Non era ancora trascorsa mezz'ora, quando Carmaux,
l'amburghese e don Raffaele scendevano la scala di tribordo, sotto cui
ondeggiava una svelta baleniera fornita di due piccole vele e d'un fiocco.
Morgan li aspettava sulla piccola piattaforma inferiore, per
dare loro le ultime istruzioni.
I due filibustieri e lo spagnolo indossavano dei vestiti da pescatori,
di grosso panno azzurro, con larga fascia di lana rossa e berretto di tela
cerata. Inoltre don Raffaele, per rendersi meno riconoscibile, si era tagliato
i baffi e le lunghe basette.
«Ricordatevi del segnale e usate le maggiori cautele» disse
loro Morgan. «Io incrocerò solo di notte, cominciando da domani sera e di
giorno mi celerò in fondo al golfo di Cariaco, che è lungo e sicurissimo. Avete
tre razzi di diverso colore e voi sapete che cosa significano.»
«Il verde, aspettateci in mare, il rosso, mandate una
scialuppa, l'azzurro fuggite» rispose Carmaux. «Addio, signor Morgan, e se gli
spagnoli ci impiccano vi auguro fortuna a Panama.»
«Siete troppo prudenti e troppo astuti per lasciarvi prendere»
rispose il filibustiere.
Strinse loro la mano e risalì in coperta, mentre Carmaux
prendeva la barra del timone e l'amburghese e lo spagnolo si collocavano a
prora.
«Lascia» disse il francese.
L'amburghese sciolse la corda e la baleniera prese il largo,
filando rapidamente verso oriente.
La nave di Morgan rimase all'ancoraggio, non avendo premura di
mostrarsi nelle acque di Cumana, che potevano essere battute da navi da guerra,
avendone gli spagnoli in quasi tutti i porti, principali.
«Andiamo a meraviglia» disse l'amburghese fregandosi le mani.
«Mare calmo e vento in poppa. Quando potremo giungere, don Raffaele?»
«Non prima di domani sera» rispose il piantatore.
«Così lontani siamo dunque da quel porto?» chiese Carmaux.
«Lo suppongo e poi è meglio per voi e anche per me giungervi a
notte inoltrata.»
«Siete già stato a Cumana?»
«Conosco tutte le città del Venezuela» rispose il piantatore.
«E chi è quel vostro amico, di cui mi ha parlato il capitano?»
riprese Carmaux.
«Un notaio, che un tempo abitava a Maracaybo.»
I due filibustieri si guardarono, facendo un gesto di
sorpresa.
«Aspettate, don Raffaele» disse l'amburghese. «Quel vostro
amico, vent'anni or sono, esercitava a Maracaybo?»
«Sì.»
«Un giorno la sua casa fu distrutta dal fuoco, è vero?»
Don Raffaele lanciò uno sguardo interrogatore sui due filibustieri,
i quali risposero con una risata clamorosa.
«Lo conoscete forse?» chiese il piantatore, con inquietudine.
«Perbacco!... È un nostro carissimo amico!...» rispose
Carmaux, che schiattava dalle risa. «Che bottiglie deliziose aveva quel
briccone!... Ah!... Ah!... Il notaio di Maracaybo!...»
Il piantatore si era fatto oscuro in viso, mentre i due
filibustieri non cessavano di ridere.
«Don Raffaele» disse finalmente Carmaux «vi ricorderete forse
di quel tragico e comico episodio che ha privato quel povero notaio della sua
casa. I vostri compatrioti ci avevano assediati in quella bicocca assieme al
Corsaro Nero.»
«Che aveva fatti prigionieri il notaio ed anche un certo conte
di Lerma, un valoroso e cavalleresco gentiluomo» aggiunse l'amburghese.
«Sì, me lo ricordo» disse don Raffaele. «Voi eravate fuggiti
sul tetto dopo aver fatto saltare la casa di quel povero uomo.»
«Per scendere poi nel giardino d'un conte o marchese Morales,
scappando così ai vostri compatrioti» disse Carmaux.
«Eravate voi quei demoni che per ventiquattro o trenta ore
teneste testa ad una o due compagnie di archibugieri?»
«Sì, don Raffaele.»
«Eccomi in un bell'imbarazzo. Se il notaio vi riconoscesse?»
«Sono passati vent'anni, non sarà quindi facile che ricordi
ancora i nostri volti» disse l'amburghese.
«Non commettete imprudenze almeno.»
«Saremo tranquilli come due agnellini» promise Carmaux.
Una viva ondulazione, che fece rollare la baleniera, li
avvertì che si trovavano presso delle scogliere.
«Sono le isole di Pirita» disse don Raffaele, prevenendo la
domanda che stava per rivolgergli Carmaux. «Stringete verso la costa.»
Carmaux vedendo delinearsi verso il settentrione delle isole,
spinse la scialuppa verso la costa, dove il mare appariva sgombro di scogliere.
All'alba, avvistavano una grossa borgata annidata in fondo ad
una vasta insenatura e dove si scorgevano le alberature di non poche navi.
«Barcellona» disse il piantatore. «Siamo già a buon punto e
giungeremo a Cumana prima che il sole tramonti. D'ora innanzi non parlate che
lo spagnolo e se qualche nave ci accosta, lasciate che risponda io.»
«Vi avverto, però, don Raffaele, che noi vi sorveglieremo
rigorosamente. Per il vostro bene siate leale».
«Vi ho dato prove sufficienti della mia lealtà, signor
Carmaux» rispose il piantatore.
Verso le sei della sera la baleniera, che aveva avuto quasi
sempre il vento favorevole, si trovava dinanzi a Cumana, che in quel tempo era
una delle città più ricche e più popolose della Venezuela e che era anche ben
difesa, trovandosi a non molte centinaia di miglia dalla Tortue.
Appunto in quel momento entravano in rada parecchie barche di
pescatori, montate per la maggior parte da indiani.
Carmaux spinse dietro di esse la scialuppa, onde passare
inosservato fra due grosse caravelle che stazionavano presso l'entrata della
rada.
«Non credevo di passarla così liscia» disse Carmaux, dirigendo
la scialuppa verso la gettata più prossima. Dove abita il notaio?»
«Non siamo lontani; aspettate che il sole sia tramontato. Sta
già per scomparire.»
Carmaux fece calare le vele latine e servendosi solamente del
fiocco, approdò dinanzi ad un vecchio fortino caduto in rovina.
«Ecco un bel luogo per fare il segnale a Morgan» disse,
guardando le muraglie che ancora rimanevano in piedi.
Legarono la scialuppa, misero in ordine le reti, arrotolarono
le vele, poi si nascosero sotto le fascia di lana un paio di pistole ognuno ed
una di quelle navaje che, aperte, diventano lunghe come spade.
«Possiamo andare» disse Carmaux a don Raffaele. «Non ci si
vede più.»
«Mi promettete di non commettere violenze?» chiese il
piantatore.
«Non siamo così sciocchi» rispose l'amburghese.
«Allora seguitemi.»
«Adagio, don Raffaele. Sarà ancora vivo il notaio?»
«Sei mesi fa non era ancora morto.»
«Deve essere assai vecchio.»
«Sessant'anni. Andiamo.»
Si orientò per qualche istante, si diresse verso una viuzza
che passava in mezzo a dei giardini tenuti con gran cura, poi imboccò una larga
strada fiancheggiata da belle case a due piani, tutte in pietra ed illuminata
da qualche lampada fumosa.
Dopo un centinaio di metri, s'arrestò dinanzi ad una
abitazione piuttosto vecchia, un po' più alta delle altre, e sormontata da una
terrazza coperta di piante.
«Aspettatemi qui» disse. «Vado ad annunciare la vostra
visita.»
«Fate pure» rispose Carmaux.
Don Raffaele lasciò cadere il pesante martello di ferro
sospeso alla porta e, appena questa s'aprì, entrò in un andito buio,
scomparendo agli sguardi dei due filibustieri.
«Sei tranquillo?» chiese Carmaux all'amburghese.
«Non diffido di quel brav'uomo. Sa che noi siamo capaci di
fargli passare un brutto quarto d'ora.»
Poco dopo il piantatore ricomparve sulla soglia del portone e
pareva che non fosse di cattivo umore.
«Possiamo dunque entrare?» chiese Carmaux.
«Sì» rispose il piantatore. «Il notaio vi accorda ospitalità e
vi offre anche una cena.»
«È la perla dei notai!...» esclamò l'amburghese.
«Lo dicevo io che era un uomo eccellente.»
«Seguitemi» disse don Raffaele.
I due filibustieri entrarono in un androne malamente
illuminato da una fumosa lampada ad olio e vennero introdotti in un salotto a
pianterreno, modestamente ammobiliato, dove si trovava una tavola coperta di
tondi su uno dei quali faceva bella mostra un'anitra assai grassa.
Il notaio si era già seduto al desco e pareva che si
preparasse a cenare, senza attendere gli ospiti.
Era un uomo sulla sessantina, molto magro e molto rugoso,
d'aspetto bonario. Vedendo entrare i due filibustieri li guardò quasi
sospettosamente, poi, senza nemmeno salutarli, fece loro cenno di accomodarsi
alla tavola, dicendo:
«Se credete, tenetemi compagnia.»
Carmaux e l'amburghese si scambiarono uno sguardo e fecero una
smorfia che indicava un certo malcontento.
Non s'aspettavano un'accoglienza così fredda, né una cena così
magra, tuttavia Carmaux rispose:
«Grazie, signore, questo invito giunge in buon punto poiché
siamo affamati, anzi tremendamente affamati.»
«E molto assetati anche» aggiunse Wan Stiller.
«Ah!...» fece il notaio.
Tagliò l'anitra e ne offerse a tutti, ma non fece aggiungere
nulla.
«Quest'uomo è diventato estremamente avaro» pensava Carmaux.
«Non è più quello che ci ha ospitati a Maracaybo. È vero che allora aveva le
nostre spade alla gola. Le bottiglie le tirerà fuori: a questo ci penso io.»
Quand'ebbero finito, il notaio, che durante il pasto non aveva
più aperto bocca, limitandosi a guardare di tratto in tratto i due
filibustieri, andò a prendere una fiasca di vino e riempì i bicchieri, dicendo:
«Bevete pure. Poi mi direte chi siete voi e che cosa
desiderate da me.»
«Signor notaio» disse Carmaux «se don Raffaele non vi ha
ancora detto chi noi siamo, vi dirò allora io che siamo due personaggi in
missione, mandati qui dal signor Presidente dell'Udienza Reale di Panama, per
avere informazioni precise sul signor conte di Medina, di cui non si hanno più
notizie dopo la sua fuga da Maracaybo.»
«Dovevate rivolgervi al governatore di Cumana.»
«Non abbiamo creduto di farlo, signor notaio, per certi motivi
che non vi posso, almeno per ora, esporre. È vero che il conte è giunto qui?»
«Sì» rispose il notaio. «È arrivato improvvisamente, con una
piccola scorta ed una fanciulla.»
«Ed è già ripartito?» chiese Carmaux con ansietà.
«A mezzodì.»
«Per dove?»
«Per Chagres, mi hanno detto.»
«Allora si reca a Panama?»
«Lo credo.»
«Su quale nave si è imbarcato?»
«Sull'Andalusa.»
«Vascello da guerra?»
«Una corvetta di ventiquattro cannoni» disse il notaio.
Carmaux fece imprudentemente un gesto di furore. Il notaio che
da qualche po' l'osservava attentamente, alzò vivamente la testa, e chiese:
«Quale interesse ha il signor Presidente dell'Udienza Reale di
Panama di conoscere queste cose? Sarei curioso di saperlo, mio caro signore.»
«Lo ignoro» rispose prontamente il francese.
«Ah!...» fece il notaio. Poi, dopo qualche istante di silenzio
e guardando fisso fisso Carmaux, gli chiese a bruciapelo:
«Siete mai stato a Maracaybo, molti anni or sono?»
Il filibustiere per poco non fece un soprassalto, poi rispose:
«Una sola volta, signore, due mesi or sono. Perché mi fate
questa domanda?»
«Che volete? Mi pare di aver già udito la vostra voce.»
«Forse vi confondete con un altro, signore.»
«Ne sono convinto» disse il notaio con un certo tono che turbò
i due filibustieri. «E poi è passato tanto tempo che posso essermi ingannato.
Viveva allora ancora il terribile Corsaro Nero.»
«L'avete conosciuto voi?» chiese Carmaux, per meglio
ingannarlo.
«Sì, per mia disgrazia e vi ho perduta una casa per colpa sua,
una bella casa che fu distrutta dal fuoco.»
«Mi avete già raccontata quell'avventura» disse don Raffaele.
«Era insieme a due corsari e ad un negro gigantesco» proseguì
il notaio, «ed avevano avuta la malaugurata idea di rifugiarsi nella mia casa.»
«E non vi hanno ucciso?» chiese l'amburghese, che tratteneva a
stento le risa.
«No, si accontentarono di vuotarmi mezza cantina.»
«Che paura però dovete aver provata» disse Carmaux.
«Non avevo più sangue nelle vene.»
«Sfido io, godeva una fama terribile, il Corsaro Nero.»
«E poi, come vi dissi, era insieme a due dei suoi... Oh!...»
«Che cosa avete signore?» chiese Carmaux.
«Il caso è stranissimo!...»
«Quale?»
Il notaio non rispose. Guardava attentamente l'amburghese, il
quale dal canto suo raggrinzava il volto per dargli un'altra espressione.
«La mia memoria deve essersi indebolita» disse finalmente il
notaio. «Non mi ricordo più come io sia riuscito a salvarmi quando la casa
ardeva.»
«Sarete saltato dalla finestra» disse Carmaux, che cominciava
però a sudar freddo.
«È probabile. Signori, è tardi ed ho l'abitudine di alzarmi
presto. Don Raffaele, conducete questi signori nella stanza che ho loro
assegnata. Ci rivedremo domani a colazione, signori.»
Il piantatore accese una candela e fece segno ai due
filibustieri di seguirli.
«Buona notte, signore, e grazie della vostra cortese
ospitalità» disse Carmaux, inchinandosi dinanzi al notaio.
Il piantatore, che doveva conoscere la casa, fece percorrere
ai due filibustieri un lungo corridoio, poi li introdusse in una stanza
piuttosto vasta e ammobiliata con un certo sfarzo.
Appena la porta fu chiusa, due imprecazioni sfuggirono a
Carmaux.
«Il vecchio ci ha riconosciuti, è vero compare?» chiese Wan
Stiller.
«Ne ho quasi la certezza, e faremo bene a filare questa notte
stessa. Che ne pensate voi, don Raffaele?»
«Lasciate che vada ad interrogare il notaio. Se correrete qualche
pericolo verrò subito ad avvertirvi.»
«O ci farete invece arrestare?» chiese Carmaux.
«No, perché intendo di seguirvi.»
«Voi!...» esclamarono ad una voce i due filibustieri.
«Voi andate a Panama, è vero?»
«Certo.»
«Verrò anch'io: voglio vendicarmi di quell'odiato capitano.»
Appena lo spagnolo fu uscito, Carmaux aprì una delle due
finestre e guardò al di fuori.
«Mette su un'ortaglia» disse a Wan Stiller «e non vi sono che
due metri d'altezza. Un piccolo salto, compare, che anche don Raffaele può
tentare, senza pericolo di rompersi le gambe.»
«Che sia già giunto Morgan?» chiese l'amburghese.
«Col vento che ha soffiato quest'oggi non sarà rimasto dietro
di noi. Vedrai che risponderà subito al nostro segnale.»
«Taci: ecco don Raffaele che ritorna.»
Il piantatore un momento dopo entrava precipitosamente nella
stanza.
«Fuggiamo subito» disse.
«Che c'è?» chiesero ad una voce i due filibustieri.
«Il notaio vi ha riconosciuti.»
«Per le sabbie d'Olonne, come diceva Pietro l'Olonese» rispose
Carmaux. «Che memoria ha quel diavolo d'uomo per ricordarsi ancora di noi dopo
diciott'anni!»
«Vi dico di fuggire e senza perdere tempo» ripeté don
Raffaele. «È già andato ad avvertire le guardie.»
«Allora» disse l'amburghese «non abbiamo altro da fare che
questo.»
Salì sul davanzale e saltò nel giardino, massacrando una
splendida aiuola di rose.
Carmaux lo aveva subito imitato, dicendo al piantatore: «Se
credete, fate come facciamo noi.»
E per poco non era caduto addosso all'amburghese.
Don Raffaele, misurata l'altezza, a sua volta si era lasciato
andare.
«Come le lepri, ora» disse Carmaux. «Dritti alla baleniera.»
In un baleno attraversarono l'ortaglia che non era molto
vasta, sfondarono una siepe di cactus e si slanciarono su una viuzza deserta.
«Don Raffaele» disse Carmaux «guidateci fino alla gettata.»
Malgrado la rotondità del suo ventre, il piantatore si era
messo a correre come se avesse già le guardie alla calcagna.
In meno di cinque minuti giunsero sulla gettata, dove
trovarono ancora la baleniera semi-arenata sotto il fortino
in rovina.
«Il segnale» disse Carmaux.
Prese un razzo, s'arrampicò su un bastione diroccato e
l'accese, mentre Wan Stiller alzava le due vele della baleniera e don Raffaele
spiegava il fiocco.
Il razzo era appena scoppiato in aria che al largo, verso il
nord, si scorse una striscia di fuoco fendere le tenebre, quindi dileguarsi.
«È Morgan!...» gridò Carmaux, imbarcandosi precipitosamente.
«Al largo, compare!...»
Si erano allontanati da soli dieci minuti, quando udirono una
voce gridare:
«Eccoli!... Fuoco!...»
Quattro o cinque colpi d'archibugio rimbombarono verso la
spiaggia.
«Buona notte!...» gridò Carmaux. «Fila verso la bocca del
porto, amburghese!...»
Essendo il vento notturno piuttosto fresco, la baleniera si
allontanò rapidamente, mentre sulla gettata rimbombavano altri spari.
Con due bordate la scialuppa giunse all'imboccatura del porto
e uscì in mare.
Una massa nera passava in quel momento, a meno di trecento
metri, dinanzi al porto.
«A noi, Fratelli della Costa!...» urlò Carmaux. «Ci danno la
caccia!...»
La nave virò quasi sul posto, mettendosi attraverso il vento,
mentre un'altra voce rispondeva:
«A bordo, Carmaux.»
Con una bordata la scialuppa giunse sotto la nave, presso la
scala che era stata subito abbassata.
Due paranchi furono calati per issarla, mentre Carmaux,
l'amburghese ed il piantatore si slanciavano su pei gradini.
Un uomo li aspettava: era Morgan.
«Dunque?» chiese.
«Partito, signore» rispose Carmaux.
«Quando?»
«Stamane.»
«Per dove?»
«Per Chagres.»
«Sta bene» rispose Morgan. «Andremo a prenderlo a Panama.»
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Quattro giorni dopo la corvetta di Morgan faceva la sua
entrata nella piccola baia della Tortue.
Era quell'isola il covo dei famosi filibustieri del Golfo del
Messico, che avevano giurata una guerra spietata agli spagnoli per vendicare la
inumana distruzione degl'indiani compiuta dai primi conquistadores, o
piuttosto per alleggerire gli spagnoli di una parte delle immense ricchezze che
traevano dalo sfruttamento delle loro colonie.
Il ritorno improvviso di Morgan, che tutti avevano creduto
morto, produsse un'emozione straordinaria fra tutti i corsari, che tenevano in
grande stima l'antico luogotenente del Corsaro Nero, per il suo coraggio e per
le sue audaci imprese.
Le notizie della presa di Maracaybo, della liberazione della
signora di Ventimiglia, del sacco di Gibraltar e della distruzione della flotta
spagnola erano già giunte alla Tortue, portate dai compagni di Morgan i quali,
più fortunati del loro capo, erano riusciti a porsi in salvo assieme alle
ricchezze predate.
La scomparsa della fregata predata all'ammiraglio, sulla quale
Morgan si era imbarcato con la signora di Ventimiglia, aveva dato luogo a gravi
timori, e molti capi della filibusteria avevano finito per ammettere che tutti
dovevano esser morti annegati nel mar dei Caraibi.
Perciò il ritorno quindi dell'audace corsaro, che contava un
gran numero di amici e di ammiratori, era stato salutato con grande gioia.
La nave si era appena ancorata fra i velieri corsari che
ingombravano la piccola baia, che già i più famosi scorridori del mare si
trovavano a bordo.
C'era Brodely, che più tardi doveva rendersi famoso nella presa
del castello di S. Felipe, giudicato la più formidabile fortezza degli
spagnoli; Sharp, Harris, Sawkins, tre uomini terribili, le cui imprese dovevano
far meravigliare il mondo; Watling, il saccheggiatore delle coste peruviane;
Montauban, Michel ed altri allora poco noti, ma che dovevano diventare a loro
volta famosi.
Nell'apprendere che la signora di Ventimiglia era stata
ripresa e condotta a Panama, un urlo di furore scoppiò fra quegli uomini
formidabili e in tutti i cervelli si affacciò l'idea di tentare la grande
impresa ideata da Morgan.
Quella grande città, emporio delle ricchezze del Perù e del
Messico, aveva già da tempo risvegliato la cupidigia dei filibustieri. Tuttavia
la distanza e le difficoltà che potevano incontrare nella traversata dell'Istmo,
che a quel tempo non era tagliato da nessun canale ed era per essi terreno
completamente sconosciuto, più che le forze imponenti che potevano opporre loro
gli spagnoli, li avevano fino allora trattenuti.
Udendo Morgan fare la proposta di tentare la grande impresa,
nessuno sollevò alcuna obbiezione.
«Là» aveva detto il filibustiere, «oltre liberare la signora
di Ventimiglia, che si è messa sotto la protezione delle nostre spade,
troverete tesori tali da diventare tutti ricchi.»
Un'ora dopo la spedizione veniva decisa dai più celebri e più
audaci capi della Tortue.
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