Un quarto d'ora dopo Morgan, Jolanda, Carmaux ed il piantatore
di Maracaybo si trovavano radunati in una comoda jupa coperta da tre
lati di stuoie, messa a loro disposizione da Kumara. Erano seduti davanti a due
magnifiche oche marine perfettamente arrostite e ad un cumulo di gallette di
cassava, di manghi e di ananassi.
Non mancava nemmeno un monumentale fiasco di casciri.
Tutti erano ansiosi di sapere in causa di quali fortunate circostanze
erano riusciti a sfuggire alla morte; ma, sopratutto, meravigliava
l'inaspettata presenza di don Raffaele che avevano creduto annegato.
La narrazione di Carmaux non aveva destato molto interesse.
Il bravo marinaio ed i due indiani, con una rapida corsa
riuscirono a salvarsi nella parte più folta della foresta, dove gli Oyaculè non
avevano osato inseguirli; più tardi, erano tornati verso il fiume per cercare
Morgan e Jolanda e non avendoli trovati si erano decisi di recarsi all'aldè
per chiamare soccorso e prendere un nuovo canotto onde perlustrare la laguna.
«Ora a voi, don Raffaele» disse Jolanda, quando Carmaux ebbe
finito. «La vostra presenza fra questi indiani, per noi è assolutamente
straordinaria.»
«Infatti, signora, mi sono salvato e sono qui giunto in modo
miracoloso» disse il piantatore, che mangiava per due e baciava frequentemente
il fiasco, con un accompagnamento di profondi sospiri. «Mi pare impossibile di
essere ancora vivo. Mi avevano gettato in mare per affogarmi, signore; non è vero
che io fossi caduto da me» disse don Raffaele.
«Chi ti aveva gettato?» chiese Morgan, aggrottando la fronte.
«Quel dannato capitano, temendo che io avessi riconosciuto...»
«Alt, camerata» disse Carmaux, strizzandogli l'occhio.
«…il comandante della nave» riprese don Raffaele, che era già
stato precedentemente avvertito dal marinaio di non fare cenno alcuno sul
governatore di Maracaybo.
«E quale capitano?» chiese Morgan.
«Il signor Valera.»
«Quello che mi teneva prigioniera nei sotterranei del convento
di Maracaybo?» chiese Jolanda.
«Sì, signora. Doveva essersi immaginato che ero stato io a
condurre laggiù i due filibustieri del signor Morgan e non aspettava che
l'occasione propizia per vendicarsi di me. Approfittando del momento in cui voi
eravate occupati a turare le falle apertesi nel veliero, mi seguì sul castello
di prora e, presomi a tradimento per le spalle, mi precipitò in mare, prima
ancora che avessi avuto il tempo di mandare un grido.»
«E come vi siete salvato?» chiese Morgan. «Eravamo allora
assai lontani da queste coste.»
«Ora ve lo narro. Quando tornai a galla, mezzo istupidito da
quel bagno improvviso, la vostra nave era già lontana; ma vidi, a qualche
gomena da me, il rottame della fregata che galleggiava ancora. Essendo un buon
nuotatore, mi vi diressi ed avendo trovata una fune pendente dal bordo, mi vi
issai. Il rottame, trasportato dal vento e anche da qualche corrente,
s'infranse su queste coste e mi salvai quasi miracolosamente sulla spiaggia,
dove venni poi trovato da alcuni indiani di questo villaggio e qui condotto.»
«Abbiamo infatti trovati gli avanzi della povera fregata»
disse Morgan. «Don Raffaele, voi dovete essere nato sotto una buona stella.»
«Comincio a crederlo anch'io» rispose il panciuto piantatore.
«Vorrei però...»
Che cosa voleva? Né Morgan né Carmaux poterono mai saperlo,
poiché la conversazione fu improvvisamente interrotta da alcune scariche di
fucili e da un gridìo assordante.
I due corsari, Jolanda e don Raffaele si erano precipitati
fuori della capanna, mentre i caraibi passano a corsa sfrenata attraverso le
piattaforme, seguìti dalle loro donne che urlavano disperatamente e dai loro
bambini che strillavano a piena gola.
Kumara, vedendo comparire Morgan, gli si era slanciato
incontro, dicendogli:
«Capo bianco, difendici!...»
«Chi vi minaccia?» chiese il filibustiere.
«Non so, degli uomini bianchi s'accostano all'aldè
facendo fuoco.»
«Degli spagnoli?»
«Non mi pare.»
«Andiamo a vedere.»
Morgan girò intorno ad una gigantesca capanna, che gl'impediva
di guardare verso la laguna e giunto sul margine della piattaforma scorse due
enormi zattere cariche di persone, le quali sparavano dei colpi di fucile in
aria e non già contro il villaggio.
Morgan e Carmaux avevano mandato due grida di gioia:
«I nostri compagni!...»
Erano infatti i filibustieri del veliero che s'inoltravano nel
canale che comunicava col mare, spingendo faticosamente innanzi le zattere, che
parevano formate cogli avanzi d'una nave.
C'erano, se non tutti, quasi tutti e Pierre le Picard era con
loro.
Come si trovavano lì e sopratutto per quale combinazione
fortunata erano riusciti, anch'essi, a sfuggire alla morte?
«Amici!...» aveva gridato Morgan con voce tuonante. «Cessate
il fuoco!... Siete ospiti d'indiani che non vi daranno fastidi.»
Un urlo immenso si era alzato fra i corsari:
«Il capitano!... Il signor Morgan!...»
La prima zattera, spinta innanzi da una dozzina di remi,
giunse ben presto sotto le palizzate e Pierre le Picard per il primo salì sulla
piattaforma, gettandosi fra le braccia di Morgan.
«Anche la signora di Ventimiglia!...» esclamò, accorgendosi
della presenza di Jolanda. «Ah!... Quale fortuna!...»
«E la nave?» chiese Morgan.
«Naufragata» rispose Pierre le Picard «Coi suoi rottami
abbiamo costruite queste zattere.»
«Io ho percorsa la costa senza vederla.»
«Si è sfasciata su di un isolotto, lontano quindici miglia da
queste spiaggie.
«Le onde ci avevano respinti nuovamente al largo, nel momento
in cui tu venivi portato via assieme a Carmaux e alla signora di Ventimiglia e
ci gettarono sopra dei bassi fondi. E tu? Ah!... Un momento. Mi dimenticavo di
dirti che per poco gli spagnoli ci catturarono.»
«Quali spagnoli?»
«Una nave si è ancorata a poche miglia da qui, in una baia e
per poco non scoperse i nostri galleggianti.»
«Una nave!» esclamò Morgan, nella cui mente era
improvvisamente sorta un'idea.
«Sì e grossa; a quanto mi parve.»
«Pierre, quanti uomini hai?»
«Cinquanta, essendosene alcuni annegati. I prigionieri
spagnoli sono invece fuggiti ieri sera, approfittando d'una fermata a terra.»
«Anche...»
«Sì» rispose Pierre, che lo aveva compreso.
Morgan trattenne a stento un gesto di rabbia, poi disse con
voce sorda:
«Più tardi ci occuperemo di loro; per ora abbiamo qualche cosa
di meglio da fare.»
Si curvò sull'orlo della piattaforma e, volgendosi verso i
suoi corsari che attendevano il suo ordine per sbarcare, gridò loro:
«Approdate sulla riva opposta dove fra poco vi raggiungerò.»
«Che cosa vuoi fare, Morgan?» chiese Pierre le Picard.
«I tuoi uomini hanno salvate le armi, è vero?»
«È stato il loro primo pensiero e tutti hanno l'archibugio, la
sciabola d'arrembaggio e munizioni sufficienti.»
«È grossa e molto bene armata la nave che hai veduta?»
«Un bel vascello, in fede mia» rispose Pierre le Picard.
«A noi non resta che tentare un colpo disperato, Pierre» disse
Morgan.
«Vuoi impadronirti di quella nave?»
«Sì; è l'unica risorsa che ci rimane per poter lasciare queste
coste e tornare alla Tortue.»
«Diavolo! Un'impresa che non sarà facile, Morgan. Quella nave,
a giudicarla dalla sua grossezza, deve avere un equipaggio assai numeroso.»
«Noi non siamo abituati a contare i nostri nemici» disse
Morgan «Orsù, non perdiamo tempo. Carmaux!»
Nessuno rispose. Il bravo marinaio, scorgendo sulla seconda
zattera l'amburghese, il suo inseparabile amico, lo aveva subito raggiunto.
«Sarà con Wan Stiller» disse Pierre.
«Non importa» disse Morgan.
Si volse verso Jolanda che aveva assistito al colloquio senza
parlare.
«Signora» le disse «noi partiamo per una spedizione che può
riuscire pericolosissima e non desidero esporvi. Se vi lasciassi qui, sotto la
guardia di Kumara e di don Raffaele, vi spiacerebbe? Quest'indiani sono brave
persone, incapaci di tentare qualche cosa contro di voi.»
«Vi aspetterò, signor Morgan e perfettamente tranquilla» rispose
Jolanda. «Quello che domando a voi è di non esporvi troppo. La morte d'un uomo
così valoroso e così cavalleresco, la piangerei troppo.»
Morgan era rimasto muto, cogli occhi fissi sulla fanciulla,
poi, con un gesto rapido, le aveva presa la destra portandola alle labbra.
«Signora» disse, con voce alterata da una gioia intensa «vivrò
per voi e se una palla malaugurata mi attraverserà il petto, morrò col vostro
nome sulle labbra.»
Un vivo rossore erasi diffuso sulle gote della fanciulla.
«V'aspetto, capitano» disse con un sospiro. «Che Iddio vi
protegga.»
«Addio, signora, noi saremo di ritorno prima di questa sera.»
Morgan s'allontanò rapidamente come se volesse nascondere
l'emozione che provava e scese in un canotto, dove già si trovava Pierre le
Picard con quattro caraibi.
Jolanda, ritta sull'orlo della piattaforma, lo seguiva collo
sguardo, sorridendogli, né si mosse finché il canotto non scomparve dietro gli
isolotti che ingombravano il canale.
«Sono sotto la vostra protezione, don Raffaele» disse al
piantatore. «Spero che, quantunque voi siate spagnolo, non mi tradirete.»
«Preferirei farmi uccidere, signora» disse il piantatore, con
enfasi. «Ormai io sono amico dei filibustieri e se qualcuno vorrà toccarvi,
proverà la forza delle mie braccia.»
«Conducetemi nella jupa che Kumara ha messa a nostra
disposizione.»
«I vostri desideri sono ordini per me, signora.»
Le fece largo fra gl'indiani che si erano radunati in buon
numero sull'ultima piattaforma e la precedette fino alla capanna; poi andò in
cerca di Kumara che si trovava all'altra estremità del villaggio, onde mettesse
una scorta d'onore a disposizione della fanciulla.
Aveva già combinato ogni cosa e stava per tornarsene alla
capanna, girando le piattaforme meridionali, quando i suoi sguardi caddero su
un canotto montato da una dozzina d'uomini e che sbucava in quel momento fra le
isolette che si estendevano in buon numero anche da quel lato.
Fu tale l'emozione che provò nel riconoscere le persone che lo
montavano, che dovette aggrapparsi ad un palo per non cadere.
Il pover'uomo non aveva torto a spaventarsi in quel modo,
poiché fra quei dodici uomini che s'avvicinavano rapidamente al villaggio,
aveva veduto il conte di Medina e la sua anima dannata, il capitano Valera.
Quando si riebbe, il canotto era ormai giunto dinanzi alle
prime palizzate e gli spagnoli stavano salendo sulla piattaforma.
«Sono perduto!...» mormorò don Raffaele. «Il capitano mi
getterà nella laguna e con una pietra al collo questa volta.»
Per un momento ebbe l'idea di correre alla jupa ed
avvertire la signora di Ventimiglia, ma comprese che era troppo tardi e che non
avrebbe potuto ormai fare nulla per salvarla.
«Se mi recassi ad avvertire il signor Morgan e Carmaux?» si
chiese. «Forse non sono molto lontani e potrebbero tornare ancora in tempo per
impedire al conte d'impadronirsi della fanciulla.
«Animo, non perdiamo tempo e mostriamoci coraggiosi una buona
volta.»
Sotto la piattaforma vi erano parecchi canotti legati alla
palizzata, forniti di pagaie.
Don Raffaele, che per la prima volta forse in vita sua si
sentiva nel cuore un coraggio da leone, si lasciò scivolare lungo un palo e
scese nel canotto più leggiero.
Stava per spingersi risolutamente al largo, quando un'idea
balenatagli improvvisamente nel cervello, lo trattenne.
«Io stavo per commettere una sciocchezza» disse. Spinse il
canotto sotto le piattaforme, passando abilmente fra la moltitudine di pali che
le sorreggevano e si diresse verso l'angolo orientale del villaggio.
Mentre le attraversava udiva distintamente, sopra la sua
testa, le donne e gli uomini chiacchierare ed i bambini ridere o strillare,
essendo i pavimenti delle abitazioni formati da travicelli di bambù, coperti da
tralicci di fibre legnose che non impedivano ai suoni di trasmettersi.
«Benissimo, benissimo» mormorò don Raffaele. «Non perderò una
sillaba di quanto dirà il conte alla signorina di Ventimiglia, così potrò
raccontare tutto al signor Morgan.»
Giunse così inosservato presso l'angolo orientale dell'aldè,
dove sopra sorgeva la jupa che il capo aveva destinata a Jolanda.
Tese gli orecchi e udì un passo leggiero che ora s'accostava
ed ora s'avvicinava.
«La signorina è sopra di me» mormorò. «Aspettiamo.»
Non erano trascorsi dieci minuti, quando udì dei passi
pesanti, poi la voce del conte dire:
«Rimanete qui di guardia, capitano.»
«Maledetto briccone!» mormorò Don Raffaele. «Se potessi
afferrare quel dannato Valera e tirarlo giù, sarei ben contento. Ah!... È
entrato il conte!... Apriamo gli orecchi.»
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vedendo giungere quegli uomini bianchi e salire senza
diffidenza sulle piattaforme, Kumara, seguíto dai
sotto-capi, si era affrettato ad andarli a ricevere.
Appena trovatosi di fronte al conte di Medina, non aveva
potuto frenare un grido di stupore ed insieme di gioia.
«Mi riconosci ancora, mio bravo caraibo?» chiese il
governatore di Maracaybo, con un sorriso di contentezza.
«Tu sei il grande uomo bianco che comandava quella bella città
che io ho visitato due anni or sono e che mi accolse da amico» rispose
l'indiano.
«Sì» disse il conte «io ero allora governatore di Cumana. Sono
lieto che tu abbia serbato buona memoria dell'accoglienza che ti feci in quella
città degli uomini bianchi.»
«Tengo ancora i regali che tu mi hai dati. Che cosa posso fare
ora per te? Sei mio ospite.»
«Fa dare una capanna e dei cibi ai miei uomini che hanno fame,
poi conducimi al tuo carbè avendo io bisogno di parlarti.»
Il caraibo diede ai suoi sotto-capi alcuni
ordini, poi rivolgendosi al conte:
«Seguitemi, grande uomo bianco» gli disse.
«Venite, capitano» disse il governatore, facendo a Valera un
cenno.
Mentre gli uomini che li avevano accompagnati, e che altro non
erano che marinai del veliero abbordato da Morgan, venivano condotti in una capanna.
Kumara si diresse verso il suo carbè, che era assai vasto, introducendo
il conte ed il capitano in una stanza appartata, prospettante la laguna.
«Siete in casa mia» disse, prendendo una zucca piena di casciri
ed empiendo alcuni bicchieri che aveva ricevuto in dono dagli spagnoli di
Cumana.
«Ascoltami attentamente» disse il conte «e se mi servirai
fedelmente, io regalerò a te ed alla tua tribù armi, vesti e l'acqua che brucia
la gola.»
«Conosco la generosità del grande uomo bianco» rispose Kumara,
mentre i suoi occhi s'accendevano d'una fiamma vivida.
«Stamane io ho veduto passare per il canale sette od otto
delle tue canoe, e su una vi erano un uomo bianco ed una fanciulla.»
«È vero» rispose l'indiano.
«Sono ancora qui?»
«L'uomo è partito due ore or sono assieme a molti altri uomini
bianchi che erano qui giunti con delle zattere.»
Il conte guardò il capitano Valera.
«Che Morgan si sia riunito ai suoi uomini?» chiese.
«Certo» rispose il capitano.
«È il demonio che protegge quell'uomo? Lo credevo annegato ed
invece ha ritrovato ancora i suoi maledetti corsari!... Quando finirà la sua
fortuna?
«Sai, Kumana, dove si sono recati?»
«Lo ignoro, grande uomo bianco» rispose il caraibo. «Ho udito
però parlare di uno di quei grandi canotti che hanno le ali.»
«D'una nave?»
«Sì, così voi li chiamate.»
«Che qualche legno corsaro abbia approdato su queste coste?»
disse il capitano.
«La fanciulla è partita con quell'uomo?»
«No, è qui.»
Il conte aveva fatto un soprassalto.
«Qui!...» esclamò.
«Nella jupa che le lo destinata» disse l'indiano.
«Ecco una fortuna che non speravo!... Che superba
rivincita!... Me la ritolga Morgan, se è capace. Bisognerà che ceda, la figlia
del Corsaro.»
«Adagio, signor conte» disse il capitano. «Morgan può aver
lasciata qui una scorta per proteggerla.»
«Non è rimasto che un uomo solo a guardarla» disse Kumara «e
mi sembra, anzi, che sia uno spagnolo.»
«Se cercherà opporre resistenza lo getteremo nella laguna»
disse il capitano, con accento risoluto.
«Andiamo a vederla e lasciatemi entrare solo» disse il conte.
«Tu, Kumara, avrai quanto ti ho detto.»
«L'altro uomo bianco nulla mi aveva promesso» pensò il furbo
indiano. «Serviamo questo.»
Prese il suo arco e le sue freccie e uscì seguíto dai due
spagnoli, facendo cenno agl'indiani che si trovavano sul suo passaggio di
allontanarsi.
Attraversò il villaggio acquatico e si fermò dinanzi alla jupa
di Jolanda, dicendo:
«La bella fanciulla bianca è qui.»
«E l'uomo incaricato di vegliare su di lei?» chiese il
capitano.
«Sarà andato a procurarsi del casciri» rispose
l'indiano. «Mi ha già vuotato tre fiaschi, e del migliore, preparato
appositamente per me.»
«Rimanete qui di guardia, capitano» disse il conte.
Si levò il cappello piumato, ed entrò risolutamente nella
capanna, aprendo bruscamente la porta, non senza chiedere:
«Si può?»
La fanciulla stava in quel momento rassettando la casuccia,
che era ingombra di canestri contenenti delle provviste e di stuoie di nipa.
Udendo quella voce si era vivamente voltata, mandando un grido
di sorpresa.
«Voi, signore?» chiese, inarcando le sopracciglia, e facendo
due passi indietro, mentre le sue gote si scolorivano.
«Mi riconoscete, signora di Ventimiglia?» chiese il conte di
Medina con accentò un po' ironico, mentre s'inchinava e spazzava il suolo
coll'estremità della lunga piuma del suo feltro.
«Non dimentico mai coloro che si sono dichiarati miei nemici»
rispose Jolanda, che si era prontamente rimessa dalla sorpresa.
«Io credo, signora, che voi abbiate avuto sempre torto a
considerarmi come vostro nemico» disse il governatore di Maracaybo, con
studiata cortesia. «Avete mai pensato che io potessi essere, in qualche modo,
un po' vostro parente?»
«Voi!...»
«Vostra madre era, se non m'inganno, una duchessa di Wan
Guld.»
«E così, signore?»
«E nelle mie vene» disse il conte, alzando fieramente il capo,
«scorre pure il sangue dei Wan Guld.»
«Mentite!...»
«Vostra madre, signora, nacque dalla prima moglie del duca; io
sono nato da un'altra donna che fu come seconda moglie del duca di Wan Guld. Quale
differenza passa dunque? Ma queste sono cose che non vi riguardano. Sangue
ducale scorre pure nelle mie vene e basta.»
«Allora dovreste...»
«Proteggervi, è vero, signora?» chiese il conte con voce
beffarda. «Disgraziatamente, io non sono tale uomo da difendere le persone che
sono amiche dei ladri di mare e degli amici di vostro padre.»
Jolanda si era rizzata con una mossa di leonessa ferita, col
viso rosso di collera, la destra tesa.
«Siete venuto qui a offendere la memoria di mio padre,
signore?» gridò.
«Vostro padre» disse il conte «Chi era? Un filibustiere della
Tortue, un ladro di mare al pari degli altri, insomma.»
«Signore!... Uscite!...»
«Sì, quando avrete firmata la rinuncia dei beni che mio padre
il duca di Wan Guld possiede qui, nelle colonie spagnole dell'America
meridionale e centrale. Un milione di piastre stanno meglio nelle mie tasche
che nelle vostre. Voi, d'altronde, in Piemonte avete terre e castelli a
sufficienza.»
«Non firmerò mai quella carta, signore.»
«Mai! Eh via, signora, altri hanno pronunciata quella parola e
poi non sempre l'hanno mantenuta. Non mi conoscete ancora.»
«Sì, per un miserabile!» gridò Jolanda.
Il conte di Medina diventò pallido come un cencio lavato. Per
un momento, la fanciulla lo vide curvarsi come un toro che si prepara a
gettarsi sul toreador, poi inchinarsi profondamente, dicendo:
«Allora, signora, rimarrete mia prigioniera.»
«E non pensate che io sono sotto la protezione dei
filibustieri della Tortue?» disse Jolanda.
«Sono ladri di mare!»
«Sono uomini formidabili.»
«Disgraziatamente per voi torneranno troppo tardi.» Poi con
voce recisa, disse:
«Firmate?»
«No.»
«Badate!....,
«Delle minaccie a me!... No, non firmerò mai poiché ho la
certezza che in seguito non potrei riacquistare la mia libertà!»
Una fiamma sinistra era balenata negli occhi del conte.
«Devo vendicare mio padre!...» gridò. «Mi avete indovinato!...
Vi spezzerò in due!... A me, capitano!»
Valera, che stava presso la porta e che tutto aveva udito, con
un salto si slanciò nella capanna, dicendo:
«Eccomi, signor conte.»
«Impadronitevi di questa fanciulla.»
Jolanda aveva fatto altri due passi indietro, cercando qualche
arma. Il capitano, che aveva forse indovinata la sua intenzione, in un baleno
le fu addosso, afferrandola attraverso la vita.
La fanciulla mandò un grido:
«Aiuto, caraibi!...»
Kumara era diventato però, almeno in quel momento,
completamente sordo. Pensava alle armi, alle vesti e all'acqua che rode la gola
del grande uomo bianco e credette opportuno di non muoversi.
«Firmate ora?» chiese il conte.
«No... mai!...» rispose Jolanda, che si dibatteva
disperatamente fra le braccia del capitano.
Il conte uscì dalla jupa.
«Hai una canoa pronta?» chiese a Kumara.
«Ne ho più di cinquanta» rispose l'indiano.
«Chiama i miei uomini e falli salire sulla più grossa. Io ti
aspetto a Cumana per consegnarti i regali che ti ho promesso.»
«Tu sei generoso, grande uomo bianco» rispose l'indiano. «Ed
io stesso ti condurrò a Cumana. Prima di questa sera noi vi saremo.»
«E prima di mezzanotte noi salperemo per la Costarica e di là
passeremo a Panama, è vero capitano?» disse il conte. «Vedremo se Morgan sarà
capace di venire fin là a prenderla. Là abbiamo truppe e cannoni in così grande
numero da tener fronte ad un'armata. Signora» disse poi. «Vi prego di
seguirci.»
«E dove, signore?» chiese la fanciulla.
«Lo saprete più tardi.»
«E se mi rifiutassi?»
«Mi vedrei costretto, con mio grande rincrescimento, ad
impiegare la forza.»
«Lasciate almeno che scriva un biglietto per il capitano
Morgan» disse Jolanda. «Io ho contratto degli obblighi verso di lui.»
«Non acconsentirò mai. Sbrigatevi, signora, non abbiamo tempo
da perdere.»
«Siete dei miserabili!» gridò Jolanda, con supremo disprezzo.
Il conte impallidì sotto quell'oltraggio, poi riprese subito il
suo sangue freddo.
«Le offese d'una donna non si lavano col sangue» disse.
«Basta: venite o chiamo i miei uomini.»
«Non voglio che i vostri sgherri mi tocchino. Vi seguo; il
capitano Morgan saprà raggiungervi e vendicarmi.»
«Vedremo» rispose il conte, con un sorriso ironico.
Le offerse il braccio, che ella sdegnosamente respinse e
uscirono dalla jupa.
Un gran canotto montato dagli spagnoli, da sei indiani e da
Kumara, li attendeva dinanzi all'ultima piattaforma.
Don Raffaele, che temeva di essere scorto, si lasciò cadere
nel fondo della sua imbarcazione.
Vide scendere prima il capitano, poi Jolanda, quindi il conte;
poi il gran canotto prese rapidamente il largo dirigendosi verso settentrione.
«La conducono a Panama» mormorò il brav'uomo, asciugandosi la fronte.
«La signora di Ventimiglia è perduta; i corsari mai riusciranno ad espugnare
quella grande città, che è così lontana.
«Orsù, andiamo a dare la triste notizia al signor Morgan.»
Passò sotto le piattaforme remando con gran lena e si diresse
là dove aveva veduto sbarcare i corsari, prendendo terra sul margine della
immensa foresta.
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