Mentre il marchese conduceva prigionieri a Guayaquil il conte
di Ventimiglia, il basco ed il fiammingo, don Barrejo fuggiva a gran galoppo
verso Panama, inseguito da una mezza dozzina di cavalleggieri spagnuoli.
Il guascone accortosi subito che gli davano la caccia, si era
gettato in mezzo alle piantagioni, coll'intenzione di raggiungere un altro
gruppo di colline che si profilavano verso il settentrione dove sperava di
trovare un momentaneo rifugio.
Aveva avuto la fortuna di scegliere un cavallo robustissimo ed
insieme agilissimo, e contava di stancare molto presto i suoi inseguitori.
Dopo essere sfuggito miracolosamente a tre o quattro colpi
d'archibugio, era riuscito a guadagnare la base della collina con un vantaggio
di almeno quattrocento metri.
- Coraggio, mio morello! - gridò il guascone. - Quando
giungerà il buon momento fucileremo anche noi quelli che ti fanno tanto sudare.
Non domando da te che uno sforzo supremo per attraversare questa collina. Più
tardi ritorneremo sulla strada.
L'andaluso, quasi lo avesse compreso, mandò un lungo nitrito e
si slanciò animosamente su per l'altura, mentre i cavalleggieri spagnuoli
urlavano a squarciagola.
- Ferma!... Ferma!.
- Sì, aspettatemi un po', - rispose il guascone, il quale
aizzava senza posa il cavallo. - Io spero di farvi correre senza riuscire a
prendermi.
Il morello andaluso che doveva essere veramente un corridore
straordinario, salì sempre al galoppo la collina, superò la piccola spianata e
scese velocemente il versante opposto.
I cavalleggieri spagnuoli che erano pure splendidamente
montati, non si fermarono dinanzi all'ostacolo e salirono a loro volta, a corsa
sfrenata, la collina, gridando sempre:
- Arrenditi, furfante!...
- Se non foste in sei vi farei vedere io come sono furfanti i
guasconi del mar di Biscaglia, - brontolava don Barrejo, rosso di collera. -
Questo insulto vi costerà caro. Aspettate che sia giunto al piano e vedrete che
fuoco di fila aprirò su di voi.
L'andaluso, trattenuto saldamente dal guascone, scendeva
sempre di gran corsa la collina, mentre gli spagnuoli, i quali avevano
raggiunto il piccolo altipiano, si preparavano a seguirlo animosamente.
Ad un tratto una bestemmia sfuggì al guascone.
Aveva scorto un lunghissimo crepaccio, largo non meno di
quattro metri, il quale tagliava la collina da una estremità all'altra.
- Tonnerre!... - gridò. - Salterà
il mio morello? Fortunatamente non è completamente stanco.
Rallentò la corsa, poi quando giunse presso la spaccatura,
raccolse strettamente le briglie ed allargò le gambe, gridando:
- Hip! Morello mio!
Il cavallo si rizzò sulle zampe posteriori, mandò un sonoro
nitrito, poi spiccò il salto, un salto veramente straordinario, degno d'un
corsiere irlandese.
Il crepaccio era stato varcato!...
Il guascone accarezzò la brava bestia, balzò a terra, la
condusse dietro ad una macchia di piante che crescevano un po' in parte, levò
l'archibugio e tolse dalle fonde le due pistole d'arcione, dicendo:
- Ora vedremo!
I sei cavalieri, rossi di collera, scendevano la collina a
precipizio, colla spada in pugno, pronti anche loro a tentare il salto.
Il guascone si era gettato a terra, nascondendosi dietro ad un
macigno ed aveva spianato l'archibugio.
Un cavalleggiero che precedeva i compagni d'una decina di metri
giunse dinanzi all'ostacolo ed allargò le gambe, mandando un grido.
Il guascone fece fuoco alla distanza di venti passi.
La detonazione fu seguita da un nitrito e da una esclamazione
angosciosa.
- Valgame dios!
Cavallo e cavaliere erano precipitati dentro la spaccatura,
fiaccandosi entrambi il collo.
Il guascone, gettato l'archibugio ancora fumante, era balzato
in piedi, impugnando le due grosse pistole d'arcione.
Una palla gli fischiò agli orecchi portandogli via netto il
lobo sinistro. Un mezzo millimetro più innanzi e don Barrejo era finito.
Un altro cavaliere giungeva, pronto a varcare l'ostacolo.
Il guascone lasciò partire i due colpi delle sue pistole e
anche quello precipitò nella fenditura insieme al suo animale, sfracellandosi
sul fondo roccioso.
Gli altri quattro, spaventati, volsero i loro destrieri e
risalirono la collina a corsa sfrenata, credendo in buona fede di aver da fare
con uno di quei terribili filibustieri ritenuti ormai da tutti come esseri
invincibili perché protetti dal diavolo.
Il guascone attese che raggiungessero la cima della collina,
andò a prendere il suo cavallo, rimontò in sella e riprese al piccolo trotto la
marcia attraverso le piantagioni, promettendosi di riguadagnare più tardi la
strada che conduceva a Panama.
- Per ora mi lasceranno tranquillo, - disse. - Se vorranno
riprendere l'inseguimento giungeranno troppo tardi. Andiamo a cercare al più
presto Grogner e Raveneau de Lussan. Guayaquil li tenterà e poi si tratta di
salvare il figlio del Corsaro Rosso e tutti i filibustieri prenderanno le armi.
Marchese di Montelimar, non hai ancora vinta la tua partita, per la morte del
diavolo.
Forzò il cavallo ad allungare il passo e dopo d'aver
ricaricate le sue armi accese un sigaro, l'ultimo che possedeva, sicurissimo di
non venire disturbato ormai più da nessuno.
Il sole stava per scomparire quando entrò in Panama,
avviandosi verso la fonda della bella castigliana.
Vi era della gente quella sera, per lo più facchini e
barcaiuolì, essendo quella un'osteria di secondo ordine.
Fece un cenno all'ostessa e andò a sedersi in un piccolo
camerino che era libero.
La castigliana, dopo d'aver portato da bere a parecchi
avventori, lo raggiunse, portando un paio di bottiglie.
- Perché siete ancora qui, caballero? - chiese la
bella donna, senza nascondere il suo stupore. - Che cosa è avvenuto dei vostri
compagni?
- Presi, - rispose don Barrejo, sturando premurosamente una
bottiglia. - Ho fatto sei leghe sempre a galoppo sfrenato e muoio di sete.
- Presi! - esclamò la bella castigliana, con dolore. - Anche
il conte?
- Anche lui, - rispose il guascone, picchiando sulla tavola un
pugno terribile. - La faccenda però non è ancora finita. Mi occorre solamente
una scialuppa, dovesse costarmi cinque dobloni.
- Vi sono qui dei marinai che ne posseggono, caballero.
- Cercate di farmene vendere una, purché sia fornita d'una
vela, e ve ne sarò riconoscente, Panchita. Si tratta di salvare il conte.
- Aspettate la mia risposta - rispose l'ostessa.
Il guascone si mise a divorare un po' di carne fredda che la bella
castigliana aveva portata insieme alle bottiglie, borbottando e brontolando
dopo ogni bicchiere che vuotava.
Anche la seconda bottiglia fu vuotata, prima che l'ostessa
ricomparisse.
- Dunque? - chiese il guascone, il quale aveva riacceso il suo
pezzo di sigaro.
- La scialuppa è vostra, - rispose Panchita. - Un pescatore ha
consentito a vendervela.
- Dove si trova?
- Presso la bocca del porto.
- Quanto?
- Non occupatevene, caballero, - rispose Panchita,
guardandolo cogli occhi ridenti.
- Siete una brava donna, - disse il guascone, accarezzandole
il mento. - Se sfuggo alla morte, parola di guascone, farò di voi una signora
de Lussac, se accettate la mia mano.
- E perché no? - rispose la bella vedova. - Un de vale
un titolo di nobiltà.
- Ed i de Lussac sono vecchi nobili della Guascogna. Addio mia
bella, ho troppa fretta in questo momento, ma che Dio mi punisca se non vi
rivedrò. Dov'è quel pescatore?
- Venite, mio gentiluomo, - rispose l'ostessa.
Un giovane marinaio stava appoggiato alla porta d'ingresso,
tenendo la casacca sulle spalle.
- Ecco il signore che ha acquistato la vostra barca, - gli
disse Panchita. - Il conto è saldato.
Il pescatore guardò attentamente il guascone, poi, soddisfatto
di quell'esame, si calcò bene in testa il suo cappellaccio chi paglia, dicendo:
- Seguitemi, señor: troverete la scialuppa pronta.
Don Barrejo scambiò coll'ostessa un rapido sguardo e uscì
dietro al pescatore.
Soffiava un forte vento quella sera dalle parti dell'Oceano e
al largo rombava il tuono. Tuttavia non vi era alcun indizio che scoppiasse lì
per lì qualche uragano, quantunque non fosse cosa rara sotto quei climi
ardentissimi.
Il pescatore seguì il guascone fino sulle calate
dell'avamporto e si fermò di fronte all'ultima gettata, dicendo:
- Ecco la scialuppa, caballero. È completamente armata.
Il guascone gli gettò nelle mani una piastra, balzò
nell'imbarcazione, issò la vela e dopo d'aver augurata al pescatore la buona
notte, si diresse verso la bocca del porto.
Uscendo da Panama, le caravelle incaricate di vigilare, non
dovevano dargli alcun fastidio.
Erano le imbarcazioni che venivano dal di fuori che potevano
fermarlo, temendo sempre una improvvisa irruzione dei filibustieri già da tanto
tempo minacciata.
Il guascone che non era un cattivo marinaio, essendo nato
sulle sponde del mar di Biscaglia, piantò la vela a seconda del vento, legò la
scotta e si mise al timone, puntando verso l'isola di Taroga presso la quale
contava di giungere prima dell'alba.
Quantunque soffiasse un vento abbastanza fresco, l'Oceano
fortunatamente si manteneva tranquillo.
La scialuppa, abilmente guidata, scivolava leggiera e
velocissima, seguendo le coste dell'istmo a meno di cinquanta passi.
A mezzanotte il guascone mise la prora risolutamente al largo,
sicurissimo di trovarsi ormai all'altezza dell'isola di Taroga.
Tutta la notte lottò contro le onde, che a poco a poco erano
diventate grosse ed ai primi albori, come aveva già previsto, entrava nella
piccola baia dove si trovava ancorata la flottiglia dei filibustieri, composta
di due dozzine d'imbarcazioni, avendo perduto il vascello durante una notte
tempestosa.
Era però sempre sufficiente per trasportare sul continente i
trecento e cinquanta uomini che rimanevano ancora sotto gli ordini di Raveneau
de Lussan e di Grogner.
Il guascone, che era ormai conosciutissimo fra quei
formidabili ladroni di mare, fu accolto come un vecchio camerata e condotto
immediatamente nella tenda occupata dai due capi della filibusteria.
- Il signor de Lussac, un guascone autentico a cui dobbiamo la
resa di Nuova Granata! - esclamò Raveneau, vedendolo entrare.
Da dove venite voi, mio gentiluomo?...
- Dal mare, - rispose don Barrejo, - e porto cattive notizie.
- Del conte forse? - chiese Grogner, scattando.
- È stato preso, signori.
- Da chi? Parlate subito! - esclamarono ad una voce i due
filibustieri.
- Dal marchese di Montelimar che voi avete lasciato scappare.
- Me lo immaginavo! - gridò Raveneau de Lussan, gettando in
aria la sedia che gli stava dinanzi. Quando mi hanno avvertito che,
approfittando d'una nostra baldoria e d'una notte oscurissima, aveva preso il
largo, avevo subito pensato al conte di Ventimiglia, è vero Grogner?
- Sì, me ne avevi parlato. Dove lo hanno condotto, signor de
Lussac? In qualunque luogo si trovi, parola di filibustiere, noi andremo a
liberarlo. Gli spagnuoli non lo appiccheranno come hanno impiccato suo padre,
dovessi bruciare Panama fino alla sua ultima casa.
- A Guayaquil l'hanno portato, - rispose il guascone.
- A Guayaquil! - esclamò Raveneau de Lussan. - Se discutevamo
ieri sera di fare una scorreria verso quella città che si dice contenga delle
ricchezze incalcolabili!... Questa è una vera fortuna, signor de Lussac!...
Tutti i nostri uomini hanno già approvata questa impresa.
Grogner levò dal taschino uno splendido orologio d'oro, frutto
certamente di qualche saccheggio, poi disse:
- Sono appena le sette: alle nove possiamo essere sul
continente e prima del tramonto dinanzi a Guayaquil. Dieci leghe sono per noi
una semplice passeggiata. Vado ad avvertire i nostri uomini che si parte senza
un minuto di ritardo.
Non erano trascorsi cinque minuti che i filibustieri
lasciavano l'isola, montati sulla loro flottiglia di piroghe e di scialuppe.
Alle nove, come aveva previsto Grogner, i trecentocinquanta
filibustieri, poiché non erano di più, approdavano sulla spiaggia dell'istmo di
Panama, a sole dieci miglia da quest'ultima città.
Sommerse le imbarcazioni affinché gli spagnuoli non potessero
accorgersi della loro nuova impresa, s'avviarono sotto i grandi boschi guidati
da un prigioniero pratico del paese, a cui avevano promessa la libertà o la
morte nel caso che li avesse traditi.
Quantunque i filibustieri fossero uomini di mare erano pure
bravissimi camminatori, essendo stati per la maggior parte prima bucanieri.
Dieci lunghe leghe non era quindi una tale distanza da spaventarli.
Ed infatti il sole non era ancora tramontato, quando giunsero
a poche miglia dalla città.
La loro marcia non era però passata inosservata. Gli indiani,
che abitavano le immense foreste dell'istmo, non avevano tardato ad accorgersi
del passaggio di quella forte colonna di uomini e si erano affrettati ad
avvertire il governatore della città dell'uragano che stava per scoppiare.
Un corpo di settecento spagnuoli uscì frettolosamente per dare
battaglia ai terribili ladroni dell'Oceano Pacifico; ma, come sempre, la paura
che ispiravano i filibustieri ebbe maggior successo delle armi.
Scambiate appena poche fucilate, gli spagnuoli voltarono le
spalle e andarono a chiudersi nei tre forti che difendevano la città e che come
abbiamo detto si ritenevano inespugnabili.
Le stelle cominciavano ad apparire in cielo, quando i
filibustieri, divisi in due colonne, si presentarono dinanzi alla città, ben
risoluti non solo ad espugnarla, bensì anche a saccheggiarla sapendo che
ricchezze immense conteneva.
Impossessarsi di quella città non era però impresa facile
poiché la difendevano tre forti, contenenti ognuno una guarnigione di cinquanta
uomini e armati d'un buon numero di cannoni, mentre i filibustieri non
possedevano nemmeno una spingarda.
Pure gli assalitori non si scoraggiavano affatto e, mentre gli
abitanti salvavano buona parte delle loro ricchezze caricandole su degli schifi
che tenevano sul fiume, tentarono animosamente l'assalto ai forti.
Si erano divisi in tre colonne per impedire alle guarnigioni
di portarsi vicendevolmente aiuto: una la comandava Grogner, la seconda
Raveneau de Lussan e la terza il guascone.
I forti si difendevano però gagliardamente, rispondendo alle
archibugiate dei filibustieri con colpi di cannone. Pareva che gli spagnuoli
fossero decisi a farsi seppellire sotto le rovine, anziché arrendersi a quegli
odiati ladroni di mare.
Tutta la notte fu un battagliare furioso. Invano i filibustieri
si erano slanciati più volte all'assalto ed invano avevano appoggiato più volte
le scale per superare le merlature.
Ad ogni intimazione di resa gli spagnuoli avevano sempre
risposto con un fuoco infernale, quantunque poco efficace.
Al mattino i tre forti non erano ancora presi, mentre invece
la popolazione, approfittando dell'oscurità, aveva evacuata la città,
salvandosi nelle vicine boscaglie colle ricchezze che non avevano potuto
salvare sugli schifi.
Già i filibustieri cominciavano a dubitare della buona
riuscita dell'impresa, quando verso le otto del mattino si sparse la voce che
Grogner era stato ferito mortalmente e che stava per spirare.
A quell'annunzio un grido solo uscì dai petti dei
filibustieri.
- Vendichiamo il nostro capo.
Battagliavano furiosamente da dieci ore. La fame e la sete li
tormentava; pure, saldi come pezzi d'acciaio, noncuranti delle cannonate degli
spagnuoli, quei valorosi mossero, forse per la decima volta, all'assalto dei
forti.
Appoggiate le scale, non ostante l'intensità del fuoco nemico,
montano con impeto irrefrenabile, scavalcando le merlature, inchiodano sui loro
pezzi gli artiglieri ed impegnano una lotta disperata contro le guarnigioni.
Avevano dato l'attacco solamente a due forti, riservandosi di
impadronirsi più tardi del terzo, che era il meglio armato e difeso dal
marchese di Montelimar, uomo che, come abbiamo detto altrove, godeva grande
fama come uomo di guerra.
Se la istoria dei filibustieri narrata da Raveneau de Lussan e
da altri corsari inglesi e francesi non fosse lì a provare l'eroismo di quei
terribili ladroni dell'Oceano Pacifico, si potrebbe porre in dubbio l'esito di
quella formidabile impresa.
Trecento erano i filibustieri, poiché in quelle dieci ore di
combattimento avevano perduto una cinquantina di persone e mille gli spagnuoli
e muniti di grosse artiglierie eppure i primi non tardarono ad avere ragione
sui secondi di tanto più numerosi.
Dopo un combattimento sanguinosissimo, le due guarnigioni
spagnuole furono fatte a pezzi e solamente poche centinaia di spagnuoli
riuscirono a salvarsi nelle foreste dopo d'aver gettate le armi.
Resisteva però sempre il forte difeso dal marchese, nel quale
erano stati rinchiusi il conte di Ventimiglia, Mendoza, il fiammingo e la
figlia del Gran Cacico del Darien.
Infuriavano tremendamente le artiglierie del fortissimo
baluardo, battendo in breccia le due fortezze ormai conquistate e le case della
città. Gli archibugieri, numerosi e scelti, facevano del loro meglio per
aiutare gli artiglieri, battendo le spianate e le scarpate, con una grandine di
palle.
Alle undici, malgrado i continui tentativi dei filibustieri,
la fortezza resisteva ancora.
Raveneau de Lussan, che aveva assunto il comando dei
filibustieri, essendo ormai Grogner un moribondo, fece chiamare il guascone.
- Signor de Lussac, - gli disse, - noi finiremo di certo per
venire a capo di questa dura impresa, poiché i miei uomini non faranno un passo
indietro. Siccome però sono pochi e non abbiamo alcun mezzo per surrogare
quelli che cadono, vorrei farvi una proposta.
- Parlate, signor de Lussan, - rispose il guascone. - Volete
che vada a minare qualche angolo del forte?
- Mi dispiacerebbe troppo perdere un valoroso come voi. Il
conte di Ventimiglia non mi perdonerebbe mai di avervi sacrificato.
- Che cosa posso fare dunque?
- Andare dal marchese di Montelimar ed intimargli la resa,
promettendo salva la vita a lui ed alla guarnigione.
- Io non credo che accetti: è un testardo ed un uomo di
guerra.
Un lampo d'ira passò negli occhi del gentiluomo.
- Se rifiuterà non lasceremo vivo un sol uomo, - disse.
- Vediamo se si può combinare questo affare senza mandare
tante persone a tenere compagnia a compare Belzebù, - rispose il guascone, dopo
aver pensato qualche istante. - Che ci consegni il conte, la figlia del grande
Cacico del Darien, i miei due amici, e poi vada pure a tenere compagnia a
quell'ottimo Consigliere dell'Udienza Reale di Panama.
Fu dato l'ordine ai filibustieri ed ai bucanieri di sospendere
il fuoco, fu issata su una picca una camicia bianca trovata in una casa e don
Barrejo mosse animosamente verso la fortezza.
Anche gli spagnuoli, i quali non desideravano affatto irritare
troppo quei formidabili scorridori del Pacifico, avevano deposte le miccie e
fatti ritirare gli archibugieri che occupavano le merlature.
Don Barrejo, il quale portava la picca, si fermò dinanzi al
fossato del forte, piantando l'asta su un ammasso di terra.
Un ufficiale si era curvato fra due merli gridando:
- Che cosa volete? Sbrigatevi perché non vi accordiamo che una
tregua di cinque soli minuti. Appena trascorsi riapriremo il fuoco.
- Chiedo di parlare al marchese di Montelimar, - rispose il
guascone. - Nel medesimo tempo vi avverto che se qualcuno di voi farà fuoco su
di me, vi passeremo dal primo all'ultimo, a fil di spada.
Un istante dopo il marchese di Montelimar compariva sul
terrazzo d'una lunetta, tenendo la spada snudata sotto un braccio.
- Chi vi manda? - chiese, rivolgendosi al guascone il quale
stava sempre accanto a quella strana e ridicola bandiera.
- Raveneau de Lussan, capo dei filibustieri dell'Oceano
Pacifico, - rispose don Barrejo.
- E Grogner?
- Il signor Grogner in questo momento è occupato a fumare la
sua pipa e perciò ha rinunziato fino a questa sera al comando.
Il marchese aggrottò la fronte poi, dopo d'aver guardato
attentamente il guascone, disse:
- Ah! Siete uno dei tre spadaccini del conte di Ventimiglia.
- Non vi siete ingannato, Eccellenza. Venivo anzi anche a
chiedere notizie di quel valoroso gentiluomo.
- È sotto la mia protezione. Che cosa volete dunque?
Sbrigatevi: i miei uomini sono impazienti di combattere.
- Vengo ad intimarvi la resa.
- A chi?
- A voi.
- Non sapete dunque che ho cinquecento uomini e ventidue pezzi
d'artiglieria e tante munizioni da radere al suolo la città intera?
- E non avete veduto Eccellenza che abbiamo già espugnato due
delle tre fortezze che erano pure difese da cinquecento uomini ciascuna e da
una quarantina di cannoni? Tutti noi lo abbiamo veduto. Vi arrendete sì o no?
Raveneau de Lussan vi promette salva la vita, a condizione che consegnate
immediatamente il conte di Ventimiglia, i suoi avventurieri e la figlia del
Gran Cacico del Darien. Anche io vi accordo cinque minuti per avere la
risposta: dopo daremo l'assalto e come abbiamo preso i due forti, vi assicuro
Eccellenza che prenderemo anche questo.
- Lasciate che mi consigli coi miei ufficiali, - rispose il
marchese.
Il guascone prese un sigaro, lo accese servendosi d'un pezzo
di miccia che fumava sul margine del fossato e si sedette accanto alla bandiera
bianca.
I filibustieri intanto, non ben certi che il marchese di
Montelimar si decidesse per la resa, si preparavano, sotto la direzione di
Raveneau de Lussan, ad un furioso assalto.
Avevano messi in prima fila cinquanta uomini muniti di granate
da lanciarsi a mano e dietro un centinaio di bucanieri per sterminare innanzi a
tutto gli artiglieri.
Gli altri tenevano pronte le scale, prese nelle chiese, per
montare all'assalto.
La risposta del marchese di Montelimar non si fece attendere.
- Dite al signor Raveneau, - disse al guascone, - che finché
mi rimarrà un uomo ed una carica di polvere io difenderò la fortezza.
Andatevene o vi farò fucilare.
- Mi ricorderò di questa bella offerta, - rispose il guascone,
riprendendo la picca. - Spero di rivedervi presto, signor marchese.
Attraversò la spianata senza troppo affrettarsi, malgrado la
minaccia del comandante spagnuolo ed avvertì Raveneau della risposta avuta.
- Come abbiamo espugnate le altre due, prenderemo d'assalto
anche questa, - rispose il gentiluomo francese.
Fu dato l'ordine di muovere all'attacco.
I filibustieri, impazienti di finirla e di saccheggiare la
città prima che gli abitanti portassero via tutte le cose preziose, si
slanciarono all'assalto, non ostante il terribile cannoneggiamento degli spagnuoli.
Con una corsa fulminea si posero al riparo sotto gli angoli
morti della fortezza, rendendo così nullo il tiro delle artiglierie e la prima
schiera cominciò a scagliare una grandine di granate attraverso le merlature
mentre i bucanieri fucilavano gli archibugieri nemici dei ridotti, delle
terrazze e delle lunette.
Messi in rotta gli artiglieri, i quali non potevano resistere
allo scoppio simultaneo di tante granate, i filibustieri appoggiarono le scale
e montarono all'assalto.
Gli spagnuoli li aspettavano sul piazzale del forte, guidati
dal marchese di Montelimar.
In un baleno i formidabili uomini del mare scalano la
fortezza, superano le merlature e si scagliano contro gli alabardieri,
impugnando le pistole e le corte ma larghe sciabole d'abbordaggio.
Il guascone, giunto uno dei primi, s'avventa contro il
marchese, e mentre intorno a lui ferve ferocissima la mischia, lo investe con
una grandine di colpi di spada, urlando:
- Arrendetevi o vi uccido!
Il marchese, fattosi un po' di largo, affronta coraggiosamente
il guascone. Buona lama anche lui si difende disperatamente, opponendo una
resistenza che stupisce il terribile spadaccino.
Investito con foga estrema, indietreggia fino sul terrazzo
d'una lunetta, mentre i filibustieri uccidono rabbiosamente quelli che
rifiutano di deporre le armi.
- Signor marchese, - disse il guascone, dopo d'aver scambiato
una ventina di stoccate, tutte abilmente parate dal gentiluomo spagnuolo. -
Questo non può durare molto. Io sono molto più giovane di voi e poi sono una
lama guascone. Arrendetevi o mi vedrò obbligato a uccidervi e ciò, francamente,
mi spiacerebbe. La piazza ormai è presa ed ogni resistenza inutile. Gettate la
spada e restituitemi il conte, i miei compagni e la figlia del Gran Cacico.
Il marchese fece un passo indietro tergendosi colla sinistra
il sudore che gli imperlava la fronte e gettò un rapido sguardo intorno.
I suoi uomini, dopo d'aver opposta una fierissima resistenza,
s'arrendevano a gruppi ed i filibustieri rovesciavano le artiglierie nei
fossati dopo averle inchiodate per renderle inservibili.
- È la fine, - disse, con voce triste.
Poi rimettendosi, riprese a mezza voce:
- Può essere una partita rimandata.
Gettò la spada nel momento in cui Raveneau de Lussan, seguito
da una mezza dozzina di filibustieri accorreva in aiuto del guascone.
- Il signor marchese si è arreso, - disse don Barrejo, - e si
è arreso ad un de Lussac. Signor de Lussan, non vi è più nulla da fare qui:
questo gentiluomo è sotto la protezione dei guasconi.
Raveneau si levò il cappello e salutò cortesemente il
difensore del forte, dicendogli:
- Il signor de Lussac, un gentiluomo autentico, vi accorda
salva la vita ed io non ve la prenderò, signor de Montelimar poiché i
filibustieri sanno apprezzare il valore e voi ci avete dato or ora la prova di
possederne molto. Voi però ci indicherete subito dove si trova il conte di
Ventimiglia.
- Seguitemi, - rispose il marchese, togliendosi una chiave che
teneva nella fascia azzurra.
S'avviò verso il fabbricato centrale del forte che era
fiancheggiato da numerose casematte, aprì una porta, poi disse:
- Entrate: sono tutti là!
Un istante dopo il conte era nelle braccia di Raveneau de
Lussan, mentre il guascone appioppava quattro sonori baci sulle gote di Mendoza
e di don Ercole.
La figlia del Gran Cacico del Darien aveva subito seguito suo
fratello, degnando appena d'uno sguardo il marchese di Montelimar, che fino a
pochi giorni prima aveva rispettato come fosse suo padre.
- Signor conte, - disse il capo dei filibustieri, poiché era
stato nominato tale dopo la morte di Grogner, - siete finalmente libero ed
avete ottenuta vostra sorella. Che cosa possiamo ancora fare per voi?
- Darmi una guida che mi conduca attraverso l'istmo. Ho la mia
fregata nelle acque del golfo del Messico e non ho che un solo desiderio.
- Quale?
- Di toccare al più presto Cuba.
- E poi?
- Di tornarmene in Europa, nella mia Liguria. La mia missione
è ormai finita, signor de Lussan.
- E del signor marchese di Montelimar che cosa dobbiamo fare?
chiese il nuovo capo dei filibustieri.
- Dategli un cavallo e lasciate che ritorni a Panama.
De Lussan lo guardò con stupore.
- Avete detto? - chiese.
Il figlio del Corsaro Rosso gli si accostò e gli mormorò una
parola agli orecchi.
- Ho capito, - rispose il gentiluomo francese, sorridendo. Se ne
parlava già. Signor conte, andiamo a fare colazione con vostra sorella e col
signor marchese. Ce la siamo guadagnata, ve l'assicuro.
Mentre Raveneau ed i suoi compagni cercavano asilo in una casa
abbandonata, i filibustieri, diventati ormai padroni dell'ultimo forte, si
abbandonavano ad un saccheggio furibondo.
Non possiamo però passare sotto silenzio la bizzarra
singolarità di cui, in quella presa, i filibustieri francesi dettero
spettacolo, poiché meglio d'ogni altra cosa dimostra l'indole strana di quella
razza di ladroni.
Mentre i loro compagni inglesi correvano dietro agli abitanti
rifugiatisi nei boschi colle loro ricchezze, facendone ben settecento
prigionieri, i francesi si recavano nella cattedrale della città per cantarvi
il Te-deum, credendo così di praticare le parti di buoni
cattolici e di rispettare in tale modo la religione!...
Ingentissimo fu il bottino raccolto dai filibustieri,
consistente per lo più in una quantità straordinaria di perle e di smeraldi, in
verghe d'argento ed in settantamila piastre.
Si aggiungano a ciò un cannone d'argento massiccio del valore
di ventiduemila piastre ed un'aquila d'oro tempestata di smeraldi che pesava
sessant'otto libbre, destinati in pia oblazione alla chiesa maggiore della
città e presi agli schifi che scendevano il fiume.
Inoltre avevano preso oltre settecento prigionieri, anche il
governatore della città e siccome non trovavano conveniente condurre con loro
tante persone, tanto più che sapevano essere usciti da Panama grossi corpi di
truppe scelte per sterminarli prima che ritornassero verso l'Oceano Pacifico,
mandarono un messo al Presidente dell'Udienza Reale affinché li riscattasse
tutti contro la consegna d'un milione di piastre e di quattrocento sacchi di
mais, essendo a corto di viveri.
Avevano iniziate le trattative e già non dubitavano di
ricevere le une e gli altri, quando la terza notte dopo l'espugnazione dei
forti s'alzò un furioso incendio, prossimo al luogo ove i filibustieri avevano
accumulate le loro ricchezze ricavate dal saccheggio.
Però non fecero essi alcuna perdita, essendo prontamente
accorsi a trarre in salvo le loro cose, meravigliosamente affrontando ogni
pericolo; rivolsero poi i loro sforzi a salvare la disgraziata città che in più
parti avvampava; però un buon terzo andò distrutto insieme ad un grosso numero
di abitanti.
Infettatasi l'aria in causa dei numerosi cadaveri rimasti
insepolti, e cominciando a patire molte malattie per tale cagione suscitatesi,
inchiodati i cannoni delle fortezze che loro non erano affatto utili, quei
terribili ladroni di mare s'avviarono verso l'Oceano Pacifico, conducendo con
loro cinquanta ostaggi d'ambo i sessi, i quali dovevano rispondere del riscatto
che doveva in parte essere loro pagato e veleggiarono verso l'isola di Puna dove
rimasero un mese,
Fu un mese di baldoria e fu insieme un sorprendente spettacolo
il vedere quei ruvidi avventurieri improvvisarsi gentiluomini, organizzare
danze e banchetti che non avevano mai fine, avendo fra i prigionieri moltissimi
suonatori di chitarre e di mandole e le più belle donne di Guayaquil, le quali
non vedevano nei loro rapitori più i disturbatori della loro città e delle
sostanze delle loro famiglie, bensì uomini per la maggior parte cortesi e
rispettosi, cosicché ebbero quelle disgraziate un non ingrato compenso dei
sofferti terrori e poterono godere di quella libertà che tra le domestiche
mura, sotto i gelosi mariti, l'orgoglio e la severità spagnuola non concedeva
alle donne.
L'amenità dell'isola dava d'altronde maggior risalto a quell'avventura
né fuvvi mai prigionia, specialmente per le prigioniere, più divertente.
Verso la fine del mese però quell'allegria fu gravemente
turbata, in causa del mancato pagamento del riscatto.
Il presidente dell'Udienza Reale di Panama continuava a chiedere
dilazioni, sinché i filibustieri insospettiti che, non difficoltà di trovare il
denaro cagionasse quel ritardo, bensì la segreta mira di defraudarli e di
prendere tempo per radunare forze sufficienti a combatterli, ricorsero ad una
crudele risoluzione, malgrado le proteste di Raveneau de Lussan il quale, al
pari di Grogner, abborriva le crudeltà.
Radunarono perciò gli ostaggi e li obbligarono a tirare a
sorte, avendo ormai deciso che le teste di quattro di quei disgraziati
dovessero essere consegnate all'ufficiale spagnuolo che era giunto per chiedere
una nuova dilazione al pagamento.
Purtroppo quegli infelici dovettero sottomettersi alla dura
sorte e le quattro teste furono date all'ufficiale, colla dichiarazione che se
entro quattro giorni il pattuito riscatto non fosse stato saldato, altre ne
sarebbero state mandate al Presidente dell'Udienza Reale di Panama.
I sospetti dei filibustieri non erano d'altronde senza
fondamento, poiché il giorno seguente riuscivano a catturare un corriere che da
Guayaquil andava a Lima, apportatore di lettere nelle quali era detto
chiaramente come in aspettazione dei soccorsi attesi si sarebbe mandata qualche
somma a Puna per tenere a bada i corsari, aggiungendo che l'esterminio di
costoro stimavasi ben più importante sacrificio che la perdita di cinquanta
prigionieri.
Come abbiamo detto, fra gli ostaggi vi era il governatore di
Guayaquil e siccome ci teneva a non perdere la testa, incaricò un frate che era
della brigata, uomo tenuto in molta considerazione presso gli spagnuoli e lo
mandò sul continente con pieni poteri perché accumulasse a tutti i costi quanto
denaro occorreva per saldare il riscatto.
Nell'atto però che il frate partiva, giungeva all'isola uno
schifo il quale portava ai filibustieri ventimila piastre in oro e venti sacchi
di farina. L'ufficiale che lo montava chiedeva nel medesimo tempo una dilazione
di altri tre giorni pel resto del riscatto.
I filibustieri non furono renitenti a concederla, dichiarando
però che se gli spagnuoli avessero mancato alla promessa avrebbero fatta una
nuova visita a Guayaquil e che l'avrebbero distrutta da capo a fondo.
La risposta che ne ebbero non poteva essere più risoluta.
Un nuovo messo di chi amministrava le cose di Guayaquil giunse
qualche giorno dopo, dicendo che per tutto ciò che rimaneva a pagarsi gli
spagnuoli offrivano solamente ventiduemila piastre e che se i filibustieri
volevano riattaccare la città vi erano cinquemila uomini agguerriti pronti a
riceverli.
Nessuno può sorprendersi se a quella dichiarazione vi fu fra i
corsari di Raveneau chi proponesse di tagliare all'istante la testa a tutti i
prigionieri, le donne comprese. Si opposero molti altri, dicendo che una tale
crudeltà nessun vantaggio avrebbe recato, perciò accettate le ventiduemila
piastre e messi in libertà gli ostaggi, ripresero il mare per ritentare nuove e
più stupefacenti imprese.
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