Durante tutta la giornata, la tempesta continuò ad
imperversare senza un momento di tregua, malmenando la povera fregata, ed i
pezzi non cessarono di sgangherarle i fianchi, sfondando parecchi madieri e
tutte le tramezzate.
Non fu che verso sera, che il mare cominciò a calmarsi e che
il vento cessò di soffiare da ponente, girando verso il settentrione.
In quelle dodici ore la nave si era ridotta in uno stato
veramente miserando. Galleggiava ancora, ma era mezza piena d'acqua, entrata
dagli squarci aperti dagli urti formidabili di tutti quei pezzi, che nessuno
aveva più osato fermare.
Tutte le murate, eccettuata quella poppiera del cassero, erano
scomparse e solo ancora resisteva, per un vero miracolo, l'albero di mezzana;
ma non poteva essere di alcuna utilità, poiché nessuno avrebbe osato spiegare
alcuna vela per il timore di vederlo rovinare.
«È finita» disse Carmaux, che guardava desolato la tolda della
nave, ingombra di rottami. «Se non sarà questa notte, domani, questa povera
carcassa si inabisserà, a meno che troviamo qualche scogliera o qualche costa
su cui arenarla.»
«Che cosa dice il signor Morgan?» chiese don Raffaele che gli
stava presso.
«Dice che ha intenzione di far costruire delle zattere.»
«Quando?»
«Questa notte.»
«Entra ancora acqua?»
«La fregata beve senza tregua» disse Carmaux.
«Allora anche la figlia del Corsaro è in pericolo» disse don
Raffaele. «Non valeva la pena di assalire Maracaybo, per poi lasciarsela
prendere dal mare.»
«Vi ho detto che si costruiranno delle zattere e... Oh!... Là, là!... Non
ci mancherebbe altro!... Se ci scorgono la finiremo prima. Furie
dell'inferno!...»
«Che cosa avete?»
Carmaux non rispose. Curvo innanzi, sull'orlo estremo del
castello di prora, guardava attentamente verso il settentrione.
«Che cosa cercate dunque?» chiese don Raffaele. «Io non vedo
che dell'acqua nera.»
«Aspettate un po', deve esservi ancora mare agitato lassù.
Aspettiamo che ricomparisca.»
«Ma chi?»
Invece di rispondere Carmaux scese a precipizio la scala che
metteva sulla coperta e si diresse correndo verso il cassero, dove Morgan
cercava di far collocare una specie di timone, formato con un pennone, alla cui
estremità, che doveva immergersi, aveva fatto inchiodare due ceppi d'àncora,
onde poterlo far funzionare come un remo gigantesco.
«Capitano» disse il filibustiere, con voce agitata. «Vi è una
nave in vista.»
«Dove?» chiese Morgan, traendolo da una parte.
«Viene dal settentrione. Ho scorto or ora i suoi fanali.»
«Sei certo di non esserti ingannato?» chiese il comandante,
dopo aver gettato un rapido sguardo nella direzione indicata dal filibustiere,
senza scorgere nulla
«Ho la vista buona.»
«Seguimi sulla coffa. Di lassù vedremo meglio.»
Salirono le griselle di babordo dell'albero di mezzana e, giunti
sulla cima del primo travo, scorsero infatti verso il nord due punti luminosi,
che spiccavano nettamente sul tenebroso orizzonte.
«Sì, una nave» disse Morgan. «Non deve trovarsi che a cinque o
sei miglia da noi e ci si presenta di prua.»
«Non vi pare però che quei lumi siano immobili?» chiese
Carmaux, dopo di aver osservato con maggior attenzione.
«Forse t'inganni» rispose il capitano. «Tuttavia non mi sembra
che quella nave cammini troppo, quantunque abbia il vento in favore.»
«Che sia una delle nostre?»
«Che viene dal nord, ossia da Cuba o da San Domingo? Uhm!...
Non può essere che una spagnola, diretta a qualche porto del Venezuela, o a la
Guayra od a Cumana.»
«Se potessimo abbordarla e lasciare questa carcassa, ormai
destinata a sparire? Sono certo che i nostri uomini non esiterebbero,
trattandosi di salvare la pelle.»
Morgan aveva guardato Carmaux, come fosse stato colpito da
quell'audace idea.
«E perché no?» disse poi, quasi parlando fra sé. «Abbordarla
in silenzio, invadere bruscamente il ponte, assalire l'equipaggio colla
sciabola, giacché la polvere quasi ci manca? Forse che Braccio di Ferro non ha
fatto altrettanto, quando la sua nave, rotta dalla tempesta, stava per
inabissarsi?»
Scese in coperta e chiamò attorno a sé i suoi marinai. Aveva
preso risolutamente il suo partito.
«Una nave, che ritengo sia spagnola, sta per attraversarci la
rotta. Preferite attendere qui, su questo rottame, la morte che non sarà lunga
a venire o tentare la sorte? Siamo ancora in sessanta e con tale numero altri
filibustieri hanno compiuti dei prodigi straordinarii. Se voi vorrete io
cercherò di guidarvi ancora alla vittoria. Chi si rifiuta esca dalle file.»
Nessuno si era mosso, anzi tutti avevano estratte le loro
corte sciabole, come se la nave da assalire fosse ormai a pochi passi.
«Verrete tutti?» chiese Morgan.
«Sì, tutti» risposero ad una voce i corsari.
«Che nessuno accenda un lume, che nessuno mandi un grido ed io
rispondo del successo» disse Morgan. «La nave non è che a cinque o sei miglia,
cerchiamo di raggiungerla e chi ha un po' di polvere la tenga in serbo per gli
ultimi colpi.»
L'impresa non era certamente facile e poteva terminare in una
completa catastrofe, ma i filibustieri non erano uomini da esitare sulle loro
decisioni e quella tenacia costituiva probabilmente la loro forza.
Potendo disporre solo dell'albero di mezzana e che per di più
era pericolante, pensarono a tutta prima di assicurarlo, onde poter spiegare la
latina poppiera, ciò che fecero rapidamente, non mancando a bordo né paterazzi
né sartìe di ricambio.
Issarono quindi un palo a prora, al posto del trinchetto, per
sciogliere al vento una gabbia, e fissarono un pennone al posto del bompresso.
Il timone, bene o male, già funzionava e poteva bastare per
guidare il rottame per un tratto relativamente così breve.
Dopo che il mare si era calmato, anche i cannoni avevano
cessato le loro sarabande, quindi essi potevano accostarsi, col favor delle
tenebre, alla nave, senza che alcun rumore li tradisse.
Alle undici di notte la fregata era sotto vela e si dirigeva
lentamente verso i due punti luminosi, che erano ormai perfettamente visibili
anche agli uomini della coperta.
Pareva però che la spagnola, in quell'ora consumata dai
corsari nei loro preparativi, non avesse guadagnato gran che. Era stata anch'essa
gravemente danneggiata dalla bufera, che doveva aver battuto tutto il mare dei
Caraibi e fors'anche il golfo del Messico, oppure le mancava il vento?.
Quella semi-immobilità preoccupava non
poco i corsari, quantunque a loro giovasse perché in tal modo potevano
accostarla prima che sfuggisse.
«Che cosa ne pensi, Carmaux?» chiese Wan Stiller, vedendo il
compagno grattarsi furiosamente la testa.
«Io penso che quel legno deve avere le gambe rotte per non
poter camminare. Se le avesse sane, a quest'ora dovrebbe essere già qui.»
«Che abbia perduto il timone? Vedo parecchi lumicini brillare
sul cassero.»
«Anch'io li ho osservati e tu, compare, potresti avere
ragione. Quei lumi rischiarano probabilmente i carpentieri, occupati a compiere
qualche urgente riparazione. Purché giungiamo prima che abbiano finito!...»
«Non siamo che a tre o quattro miglia, e Morgan dirige il
rottame, in modo da tagliare la strada alla nave spagnola.
«Sono certo che glielo getterà attraverso la porta.»
«E farà bene» rispose Carmaux. «Saliremo per le trinche e le
dolfiniere del bompresso e saremo sul castello prima che gli spagnoli possano
rimettersi dalla sorpresa causata dall'investimento.»
«E la figlia del Corsaro Nero?»
«Ci saremo noi a proteggerla ed a salvarla, se la fregata
andrà a picco. Morgan me ne ha dato l'incarico.»
Il rottame intanto continuava ad avanzarsi lentamente, quasi
senza far rumore. Essendo semi-pieno d'acqua, era ormai
così basso da non poterlo facilmente scorgere, tanto più che Morgan aveva fatto
tingere di scuro la vela di gabbia, che era sufficiente per nascondere la
latina poppiera.
I corsari avevano fatti i loro preparativi di combattimento ed
occupati i posti loro assegnati da Pierre le Picard.
Il numero più grosso era stato radunato a metà nave, e non era
stato armato che di pistole e di sciabole.
Due dozzine d'uomini, divisi in due gruppi, erano stati
piazzati sul cassero e sul castello di prora, forniti d'archibugi, perché
proteggessero i loro compagni nel caso che la sorpresa non riuscisse.
Erano quasi tutti bucanieri, tiratori infallibili: ogni
archibugiata gettava un uomo fuori di combattimento, morto o ferito.
A mezzanotte, il rottame non si trovava che a poche gomene
dalla nave e nessuno degli uomini di guardia pareva che essersi accorto del
pericolo.
Era un grosso veliero, a due alberi, con numerosi sabordi;
probabilmente qualche nave mercantile armata da guerra e forse montata anche da
un numeroso equipaggio.
Carmaux non si era ingannato, affermando che gli pareva
immobile. Ed infatti aveva le vele quasi tutte imbrogliate e non s'avanzava che
per la spinta del vento che agiva sulla massa.
Verso poppa, oltre i due grossi fanali, si vedevano agitarsi
parecchi lumi, e si udivano risuonare dei colpi sordi, come se l'equipaggio
fosse affaccendato ad eseguire qualche urgente riparazione.
«Io credo che stiano cambiando il timone» disse Morgan a
Pierre le Picard, che lo interrogava. «Non scorgo alcuna ombra sul castello. Si
tengono sicuri di non fare cattivi incontri. Avverti gli uomini di tenersi
pronti. Getterò la fregata attraverso la prora del veliero.»
«Sarò alla loro testa» disse il filibustiere, scendendo sulla
tolda colla spada sguainata.
«Carmaux!...»
«Signore» rispose il francese, che in quel momento saliva con
Wan Stiller per ricevere gli ultimi ordini.
«Nel quadro, vecchio mio, presso la signora di Ventimiglia. Se
la fregata nell'urto dovesse sfasciarsi, gettatevi subito in mare assieme a lei
e badate di non farvi assorbire dal gorgo.»
Per la prima volta forse in vita sua, il fiero filibustiere
pareva profondamente commosso.
«M'hai udito, Carmaux» disse, dopo un istante di silenzio.
«Perdere tutto sì, ma non quella fanciulla.»
«Contate su di noi, signor Morgan» disse Carmaux. «Checché
accada, la signora di Ventimiglia sarà salva. Vieni compare Wan e stacca i
salvagente.»
Erano appena scomparsi, quando si udì sul castello di prora
del veliero una voce a gridare:
«Un'antenna!... Che cos'è che s'avanza?... Ohe, del...»
La voce fu coperta da uno scricchiolìo sinistro e da un cozzo
non troppo forte.
Morgan, con un colpo di barra aveva gettato il rottame
attraverso la prora del veliero, da cui non distava ormai che pochi passi.
Nel medesimo istante si udì la voce di Pierre le Picard
gridare:
«Su, lesti!...»
Il bompresso si trovava sopra la tolda della fregata, che
attraversava da babordo a tribordo, e la dolfiniera rasentava colla sua
estremità inferiore il tavolato.
Al comando di Pierre le Picard, quaranta uomini si
slanciarono, senza mandare un grido, verso le trinche, issandosi con rapidità
fulminea sull'albero.
In un momento vi sono sopra e si slanciano verso il castello
di prora, silenziosi come una legione di fantasmi.
Tre o quattro marinai del veliero, appena rimessisi dallo stupore,
prodotto da quell'urto inatteso e allarmati dal grido del loro camerata,
salivano in quel momento la scala, mentre a poppa si udivano incrociarsi
domande e risposte e si vedevano delle ombre accorrere con delle fiaccole in
mano.
Pierre le Picard che per primo era giunto sul castello, balzò
come una tigre sull'uomo di guardia che aveva dato il primo allarme, e lo
uccise.
Gli altri, che vedono irrompere tutte quelle persone e che non
sapevano lì per lì spiegarsi da dove potessero essere salite, cercano di darsi
alla fuga.
I filibustieri, che sono già saltati in coperta, piombarono
addosso turando loro la bocca e li legarono, gettandoli verso la murata più
vicina.
Morgan, vedendo che la fregata, malgrado l'urto subito,
continuava a galleggiare, aveva intanto raggiunto il grosso dei bucanieri,
occupando fortemente il castello.
L'attacco era stato così fulmineo e così silenzioso, che,
quando comparvero gli spagnoli che lavoravano a poppa, quasi tutti i corsari
della fregata si trovavano a bordo del veliero.
Vedendoli avanzare colle torce in mano, Morgan lanciò innanzi
i suoi archibugieri, gridando:
«Arrendetevi o comando il fuoco!...»
Gli uomini di guardia si fermarono di botto, terrorizzati. Non
erano che sette od otto e non avevano altre armi che dei martelli e qualche
scure.
Vedendosi puntare contro tutti quegli archibugi e scorgendo il
castello ingombro di gente, gettarono i loro istrumenti, dicendo:
«Non opponiamo resistenza.»
«Dov'è il capitano?»
«Eccomi!...» gridò una voce. «Chi mi vuole? Che cosa succede
qui? Chi ha urtato?»
Un uomo sulla quarantina, che teneva in mano una pistola, era
uscito dall'ombra, esponendosi alla luce proiettata dai due grossi fanali di
poppa.
Morgan balzò verso si lui, gridandogli: «Arrendetevi,
signore!... Siamo ormai padroni della vostra nave.»
«Chi siete voi?» chiese lo spagnolo con voce minacciosa.
«Morgan, il filibustiere!...»
Lo spagnolo, udendo quelle parole, aveva alzata rapidamente la
pistola per fare fuoco. Pierre le Picard, che lo sorvegliava, fu lesto a
fargliela saltare di mano con un colpo di spada.
Quattro o cinque uomini si erano gettati addosso allo
spagnolo, alzando su di lui le sciabole, pronti ad ucciderlo.
«Rispettate i valorosi» disse Morgan. «Legatelo e conducetelo
in una cabina. «Venti uomini nella camera di prora e che si assicurino dei
marinai che dormono. «A me, Pierre le Picard!... Nel quadro!...»
Si diresse verso poppa, seguíto da una trentina dei suoi
corsari e scese nel quadro, il cui salotto era ancora illuminato.
Due uomini stavano seduti dinanzi ad un tavolo e giuocavano
tranquillamente al montes, ancora ignari di quanto era avvenuto in
coperta.
Uno doveva essere un personaggio appartenente all'alta nobiltà
spagnola, a giudicarlo dalla ricchezza delle sue vesti e dalla magnificenza
delle trine che gli guarnivano le maniche.
Era un uomo di trenta o trentadue anni, di statura alta,
quantunque magrissimo, coi capelli e la barba biondi, col naso leggermente
ricurvo, gli occhi da falco, ed il mento aguzzo, indizio certo d'una energia
poco comune.
L'altro invece, che doveva essere qualche ufficiale del
veliero, era assai più giovane e coi lineamenti più grossolani.
Vedendo irrompere Morgan, seguíto da parecchi uomini, il
gentiluomo era balzato vivamente in piedi, mettendo la destra sulla guardia
dello spadone.
«Che cosa volete voi e da dove siete sbucati?» chiese,
aggrottando la fronte. «E chi, soprattutto, vi ha dato il permesso di
disturbare la nostra partita?»
«Il permesso ce lo siamo presi noi, signore» disse Morgan,
salutandolo colla spada.
E, vedendo che lo sconosciuto accennava a trarre la spada:
«Lasciatela nel fodero, signor mio.» aggiunse, con tono un po'
ironico. «Non guadagnereste nulla ad opporre resistenza. Siamo in sessanta, e voi
dovreste conoscere ormai quanto valgono i filibustieri della Tortue.»
Il gentiluomo aveva fatto due passi indietro.
«Siete sorti dal mare o dall'inferno, voi?» gridò. «Razza
infame che il diavolo protegge per nostra disperazione!...»
«Basta!... Gettate la spada!» comandò Morgan.
«E se mi rifiutassi?»
«Vi farei uccidere, signore.»
Il gentiluomo mormorò qualche cosa fra i denti e spezzò con
dispetto la lama che aveva già estratta, gettando i due tronconi fuori dal
sabordo che era aperto.
«Chi siete voi che m'imponete la resa?» chiese con ira.
«Morgan» rispose il filibustiere. «Un nome che gli spagnoli di
Puerto del Principe, di Portobello, di Maracaybo e di Gibraltar conoscono già.»
Un pallore cadaverico si era diffuso sul viso dello spagnolo.
«Morgan» disse con voce malferma. «Anch'io conosco questo
nome.
«A quale prezzo fissate il mio riscatto? So che voi assalite
città e navi spagnole perché siete spinti da una inestinguibile sete d'oro.
«Di ciò parleremo più tardi, quando avremo saputo chi siete
voi.»
«Fatica inutile, perché io sono qui per tutti uno sconosciuto.
D'altronde non sono uso a mercanteggiare. Fissate il prezzo e la città ove
desiderate essere pagato.»
«Legate questi due uomini e chiudeteli in qualche cabina»
disse invece Morgan. «Che si mettano due sentinelle alla loro porta. «Addio
signore» aggiunse poi con voce ironica, «ci occuperemo più tardi di voi.»
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