Per sei settimane, i filibustieri di Morgan si fermarono in
quella disgraziata città, tormentando gli abitanti per far loro confessare dove
tenevano nascosti i loro tesori e frugando i boschi e le savane, colla speranza
di scoprire il governatore di Maracaybo.2
La taglia di cinquemila piastre promessa da Morgan a chi
riusciva a prenderlo, era stato uno dei motivi principali per cui i
filibustieri si erano accaniti contro la popolazione, sperando di strappare
qualche confessione sul rifugio scelto dal conte di Medina, ma tutto era stato
vano.
La notizia recata da alcuni corsari lasciati in Maracaybo, che
gli spagnoli avevano rioccupato e riattato il forte della Barra e che tre
grosse fregate, al comando d'un ammiraglio, erano improvvisamente comparse
all'entrata della laguna, coll'incarico di distruggere la squadra corsara,
decise finalmente i filibustieri a lasciare Gibraltar, dove d'altronde non vi
era ormai più nulla da saccheggiare.
Non soddisfatti però del bottino accumulato, si fecero
promettere dagli abitanti un riscatto di cinquantamila piastre, che doveva
essere pagato a Maracaybo, minacciando in caso di rifiuto di tornare per
incendiare e distruggere da capo a fondo la città.
Lo stesso giorno i corsari salpavano, portando con sé i
notabili che dovevano rimanere in ostaggio come garanzia del versamento
promesso.
Erano però tutti inquieti per le notizie ricevute dai loro
camerati di Maracaybo e anche Morgan pareva che fosse un po' scosso.
Non li preoccupava il riattamento e l'armamento del forte
della Barra, bensì l'arrivo della squadra spagnola, composta di navi d'alto
bordo, armate ognuna di sessanta cannoni e montate da forti equipaggi.
Che cosa avrebbe potuto fare la squadra, composta quasi tutta
di caravelle relativamente piccole, assai vecchie e malamente armate? Solo la
fregata di Morgan avrebbe potuto impegnare la lotta e anche quella con nessuna
probabilità di vittoria.
«Che cosa farete, signor Morgan?» chiese Jolanda, quando il
filibustiere scese nel quadro per informarla della gravità della situazione.
«Non lo so ancora» rispose il filibustiere «ma noi non ci
arrenderemo di certo e ci difenderemo finché rimarrà sulle nostre navi un solo
uomo ed una sola carica di polvere.»
«Se vi prendessero, che cosa vi farebbero gli spagnoli?»
«Ci impiccherebbero, senza misericordia.»
«E quale sarebbe la mia sorte?»
Morgan guardò la fanciulla, che gli aveva rivolta quella
domanda con una voce assolutamente tranquilla, come se la cosa quasi non la
riguardasse.
«Signora,» disse il filibustiere «non siete ancora nelle loro
mani, e per impossessarsi di voi, bisognerebbe che passassero prima sul corpo
di noi tutti.»
«E se gli spagnoli l'avessero piuttosto con me che con voi?
Sapete a che cosa pensavo in questo momento?»
«A chi?»
«Al conte di Medina.»
«Al governatore di Maracaybo?»
«Io sono quasi certa che sia stato lui a far giungere la
squadra spagnola per riavermi in sua mano.»
«Ciò è possibile, signora. Quell'uomo ha infatti molto interesse
a tenervi prigioniera. Ci tiene ai milioni di vostro nonno; se così non fosse
non avrebbe mandato due fregate alle piccole Antille, per aspettare la nave che
vi conduceva in America.»
«È il governo spagnolo che vuole privarmi dell'eredità materna,
o lui?»
«Lui, signora.»
«Non ha diritti da vantare sulle possessioni lasciate dal
duca, mio avo.»
«Ne siete ben certa?» chiese Morgan. «Non vi ha detto nulla,
quando vi condussero in sua presenza?»
«Mi ha solamente invitata a firmare la rinuncia dei miei beni
posseduti nel Venezuela ed a Panama» rispose Jolanda.
«Con quale pretesto?»
«Che mi erano stati sequestrati dal vice re di Panama, per
risarcire le popolazioni danneggiate dalle scorrerie fatte da mio padre e dai
suoi saccheggi.»
«Miserabile!» esclamò Morgan. «Tutti, gli spagnoli compresi,
non ignoravano che vostro padre non volle mai una sola piastra fruttata dalle
imprese dei corsari. Egli possedeva nella sua patria castelli e terre
sufficienti per non averne bisogno, e lasciava la sua parte, che gli spettava
per diritto di conquista, ai suoi marinai.
«Non avete alcun sospetto di chi possa essere quel conte?»
«Perché mi fate questa domanda, signor Morgan?» chiese la
fanciulla con sorpresa.
«Desideravo saperlo.»
«È uno spagnolo, che forse odiava mio padre più degli altri.»
Morgan tacque per qualche istante, facendo il giro del
salotto, poi chiese:
«Quando vostro padre morì da eroe sulle Alpi, combattendo
contro lo straniero, chi s'incaricò di voi?»
«Una mia lontana parente.»
«Non vi siete mai accorta che attorno a voi si esercitasse una
certa sorveglianza?»
Jolanda, a quella domanda era rimasta muta, interrogando cogli
sguardi il corsaro.
Ad un tratto si batté la fronte colla mano, dicendo:
«Fritz...»
«Fritz!...» esclamò Morgan. «Chi era costui?»
«Un fiammingo, venuto non so da dove, che la mia parente aveva
preso ai suoi servigi e che non mi lasciava un solo istante.»
«Vecchio o giovane?»
«Aveva allora trent'anni.»
«Quando lasciaste l'Europa, vi accompagnò?»
«Sì, capitano.»
«Che cosa è avvenuto di quell'uomo?»
«Non lo so. Scomparve dopo l'abbordaggio dato alla nave
olandese che mi conduceva in America. È morto nel combattimento o fu fatto
prigioniero, io non lo so.»
«Ecco il traditore» disse Morgan.
«Perché?»
«Deve essere stato lui ad informare il governatore di
Maracaybo della vostra partenza per l'America.»
«Voi dunque credete?...»
«Io dico che quell'uomo ve lo aveva messo a fianco il conte di
Medina.»
«Tanto interesse aveva il governatore a sorvegliarmi?»
«Più di quello che credete, signora» disse Morgan. «Un giorno
ne saprete di più. Se però gli spagnoli pensano di riprendervi, ora che siete
sotto la protezione dei Fratelli della Costa, s'ingannano. Ah!... Vengono a
chiudermi il passo con tre vascelli d'alto bordo!... Ebbene, noi la vedremo.
Vivete tranquilla, signora di Ventimiglia. L'antico luogotenente di vostro
padre, mette la sua spada a vostra disposizione.»
Morgan, così parlando, cosa strana, si era animato, ciò che
accadeva ben di rado in un uomo del suo carattere, piuttosto chiuso e freddo.
Lasciò il quadro e risalì in coperta, più preoccupato però di
quello che realmente sembrasse.
Le navi della squadra veleggiavano in gruppo, come se
temessero da un momento all'altro la comparsa dei tre formidabili vascelli
spagnoli, che ormai sapevano lancianti sulle loro tracce.
Stringevano soprattutto il vento, per tenersi ben presso la
fregata di Morgan, come uno stormo di pulcini che non si sentono sicuri che
presso la chioccia.
Gibraltar da parecchie ore era ormai scomparsa ed il vento le
spingeva rapidamente verso Maracaybo.
«Ebbene, capitano?» chiese Carmaux, abbordando Morgan che
passeggiava sul ponte di comando.
«Che cosa vuoi, vecchio mio?»
«Come ce la caveremo?»
«Ti ricordi di Puerto Limon?» chiese ad un tratto Morgan,
fermandosi dinanzi a lui.
«Come fosse ieri, comandante.»
«Come ha fatto il Corsaro Nero a sbarazzarsi delle navi
spagnole, che gli chiudevano il passo?»
«Ha preparato un buon brulotto pieno di zolfo e di pece e lo
ha mandato contro di loro.»
«E il risultato?»
«Una nave incendiata e l'altra in pericolo.»
«E noi faremo lo stesso» rispose Morgan. «Vi è la Caramada,
che non vale cinquemila piastre, compresi i suoi dodici cannoni.
«La trasformeremo in un brulotto e la scaraventeremo contro le
navi spagnole. Tutto finirà bene, mio vecchio Carmaux: lo vedrai.»
«Abbiamo la figlia del Corsaro Nero e non possiamo ridarla
nelle mani degli spagnoli. Io sono pronto a dare la mia vecchia pelle per
quella fanciulla.»
«Ed io a dannare anche la mia anima» rispose Morgan, con
accento così caldo che fece alzare il capo al vecchio marinaio. Poi, quasi si
fosse pentito di aver detto troppo, aggiunse con un accento freddo: «Faremo
quello che potremo.» E riprese la sua passeggiata, con un passo però più
agitato di prima, borbottando: «Sì, quello che potremo.»
Alla mezzanotte, la squadra, che aveva avuto il vento sempre
favorevole, giungeva dinanzi a Maracaybo, accolta con grida di giubilo dalla
piccola guarnigione che vi aveva lasciata.
Disgraziatamente le notizie recate a bordo da essi erano poco
incoraggianti. Il forte della Barra era stato munito formidabilmente di nuove
artiglierie, durante quelle sei settimane e occupato da una forte guarnigione,
e le navi spagnole non avevano lasciati i loro ancoraggi in attesa di dare ai
corsari una terribile e decisiva battaglia.
La via era chiusa, per riguadagnare il mare dei Caraibi, e una
lotta era impossibile ad evitarsi.
Morgan, che non si sentiva in grado di assalire le grosse navi
spagnole, prese nondimeno e senza esitare il suo partito, colla speranza di
spaventare i nemici e deciderli a lasciarlo andare.
Fece scendere in una scialuppa alcuni prigionieri, scelti fra
i più influenti e la stessa notte li mandò all'ammiraglio spagnolo, intimandogli
di lasciargli sgombra la ritirata, se voleva evitare la distruzione della città
ed il massacro di tutti gli ostaggi che aveva a bordo.
L'alba non era spuntata, che i messaggieri tornavano
scoraggiati a bordo, recando la notizia che l'ammiraglio avrebbe pagato il
riscatto chiesto con delle palle di cannone e che si sarebbe ritirato solamente
dopo la restituzione del bottino preso nelle due città e di tutti i
prigionieri, gli schiavi negri compresi e soprattutto della signora Jolanda di
Ventimiglia.
Udendo quelle pretese, soprattutto l'ultima, un terribile
scoppio d'ira si era manifestato fra gli equipaggi della squadra. Tutto,
piuttosto che rendere la figlia del Corsaro Nero; questo era stato il grido che
era echeggiato su tutte le navi.
Morgan aveva subito chiamato a bordo della Folgore i
vari comandanti, dicendo loro:
«Volete voi accettare la vostra libertà, col sacrificio del
vostro bottino e della signora di Ventimiglia, o difendervi?»
La risposta, a nome di tutti, la diede Pierre le Picard, che,
dopo Morgan, era quello che godeva maggior influenza fra i filibustieri.
«Preferiamo farci uccidere dal primo all'ultimo, piuttosto che
rendere la figlia del Corsaro Nero. I Fratelli della Costa mai si macchieranno
d'una simile viltà.»
Avendo però riflettuto meglio alle forze imponenti di cui
disponeva l'ammiraglio spagnolo, decisero di mandargli altri messaggeri,
coll'incarico di dirgli che avrebbero abbandonato Maracaybo senza distruggerla,
che abbandonavano il pensiero di esigere un riscatto e che si offrivano di
mettere in libertà tutti gli ostaggi e metà degli schiavi e dei prigionieri di
Gibraltar.
Non vedendo giungere risposta alcuna e sospettando che gli
spagnoli cercassero di guadagnar tempo, per avere qualche altra nave di
rinforzo, Morgan decise di agire senza ritardo e di sorprendere la flotta
avversaria.
Aveva già messi gli occhi sulla Caramada, che era una
delle più grosse, ma anche delle più vecchie navi della squadra, e che poteva
prestarsi ottimamente per farne un brulotto fiammeggiante da lanciare fra le
navi spagnole.
Fece asportare quanto poteva avere valore, poi fece riempire
la nave di zolfo, di pece, di bitume, di grassi e di legnami resinosi, onde, da
un momento all'altro, prendesse fuoco da prora a poppa, poi fece collocare
sulla coperta dei fantocci con cappellacci alla filibustiera, che volevano
rappresentare uomini, e piantare sulla ribolla del timone il grande stendardo
d'Inghilterra, onde far credere agli spagnoli che quella fosse la nave
ammiraglia.
Sei giorni furono impiegati in quei preparativi, durante i
quali l'ammiraglio spagnolo, che si credeva ormai sicuro di tenere in suo
potere i corsari, non diede segno di vita, mentre avrebbe potuto facilmente
piombare sulla squadra, sgominarla e affondarla senza troppa fatica.
Verso il tramonto del settimo giorno, Morgan, dopo d'aver
fatto giurare ai suoi uomini di non chiedere grazia fino all'ultimo sospiro,
diede il segnale della partenza.
La nave-brulotto, che era montata da un
pugno d'uomini scelti fra i più valorosi, apriva la marcia con tutte le vele
sciolte, per meglio mascherare i fantocci della coperta.
La seguiva a breve distanza la fregata di Morgan, poi venivano
le altre navi su due colonne.
Una profonda ansietà regnava su tutti i ponti, poiché nessuno ignorava
che se il colpo non riusciva era la fine di tutti.
Morgan, al momento di muoversi, era sceso nel quadro dove
Jolanda si trovava.
«Signora» le disse con una certa emozione. «Noi stiamo per
giuocare una partita disperata, forse la più tremenda di quante io ne abbia
impegnate cogli spagnoli. Checché succeda non lasciate il quadro. Se la nave
affonderà all'ultimo momento mi troverete al vostro fianco.»
«Signor Morgan» rispose la fanciulla, alzando su di lui i suoi
begli occhi, «voi potreste risparmiare questa battaglia che può costare tante
vite umane. Me soprattutto che gli spagnoli vogliono: cedetemi a loro. Sono una
donna e non mi faranno alcun male.»
«Mai, signora. I filibustieri sono pronti a dare la loro vita
per la figlia di colui che fu il più grande eroe del mare. E poi, signora,
correreste più pericoli voi che noi.»
«Io?...» chiese Jolanda con stupore. «Sono i miei possessi che
vogliono e non già la mia vita. Se li prendano dunque e dirò, come mio padre,
che ho in Piemonte abbastanza terre e castelli, per farne a meno di quelli che
possedeva qui mio nonno.»
«Se si trattasse solamente di questo, signora» disse Morgan,
«non avrei esitato, col vostro consenso, ad aprire trattative coll'ammiraglio
spagnolo, ma c'è ben d'altro che voi ignorate. Volete un consiglio? Guardatevi
dal governatore di Maracaybo, dal conte di Medina, perché quell'uomo cercherà
di farvi tutto il male possibile.»
«Per quale motivo? Io non l'ho mai veduto prima del mio arrivo
in America.»
«È un segreto, che per ora non vi posso svelare. Addio
signora, e se le palle mi risparmieranno, ci rivedremo dopo la battaglia. Ecco
il cannone che comincia a tuonare. Pregate per le nostre armi.»
Ciò detto, Morgan si slanciò verso la scala, che metteva sul
ponte, gridando:
«Pronti per l'abbordaggio, miei prodi!...»
Il brulotto non si trovava allora che a mille passi dalle navi
spagnole, le quali stavano salpando le àncore, per dare addosso alla squadra.
Erano tre grosse fregate di sessanta cannoni ciascuna, dai
bordi altissimi ed il castello pure assai alto, già pieno d'armati.
Le navi filibustiere, eccettuata la fregata di Morgan,
facevano una ben meschina figura, di fronte a quei poderosi colossi.
Pareva però che gli spagnoli, confidando nelle proprie forze, non
avessero troppa fretta di muoversi, né di aprire il fuoco.
La sola nave ammiraglia era stata lesta a salpare le àncore, e
si dirigeva verso il brulotto per tagliargli il passo.
Cosa appena credibile: invece di far tuonare i suoi sessanta
cannoni, che sarebbero stati più che sufficienti per mandarlo a fondo in pochi
minuti, tanto più che, come abbiamo detto, Morgan aveva resa la Caramada
un puro scheletro, gli muoveva addosso per abbordarlo!...3
Era quello che desideravano i filibustieri, i quali stentavano
a credere d'aver tanta fortuna.
«Tuoni d'Amburgo!...» esclamò Wan Stiller, che dal castello
della Folgore seguiva attentamente la marcia del brulotto. «Quegli
spagnoli sono pazzi!...»
«Fanno a meraviglia il nostro giuoco, compare» disse Carmaux,
che gli stava presso. «Fra poco vedremo un bel fuoco!...»
La distanza fra il brulotto e la nave ammiraglia scemava a
vista d'occhio, e nessuna cannonata partiva ancora dall'enorme nave.
Solo le altre due cominciavano a sparare qualche colpo sulla
squadra, maltrattandola abbastanza gravemente.
I marinai della Caramada, nascosti dietro le murate,
colle torce accese, aspettavano in silenzio.
Ad un tratto il pilota, che stava
semi-coperto sotto il grande stendardo inglese, vedendo la
nave ammiraglia di traverso, con un colpo di ribolla le cacciò il bompresso fra
le sartìe, urlando:
«Fuoco!... Date fuoco!... E gettate gli arponi
d'arrembaggio!...»
I dieci o dodici uomini, che montavano la Caramada,
scagliarono le torce fra i cumuli di zolfo, di bitume e di pece, che si
trovavano dispersi per la coperta fra il legname resinoso, che ingombrava la
stiva, lanciarono poscia i grappini d'abbordaggio fra le griselle della
fregata; quindi, approfittando dello stupore degli spagnoli, si gettarono in acqua,
raggiungendo a nuoto la scialuppa che si trovava dietro la poppa e recidendo la
fune che la tratteneva.
Una fiammata immensa, prodotta dall'esplosione di alcuni
barili di polvere, nascosti fra le materie infiammabili, s'alzò sulla Caramada,
investendo la velatura ed il sartiame della nave ammiraglia e costringendo gli
uomini che si trovavano sulle murate, pronti a respingere il temuto
abbordaggio, a fuggire.
Una luce intensa illuminava il mare e le navi. Il brulotto
ardeva come uno zolfanello e con lui l'ammiraglia, la cui alberatura era ormai
tutta in fiamme.
Un urlo immenso era echeggiato fra i filibustieri:
«Avanti, Fratelli della Costa!... Addosso!...»
Mentre le navi minori investivano l'ammiraglia,
cannoneggiandola furiosamente, per impedire agli spagnoli di spegnere
l'incendio, Morgan si era gettato addosso ad un'altra nave, la più grossa della
squadra, tempestandola coi suoi quaranta cannoni.
La terza aveva già ai fianchi le due navi della riserva, che
erano le meglio armate dopo la Folgore, e montate per la maggior parte
da bucanieri, quegli impareggiabili tiratori, che non avevano rivali al mondo e
che con ogni palla uccidevano.
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