Per il resto della notte, i due filibustieri e la signora di
Ventimiglia, che si era prontamente rimessa, non avendo riportata alcuna
ferita, lo passarono accanto al fuoco per asciugarsi le vesti, non osando
allontanarsi dalla costa.
D'altronde, prima di prendere una qualche decisione, volevano
sapere che cosa era avvenuto del veliero, che era scomparso fra le tenebre e
non si era più vista. Non credevano che fosse andato a picco, quantunque ormai
quasi pieno d'acqua; era più probabile che si fosse arenato in qualche altro
punto della costa o sui bassifondi che Pierre le Picard aveva segnalati, pochi
minuti prima che quel terribile colpo di mare si rovesciasse sulla poppa.
Se il veliero si fosse spaccato a breve distanza, certo le
grida dei naufraghi sarebbero giunte agli orecchi di Morgan e del suo compagno,
malgrado l'incessante frastuono delle onde.
Un ardente desiderio di conoscere la sorte toccata alla
disgraziata nave aveva tormentato incessantemente Morgan ed il francese,
sicché, appena i primi albori ebbero fugate le tenebre, furono lesti a
dirigersi verso i paletuvieri, colla speranza di scoprirla.
Fu un crudele disinganno: la nave era scomparsa!...
«Che sia andata a picco?» chiese Carmaux, che pensava al suo
amico Wan. «Che cosa ne dite, signor Morgan?»
«Se fosse naufragata si vedrebbero dei rottami» rispose il
filibustiere, che osservava attentamente le onde che si accavallavano ancora
violentemente, rovesciandosi verso la spiaggia. «Vedi tu delle casse, dei
barili, dei pennoni o dei pezzi di murata?»
«No, signore.»
«E nemmeno io» disse Jolanda che li aveva raggiunti. «Vedo
laggiù una punta che si protende verso il nord-est» disse
Morgan. «Può darsi che le onde l'abbiano spinta dietro quel capo.»
«Mi rincrescerebbe che il mio amico Wan Stiller si fosse
sommerso senza di me.»
«Appena potremo, ci spingeremo verso quella punta» disse
Morgan.
«Capitano» disse Jolanda, «sapete dove siamo naufragati?»
«Sulla costa venezuelana, signora, ma dove precisamente, non
ve lo saprei dire.»
«Hanno delle città qui gli spagnoli?»
«Sì, e non poche, quantunque assai lontane le une dalle altre.
Preferisco però evitarle con somma cura.»
«Come farete allora a tornare alla Tortue?»
«Non lo so, signora; per ora non pensiamo a ciò. In qualche
modo ce la caveremo, è vero Carmaux?»
«Un filibustiere trova sempre il modo di tornarsene a casa.»
«Potresti intanto offrirci qualche cosa, vecchio mio. Le
foreste del Venezuela non mancano di risorse.»
«Non ho che il mio coltello di manovra, signor Morgan.»
«Ed io la spada e la mia pistola che non prenderà certamente
fuoco. Magro armamento, se troveremo gli indiani.»
«Ve ne sono qui?» chiese Jolanda.
«I Caraibi sono numerosi su queste coste e vi sono anche delle
tribù che hanno ancora l'usanza di divorare i prigionieri di guerra. Dovremo
guardarci da loro.
Convinti di poter ben presto ritrovare i loro camerati,
lasciarono la spiaggia e si avviarono verso il margine della foresta, che
formava come una immensa muraglia di verzura e che, a prima vista, sembrava
impenetrabile.
Quelle terre bagnate dalle acque del golfo del Messico, irrigate
da fiumi giganti e benedette dal sole, sono di una fertilità prodigiosa e lo
sviluppo che viprendono le piante è straordinario.
Basta che una piantagione venga trascurata per poche
settimane, perché sia subito invasa da un caos di piante che crescono quasi a
vista d'occhio. Dopo un anno, una vera boscaglia copre ogni cosa e fa sparire
ogni traccia di coltivazione.
La foresta che copriva tutta la costa, e che, molto
probabilmente, si estendeva per un tratto immenso anche nell'interno, esistendo
in quell'epoca un gran numero di foreste vergini nell'America Meridionale,
pareva che fosse costituita, almeno sul margine, da due sole qualità di piante:
da palmizi e da bombax.
Infatti, fin dove si estendeva lo sguardo, non si scorgevano
che le foglie verdi cupe dei primi, disposte come immensi ciuffi all'estremità
di fusto non molto alti né molto grossi e assai diritti, e quelle più chiare e
meno lunghe dei secondi, che avevano tronchi più grossi e biancastri ed i rami
coperti di frutta irte di spine, che sono poi così dure da potersi adoperare
come chiodi.
Sotto quelle vôlte di verzura, strette le une alle altre,
ritte o aggrovigliate come serpenti, o giacenti al suolo, si scorgevano ammassi
di piante parassite, di liane, di racchette che danno una specie di fichi di
Barberia e di gambi sarmentosi di niku, dalla scorza bruna e lucente.
Fra i rami strillavano a piena gola dei macachi, scimmie
voracissime e ghiottissime, e svolazzavano dei tucani dal becco enorme e dei
cassichi che facevano dondolare i loro nidi in forma di borse.
In lontananza un onorato, appollaiato sulla cima del più alto
palmizio, lanciava con una monotonìa noiosa le sue note musicali: do... mi...
sol... do...
«La colazione non mancherà» disse Carmaux, dopo d'aver dato
uno sguardo alle piante.
«Forse quelle frutta spinose?» chiese Jolanda.
«Buone appena per le scimmie quelle, signora.» rispose Morgan.
«I formaggeri non sono d'alcuna utilità per gli uomini e sopratutto per gli
affamati.»
Quelle piante dalla scorza biancastra si chiamano anche così e
non già perché producano del formaggio, ma per il loro legno che è bianco e
poroso»
«E gli altri?» chiese Jolanda.
«Sono cavoli palmisti, è vero, Carmaux?»
«Sì, signore, ed è un vero peccato non avere qualche animale
da mettere allo spiedo, avendo il pane ormai assicurato.»
Anche l'arrosto stava per offrirsi da sé.»
Un grido strano, che pareva emesso da una trombetta, era
echeggiato a breve distanza.
«Che cos'è?» chiese Jolanda, stupita.
«Un segnale degl'indiani?» chiese Morgan, sfoderando
rapidamente la spada.
«È arrosto che si annuncia» disse Carmaux ridendo. «Buon
uccello l'agami. Rincresce ucciderlo, ma il ventre non ragiona. Signor Morgan,
datemi la vostra spada.»
Un bel volatile, grosso come un gallo, colle gambe
lunghissime, colle penne nere sul collo e sulle ali, a riflessi azzurro dorati
sotto il ventre e rossastri sul dorso, era balzato fuori da un cespuglio,
salutando i naufraghi con un allegro strombetto.
Quel grazioso uccello non dimostrava alcun timore per la
vicinanza di quelle tre persone, anzi le guardava a testa alta, starnazzando le
ali e continuando la sua rumorosa fanfara.
«Non scappa no quel bravo uccello» disse Carmaux, vedendo che
Morgan cercava qualche pezzo di ramo per lanciarglielo addosso, colla speranza
di abbatterlo.
«Lasciate fare a me, capitano.»
Vedendo a qualche passo un calupo diavolo, pianta che
produce dei semi che si ritengono ottimi contro i morsi dei serpenti,
specialmente se messi in infusione coll'acquavite, sgusciò alcuni di quei
granelli e li gettò al volatile, il quale si mise a beccarli tranquillamente.
«Vedete come si familiarizza subito colle persone» disse
Carmaux. «Mi rincresce, lo ripeto, ma non abbiamo di meglio.»
Mentre con una mano continuava a gettare semi, coll'altra
aveva impugnata la spada datagli da Morgan e, lentamente, s'accostava al povero
uccello, il quale non si accorgeva del pericolo.
A un tratto la lama scintillò in aria e l'agami, decapitato di
colpo, stramazzò fra le foglie secche, sbattendo le ali.
«Ah! Poveretto!» esclamò Jolanda. «Tradire così la sua
fiducia.»
«Combattiamo la lotta per l'esistenza, signora» rispose
Morgan. «Occupati del pane ora, vecchio mio, mentre io preparo l'arrosto.»
Aiutato dalla fanciulla fece raccolta di rami e riaccese il
fuoco, poi si mise a spennacchiare il volatile, mentre Carmaux, aiutandosi
colle liane, dava la scalata ad uno dei più grossi palmizi.
Pochi minuti dopo un rumore di fronde scosse e di rami
schiantati annunciava a Morgan che anche il pane era assicurato.
Pane veramente non era, poiché i cavoli palmisti non hanno
nulla a che fare cogli artocarpi che danno una pasta, che se non somiglia
precisamente a quella che si ricava dalla farina, ne fa benissimo le veci,
quantunque abbia un gusto che la fa piuttosto rassomigliare a quello di certe
specie di zucche e del gambo dei carcioffi.
I palmisti producono invece una mandorla mostruosa, lunga
talvolta quasi un metro e grossa anche come la gamba d'un uomo, bianca, liscia,
di sapore eccellente e che per gl'indiani fa le veci della cassava,
ossia delle gallette di manioca, quando questo tubero manca.
Carmaux, che era disceso, si era subito messo a scortecciare
la mandorla, quando ai suoi orecchi giunse un rumore di foglie e di rami, come
se qualcuno cercasse di aprirsi il passo fra le piante.
«Signor Morgan, all'erta!» gridò, balzando in piedi e
porgendogli la spada. «Pare che qualcuno si avvicini.»
«Qualche animale?» chiese il filibustiere, gettandosi
prontamente dinanzi a Jolanda.
«Non lo so, signore» rispose il marinaio, raccogliendo da
terra un grosso ramo che poteva servirgli da randello. «Mi pareva che qualcuno
corresse fra le piante.»
«Io non odo nulla; e voi, signora Jolanda?»
«Nemmeno» rispose la fanciulla.
In quel momento i rami d'un folto cespuglio s'erano aperti e
due indiani erano comparsi improvvisamente, impugnando un lungo arco di due
metri e delle freccie pure lunghissime, munite all'estremità d'una spina
acutissima.
Erano quasi nudi, di statura piuttosto alta, colla pelle
bruno-rossiccia, solcata da strane pitture fatte col succo
di genipa, i capelli neri, grossolani e lunghissimi, e gli occhi assai
foschi.
Attorno alle reni portavano un piccolo gonnellino di fibre
vegetali ed al collo ed ai polsi collane e braccialetti di denti d'animali
feroci e di artigli di giaguaro o di coguaro, con qualche scaglietta di
tartaruga.
Vedendo i naufraghi, si erano arrestati guardandoli con una
certa curiosità, senza però manifestare, almeno per il momento, alcuna
intenzione ostile, poi uno dei due che portava infisso nei capelli il becco
d'un tucano, fece qualche passo, dicendo in cattivo spagnolo:
«Che cosa fanno qui gli uomini bianchi?»
«Siamo naufragati la scorsa notte» rispose Morgan, che copriva
sempre, col proprio corpo, Jolanda. «E voi chi siete?»
«Caraibi» disse l'indiano.
«Come mai conosci lo spagnolo, tu?»
L'indiano prese un atteggiamento fiero, poi con un gesto
maestoso disse:
«Io sono Kumara, il più valente guerriero della tribù, che ha uccisi
molti nemici e che ha veduto la grande città degli uomini venuti colle grandi
piroghe dalla parte ove il sole si leva. Io conservo nella mia capanna la
collana di metallo bianco che mi ha dato il capo dei volti bianchi. Kumara è un
grande guerriero.»
L'indiano, terminata la sua presentazione, si era appoggiato
all'arco, sporgendo il petto e alzando la testa più che poteva in una posa
eroicomica, che fece sorridere i naufraghi.
«Signor Morgan,» disse Carmaux «aspetta la nostra risposta.»
«T'incarico di fare la mia presentazione» rispose il
filibustiere.
«Sarà tremenda.»
Fece a sua volta due passi innanzi e alzando minacciosamente
il randello come se volesse spaccare il groppone a qualcuno, gridò con voce
tuonante, indicando Morgan:
«L'uomo che tu vedi è il capo d'una immensa tribù, che non è
stata mai vinta nemmeno dagli spagnoli. Ha un numero infinito di grandi
piroghe, di tubi che scatenano il fulmine e che uccidono a grandi distanze e
può dominare, con un gesto, i venti e le tempeste. Il suo braccio è invincibile
e la spada che stringe ha tagliate più teste di quanti sono gli alberi di
questa foresta. Egli è il più grande guerriero dei paesi dove il sole si leva.»
«Non mancava altro che mi proclamasse un nume» disse Morgan,
ridendo.
I due indiani avevano ascoltato in silenzio le spacconate di
Carmaux, conservando una serietà assoluta.
«Le mie parole hanno fatto colpo» disse Carmaux. «Eccoci
diventati invincibili.»
«Se vi avranno creduto» disse Jolanda.
«Oh! Bevono grosso quelle genti» rispose il marinaio.
L'indiano che portava sui capelli il becco di tucano, scambiò col compagno
alcune parole, poi s'avanzò verso i naufraghi, dicendo:
«Voi che siete uomini così potenti, permetteteci di metterci
sotto la vostra protezione.»
«Vi minaccia qualcuno forse?» chiese Morgan.
«Sì, i guerrieri Oyaculè» rispose l'indiano che si chiamava
Kumara, guardandosi paurosamente intorno.
«Chi sono costoro?»
«Degl'indiani assai cattivi, che ammazzano i prigionieri di
guerra e che ci hanno sorpresi stamane presso le rive d'una savana, mentre
attendevamo a cacciare un maipuri (tapiro).»
«Sono uomini che hanno la pelle quasi bianca come la vostra,
il naso ricurvo una barb lunga» rispose Kumara. «Abitano le grandi foreste
dell'interno e di quando in quando fanno delle scorrerie fino sulle rive del
mare, per saccheggiare e devastare i nostri villaggi.»
«Erano molti quelli che ti hanno assalito?» chiese Morgan.
«No, sette od otto» rispose l'indiano.
«Con archi e frecce?»
«E anche con delle pesanti vanaya.»
«Che cosa sono?»
«Delle mazze di legno del ferro, di forma quadrangolare, che
essi adoperano con un'abilità veramente straordinaria.»
«Vi hanno inseguiti?»
«Sì.»
«Che siano vicini?»
«Non lo so» rispose l'indiano. «Da un'ora li abbiamo perduti
di vista.»
«E non aver nemmeno un fucile» disse Morgan, gettando uno
sguardo inquieto su Jolanda, la quale, quantunque avesse tutto compreso,
conoscendo benissimo lo spagnolo, conservava la sua solita calma.
«Avete la pistola, signor Morgan?» disse Carmaux.
«Con due soli colpi e la polvere bagnata.»
«L'asciugheremo e serberemo quei due colpi per le grandi
circostanze.»
«Facciamo colazione in fretta, poi sgombriamo» disse il
filibustiere. «Se troviamo i nostri compagni, non avremo più nulla da temere da
quei selvaggi. Sedetevi signora di Ventimiglia, e non preoccupatevi per ora.»
«Presso di voi mi sento sicura» rispose la fanciulla.
Essendo il volatile cotto, lo divisero, dandone un pezzo ai
due indiani e tagliarono la colossale mandorla che fu assai gustata da tutti.
Mentre mangiavano, Kumara narrò loro che egli ed il compagno
appartenevano ad una grossa tribù di Caraibi, che avevano il loro villaggio
sulle rive d'un profondo golfo, non molto lontano da quel luogo e che egli era
uno dei capi più rispettati e più stimati.
Terminarono la colazione senza essere stati disturbati.
Probabilmente gli antropofagi avevano smarrite le traccie dei
due indiani, o disperando di poterli raggiungere, si erano ritirati nelle loro
impenetrabili foreste.
«Sloggiamo» disse Morgan, aiutando Jolanda ad alzarsi.
«Andremo a vedere quella punta, giacché io suppongo che la nave molto
facilmente si sia sfasciata al di là.»
«E se fosse andata a picco con tutti quelli che la montavano?»
chiese la fanciulla.
«Sarebbe una grave disgrazia» rispose Morgan. «Come ritornereste
alla Tortue?»
«Non ci rimarrebbe che tentare la traversata del golfo su una
piroga indiana, un'impresa pericolosa è vero, signora, ma io sono ben deciso a
non finire qui i miei giorni» rispose il filibustiere con accento risoluto.
«Non si spingono fino su queste spiagge i corsari della
Tortue?»
Preceduti dai due indiani, che si sentivano più sicuri presso
gli uomini bianchi e che non osavano rientrare nella foresta per paura
d'incontrare gli Oyaculè, che ispiravano loro un terrore invincibile, si misero
in marcia seguendo il margine della foresta.
Essendo il vento di tramontana cessato, le onde a poco a poco
si erano calmate, invece la risacca si faceva sentire sempre violentissima su
quelle spiaggie, a causa dei numerosi bassifondi e scoglietti che la proteggevano.
Nessun rottame appariva fra i cavalloni che indicasse essere
colà naufragata una nave; piuttosto il veliero doveva essere stato respinto al
largo e trascinato al di là del capo dove probabilmente si era sfasciato.
Gli alberi della foresta a poco a poco variavano. Di quando in
quando fra i palmizi apparivano enormi gruppi di banani dalle foglie immense,
dei simaruba che hanno proprietà toniche, sia nella scorza che nelle radici e
sotto cui si nascondono, se si deve credere agl'indiani, le testuggini
terrestri; e di bambù colossali, così grossi che gl'indigeni se ne servono per
costruire delle belle canoe così resistenti da sfidare le scuri meglio
affilate.
Bande di tucani dalle penne multicolori e dal becco enorme, d'una
bella tinta gialla, svolazzavano assieme a numerosi pappagalli, mentre fra i
cespugli fuggivano delle lucertole mostruose dai fianchi di smeraldo, orribili
a vedersi e che nondimeno sono pregiatissime per la loro polpa bianca che
somiglia anche, per sapore, a quella delicata dei polli.
I due indiani, quantunque abituati ad attraversare i boschi,
procedevano con precauzione, guardando attentamente dove posavano il piede e
frugando prima, colla punta dei loro archi, le foglie secche e le alte erbe,
per non venire morsi dai serpenti che sono numerosissimi in quelle regioni o
dalle grosse formiche che producono dei dolori atroci e anche la febbre,
specialmente quelle chiamate fiamminghe, che sono le più tremende di tutte.
Già avevano veduto più d'un rettile fuggire fra le foglie e
uno, tutto nero, si era rizzato dinanzi a loro mandando un sibilo acutissimo e
tentando di morderli. Era stato un ay-ay, uno dei
più pericolosi, essendo il loro veleno così potente da causare la morte in
pochi istanti.
Un'ora dopo il drappello, superato un bosco di enormi
passiflore, che copriva quella penisoletta che si protendeva verso il mare per
alcune centinaia di metri, giungeva sulla spiaggia opposta.
Un grido era subito sfuggito a Morgan:
«Dei rottami!... La nave si è sfasciata!...»
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