spostarsi rapidamente.
Per alcuni minuti fra la fregata ed i galeoni fu un continuo
scambio di cannonate, senza causare troppi danni né da una parte né dall'altra,
facendo accorrere sulle calate tutta la popolazione di San Domingo; poi vi fu
un po' di sosta, perché la Nuova Castiglia, con un'abile manovra, si era
spostata in modo da far convergere il fuoco degli spagnuoli verso le case del
porto.
Era vero che a questo modo si esponeva al tiro delle
artiglierie dei forti che potevano incrociare i loro fuochi senza danneggiare
la città, ma il luogotenente del conte non era uomo da esporre lungamente la
sua nave alle palle nemiche.
Con due fulminee bordate, la Nuova Castiglia ripiegò
verso il centro della rada, scatenando da parte dei forti un uragano di
cannonate; poi prese il suo slancio verso la bocca del porto, ora minacciando
di passare a tribordo della squadra ed ora a babordo.
I suoi venti pezzi della batteria e le due caronade del
cassero tuonavano furiosamente, specialmente contro le caravelle, mentre i suoi
fucilieri spazzavano a fucilate i ponti altissimi dei galeoni, abbattendo, con
una precisione matematica, timonieri e ufficiali.
Urla feroci s'alzavano su tutte le tolde, mescolandosi,
confondendosi col fragore delle artiglierie e lo scrosciate degli archibugi.
Anche la folla che si accalcava sulle calate, quantunque
esposta al fuoco delle artiglierie, urlava ferocemente:
- Morte ai filibustieri! Distruggeteli! Massacrateli!
La Nuova Castiglia continuava intrepidamente la sua
marcia, coprendo di palle e di bombe le navi nemiche e minacciando di
abbordarle.
Salda di costole, bene armata e condotta da uomini abituati a
battersi quasi ogni giorno, non tentennava nelle sue mosse.
Rispondeva ai galeoni e alle caravelle, quasi colpo per colpo,
con una insistenza feroce, mentre le due caronade della coperta avventavano di
tratto in tratto delle bordate di mitraglia.
Giunta a cento passi dai galeoni, sfilò superbamente sulla
loro fronte con tutti i suoi formidabili archibugieri a babordo; poi, con una
mossa improvvisa, inaspettata, girò a destra della squadra dove c'era ancora
abbastanza spazio per navigare lungo la costa. Una piccola caravella tentò di
chiudere il passo, gettandosi dinanzi alla prora per lasciar tempo ai galeoni
di muoversi.
Era un topolino che tentava di arrestare un leone.
La Nuova Castiglia la urtò poderosamente col suo
solidissimo tagliamare e la sfasciò completamente passando in mezzo ai rottami;
poi, dopo aver scaricati tutti i suoi pezzi d'un colpo solo, fuggì fuori dal
porto.
- Ebbene, che cosa ne dite, signor conte? - chiese Mendoza, il
quale fumava furiosamente, con le mani affondate nelle tasche e le gambe allargate.
- Che con simili uomini, si potrebbe conquistare il mondo -
rispose il signor di Ventimiglia. Non so se un'altra nave se la sarebbe cavata
così bene, mio caro.
- Ecco che i galeoni si mettono in caccia, ma che cosa sperano
di fare? Di raggiungere la nostra nave? Eh, cari miei, non conoscete ancora la Nuova
Castiglia!
- Mi pare che l'abbiano conosciuta or ora.
- Il signor Verra li farà correre.
- E allora corriamo anche noi e cerchiamo di lasciare San
Domingo prima che spunti il sole. Gli spagnuoli rivolgeranno tutta la loro
rabbia contro di noi e ci daranno una caccia spietata.
- E se ci prendono, ci impiccheranno, signor conte, - rispose
Mendoza.
- Forse quelle due corde non sono ancora state intrecciate.
Conosci anche tu la città!
- Abbastanza per condurvi alla Puerta del Sol.
- Ci lasceranno poi uscire, a quest'ora?
- Oh, non lo sperate, capitano, - rispose il filibustiere;
- E perché condurmi là dunque?
- Perché il bastione vicino è in parte diroccato e potremo
trovare il modo di scendere nel fossato e anche...
Si era interrotto, guardando il conte, e rimanendo con la
bocca aperta.
- E dunque? - chiese il corsaro.
- Sono un vero stupido, capitano!
- Perché?
- Ma sì che noi possiamo passare per la Puerta del Sol
senza esporci al pericolo di fiaccarci il collo in fondo al fossato. In verità
io invecchio troppo presto.
- Sei impazzito, Mendoza?
- No, signor conte, ma stavo per diventare un cretino. Non
siete vestito da alabardiere, voi?
- Pare di sì!
- Noi ci presenteremo alle guardie della porta e voi direte
che avete ricevuto l'ordine di scortarmi e di farmi uscire. Potrete aggiungere,
se non vi dispiace, che io sono una spia che va a sorvegliare i bucanieri. A un
soldato si crede sempre.
- E tu affermavi poco fa che stai per diventare un cretino?
disse il conte ridendo. - A me pare invece che tu diventi ogni giorno più
furbo, vecchio squalo. In marcia! Non voglio trovarmi ancora a San Domingo al
sorgere dell'alba.
Gettarono le vesti e la spada di Martin in mezzo ad un folto
cespuglio e volsero le spalle al porto, internandosi in una stradicciuola che
serpeggiava fra siepi e splendidi filari di banani e di palme. Essendo tutta la
popolazione accorsa sulle calate, non vi era anima viva nei dintorni, cosicché
poterono attraversare indisturbati la città e giungere dinanzi alla Puerta
del Sol, che era in quel tempo una delle principali di San Domingo e che
metteva nell'aperta campagna.
Due alabardieri, armati di lunghe picche, passeggiavano a
breve distanza, fumando e chiacchierando. Scorgendo il conte e il suo marinaio,
si fermarono per sbarrare loro il passo; poi uno dei due, accortosi di aver da
fare con un soldato, chiese:
- Oh, camerata, dove vai?
- Ho l'ordine di scortare quest'uomo fuori della città -
rispose franco il signor di Ventimiglia.
- Chi è?
- Un corriere governativo.
- Senza cavallo?
- Sa dove trovarlo. Sbrigatevi ad aprire la porta; abbiamo
molta fretta.
- E non ti hanno dato nessuna carta?
- Non sono un soldato, io?
- È vero, ma ci hanno dato anche il comando di impedire
l'uscita a qualunque persona.
- Era per i borghesi, quello.
- Aspetta che chiamo l'anziano: io non voglio assumermi questa
responsabilità.
Entrò in una vicina caserma e uscì subito con un altro
soldato, munito di una lanterna, il quale trascinava con gran fracasso un
enorme spadone.
- Guarda questi uomini, Barrejo - disse la sentinella.
- Fulmini! - mormorò Mendoza. - Il guascone! Ora siamo fritti!
Il conte trasalì e portò rapidamente una mano sulla pistola di
Martin, pronto ad impegnare una lotta disperata. Il guascone si avvicinò a loro
e non potè trattenere un gran gesto di stupore nel riconoscere la propria
corazza e le proprie vesti che il conte indossava.
- Ah, camerata! - esclamò sbarrando gli occhi.
Poi, volgendosi verso le due sentinelle, disse loro:
- Continuate la ronda voi, io conosco queste persone.
Aspettò che si fossero allontanate, poi, dopo aver alzato una
seconda volta la lanterna per guardare bene in viso il conte ed il suo
compagno, chiese:
- Che cosa fate ancora qui, nei miei panni, signore? Siete ben
voi che mi avete dato quei venti dobloni!
- Sì, messer Barrejo - rispose il signor di Ventimiglia.
- E che cosa siete venuti a fare qui?
- A offrirvi altri dieci dobloni, se non vi rincresce.
- Per tutti i venti del mare di Biscaglia! Volete far di me un
milionario?
- No, voglio ingrassarvi, perché siete troppo magro.
- Tutti i guasconi sono magrissimi, signor conte. Ma che
muscoli d'acciaio abbiamo!
- Chi sa che un giorno non li veda al lavoro! Orsù, volete
guadagnare altri dieci dobloni?
- Che cosa devo fare?
- Una cosa semplicissima. Aprirci la porta e lasciarci andare
in campagna.
- E null'altro? - chiese il guascone con stupore.
- Nient'altro. Vi avverto che abbiamo detto ai vostri camerati
che siamo corrieri del governatore.
- E non avete paura d'incontrare i bucanieri? Si dice che
stiano organizzandosi per tentare un colpo di mano sulla città.
- Non vi occupate di questo, messer Barrejo. Apriteci la porta
e altre dieci monete d'oro andranno a ingrossare il vostro piccolo tesoro.
- Vi apro anche tutte quelle della città - rispose don
Barrejo. Venite, signor conte. I miei camerati non vi daranno alcun fastidio.
Afferrò un'enorme chiave che stava appesa ad un chiodo e aprì
la pesante porta laminata di ferro, conducendoli attraverso un massiccio
bastione forato nel mezzo da uno stretto passaggio.
- Eccovi in campagna - disse dopo aver aperta un'altra porta.
Mi permettete di scortarvi per qualche tratto?
- Vi ho detto che noi non abbiamo paura - disse il conte.
- Non ne dubito, signore, ma che volete, mi piace immensamente
la vostra compagnia.
- Non sarà per sorvegliarci, spero - disse Mendoza.
- Oh! un guascone!... Noi non siamo abituati a mentire.
- Allora venite - disse il conte. - Potreste darci qualche
preziosa informazione.
- Sono tutto a vostra disposizione, signor conte - rispose il
guascone.
- Potreste, per esempio, dirci dove potremo trovare dei
cavalli.
- Vi è un corral a mezzo miglio di qui, annesso ad una
grande fattoria. Se avete ancora di quei bei dobloni, potrete acquistarne
finché vorrete.
- Le nostre borse sono ancora assai fornite, malgrado il
salasso fatto alla mia.
- Vi guiderò io.
- Ed i vostri camerati che non vi vedranno tornare non si
allarmeranno?
- Vadano al diavolo! - disse Barrejo alzando le spalle. - Non
sono padrone di fare una passeggiata notturna e di scortare delle persone
raccomandate da Sua Eccellenza il Governatore?
- Oh, è vero! - disse il conte ridendo. - Noi siamo personaggi
importantissimi.
- Che viaggiano però senza carte - aggiunse maliziosamente il
guascone.
- Le teniamo sempre sulla punta delle nostre spade.
Il soldato capì a che cosa voleva alludere il conte e,
quantunque guascone, credette opportuno di troncare il discorso.
Si erano inoltrati per una viuzza fiancheggiata da bellissime
agavi, piante tessili che danno dei fili elastici e fini e dalle cui foglie gli
indiani estraggono una bibita fermentata detta pulque, molto spumante e
anche molto gradevole. Di là da quelle enormi siepi, si estendevano immense
piantagioni di canne da zucchero e di caffè, le maggiori risorse di quella
fertilissima isola.
Per la tenebrosa campagna volavano sciami di Moscas de luz,
insetti che tramandano una luce ben più potente delle nostre lucciole, e nei
solchi delle piantagioni e attorno agli stagni muggivano i grossi rospi gialli
e neri con appendici cornute e fischiavano migliaia e migliaia di batraci.
I tre uomini camminarono in silenzio per un buon quarto d'ora,
rischiarando la via con la lanterna; poi, giunti ad una biforcazione, il
guascone si fermò.
- Ci lasciate? - chiese il conte.
- Questo dipende da voi, signore - rispose il soldato.
- Che cosa volete dire?
- Signor conte, io sono un uomo d'onore e sono un cadetto
d'una famiglia nobile della Guascogna. Già. Voi saprete che, più o meno, noi
siamo tutti nobili nel mio paese, ma anche poveri, poveri, perché i nostri
padri non ci lasciano per eredità che una buona spada e delle lunghe lezioni di
scherma.
- Che cosa volete concludere, signor Barrejo?
- Che vorrei sapere chi siete e perché siete fuggito da San
Domingo, mentre era stato dato l'ordine d'impedire l'uscita a tutti gli
abitanti.
Il conte rimase un momento muto, guardando il soldato, poi
disse:
- Scommetterei che voi già lo sapete.
- Forse.
- Sono il capitano della fregata che entrò nella rada ieri
mattina che due ore fa è stata cannoneggiata dagli spagnuoli.
- Dei filibustieri, non è vero?
- Siete molto perspicace, signor Barrejo. Ora andrete ad
avvertire certamente il governatore.
- Io? - esclamò il guascone. - Io tradirvi? Mai! Siamo uomini
d'onore, noi.
- Allora avrò soddisfatta la vostra curiosità.
- Signor conte, se vi facessi una proposta?
- Dite pure.
- Noi guasconi siamo gente di guerra e non amiamo lasciar
arrugginire inutilmente le nostre spade. La mia dorme da due anni in San
Domingo e minaccia di non saper più uscire dal fodero. Volete arruolarmi? Coi
filibustieri vi è sempre occasione di menar le mani.
- E anche di morire più facilmente! - aggiunse Mendoza.
- Ho trentadue anni e ne ho già abbastanza della vita - disse
il guascone. - Mi volete, signor conte? Vi giuro che sarò una buona lama.
- E poi lo liberereste da molti fastidi - aggiunse il
marinaio, a cui non dispiaceva affatto quel fracassone.
- Sia! - disse il signor di Ventimiglia. - Un bravo soldato di
più sulla mia nave non sarà d'impiccio.
- Voi non siete spagnuolo, quindi potete passare al nemico -
disse Mendoza.
- Sono un soldato di ventura e null'altro, e come tale posso
offrire la mia spada ed il mio braccio a chi meglio mi piace.
- Conoscete S. Josè?
- Conosco mezzo San Domingo.
- Sapreste condurci nella tenuta della marchesa di Montelimar?
- Anche con gli occhi bendati.
- Andiamo a procurarci dei cavalli, prima di tutto. Io non dubito
che gli spagnuoli ci diano la caccia.
- Potete esserne certo, signor conte - rispose il guascone. -
Ci lanceranno anche addosso qualche banda dei loro terribili cani.
- In cammino allora, Barrejo - disse il conte. - Non ho alcun
desiderio di farmi mordere i polpacci da quelle bestiacce.
- Dovremo prendere la via dei boschi, signor conte. Le vie
sono battute dalle ronde e potrebbero arrestarci.
- Ve ne sono molte fuori della città?
- Eh, un bel numero.
- Andiamo a visitare i boschi.
Il guascone gettò via la lanterna, la cui luce poteva tradirli
e attirare qualche ronda in perlustrazione o alla caccia di bucanieri.
Quelle bande di soldati, formate da cinquanta uomini ciascuna,
erano incaricate di impedire ai bucanieri, alleati dei filibustieri, di dare la
caccia ai numerosi tori selvatici che in quell'epoca scorrazzavano liberamente
per le foreste dell'isola.
Non osando gli spagnuoli affrontare quei terribili cacciatori,
i quali non sbagliavano mai un colpo, avevano deciso di affamarli e perciò
avevano istituite quelle compagnie volanti.
Dapprima le avevano munite d'armi da fuoco, ma siccome non
volevano imbattersi nei bucanieri, né impegnare mischie con loro, quando
s'accorgevano della loro presenza preferivano fare delle scariche di
moschetteria in aria.
I cacciatori, avvertiti del pericolo, se ne andavano
tranquillamente da un'altra parte.
I governatori delle varie città, accortisi della gherminella,
avevano tolto alle ronde le armi da fuoco, armandole solamente di alabarde, ma
senza ottenere, come si può capire facilmente, alcun risultato pratico.
Se prima erano i bucanieri che scappavano, ora erano gli
alabardieri che se la davano a gambe appena udivano uno sparo; sicché i
combattimenti erano rari come le mosche bianche, ché nessuno aveva il desiderio
di giocare la pelle inutilmente.
E quelle erano le famose ronde dette cinquantine, colle quali
i governatori speravano di distruggere tutti i bucanieri, - ed erano molti -
che infestavano le immense foreste dell'isola, sempre pronti a prestare man
forte ai filibustieri della Tortue, quando si trattava di tentare qualche buon
colpo
Il guascone fece attraversare ai suoi due compagni una vasta
piantagione di canne da zucchero, poi si gettò risolutamente in mezzo alle
boscaglie, formate per lo più da enormi piante di cotone selvatico, con i cui
tronchi cavi gli indiani e i negri formavano canoe capaci di contenere
perfino cento uomini.
- Il corral lo troveremo di là da questa boscaglia -
aveva detto il soldato al conte. - Risparmieremo tempo e non correremo il pericolo
di imbatterci in qualche cinquantina. Cercate solo di non far rumore, poiché
fra queste macchie i tori non mancano, e vi so dire io se sono pericolosi
quando s'infuriano o vengono disturbati!
La marcia non tardò a diventare difficilissima, con molto
dispiacere di Mendoza, abituato a passeggiare solamente sulle tolde delle navi
e ad arrampicarsi sulle alberature.
A quei tempi San Domingo, al pari della vicina Cuba e della
Giamaica, aveva delle foreste, antiche quanto il mondo, le quali accumulando foglie
su foglie e imputridendo rami e tronchi, dovevano preparare quel meraviglioso
ordimento vegetale, che più tardi doveva così ben servire agli intraprendenti
piantatori.
I cotoni selvatici s'alzavano dovunque, mescolati, anzi
confusi, con palme gigantesche, reggendo non si sa in quale modo i loro
giganteschi fusti, non avendo per sostegno che una crosta di terra non più alta
di due piedi affatto insufficiente alle smisurate radici.
Erano soprattutto i foltissimi cespugli, vere macchie per le
imboscate, che facevano brontolare Mendoza, anche perché si mostravano
formidabilmente armati di acutissime spine.
Il guascone, che aveva fatto parte più volte delle
cinquantine, per buona fortuna non esitava mai a scegliere la via, quantunque
sotto quelle immense arcate di verzura regnasse un'oscurità quasi completa.
- Ho la bussola nella testa - ripeteva sfondando a colpi di
spadone i cespugli per aprire il passo al conte.
E pareva infatti che quel diavolo d'uomo, che camminava con
piena sicurezza senza mai fermarsi, avesse la facoltà d'orientarsi come i
piccioni viaggiatori. Chi invece era incerto e non poco era Mendoza, il quale,
quantunque uomo di mare, non ignorava come fosse facile smarrirsi in mezzo alle
boscaglie.
Quella marcia faticosissima durò tre ore, poi il piccolo
drappello si trovò dinanzi ad una vasta pianura interrotta da un gran numero di
stagni.
Un fracasso indiavolato s'alzava fra le alte erbe e i canneti
che la coprivano. Muggivano milioni di rospi, fischiavano le rane americane e
di quando in quando, a tutto quel baccano, si univano delle urla rauche,
somiglianti al fragore dei tamburi, dei cannoni.
Il guascone si era arrestato, bestemmiando in francese o in
spagnuolo.
- Ehi, camerata, avresti per caso perduta la bussola che tu
affermavi d'avere dentro il cervello? - chiese Mendoza.
Il guascone stette un momento zitto, poi picchiandosi
furiosamente la corazza che gli rinserrava il petto, rispose:
- Pare proprio che si sia guastata.
- Chi?
- La mia bussola.
- Ecco una faccenda seria per la gente di mare.
- E anche qualche volta per la gente di terra, - rispose
l'avventuriero, il quale appariva sconcertato. - Come mai mi sono smarrito?
Eppure queste boscaglie le ho scorse più volte.
- Spero, don Barrejo, che non avrete l'intenzione di farci
divorare dai caimani, - disse il signor di Ventimiglia.
- Ci tengo alle mie gambe non meno di voi, - rispose il
guascone. - Volete un consiglio, signor conte? Aspettiamo l'alba.
- Ed intanto schiacciamo un sonnellino - aggiunse Mendoza.
L'erba è folta e fresca e dormiremo meglio che su una branda della Nuova
Castiglia.
- E i caimani intanto cenerebbero con i vostri piedi - disse
il guascone. - Non chiudete gli occhi, signore, ve ne prego. Io so come sono
pericolose queste paludi!
- Avete un sigaro, don Barrejo? - chiese il conte.
- Sono ben provvisto, signor conte, ed è tabacco di Cuba, il
migliore che si coltivi in tutto il golfo del Messico.
- Datemene uno, e aspettiamo che il sole spunti. Spero che non
ci farete perdere in mezzo alle boscaglie di San Domingo.
- Zitto, signore!
- Che cosa c'è ancora? Se è qualche caimano, lo taglieremo in
due a colpi di spada. Anzi, non ho ancora visto lavorare la vostra draghinassa.
- Altro che caimano! È una cinquantina che s'avvicina. Zitti!
Tutti si misero in ascolto, dopo essersi gettati dietro
l'enorme tronco d'un albero di cotone selvatico. Pareva che un grosso drappello
uscisse dal bosco. Si udivano i passi pesanti e cadenzati di uomini abituati a
marciare in colonna.
- Adesso ci prendono! - borbottò Mendoza. - Che splendida
passeggiata notturna! Era molto meglio restarcene a San Domingo.
- Zitto, eterno brontolone! - sussurrò il conte. - Sai che le
cinquantine non desiderano altro che di andarsene pei fatti loro. Non ti
muovere, e vedrai che nessuno verrà a cercarti dietro a questa pianta.
- Ben detto, signor conte, - disse il guascone. - D'altronde
basterebbe sparare un colpo di pistola per far scappare quei poveri diavoli. Da
quando i governatori hanno avuto la pessima idea di privarli delle armi da
fuoco, non si sentono più in grado né di darci, né di fare battaglia.
- Purché non abbiano con loro dei cani, - disse Mendoza.
- Ecco quello che temo, - rispose il guascone. - Voi avete
però quattro pistole. Datene una a me e vedrete che scapperanno come lepri,
benché non manchino di coraggio, questo ve lo assicuro io. Lo spagnuolo è
sempre stato un buon soldato e nemmeno io, se avessi in mano una spada contro
un buon bucaniere armato d'archibugio volterei le spalle, eppure sono un
guascone.
- Ricco di guasconate! - disse Mendoza, un po' ironicamente.
- Mi vedrete all'opera, camerata, - rispose il soldato, un po'
piccato. - Silenzio, s'avanzano.
Un grosso drappello era sbucato di fra le canne e le erbe e
avanzava lungo la fronte della foresta. Si trattava veramente d'una di quelle
famose cinquantine, armate esclusivamente d'alabarda e di spade, senza nessuna
bocca da fuoco. Era composta tutta di alabardieri con elmetto e corazza, difese
affatto insufficienti contro le grosse palle dei bucanieri.
Era preceduta da un doz di Cuba. Questi cani
ferocissimi sono molto grossi, molto robusti e d'un coraggio a tutta prova, e
gli spagnuoli li usavano specialmente contro gli indiani, i quali avevano una
paura terribile di quelle bestiacce.
A quei doz cubani si deve più che altro la conquista
delle numerose colonie del golfo del Messico. Si può anzi dire che la Colombia
fu conquistata più da loro che dagli avventurieri.
Il cane, giunto in vicinanza del grosso albero del cotone, si
era fermato, aspirando fragorosamente l'aria, e la cinquantina, che era guidata
da un ufficiale, si era subito disposta su quattro linee abbassando le
alabarde.
- Camerata, - sussurrò Barrejo, rivolgendosi a Mendoza - voi
occupatevi di quel cagnaccio e badate di non sbagliare il colpo o vi salterà
alla gola.
- È un affare che sbrigherò io, - rispose il filibustiere.
- Alla cinquantina penseremo io e il signor conte.
Tutti e tre avevano armato le pistole e si tenevano l'uno
presso l'altro, pronti a sguainare le spade.
Il doz cubano fiutava sempre, volgendo la testa
massiccia verso l'enorme albero e ringhiando sordamente. Doveva aver sentito
che là si nascondeva il nemico.
Un grido s'alzò fra gli uomini d'avanguardia della cinquantina
- Ay, perrito!
Il cagnaccio, udendo quel comando, si slanciò furiosamente,
sperando di azzannare i misteriosi avversari che non osavano mostrarsi.
Mendoza, che lo teneva d'occhio, fu pronto a sparare e gli
fracassò il cranio, mentre il conte ed il guascone facevano fuoco contro la
cinquantina, tirando a casaccio.
Allora gli spagnuoli, credendo d'aver dinanzi qualche grosso
drappello di quei terribili bucanieri che non sbagliavano mai la mira, in un
lampo si dileguarono, gettandosi in mezzo ai canneti delle paludi.
- Ecco la cinquantina sgominata! - disse il guascone ridendo.
Lavoriamo tuttavia di gambe, perché domani mattina tornerà qui e se si
accorgerà, dalle nostre tracce, d'aver avuto da fare con soli tre uomini, ci
darà una caccia terribile. Corriamo, signor conte!
- E queste sono le splendide passeggiate che si fanno a San
Domingo - disse Mendoza. - Preferisco quelle che si fanno sulla tolda della Nuova
Castiglia.
Si erano messi a correre, come se avessero altri molossi alle
calcagna.
Il guascone, che aveva le gambe più lunghe di tutti, marciava
con una rapidità incredibile lungo la fronte della boscaglia, dietro però la
prima linea degli alberi, per paura che la cinquantina, rimessasi dalla
sorpresa, si fosse nuovamente ordinata e formata per la caccia.
- Questo briccone ha giurato di farmi morire completamente
sfiatato! - brontolava Mendoza, il quale sbuffava come un bufalo. - Quanto
durerà questa storia?
Pareva proprio che il guascone possedesse una resistenza
incredibile e muscoli di acciaio, poiché non rallentava nemmeno un momento la
sua corsa.
Il figlio del Corsaro Rosso si mostrava non meno resistente,
anzi, aveva maggiore slancio, come se fosse già abituato alle lunghe corse.
Quella galoppata furiosa durò un'ora, poi il guascone si
fermò.
- Può bastare - disse. - La cinquantina ha avuto più paura di
noi e non ha osato darci la caccia. Prima che ne incontri altre o che si
rifornisca di cane, passerà del tempo e noi potremo raggiungere la villa della
marchesa, senza essere più disturbati.
- Se non sapete nemmeno dove si trovi! - disse Mendoza, il
quale aspirava, come un mantice da fucina, la fresca brezza notturna.
- Camminando sempre, si va anche a Parigi - rispose Barrejo.
- Nel mio paese si dice che tutte le vie conducono a Roma -
aggiunse il conte.
- Ma non alla villa di Montelimar - ribattè Mendoza il quale
sembrava di pessimo umore.
- Voi, camerata, brontolate sempre contro il vostro capitano -
disse il guascone. - Anche questo è un brutto vizio.
- Mi correggerò col tempo.
- Siete ormai troppo vecchio per farlo.
- I filibustieri sono sempre giovani. Lo sanno gli spagnuoli.
- Oh, non lo nego, amico! Avete sempre il fuoco nel petto.
- E non le vostre gambe.
- Orsù, che cosa facciamo ora, don Barrejo? - chiese il conte.
- Io per conto mio, farei colazione - disse Mendoza. - Questa corsa
mi ha messo un appetito da pescecane.
- Contentati di accendere la tua pipa, per ora - rispose il
conte. - Se non basta, stringi bene la cintura.
- Ottimo consiglio! - sentenziò gravemente il guascone.
- Che non farà bene a nessuno - brontolò Mendoza - Mettetelo
in pratica voi.
- Ne avete qualche altro da suggerirci don Barrejo? - chiese
il conte.
- Sì, quello di sdraiarci in mezzo a queste fresche erbe e di
tirare il fiato fino all'alba.
- E i caimani? - chiese Mendoza. - prima avevate una gran
paura di quelle bestiacce.
- Sono lontani da qui, e poi non chiuderemo gli occhi
- Visto e considerato che non vi è di meglio da fare, lo metto
in esecuzione - disse il conte, lasciandosi cadere fra le erbe e allungandosi
con visibile soddisfazione. - Sono due giorni che io e questo eterno brontolone
non ci riposiamo: è vero, Mendoza?
- Saranno forse di più - rispose il filibustiere imitandolo.
Il guascone guardò attentamente in tutte le direzioni, si
chinò, accostò un orecchio a terra, ascoltò attentamente e poi, a sua volta, si
allungò fra le fresche erbe, dicendo:
- Nulla: possiamo riposarci.
Non era però troppo facile socchiudere gli occhi.
I grossi rospi muggivano sempre, con un crescendo spaventoso;
i caimani facevano del loro meglio per imitarli ed i batraci gareggiavano fra
di loro per fischiare con maggior furore, come se si fossero messi d'accordo
per impedire a Mendoza di schiacciare un sonnellino, fosse pure d'un quarto
d'ora.
Era però molto tardi, e l'alba non doveva tardar molto a
spuntare. Nel Golfo del Messico il sole tramonta presto e si alza anche molto
presto.
Alle tre e mezzo, durante l'estate, il cielo si tinge dei
primi riflessi dell'aurora e le stelle scompaiono.
I tre filibustieri - poiché ormai anche il guascone si poteva
considerare come tale - si riposavano da un paio d'ore, tendendo continuamente
gli orecchi, per paura che i cani delle cinquantine, li sorprendessero, quando
le tenebre cominciarono a diradarsi.
- In marcia, signor conte - disse il guascone, alzandosi
rapidamente. - Cercherò di orientarmi.
- È stata accomodata la bussola piantata in mezzo al vostro
cervello? - chiese Mendoza beffardamente.
- S'incaricherà il sole di rettificarla - rispose
l'avventuriero.
- Speriamo che sia un abile meccanico.
- Vedrete, camerata.
Stavano per mettersi in cammino, quando udirono a breve
distanza uno sparo.
- La cinquantina! - gridò Mendoza facendo un salto.
- Sì, che spara con le sue alabarde! - osservò il guascone
sorridendo. - Io scommetto invece che è la colazione che giunge. Signor conte,
siete conosciuto fra i bucanieri?
- Se non io, erano troppo noti i tre corsari: il Rosso, il
Nero e il Verde.
- Questa archibugiata deve averla sparata un bucaniere.
- Andiamo a trovarlo - rispose il signor di Ventimiglia.
Attraversarono di corsa una folta macchia e, giunti sul
margine, scorsero, in mezzo ad una radura erbosa, un uomo piuttosto attempato,
vestito malamente.
Aveva un grembiale di pelle ed un largo cappello di feltro in
testa e stava ritto accanto ad un gigantesco bue selvaggio il quale stava spirando.
Vedendo quegli stranieri, il cacciatore fece alcuni passi indietro, e gridò con
voce minacciosa:
- Chi siete? Rispondete, o vi uccido prima che possiate
giungere fino a me!
- Siamo filibustieri, camuffati da spagnuoli - rispose il
conte in francese purissimo, perché l'intimazione era stata fatta in quella
lingua. - Io sono il figlio del Corsaro Rosso e nipote del Verde e del Nero.
- Del Corsaro Nero! - gridò il bucaniere, lasciando cadere
l'archibugio e facendosi innanzi. - Di quello che con Grammont, Laurent e Wan
Horn ha espugnato Vera-Cruz? Io ho combattuto con lui! Tonnerre
de Brest! Signore, sono ai vostri ordini! Comandate!
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