Il fiume si riversava in una vastissima laguna o savana che
fosse, interrotta qua e là da banchi fangosi, su cui erano cresciuti rigogliosi
mazzi di bambù, grossi quanto il corpo d'un uomo e di manghi, i quali
immergevano nelle acque le loro radici contorte.
Le rive, quantunque assai lontane, apparivano coperte da
boscaglie che dovevano essere foltissime, a giudicarle dalla enorme quantità di
tronchi che si slanciavano a grandi altezze, stendono in tutte le direzioni
delle foglie mostruose.
Nessun canotto scivolava fra le larghe foglie delle aninga
e delle murici che coprivano vaste zone d'acqua. Volavano invece in
grossi stormi dei martini pescatori, dei beccaccini e dei ciganas,
specie di fagiani che difficilmente si allontanano dalle rive dei fiumi o delle
paludi.
Dopo essersi assicurato che quel luogo era deserto e aver
fatto legare il canotto, affinché la corrente, che si faceva sentire abbastanza
forte, non lo portasse via, Morgan si sbottonò la casacca di grosso panno e la
camicia di flanella, mettendo allo scoperto la spalla destra, dove appariva uno
squarcio, prodotto dalla freccia, che dava sangue in abbondanza.
«Mio povero amico» disse Jolanda, che guardava con visibile
commozione la ferita. «Quanto dovete soffrire!»
«Datemi la spada, signora» disse Morgan.
«Che cosa volete fare?»
«Allargare la ferita per estrarre la punta che è rimasta nella
carne.»
«Mio Dio!...»
«Bisogna levarla, signora, o produrrà un'infiammazione
pericolosa.»
«Soffrite assai.»
«Non è la prima freccia che mi colpisce. Sulle rive
dell'Orenoco ne ho ricevuta un'altra. Fortunatamente quest'indiani non hanno la
triste abitudine d'avvelenarle, se no a quest'ora non sarei più vivo.»
«Aspettate, signor Morgan» disse Jolanda.
«Che cos volete fare?»
«Non abbiamo nulla per fasciare la ferita.»
«Ecco là una pianta di cotone. Troverete al suolo delle
capsule ben fornite di peluria. Per fasciarla basterà una manica della mia
camicia di lana.
«Andate, signora Jolanda; è tempo di arrestare il sangue.»
La fanciulla aveva già osservata la pianta, che cresceva a
cinquanta o sessanta passi dalla riva, sul margine dell'immensa foresta.
Mentre si allontanava, Morgan pulì la punta della spada sulla
propria camicia, poi con coraggio straordinario la cacciò delicatamente nella
ferita allargandola, finché trovò l'estremità inferiore della freccia.
Afferrarla e strapparla violentemente colle dita, fu l'affare d'un istante.
Il dolore però era stato così intenso, che il disgraziato
cadde all'indietro mezzo svenuto.
Quando la fanciulla ritornò colle mani piene di cotone, Morgan
non si era ancora rimesso dall'atroce spasimo.
Giaceva disteso sull'erba, cogli occhi socchiusi,
pallidissimo, mentre il sangue usciva a fiotti dalla ferita.
Nella mano sinistra stringeva ancora, colle dita raggrinzate,
la punta della freccia, una spina d'ansara lunga un buon pollice, dalla punta
acutissima e resistente quanto un ago d'acciaio.
Vedendolo in quello stato, la signora di Ventimiglia aveva
mandato un grido d'angoscia:
«Signor Morgan!... Signor
Morgan!...»
Il filibustiere, a quel grido aveva riaperti gli occhi ed
aveva tentato di rialzarsi, senza riuscirvi. Le indicò la ferita, mormorando:
«Qui... arrestate... la vita fuggirà... Non spaventatevi...»
Jolanda si era inginocchiata presso di lui.
Con mano ferma pulì la ferita da cui il sangue sfuggiva
sempre, riunì delicatamente le due labbra prodotte dalla spina, vi applicò una
manata di bambagia, poi, strappato un lembo del fazzoletto di seta che portava
sul capo per difendersi dagli ardori del sole, fasciò la piaga meglio che poté.
Morgan non aveva mandato un lamento. Anzi le labbra del fiero
scorridore del mare si erano atteggiate ad un sorriso.
«Grazie... signora...» mormorò, respirando a lungo. «Mi avete
bendato... meglio d'un... medico.»
«Soffrite molto?»
«Cesserà... poi... la perdita del sangue... mi ha
indebolito...»
«Riposatevi, signor Morgan, io veglio su di voi...»
Il filibustiere accennò col capo di sì e si abbandonò fra le
erbe. Si sentiva estremamente spossato e provava negli orecchi un ronzìo
doloroso.
La febbre non doveva tardare a sopraggiungere. Già le sue gote
si colorivano d'una tinta infuocata ed il suo respiro diventava affannoso.
La fanciulla, temendo che prendesse qualche colpo di sole,
colla spada tagliò alcune gigantesche foglie di banano, piantò al suolo alcuni
rami ed improvvisò una minuscola tettoia, sufficiente a riparare il ferito.
«Ah, mio Dio!» mormorava la povera fanciulla, che si era
seduta presso il filibustiere ormai assopito. «Se vi fosse qui Carmaux. Che i
selvaggi l'abbiano ucciso? Che cosa farò io, su questa laguna, con un
ferito?...»
Morgan cominciava a vaneggiare. Dalle sue labbra, arse dai
primi assalti della febbre, uscivano parole tronche e sconclusionate.
Parlava della Tortue, della sua Folgore, di Pierre le
Picard, di Carmaux.
Ad un tratto un nome giunse agli orecchi della fanciulla,
facendola sussultare.
«Jolanda» aveva mormorato il ferito, con un tono di voce
dolcissima. «Brava fanciulla...»
«Sogna di me» disse la figlia del Corsaro.
Un rapido rossore le aveva inporporate le gote e i suoi
sguardi si erano fissati sui fieri lineamenti del filibustiere, che né il
dolore prodotto dalla ferita, né la febbre avevano alterati.
«Sogna» mormorò per la seconda volta. «E sogna di me...»
D'improvviso Morgan si scosse e aprì gli occhi, balbettando
con voce rantolosa:
«Acqua... acqua... la sete mi divora.»
Aveva fatto cenno di rialzarsi, ma la fanciulla gli pose una
mano sulla fronte, dicendo:
«No, signor Morgan, non muovetevi. Vi porterò da bere.»
«Ah!... Siete voi, signora Jolanda... quanto siete buona...
Vegliate su di me... maledetto selvaggio!...»
«Non irritatevi. Nessuno ci minaccia.»
«E Carmaux?... E Carmaux?»
«Non ho veduto più nessuno. Speriamo che siano riusciti a sfuggire
all'inseguimento degli Oyaculè.»
«Voi... sola...»
«Ho la spada e anche una palla nella pistola. Non ho sparato
che un solo colpo. Attendetemi, signor Morgan.»
Raccolse una foglia di banano, ne staccò un pezzo che arrotolò
in forma di cornetto e si avviò verso il fiume, essendosi accorta che l'acqua
della laguna era salmastra.
La foce del rapido corso d'acqua non era lontana che tre o
quattrocento passi.
La coraggiosa fanciulla vi si diresse, costeggiando il bosco,
e giunta presso la riva, si curvò per riempire il cornetto.
Stava per immergerlo, quando s'arrestò, guardando con
ispavento verso la riva opposta, che non distava più di quindici passi.
Su un albero che si curvava sul fiume, adagiato su un ramo
trasversale che radeva quasi l'acqua, stava un animale lungo oltre un metro,
colla testa piuttosto grossa, il corpo robusto, coperto da un pelame fitto e
morbido, grigiastro sul dorso con macchie e striscie nere, e bianco sotto il
ventre.
Guardava attentamente la corrente e lasciava pendere dal ramo la
coda, sfiorando dolcemente l'acqua coll'estremità di essa.
«Che sia un giaguaro?» mormorò la fanciulla, gettandosi
prontamente dietro una macchia di legno cannone.
Il fiume che la divideva dalla fiera, come dicemmo, era poco
largo in quel punto e quell'animale poteva, con un salto, varcarlo e piombarle
addosso.
Pareva però che non si fosse nemmeno accorto della presenza
della fanciulla, poiché continuava la sua misteriosa manovra senza staccare gli
sguardi dalla corrente.
«Ho commessa un'imprudenza a non prendere con me né la spada,
né la pistola» mormorò Jolanda. «Eppure bisogna che porti dell'acqua a Morgan.»
Stava per uscire dalla macchia, quando vide l'animale fare un
brusco movimento, quindi lo udì mandare un rauco ruggito.
Aveva ritirata rapidamente la coda a cui erasi attaccato
qualche cosa d'informe, che a prima vista Jolanda non comprese che cosa potesse
essere, poi curvatosi innanzi afferrò colle zampe anteriori quel corpo che si
dibatteva.
«Una testuggine» disse Jolanda. «Che abile pescatore!»
L'animale soddisfatto della sua presa, con un salto immenso si
era slanciato sulla riva, scomparendo rapidamente fra i cespugli.
«Forse quel povero rettile mi ha salvata la vita» pensò la
fanciulla.
Riempì d'acqua il cornetto e fuggì verso la laguna, guardandosi
alle spalle per paura che quell'animale si fosse deciso a varcare il fiume per
procurarsi una preda più grossa.
Quando giunse presso la piccola tettoia, Morgan era ricaduto
in un profondo torpore e giaceva, in mezzo alle foglie di banano, colle braccia
allargate e la testa rovesciata.
Jolanda stava per chiamarlo, quando retrocesse vivamente
mandando un grido d'orrore.
Sul petto del ferito, fra la camicia e la casacca, stava
accovacciato un ragno mostruoso, dal corpo peloso e nero, le zampe lunghissime,
pure pelose e rigate in giallo, armate alle loro estremità di branche
formidabili.
Aveva otto occhi, brillanti come carbonchi, di grandezza
ineguale, disposti gli uni vicini agli altri in forma d'un X.
L'orribile bestia pareva che si disponesse a rimuovere la
fasciatura della ferita.
Jolanda, inorridita, era rimasta immobile, mentre il ragno,
accortosi della sua presenza, la fissava coi suoi numerosi occhi, dardeggiando
su di lei degli sguardi feroci.
Ad un tratto si volse, raccolse la spada e vibrò un colpo di
punta, gettando il mostruoso ragno a tre passi di distanza, poi con un fendente
lo spaccò in due.
«Ah!... L'orribile mostro!...» esclamò. «Se tardavo a
sopraggiungere, dissanguava Morgan!...»
In quel momento vide il ferito riaprire gli occhi e tentare di
alzarsi.
«Voi... signora» mormorò, mentre un lampo gli illuminava gli
sguardi.
«Avete sete, signor Morgan?» chiese la fanciulla.
«Sì,.... ho la gola arsa... è la febbre che sopraggiunge e
sotto questo clima non manca mai di visitare i feriti.»
Jolanda si curvò su di lui, l'aiutò ad alzarsi un po' e gli
accostò alle labbra il cornetto che era ancora quasi pieno di acqua.
Il ferito la trangugiò avidamente fino all'ultima stilla,
mandando un sospiro di soddisfazione.
«Grazie, signora» disse.
Ad un tratto fece colle mani un gesto, come di stupore.
«Che cosa avete, signora?» chiese. «Siete pallidissima e le
vostre braccia tremano. Avete veduti gl'indiani?»
«No, signor Morgan, rassicuratevi. Guardate là quella brutta
bestia che agita ancora le sue zampe. Si era accoccolata sul vostro petto.»
«Una migale» disse Morgan. «L'odor del sangue l'aveva
attirata. Sono ben brutti quei ragni.»
«Uccidono?»
«Oh no, non sono capaci di tanto le migale. È bensì vero che
talvolta, se riescono a trovare qualche bambino addormentato, lo dissanguano
aprendogli una ferita al collo, ma non sono pericolose per gli uomini. Avete
veduto nessuno sulle rive del fiume?»
«Solo un animale che pescava le testuggini e che, ve lo confesso,
mi spaventò non poco dapprima, essendomi recata colà senza la spada.»
«Grosso molto?» chiese Morgan, che aveva provato un fremito di
spavento, non già per sé, bensì per la valorosa fanciulla.
«Pareva una giovane tigre col pelame grigio, bruno e bianco, e
striscie nere sul dorso.»
«Doveva essere invece un maracaya od un pardino, grandi
predatori sì, ma che non assalgono mai l'uomo. Ricordatevi di prendere sempre
la spada o la pistola, se sarete costretta ad allontanarvi. Io sono ora
impotente a difendervi! Vi fosse qui almeno Carmaux!...»
«Che cosa sarà avvenuto di lui, signor Morgan?» chiese
Jolanda, con voce commossa. «Che quei selvaggi lo abbiano ucciso?»
«Carmaux non è uomo da lasciarsi ammazzare come un coniglio e
poi era coi due caraibi.»
«Che vengano a cercarci?»
«Non ne dubito. Gl'indiani sanno trovare una traccia anche in
mezzo alle boscaglie e, non vedendo più il canotto, s'immagineranno che noi ci
siamo messi al sicuro in questa savana.
«Ecco la febbre che torna. Passerete una brutta notte, signora.»
«Voi, non io.»
«Allora, insieme» disse Morgan, cercando di sorridere.
«Ah!...» Infilò una mano in una tasca della casacca e aveva estratto una
scatoletta di latta. «L'esca e l'acciarino di Carmaux» disse con voce lieta. «È
stata una vera fortuna che me l'abbia data.»
«Volete che accenda il fuoco?»
«Questa sera, signora. Le belve temono la fiamma e non
oseranno accostarsi.»
«Vado a fare raccolta di legna.»
«E cercate qualche frutto per voi, signora. Non avete nulla
per la cena.»
«Se permettete tornerò al fiume onde questa notte non vi
manchi dell'acqua.»
«Siete troppo buona, signora. Se poteste trovare una cuiera
sarei lieto.»
«Conosco quelle piante» rispose Jolanda «e so come fanno
gl'indiani per avere dei buoni recipienti. Non sarà difficile trovarne.
«Addio, signor Morgan, non inquietatevi.»
La brava fanciulla prese la spada e si diresse verso la
boscaglia, coll'intenzione di attraversare il lembo che copriva una specie di
promontorio, dietro a cui doveva scorrere il fiume.
S'inoltrò dunque coraggiosamente fra le enormi piante, che
crescevano in tale numero e così vicine da non permettere al sole di
attraversare la vôlta di verzura.
Ve n'erano di tutte le specie, mescolate confusamente:
saponieri, così chiamati perché le loro corteccie e le loro bacche messe in
acqua danno una schiuma densa che ha le proprietà del sapone; cedri, che erano
privi di frutta; formaggieri; cotonieri; simaruba; palmizi e maot dalle foglie
immense.
La fanciulla ascoltò dapprima, per tema che vi fosse qualche
carnivoro nei dintorni, poi, non udendo che le note monotone dell'onorato, si
cacciò in mezzo alle piante, raccogliendo qua e là dei rami morti, che riuniva
in piccoli fasci, legandoli con dei pezzi di liana.
Non dimenticava anche la cena e faceva raccolta di manghi, che
abbondavano sul suolo, staccatisi perché troppo maturi, e anche dei grossi
aranci, che faceva cadere dai rami più bassi servendosi della spada.
Continuò così ad avanzarsi attraverso il promontorio,
affrettando il passo, perché vedeva ormai il sole declinare rapidamente e
l'oscurità addensarsi sotto le macchie.
Udiva già il mormorìo del fiume, quando scoperse la cuiera
che cercava; una pianta enorme con larghe foglie e numerosi rami, avvolti da
piante parassite ed il tronco coperto di muschio. Portava un numero infinito di
grosse zucche, lucentissime, di color verde-pallido, di
forma sferica e assai più grosse dei poponi.
Ne staccò una, la spezzò in due legandola forte con una liana
e la vuotò della polpa bianca che conteneva.
«Ecco due ottimi vasi che riempirò d'acqua per il signor
Morgan» disse.
E s'avviò rapidamente verso il fiume, passando fra enormi
cespugli, in mezzo ai quali scorgeva, non senza un profondo senso di ribrezzo,
numerose migali pelose che la guardavano coi loro occhi lucentissimi, come se
cercassero di affascinarla.
Alcune stavano invece semi-nascoste in
mezzo alle folte erbe, occupate certo a digerire gli uccelli che avevano
sorpresi nei loro nidi e le vedeva asciugarsi sul dorso peloso le loro zampe
ancora lorde di sangue.
Riempì in fretta le due metà della cuiera, poi tornò
nel bosco che attraversò più presto di prima.
Morgan era sempre coricato e aveva gli occhi aperti, fissi
sulle acque nerastre della laguna. La febbre però lo aveva ripreso ed il suo
viso, rosso come la luna piena quando s'alza in certi tramonti d'estate, sudava
copiosamente.
«Avete fatto nessun incontro?» chiese.
«No, signor Morgan. Ecco l'acqua e delle frutta. Vado a
raccogliere la legna per il fuoco di questa notte» rispose la fanciulla.
«Affrettatevi, la sera cala rapida.»
«Le fascine non sono lontani, signor Morgan.»
La fanciulla che non si sentiva affatto stanca, ritornò nella
foresta e riportò alcune fascine. Ne aveva però lasciati altri più innanzi e,
temendo che la provvista non bastasse per tenere acceso il fuoco tutta la
notte, quantunque il sole in quel momento fosse scomparso, fece una seconda
gita.
Si era già caricata degli altri fastelli, quando in mezzo ad
una folta macchia di passiflore, udì un miagolìo rauco che terminò in una
specie di ululato.
«Un'altra bestia» mormorò la signora di Ventimiglia. « Che
brutta notte si prepara.»
Si mise a correre e scese la costa senza essersi sbarazzata
dei fastelli.
Trovò Morgan seduto che stringeva nella destra la pistola.
Pareva in preda ad una viva agitazione.
«Ah!... Grazie, signora!» esclamò, vedendo la fanciulla. «Ho
tremato per voi.»
«Perché, signor Morgan?» chiese Jolanda.
«Avete udito quell'urlo?»
«Sì.»
«Era d'un giaguaro.»
«Temevate che mi assalisse?»
«Non hanno paura degli uomini quelle belve e, quando sono
affamate, non esitano a gettarsi anche contro i cacciatori. L'avete veduto?»
«No, però non doveva essere molto lontano dal luogo ove mi ero
fermata a raccogliere la legna.»
«Accendete subito il fuoco, signora.»
«Che venga a ronzare attorno al nostro accampamento?»
«Avete paura?»
«Per ora no, signor Morgan» rispose la valorosa fanciulla.
«Il giaguaro si mostrerà, ne sono sicuro. E non sono in grado
di difendervi! La febbre fra poco m'atterrerà, lo sento.»
«La vostra pistola ha ancora una palla e se quella brutta
bestia verrà, le farò fuoco addosso.
Jolanda fece due mucchi di legna e li accese a pochi passi di
distanza l'uno dall'altro, poi si sedette presso il ferito, che era ricaduto
sul suo giaciglio, mostrando in apparenza una calma ammirabile.
Nel medesimo istante, nella tenebrosa foresta s'alzava un
altro urlo, più prolungato del primo.
Il giaguaro certamente stava per scendere verso la laguna.
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