La fregata, che per quel momento si chiamava ancora la Nuova
Castiglia per non destare sospetti nei porti spagnuoli, mentre invece,
sotto il pezzo di tela dipinto a poppa, portava il nome glorioso di Folgore,
a ricordo della famosa nave del Corsaro Nero, si era messa alla vela con tutti
i suoi artiglieri, riuniti dietro i venti pezzi delle batterie ed i due grossi
cannoni da caccia del cassero.
Come abbiamo già detto, era una splendida nave da
combattimento capace di affrontare due galeoni spagnuoli, salda di fianchi e
molto slanciata, con un'alberatura immensa per poter approfittare delle più
deboli brezze.
Mai i filibustieri della Tortue e nemmeno gli spagnuoli,
avevano veduto una così magnifica nave da battaglia solcare le acque del golfo
del Messico.
La Santa trinità della Grande armada aveva ben
poco da invidiare sia per bocche da fuoco, sia per numero d'uomini, sia per
velocità.
Salpate le âncore, la Folgore - poiché possiamo ormai
chiamarla così - aveva descritto un mezzo giro su se stessa per prendere il
vento di filo, poi si era messa in corsa verso il capo Tiburon per passarvi di
traverso.
Il figlio del Corsaro Rosso, sprezzante di ogni pericolo, non
aveva nemmeno dato l'ordine di spegnere i due grossi fanali che scintillavano a
babordo ed a tribordo del cassero, né il fanalone di prora collocato sul
castello.
Non voleva lasciare all'oscuro gli artiglieri dei due pezzi da
caccia, sui quali molto contava per mitragliare le scialuppe spagnuole, forse
già in moto per tentare un abbordaggio furibondo.
Con due bordate la fregata attraversò la rada, poi mosse
arditamente verso il capo, mentre gli artiglieri soffiavano vigorosamente sulle
micce e gli archibugieri montavano sulle coffe e sulle crocette, dove avevano
già accumulato non poche granate da lanciarsi a mano, come usavano i
filibustieri di quei tempi.
S'avanzava superba, la forte nave, sicura di passare
tranquilla attraverso l'agguato teso dagli archibugieri e dalle cinquantine del
governatore di San Domingo, sprezzante del pericolo che la minacciava.
Fra la luce sprizzante dai due grandi fanali di poppa,
spiccava, come una macchia di sangue, il figlio del Corsaro Rosso, signor di
Ventimiglia, di Valpenta e di Roccabruna, il discendente dei tre formidabili
corsari che un giorno avevano portato lo spavento in tutte le colonie spagnuole
del gran Golfo del Messico.
Col portavoce nella destra e la sinistra appoggiata sulla
guardia della sua spada di combattimento, una specie di draghinassa, larga e
pesante come quella che portava il guascone, il fiero giovane aspettava
intrepidamente l'attacco, tenendo gli sguardi fissi sulle vele della sua
superba nave.
Un sorriso sardonico, quel sorriso sprezzante che aveva reso
cosi celebre il famoso Corsaro Nero, gli errava sulle labbra sottili.
- Mi rido di voi tutti, - pareva che dicesse. - Io sono il
figlio del terribile Corsaro Rosso che vi ha fatti tremare e del formidabile
Corsaro Nero mio zio. Chi oserà assalirmi?
La Folgore non trovando entro la rada vento
sufficiente, s'avanzava adagio adagio verso il capo, impaziente di provare le
vigorose carezze del Gran Golfo.
Era tutta coperta di vele: dalla tolda ai
contra-pappafichi ed al vecchio pennone di civada del
bompresso.
Quantunque delle grosse ondate irrompessero di quando in
quando attraverso il promontorio, rumoreggiando cupamente, rullava dolcemente
tanto era bene equilibrata.
- Mi guarderà la marchesa? - si chiese il conte. - Se potesse
vedere come si batte un signor di Ventimiglia e...
Una cannonata, che si ripercosse cupamente sotto le foreste
che coprivano il promontorio, gli interruppe la frase.
- Ah! - esclamò, volgendosi verso il guascone che gli stava
vicino, facendo saltellare nella tasca i suoi famosi dobloni. - Pare che gli
spagnuoli si siano accorti che noi cerchiamo di scappare; non è vero, don
Barrejo?
- Non sono mai stato sordo, signor conte - rispose
l'avventuriero, sorridendo.
- Badate che qualche palla non vi porti via la testa.
- Vi ho già detto che compare Belzebù non sa che cosa farne, a
casa sua, dei guasconi. Noi siamo gente troppo pericolosa anche nell'inferno.
- Siete un tipo meraviglioso, don Barrejo.
- Niente affatto. Volete che si prenda degli altri diavoli
capacissimi di stroncare le code o le ali ai suoi figli? Il diavolo non sarà
così stupido, suppongo.
- Signor conte! - gridò Mendoza, che stava dietro di loro,
alla ribolla del timone. - Guardatevi da quel guascone: deve essere il nipote
od il pronipote di messer Belzebù! Ci porterà sfortuna, lo giuro...
- Su una botte di Alicante, - disse il bravo guascone,
scoppiando in una sonora risata.
Quattro o cinque colpi di cannone, partiti dall'estremità del
Capo, rumoreggiarono in quel momento, lanciando i loro proiettili attraverso le
vele della fregata.
- Pare che questi non siano dolci - disse il guascone,
curvando il capo e sguainando con un gesto tragico la sua famosa draghinassa.
Vengano all'abbordaggio gli iberi della vecchia o nuova Castiglia, ed io
mostrerò loro come si battono i forti spadaccini della Guascogna... La voce
metallica del figlio del Corsaro Rosso soffocò le sue ultime parole:
- Che il diavolo vi porti! - disse il conte.
- E dove? Se non lo sa nemmeno lui?
- Che vi porti in paradiso, allora, - disse Mendoza.
- Lassù non c'è l'Alicante della marchesa di Montelimar.
La voce metallica del figlio del Corsaro Rosso soffocò le sue
ultime parole:
- Fuoco di bordata! Passiamo attraverso al capo! Mitragliate
le scialuppe! Fuoco!...
Cinque barcaccie, montate ognuna da venticinque uomini fra
rematori ed archibugieri, si erano staccate dalla spiaggia e s'avanzavano con
furia, allargandosi a ventaglio, per prendere in mezzo la fregata ed abbordarla
da due lati.
Gli archibugieri tiravano sul ponte, mantenendo il fuoco
vivissimo.
I due pezzi da caccia, montati su grossi perni giranti,
scaricarono sulle due più vicine una terribile bordata di mitraglia, mentre i
dieci pezzi di tribordo lanciavano i loro proiettili verso le boscaglie, in
mezzo alle quali si nascondeva l'artiglieria spagnuola.
Una delle cinque scialuppe, la seconda, crivellata di
proiettili, affondò quasi subito. Le altre però non interruppero per questo la
loro marcia e mossero con coraggio meraviglioso all'abbordaggio, mentre gli
archibugieri raddoppiavano il fuoco.
Il figlio del Corsaro Rosso, accortosi di aver da fare con
gente di fegato, imboccò il portavoce e gridò:
- Tutti i bucanieri in coperta!
Tutte le navi filibustiere avevano sempre un buon numero di
quei meravigliosi tiratori. Si può anzi dire che essi costituivano la vera
forza dei legni corsari, perché, come abbiamo già detto, quegli intrepidi
cacciatori non fallivano mai i loro colpi.
Al comando lanciato dal conte, trenta uomini dai volti assai
abbronzati e barbuti, che portavano pesanti archibugi dalla canna lunghissima,
erano saliti rapidamente in coperta, stendendosi lungo la murata di tribordo e
quella dell'altissimo cassero.
- A voi le scialuppe! - gridò il signor di Ventimiglia, con
voce metallica. - A noi le cinquantine e le artiglierie spagnuole.
La battaglia si era impegnata con grande ardimento da una
parte e dall'altra.
Se tuonavano tremendamente i ventidue pezzi della fregata, i
pezzi spagnuoli, che dovevano essere pure numerosi e anche ben collocati dietro
le alte rocce del capo e fra le boscaglie, rispondevano con egual furore.
Era quasi un colpo a colpo.
Le scialuppe intanto non cessavano di avanzare, stringendo
l'arco, senza badare al pericolo che correvano di venire travolte dalla prora
della fregata.
I bucanieri però arrestarono ben presto il loro slancio. Una
terribile pioggia di piombo cadde dopo poco su di esse, facendo una strage
orrenda di archibugieri e di rematori.
Essi, calmi ed impassibili malgrado il grandinare di palle
d'ogni calibro, sparavano a colpo sicuro, uccidendo o storpiando un uomo ad
ogni scarica. La Folgore, guidata da Mendoza, il quale era il più abile
pilota che si trovasse a bordo, come era pure il miglior artigliere, virò di
bordo quasi presso al Capo, si rimise al vento e dopo aver scaricata un'ultima
bordata, prese il largo con la prora volta a ponente.
Le artiglierie spararono ancora pochi colpi, forando qualche
vela e troncando qualche gomena, ma poi sospesero il fuoco, diventato ormai
inutile.
- Ebbene, don Barrejo, che cosa ne dite? - chiese il conte al
guascone, il quale non si era allontanato dal suo fianco, senza aver mai
dimostrata la menoma apprensione.
- Io dico, signore, che quei filibustieri hanno in mezzo al
petto un pezzo di coda di compare Belzebù - rispose l'avventuriero. - Io ho
assistito a parecchi combattimenti in Francia ed anche nell'Estremadura, ma non
ho mai veduto degli uomini così intrepidi. C'era uno dei vostri archibugieri
che sparava e nello stesso tempo fumava la pipa.
- Vedrete presto il secondo.
- Ci batteremo ancora?
- Siamo in caccia.
- E chi è la selvaggina?
- La Santa Maria.
- La conosco: un bel galeone e anche bene armato, signor conte,
ma che non avrà in questo momento nemmeno un doblone a bordo perché parte da
San Domingo. È probabile che vada a caricare verghe d'oro a Vera Cruz, e perciò
vi consiglierei d'attenderlo al ritorno.
- Non sono i dobloni che io cerco - rispose il signor di
Ventimiglia alzando le spalle. Sono un corsaro un po' diverso dagli altri e non
è la sete d'oro o di conquiste che mi hanno fatto lasciare l'Europa.
Poi, come parlando fra sé, riprese:
- Cinque o sei ore di vantaggio! Sarà necessario spiegare
altra tela.
Imboccò il portavoce e comandò:
- Fuori gli scopamari ed i coltellacci! A riva i gabbieri!
Una ventina di filibustieri, lesti come scoiattoli, balzarono
sulle griselle, scomparendo attraverso la velatura.
- Don Barrejo, - disse il conte - non vi sembra che sia giunto
il momento di riposarci? In tre giorni non abbiamo dormito sei ore.
- Parrebbe anche a me, signore - rispose l'avventuriero, il
quale sbadigliava come un orso. - È vero bensì che i guasconi possono farne
senza, almeno così si afferma nel mio paese; io credo però che si siano
ingannati.
- Allora buona notte - disse il conte ridendo. - Dite a
Mendoza che vi assegni una cabina nel quadro.
Discese dal ponte di comando, scambiò alcune parole col suo
luogotenente e scomparve sotto il cassero.
- Io non trovo di meglio che imitarlo - disse il guascone. -
Qui non vi sono le botti della marchesa di Montelimar da spillare.
La fregata intanto continuava la sua corsa verso ponente,
affrettando la marcia. S'era coperta di vele, dalla cima al ponte, e teneva
bravamente il mare, salendo e scendendo graziosamente le larghe ondate del
golfo del Messico.
I danni causati dal combattimento, danni quasi insignificanti,
erano stati prontamente riparati dal numeroso equipaggio, ed i pochi feriti
erano stati trasportati nell'infermeria ed affidati al medico di bordo.
Sulla tolda non erano rimasti che venticinque uomini, pel
servizio delle vele e pochi artiglieri.
Sulle coffe invece e sulle crocette erano stati collocati
sette od otto gabbieri, incaricati di dare l'avviso nel caso molto probabile
che la Santa Maria si mostrasse, non essendo mai stati i galeoni,
velieri troppo eccellenti, in causa della loro estrema pesantezza.
La notte passò senza avvenimenti. La Nuova Castiglia, che
aveva ripreso il nome di Folgore, a ricordo della famosa nave del
Corsaro Nero, non aveva cessato di veleggiare, facendo delle rapide punte, ora
al sud e ora verso la costa di San Domingo, senza riuscire a scoprire il
galeone.
Ai primi albori il figlio del Corsaro Rosso era già in
coperta, pronto ad impegnare la lotta colla Santa Maria. Il guascone,
non importa dirlo, vi era di già, insieme a Mendoza.
Ci teneva a dimostrare che i guasconi non erano affatto
dormiglioni e che non la cedevano ai marinai abituati alle lunghe veglie.
- Non vi è da menare le mani, signor conte? - chiese al
giovane capitano, il quale stava osservando attentamente l'orizzonte con un
buon cannocchiale. - La mia draghinassa si lagna continuamente e ha già un
mezzo pollice di ruggine. Imbarcandomi su una filibustiera credevo di aver
molto lavoro.
- E le cannonate di ieri sera le avete dimenticate, don
Barrejo?
- Le ho solamente udite, signor conte.
- Dovevate fermare le palle colla vostra famosa draghinassa.
Il guascone fece una smorfia.
- State sicuro, le occasioni non vi mancheranno per dimostrare
che i guasconi non sono da meno dei filibustieri, - aggiunse poco dopo il
conte. - Aspettate che la Santa Maria si mostri.
- L'abborderemo?
- I galeoni non si arrendono senza combattimento. Non sono già
caravelle, don Barrejo. Se poi vorrete...
Un grido sceso dall'alto gli troncò la frase:
- Vela a babordo, dritta il pennone di trinchetto.
- Vedete che avevate torto a lamentarvi, don Barrejo, - disse
il conte, puntando il cannocchiale nella direzione indicata dal gabbiere.
Mendoza aveva fatto subito echeggiare il suo fischietto.
Chiamava in coperta la guardia franca e gli artiglieri.
Il luogotenente, che si era appena coricato, era prontamente
accorso in coperta, mentre nelle batterie e nelle corsie si gridava:
- All'armi!... La Santa Maria!...
Che fosse veramente il galeone che il figlio del Corsaro Rosso
attendeva con tanta impazienza per impadronirsi del segretario del marchese di
Montelimar, nessuno avrebbe potuto affermarlo con piena sicurezza, data la
distanza e la poca luce che ancora regnava sulle acque dello splendido e
grandioso golfo messicano. Poteva darsi invece che si trattasse di qualche
veliero filibustiere, uscito dalla Tortue per dare la caccia ai piccoli legni
costieri spagnuoli trafficanti con Porto-Principe o
coll'isola di Gonave.
Il giovane corsaro non staccava dal suo occhio destro il
cannocchiale, seguendo attentamente la rotta della nave segnalata. Aspettava
che la luce diventasse più intensa, prima di pronunciarsi.
- Nave d'alto bordo, - disse finalmente, volgendosi verso il
suo luogotenente ed al guascone che gli stavano dietro. - L'alberatura è
imponente.
- Che sia proprio la Santa Maria? - chiese il signor
Verra.
- Le piccole navi di cabotaggio non osano spingersi al largo,
quando si trovano nelle acque battute dai filibustieri della Tortue, voi lo
sapete quanto me. Se non fosse un legno capace di difendersi, non veleggerebbe
così lontano dalle coste.
- Devo dare l'ordine di prepararci alla lotta, signor conte?
- Se è un galeone, non si arrenderà alla prima intimazione.
Checché si dica, la vecchia Spagna non manca di ardimentosi marinai. Prendiamo
le nostre precauzioni, poiché, se si tratta veramente della Santa Maria, non
le darò tregua finché non avrò nelle mie mani il cavaliere Barquisimeto.
Quell'uomo mi è assolutamente necessario, mi avete compreso, Verra?
- E noi lo prenderemo, per centomila code di Belzebù!... -
esclamò il guascone.
- Sì, lo avremo, - appoggiò il luogotenente, scendendo
rapidamente la scala del ponte di comando.
Il conte aveva puntato nuovamente il cannocchiale. Il sole
s'alzava maestoso sull'orizzonte, lanciando obliquamente i suoi raggi
attraverso le acque, tingendoli di mille riflessi porporini e d'oro.
Le vele segnalate spiccavano vivamente sull'azzurra superficie
del golfo.
Era un'alta alberatura che raccoglieva vento verso i confini
dell'orizzonte visibile.
- Non può essere che la Santa Maria, - disse il conte,
abbassando l'istrumento. - Io credo, don Barrejo, che avrete da menar le mani e
che questa volta non vi mancherà l'occasione di mostrare ai miei marinai il
valore dei guasconi.
- Spero, Signor Conte, che voi non mi farete l'offesa di
dubitare del coraggio dei costieri del mar di Biscaglia, - rispose
l'avventuriero.
- Non vi avrei arruolato.
- Morte e dannazione eterna! Sarò il primo a saltare sulla Santa
Maria.
- Dopo di me, don Barrejo, - rispose il corsaro. - Nessuno
deve passarmi avanti: sono il figlio d'un corsaro.
- Ebbene, sarò il secondo, - disse il terribile guascone.
- Ed io il terzo allora, - rispose una voce.
Era Mendoza, il quale era salito inosservato sul ponte di
comando.
- Ah! siete voi, compare? - disse il guascone, mentre il conte
scendeva sulla tolda per accertarsi se gli uomini erano tutti ai posti di
combattimento.
- Vi starò alle costole, signor guascone, - disse il lupo di
mare.
- Per sorvegliarmi? - chiese l'avventuriero, aggrottando la
fronte.
- Ma che? Per prendervi i dobloni che avete in tasca, affinché
non cadano nelle mani degli spagnuoli e farvi celebrare un centinaio di messe,
- rispose il basco, ridendo.
- Mi augurate la morte forse?
- Ad un guascone! Se non crepano mai!...
- Avete ragione, compare.
- Nessuno li vuole: sono troppo pericolosi.
- È proprio vero, - rispose don Barrejo, con accento grave.
Siamo troppo terribili noi, del mare di Biscaglia.
- Dì ponente o di levante?
- Sempre di ponente. Quelli di levante non sono guasconi.
- È vero: sono baschi quelli! - disse Mendoza, scoppiando in
una risata. - Questi indiavolati guasconi hanno sempre ragione!
- Sfido io!... Siamo guasconi, sì o no?
- Guasconissimi!...
- E allora è inutile discutere, - disse l'avventuriero.
In quel momento il conte rimontava la scala del ponte di
comando, seguito dal luogotenente.
- È la Santa Maria, - disse a Mendoza che lo
interrogava collo sguardo. - Non è più possibile ingannarsi. Prendi tu la
direzione del timone, in attesa di sparare un buon colpo di cannone. Mi occorre
un albero di quel galeone.
- L'avrete, signor conte, - rispose il lupo di mare.
- Con cinquanta dobloni di regalo, se riuscirai.
- Morte e dannazione! - esclamò il guascone, mordendosi le
labbra. - Nel mio paese per un simile premio ammazzerebbero dieci persone.
Perché mio padre non ha fatto di me un cannoniere? Il compare però mi pagherà
il doblone che ha perduto nelle cantine della marchesa di Montelimar. Perdinci!
Non l'ho mica dimenticato, e i guasconi hanno la memoria buona.
Una viva agitazione regnava sulla fregata.
La notizia che si trattava di abbordare un galeone spagnuolo,
si era sparsa dovunque e l'intero equipaggio si preparava animosamente
all'abbordaggio, certo di aver non poco da fare, sapendo che quei grossi
velieri erano poderosamente armati e montati da marinai scelti, composti per la
maggior parte di biscaglini.
La Folgore si era messa in gran corsa per raggiungerlo.
Tutte le vele erano state spiegate e Mendoza aveva presa la ribolla del timone.
Il galeone, accortosi d'aver dietro la poppa una nave corsara,
si era subito diretto verso la costa sandominghese, per cercare qualche rifugio
in qualcuno dei numerosi porti o rade dell'isola, protette da qualche forte.
Il conte però, accortosi a tempo delle sue intenzioni, aveva
lanciata la Folgore lungo la spiaggia, per impedire al galeone di sfuggire
all'abbordaggio.
Essendo il vento piuttosto debole e contrario, con quattro
bordate lunghissime si portò all'altezza del galeone, poi mosse arditamente
verso il largo, facendo così capire agli spagnuoli che non vi erano altre
speranze che la resa a discrezione o un combattimento disperato.
- A me, Mendoza! - gridò il conte. - Questo è il buon momento!
Il galeone non si trovava che ad un miglio di distanza e
veleggiava pesantemente.
Era uno di quei grossi navigli che gli spagnuoli adoperavano
per trasportare in Europa i tesori strappati alle miniere allora inesauribili
del Messico, del Guatemala e di Costarica, larghi di fianchi, a due ponti, ma
troppo pesanti per poter gareggiare colle svelte navi dei filibustieri i quali,
forti dell'appoggio dei bucanieri, pensavano più alla velocità che al numero
dei pezzi di cannone.
- A te, Mendoza! - gridò il conte. - Spaccami l'albero maestro
di quel galeone e fermalo in piena volata!
- Se colla mia draghinassa potessi farlo, non esiterei un solo
istante, - borbottò il guascone. - Il compare ha davvero una fortuna
indiavolata, però mi pagherà il doblone!
Il galeone, accortosi di essere inseguito da una grossa nave
capace di disputargli e anche fargli pagare caramente la vittoria, aveva
cambiato bruscamente rotta, forse colla speranza di rifugiarsi nel piccolo
porto di Jacmel e mettersi sotto la protezione dei fortini colà eretti dagli
spagnuoli.
Ma aveva da fare con degli arditi uomini di mare, che conoscevano
perfettamente le coste dell'isola e per di più con una velocità troppo rapida,
per poter sfuggire ad un abbordaggio.
Il conte, accortosi dell'intenzione dei suoi avversarii,
strinse verso la costa per tagliare loro il passo e impedire di cercare un
rifugio.
La Folgore, che conservava tutta la sua immensa
velatura essendo il vento favorevolissimo, giungeva colla velocità d'una
rondine marina.
Giunta a cinquecento metri dal nemico sparò un colpo a sola
polvere, ma il galeone non credette di obbedire all'intimazione.
Vedendo che era impossibile raggiungere il piccolo porto, virò
nuovamente al largo, mentre il suo equipaggio si preparava animosamente ad
impegnare là lotta.
- Ah! non volete fermarvi! - disse il conte. - A te allora,
Mendoza.
Il lupo di mare balzò verso il pezzo di caccia di tribordo e
lo puntò sul galeone, il quale aveva, a sua volta, aggiunto nuove vele a quelle
già spiegate, per far almeno correre per un po' ancora la fregata.
- Che gli altri non facciano fuoco! - gridò il conte col portavoce.
- Conservate i vostri colpi pel momento dell'abbordaggio. Mendoza, sei sicuro
del tuo tiro?
- Accordatemi almeno tre palle, - rispose il basco.
- Anche sei, se vuoi.
- Allora qualche albero andrà giù: che nessuno parli.
- Nemmeno io? - chiese don Barrejo scherzando.
- Voi meno degli altri, signor guascone.
Un profondo silenzio regnava sulla fregata, rotto solo dal
tamburellare delle vele e dai leggieri sibili della brezza la quale faceva
vibrare cordami.
Tutti gli occhi si erano fissati sul galeone, il quale
continuava la sua fuga verso ponente, tendendo però sempre a gettarsi verso la
costa che era visibilissima, e non lontana più di sei o sette miglia.
Mendoza continuava a rettificare la mira del pezzo,
borbottando e soffiando come una foca.
Si sa già che i tiri in mare, contro un corpo mobile e colle
improvvise scosse che subisce la nave, sono sempre difficilissimi, specialmente
su velieri, i quali non hanno una assoluta stabilità a causa dei soprassalti
del vento.
L'impresa del basco non era quindi una cosa da ridere.
A un tratto una fortissima detonazione che scosse tutto il
cassero della Folgore, rimbombò; il pezzo da caccia aveva finalmente
fatto fuoco.
Mendoza e il guascone che gli stava presso erano saltati in
mezzo alla densa nuvola di fumo, mentre il conte ed il suo luogotenente si
curvavano sul ponte di comando, come se cercassero di seguire la corsa del
proiettile.
Mendoza aveva mandato un grido di collera. Non era stato
l'albero maestro del galeone a precipitare sulla tolda, bensì il pennone
dell'immensa vela di gabbia era spaccato a qualche metro solo dalla coffa.
- Ah, lupo mio, non hai strappato che una penna a
quell'uccellaccio! - disse il conte. - Era un'ala che io volevo.
- Ho ancora cinque palle a mia disposizione, capitano - rispose
il basco.
- Non ti disperare però: anche una penna è qualche cosa e quel
galeone non correrà più come prima.
Un rimbombo spaventevole coprì le sue ultime parole.
Il galeone aveva scaricato tutti i suoi pezzi di babordo d'un
colpo solo, ma non avendo le artiglierie di quei tempi, ad eccezione dei lunghi
pezzi da caccia, che un tiro molto debole, i proiettili non giunsero fino alla
fregata.
- Quella gente ha polvere e ferro da sprecare! - disse il
conte. Che abbiano voluto solamente spaventarci? Oh, siamo troppo abituati a
quella musica, non è vero, signor Verra?
- Non produce più alcun effetto su di noi - rispose il
luogotenente, il quale stava caricando tranquillamente la sua pipa. - Prima che
quelle palle giungano fino a noi, io avrò terminata la mia fumata.
Intanto Mendoza, aiutato da alcuni filibustieri aveva
ricaricato il pezzo non potendo per il momento servirsi dell'altro, a motivo
della posizione che occupava il galeone.
Per la seconda volta aveva corretto la mira. Gli spagnuoli avevano
subito approfittato di quella sosta per rialzare la loro vela e fissare un
lembo alla coffa, non potendo pensare a sostituire il pennone.
- Compare, - disse il guascone al basco - badate di non
perdere i dobloni, altrimenti non potrete più restituire quello che avete
perduto con me nelle cantine della marchesa.
Mendoza non rispose; continuava a mirare attentamente,
spostando lentamente la bocca del pezzo per mantenerlo sulla linea del galeone.
Il colpo partì, seguito, dopo qualche istante, da un urrà fragoroso e dalle
grida di:
- Bravo, Mendoza!
Non era un'altra penna che il basco aveva strappato alla nave
avversaria.
L'albero maestro, spaccato un po' sotto la coffa, era caduto
attraverso il galeone, spezzando, col proprio peso, le sartie ed i paterazzi e
facendo inclinare fortemente la nave sul babordo.
La grande vela latina e quella quadrata soprastante erano pure
cadute, ingombrando la tolda e coprendo buona parte dell'equipaggio.
- Ecco un tiro meraviglioso! - esclamò il guascone. - Il mio
doblone è al sicuro.
- Siete soddisfatto, signor conte? - chiese Mendoza
trionfante.
Il signor di Ventimiglia, invece di rispondere, sguainò la
spada, gridando con voce tonante:
- All'abbordaggio, miei bravi!... Fra dieci minuti il galeone
sarà nelle nostre mani!
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