LE MERAVIGLIE DEL DUEMILA
1 - IL FIORE DELLA RISURREZIONE
íIl piccolo battello a vapore che
fa il servizio postale una volta alla settimana, fra Nuova York, la più
popolosa città degli Stati Uniti d'America settentrionale e la piccola borgata
dell'isola Nantucket, quella mattina era entrato nel piccolo porto con un solo
passeggero. Accadeva spesso, durante l'autunno, terminata la stagione balneare,
che rarissime persone approdassero a quell'isola, abitata solo da qualche
migliaio di famiglie di pescatori che non s'occupavano d'altro che d'affondare
le loro reti nei flutti dell'Atlantico.
«Signor Brandok», aveva gridato
il pilota, quando il battello a vapore s'era ormeggiato al ponte di legno
«siamo giunti.»
Il passeggero, che durante la
traversata era rimasto sempre seduto a prora senza scambiare una parola con nessuno,
s'era alzato con una certa aria annoiata, che non era sfuggita né al pilota, né
ai quattro marinai.
«I divertimenti di Nuova York non
lo hanno guarito dal suo spleen» mormorò il timoniere del piccolo
battello, volgendosi verso i suoi uomini. «Eppure, che cosa manca a lui? Bello,
giovane e ricco... se fossi io al suo posto!...»
Il passeggero era difatti un bel
giovane, tra i venticinque e i ventott'anni, di statura alta come sono
ordinariamente tutti gli americani, questi fratelli gemelli degli inglesi, coi
lineamenti regolarissimi, gli occhi azzurri ed i capelli biondi.
Aveva invece negli sguardi un non
so che di triste e di vago che colpiva coloro che lo avvicinavano, e nelle sue
mosse qualcosa di pesante e di stanco, che contrastava vivamente col suo
aspetto robusto e florido.
Si sarebbe sospettato che un male
misterioso minasse la sua gioventù e la sua salute, nonostante la bella tinta
rosea della sua pelle, quella tinta che indica la ricchezza e la bontà del
sangue delle forti razze anglosassoni.
Come abbiamo detto, udita la voce
del pilota, il signor Brandok s'era alzato quasi a fatica, come se si
risvegliasse in quel momento da un lungo sonno.
Sbadigliò due o tre volte, gettò
uno sguardo assonnato sulla riva, toccò appena la tesa del suo cappello per
rispondere al saluto rispettoso dei marinai e scese lentamente sul pontile di
legno.
Invece di dirigersi verso la
borgata, le cui casette s'allineavano a duecento passi dal porticciolo, si mise
a camminare lungo la spiaggia, colle mani affondate nelle tasche dei pantaloni
e gli occhi semichiusi, come fosse in preda ad una specie di sonnambulismo.
Giunto all'estremità della
borgata si fermò e aprì gli occhi, fissandoli su un gruppo di monelli scalzi ad
onta dell'aria frizzante, che si rincorrevano lungo le dune ridendo e
schiamazzando.
«Ecco degli esseri felici»
mormorò con un tono d'invidia. «Essi almeno non sanno che cosa sia lo spleen.»
Stette qualche istante immobile,
poi scosse il capo, mandò un lungo sospiro e riprese la passeggiata, per
fermarsi alcuni minuti dopo dinanzi a una bella casetta a due piani, tutta
bianca, colle persiane verniciate e un giardinetto chiuso da una cancellata in
legno.
«Che cosa farà il dottore?»
mormorò, guardando le finestre. «Starà tormentando qualche cavia o qualche povero
coniglio. Il segreto di poter rivivere dopo cent'anni, bell'idea! Io credo che
quel buon Toby perda inutilmente il suo tempo. Eppure egli è molto più, felice
di me.»
Tornò a sospirare, attraversò
lentamente il giardinetto il cui cancello era aperto e salì la scala, senza
quasi rispondere al saluto di una grassa e rubiconda fantesca che gli aveva
gridato dalla cucina:
«Buon giorno, signor Brandok; il
mio padrone è nel suo studio.»
Il giovine era già al secondo
piano. Aprì una porta ed entrò in una stanza piuttosto vasta e bene illuminata
da due ampie finestre, tutta circondata da scaffali di noce pieni di un numero
infinito di storte e di bottiglie variopinte.
Nel mezzo, curvo su una tavola,
vi era un uomo sui cinquantacinque anni, di forme quasi erculee, con una lunga
barba un po' brizzolata e tutto intento ad osservare un coniglio che pareva, a
prima vista, o morto o addormentato.
Udendo aprirsi la porta si levò
gli occhiali e si voltò con una certa vivacità, esclamando con voce giuliva:
«Ah! sei tornato, amico James? Ti
sei stancato presto di Nuova York e mi pare che tu non abbia un'aria molto
soddisfatta».
Il giovine si lasciò cadere sopra
una sedia che si trovava presso la tavola e rispose con un mesto sorriso.
«Dunque?» chiese l'uomo
attempato, dopo un breve silenzio.
«Sono più annoiato di prima ed è
un miracolo che sia qui» rispose Brandok.
«Perché?»
«Avevo già deciso di fare un bel
salto dal faro della Libertà e di sfracellarmi sul molo.»
«Una brutta sciocchezza, mio caro
James. A ventisei anni, con un milione di dollari...»
«E cento milioni di noia che mi
fa sbadigliare da mattina a sera» disse il giovine, interrompendolo. «La vita
diventa ogni giorno più insopportabile e finirò per sopprimermi. Un viaggio
all'altro mondo non mi dispiacerebbe. Forse là m'annoierò meno.»
«Viaggia in questo mondo, amico.»
«Dove vuoi che vada, Toby?» disse
Brandok. «Ho visitato l'Australia, l'Asia, l'Africa, l'Europa e mezza America.
Che cosa vuoi che vada a vedere?»
Il dottore s'era messo a passeggiare
per la stanza, con le mani dietro al dorso, la testa bassa, come se un profondo
pensiero lo preoccupasse. Ad un tratto si fermò dinanzi al coniglio, dicendo:
«James, ti piacerebbe vedere come
camminerà il mondo fra cent'anni?».
Il giovane Brandok aveva alzato
la testa che teneva inclinata su una spalla, interrogando il dottore collo
sguardo.
«Sì,» riprese Toby «io voglio
vedere che cosa sarà l'America fra venti lustri. Chissà quali meraviglie
avranno inventato allora gli uomini. Macchine straordinarie, navi colossali,
palloni dirigibili e mille altre cose strabilianti. Ormai il genio umano non ha
più freno e gl'inventori nascono come i funghi.»
«Hai trovato finalmente il modo
di prolungar la vita?» chiese Brandok, con tono leggermente ironico.
«Di fermarla, invece.»
«Ah!»
«Ne vuoi una prova?»
«Possibile che tu abbia fatta una
simile scoperta?» esclamò Brandok, con stupore. «So che tu da molti anni ti
dedichi a certi esperimenti.»
«E sono pienamente riusciti»
disse il dottore. «Vedi questo coniglio?»
«È morto?»
«No, dorme da quattordici anni.»
«È impossibile.»
«Fra poco te lo farò risuscitare
con una semplice puntura e un bagno tiepido.»
«Quale filtro misterioso hai
scoperto? Non ti prendi gioco di me, Toby?»
«A quale scopo? Chiudiamo le
porte perché nessuno ci oda o ci veda, e tu assisterai ad una risurrezione
meravigliosa.»
Fece girare le chiavi, chiuse un
po' le finestre, accostò una sedia al tavolino e dopo aver offerto al suo
giovine amico un sigaro, disse:
«Ascoltami ora; poi verrà
l'esperimento».
Toby, dopo essere stato alcuni
momenti silenzioso, raccolto in se stesso, s'era alzato per prendere da uno
degli scaffali un vaso di vetro contenente una piccola pianta disseccata, che
pareva unica nel suo genere.
«Ne hai mai veduta una simile,
amico James?»
Il giovine Brandok guardò il
dottore con una certa sorpresa, dicendo:
«Vorrei sapere che cosa c'entra
questa pianticella coi conigli che dormono da tanti anni. Immagino che non
avrai l'intenzione di aumentare le mie noie».
«Niente affatto» riprese Toby,
imperturbabilmente. «Tu dunque non conosci questo fiore, quantunque tu abbia
assai viaggiato?»
«Sai bene che io di botanica non
me ne sono mai occupato.»
«Allora non hai mai udito parlare
del fiore della risurrezione?»
«No, mai» disse il giovine.
«Ascoltami dunque: la storia è
interessante e non t'annoierà. Cinquant'anni or sono, un mio collega, il dottor
Dek, viaggiava nell'Alto Egitto collo scopo di trovare un'antica miniera di
metalli in cui lavoravano un tempo dei sudditi dei Faraoni. Un giorno incontrò
un arabo infermo ed il dottore lo curò amorosamente, salvandogli la vita. Il
figlio del deserto era povero, eppure volle ricompensare il suo salvatore,
dandogli un tesoro che da solo valeva tutte le pietre preziose del mondo.»
«In che cosa consisteva?» chiese
Brandok, che cominciava ad interessarsi vivamente a quel racconto che
assomigliava ad uno di quelli delle Mille ed una Notte.
«In una piccola pianta
disseccata, che dall'arabo era stata scoperta in una antichissima tomba, nel seno
di una sacerdotessa egiziana che per bellezza non aveva avuto uguali. Il dottor
Dek, ascoltando i pomposi elogi fatti a quel piccolo fiore, sepolto chissà
quanti secoli prima dell'era cristiana e che portava dei bottoncini arsi dal
sole ed ingialliti, non aveva potuto trattenersi dal sorridere.»
«Ed io avrei fatto altrettanto»
disse Brandok.
«Ed avresti avuto torto,» disse
Toby «poiché l'arabo prese la pianta, la bagnò con alcune gocce d'acqua e sotto
gli sguardi del dottore si compì un prodigio meraviglioso. La pianta, appena
sentì inumidirsi, cominciò a fremere, poi ad agitarsi, i suoi tessuti si
raddrizzarono e i suoi bottoni si gonfiarono, poi si schiusero. Il fiore a poco
a poco sbocciava, dopo venti secoli e più di sonno, svolgendo i suoi leggeri
petali, i quali si distendevano come raggi superbi intorno ad un punto
centrale, pieni di eleganza e di freschezza.»
«Strano fenomeno!» esclamò
Brandok, che pareva avesse dimenticato il suo spleen.
«Quel fiore,» proseguì il dottore
«assomigliava ad una margherita raccolta in qualche giardino incantato. Quella
risurrezione misteriosa durò parecchi minuti, poi il fiore a poco a poco
rovesciò la sua corolla dalle tinte iridescenti, scoprendo in mezzo ai petali
alcuni granelli antichissimi. Ahimè! La preziosa semente che il fiore della
risurrezione custodiva con tanta gelosa cura, da tanti secoli era
irrimediabilmente sterile. A quale suolo affidare quei granelli? Quale sole
avrebbe potuto tenerli in vita? Sorpreso e ammirato, il dottore portò seco la
meravigliosa pianta e rinnovò in Europa centinaia di volte l'esperimento del
vecchio arabo, e sempre il piccolo fiore del deserto, la pianta misteriosa
degli antichi Faraoni, risuscitò nella sua immortale bellezza mercé alcune
gocce d'acqua. Morendo, il dottor Dek regalò il fiore della risurrezione al
discepolo ed amico suo James, il quale ripeté anch'egli, con eguale successo,
la prodigiosa esperienza. Infine il fiore della pianta egiziana venne offerto
ad Alessandro Humboldt ed il grande naturalista lo risuscitò più volte davanti
ai suoi dotti colleghi. Fra le sue mani la pianta misteriosa non fece che
rinascere e morire, senza che egli potesse penetrarne i segreti; ad ogni
operazione ripeteva colla tristezza del genio impotente: «Nulla c'è in natura
che somigli a questa pianta!»»
«E nessuno ha mai potuto
penetrare il mistero di quella pianta che tolta dal sepolcro, dopo migliaia di
anni risuscitava grazie ad una goccia d'acqua e riapriva la sua corolla
eternamente bella, come per dire al mondo: «Ecco come ero al tempo dei
Faraoni»?» chiese Brandok.
«Sì, uno solo: io!» disse Toby.
«Tu!?»
«Sì, io» ripeté il dottore.
«Dunque?...»
«Adagio, questo è un segreto.
Durante un viaggio che feci venticinque anni or sono in Egitto, potei avere uno
di quei fiori e studiare e anche spiegare i misteri della sua risurrezione. E
da quel fiore mi è sorta l'idea di fermare la vita umana per farla risvegliare
dopo un numero più o meno lungo di anni. Perché se poteva rivivere un umile fiorellino,
non avrebbe potuto fare altrettanto un organismo così completo come quello
dell'uomo? Ecco la domanda che mi rivolsi e alla cui soluzione impiegai
venticinque anni di studi ininterrotti.»
«E ci sei riuscito?»
«Pienamente» rispose Toby.
S'era alzato, avvicinandosi al
tavolino e aveva preso fra le mani il coniglio che pareva morto, avendo le
gambe e la testa irrigidite.
«Ha odore, questo animale?
Fiutalo, James. Credi che sia morto?»
«È freddo e il cuore non batte
più.»
«Eppure la sua vita non è altro
che sospesa da quattordici anni.»
«È dunque la morte artificiale
che hai scoperto?»
«Una semplice puntura del mio
filtro misterioso è bastata per fermare le pulsazioni del cuore di questo
animale e per conservarlo per un così lungo tempo.»
«È meraviglioso!»
«Forse meno di quello che sembra»
disse il dottore. «Sai che cosa sono i fakiri?»
«Dei fanatici indiani che
eseguono degli esperimenti meravigliosi.»
«E che si fanno seppellire
talvolta per quaranta e anche cinquanta giorni entro una cassa sigillata, colla
bocca e le narici turate da uno strato di cera, e che poi risuscitano senza
aver l'aspetto d'aver sofferto. Un bagno nell'acqua calda, un po' di burro
sulla loro lingua per renderla più pieghevole ed eccoli ritornare alla vita.
Ora vedrai.»
Prese da uno scaffale una piccola
fiala di vetro che conteneva un liquido rosso, vi immerse una siringa, poi
punse replicatamente il coniglio, la prima volta in direzione del cuore e la
seconda volta alla gola.
L'animale non aveva dato alcun
segno di vita ed aveva conservata la sua rigidezza.
«Aspetta, James» disse il
dottore, vedendo apparire sulle labbra del giovine un sorriso d'incredulità.
In un angolo vi era un bacino di
metallo, sotto cui ardeva una lampadina ad alcool. Il dottore v'immerse un dito
per assicurarsi del calore dell'acqua, poi levò la vaschetta, deponendola sulla
tavola.
«Fai fare un bagno al morto?»
chiese Brandok.
«Cioè all'addormentato» corresse
il dottore. «È necessario allentare a questo dormiglione i nervi che da tanti
anni non agiscono più.»
«Se tu riesci a far rivivere
questo animale, io ti proclamo il più grande scienziato del mondo.»
«Non esigo tanto» rispose Toby,
ridendo.
Immerse il coniglio nel bacino,
tenendogli la testa fuori dell'acqua, poi si mise ad alzare ed abbassare le gambe
anteriori, come per provocare la respirazione e aspettò, guardando l'amico che
s'era fatto tutto serio.
«Pare che tu cominci a credere al
buon risultato della strana operazione» gli disse il dottore. «È vero, James?»
«Non ancora» rispose il giovine.
«Eppure sento che la testa del
coniglio comincia a diventar calda.»
«Effetto del calore dell'acqua.»
«E che la carne freme.»
«Non vedo muoversi le gambe.»
Ad un tratto mandò un grido di
stupore; il coniglio aveva aperti gli occhi e fissava il dottore colle pupille
dilatate.
«Ti sembra morto ora?» disse
Toby, con accento beffardo.
«Ti guarda!» esclamò il giovine.
«Lo vedo.»
«Agita le zampe!»
«E respira anche.»
«Miracolo!... Miracolo!...»
«Zitto, James, non gridar tanto
forte.»
«È meravigliosa questa risurrezione!»
«Non dico di no.»
«Una scoperta che metterà
sossopra il mondo.»
«Niente affatto, perché io mi
guarderò bene dal divulgarla. Non siamo che in tre sole persone a conoscerla:
io, tu ed il notaio del borgo, quell'eccellente signor Max.»
«Perché la conosce anche il
notaio?» chiese Brandok.
«Lo saprai più tardi: guarda il
risultato per ora.»
Aveva levato dalla vaschetta il
coniglio e l'aveva messo sul tavolino, avvolgendolo in un pezzo di stoffa di
lana.
L'animale aveva gli occhi aperti,
respirava liberamente raggrinzando il naso, però si vedeva che era debolissimo,
non riuscendo a reggersi sulle zampe, né cercava di fuggire. Doveva essere
istupidito.
«Non morrà?» chiese Brandok.
«Stasera lo vedrai mangiare e
correre assieme ai suoi compagni che tengo giù nel mio giardino. Non è il primo
che io faccio risuscitare; la settimana scorsa ne ho fatto rivivere un altro
dinanzi al notaio ed anche quello dormiva da quattordici anni. Ora mangia,
saltella e dorme come gli altri, e tutti i suoi organi funzionano perfettamente
bene.»
«Toby,» esclamò Brandok, con
profonda ammirazione «tu sei un grand'uomo; tu sei il più grande scienziato del
secolo.»
«Di questo, o dell'altro?» chiese
il dottore.
«Che domanda è questa?»
«Mio caro James, tu devi aver fame
ed il pranzo è pronto. L'aria di mare mette appetito e la mia vecchia Magge mi
ha promesso un superbo piatto di pesce. Lasciamo qui il coniglio e andiamo a
riempirci lo stomaco: la cuoca sarà già arrabbiata per il ritardo. Avremo anche
il notaio al pudding.»
«Perché il notaio?...»
Il dottore, invece di rispondere,
si affacciò alla finestra, e vedendo un garzone che stava innaffiando le zolle
del giardino, gli gridò:
«Tom, avverti Magge che siamo
pronti per assaggiare le sue triglie e le sue dorate, e per le due attacca il poney.
Dobbiamo fare una gita allo scoglio di Retz».
Cinque minuti dopo, il dottore e
il signor Brandok seduti in una elegante saletta da pranzo, dinanzi ad una
tavola bene imbandita, gustavano con molto appetito le grosse ostriche di New
Jersey, le più deliziose che si trovino sulle coste orientali dell'America
settentrionale, le dorate e le triglie preparate dalla brava Magge, innaffiando
le une e le altre con dell'eccellente vino bianco dei vigneti della Florida.
Il dottore non parlava; pareva
tutto intento a divorarsi quei deliziosi pesci, i migliori forse che possegga
l'Atlantico settentrionale.
Brandok invece, cosa
assolutamente nuova, sembrava che non fosse più tormentato dallo spleen; chiacchierava
per due, tempestando il compagno di domande su quella meravigliosa scoperta che
doveva, a sentir lui, portare la rivoluzione nel mondo. Con tutto ciò non
riusciva che a strappare qualche sorriso allo scienziato.
«Dunque queste triglie e queste
dorate ti hanno reso muto» gridò ad un tratto Brandok, che cominciava ad
arrabbiarsi. «Sono venti minuti che i tuoi denti continuano a masticare e che
invece la tua lingua rimane immobile.»
«No, mio caro James, io penso»
rispose il dottore, ridendo.
«Pare che tu abbia dimenticato la
tua scoperta.»
«Tutt'altro.»
«Allora parliamone.»
«Al pudding.»
«Che cosa c'entra quel
pasticcio?»
«Ti ho detto che verrà ad
assaggiarlo anche il notaio della borgata, quel bravo signor Max.»
«Ma insomma che cosa c'entra
lui?»
«Perdinci, se c'entra! Se dopo
cent'anni nessuno più si ricordasse di me e mi lasciassero dormire per sempre?
Tanto varrebbe morire.»
«Toby!» esclamò Brandok «Che cosa
hai intenzione di fare?»
«Vedere come camminerà il mondo
fra cent'anni e null'altro.»
«Come! Tu vorresti...»
«Fare un sonno di venti lustri.»
«Sei pazzo?»
«Non lo credo» rispose il dottore
con voce tranquilla.
Brandok aveva picchiato sulla
tavola un pugno così violento, da far traballare i bicchieri e rovesciare una
bottiglia.
«Tu vorresti?...» gridò.
«Farmi rinchiudere nel rifugio che
mi son fatto preparare sulla cima dello scoglio di Retz, per risvegliarmi fra
cento anni, mio caro. Si incaricheranno i discendenti del notaio e il futuro
sindaco di Nantucket o i suoi successori, a farmi ritornare in vita. Lascio
ventimila dollari appunto per farmi risuscitare, unitamente alla fiala
contenente il misterioso liquido che mi dovranno iniettare nei punti indicati
nel mio testamento.»
«Ti ucciderai!»
«Allora vuol dire che tu non hai
alcuna fiducia nella mia grande scoperta.»
«Sì, piena fiducia; però tu non
sei un coniglio e poi cento anni non sono quattordici» disse Brandok.
«Abbiamo sangue e muscoli al pari
delle bestie e un cuore che funziona egualmente. Volevo farti la proposta di
addormentarti con me; ora vi rinunzio.»
«Tu hai pensato a me?»
«Sì, sperando che con un riposo
di cento anni il tuo spleen finirebbe per andarsene.»
«Se l'altro giorno volevo
gettarmi dal faro della Libertà! Vedi in quale conto ormai tengo la mia vita.
Mi vuoi per compagno, Toby? Sono pronto. Anche se morissi, non perderei nulla.»
«Dunque, ti piace la mia idea?»
«Sì, francamente.»
«Sei eccentrico come un vero
inglese.»
«E non sono forse un inglese?»
disse Brandok ridendo.
Il dottore s'alzò, andò a
prendere su una mensola una polverosa bottiglia che doveva contare un bel
numero d'anni e la sturò, empiendo i due bicchieri.
«Medoc del
milleottocentoottantotto» disse. «Dopo ventiquattr'anni di riposo deve essere
diventato eccellente. Alla nostra risurrezione nel duemilatre!» esclamò,
alzando il bicchiere. Lo svuotò di un fiato, stette qualche minuto
soprappensiero, poi disse:
«Quanto possiedi, James...?».
«Cinque milioni di lire.»
«In cartelle dello Stato?»
«Sì.»
«Devi cambiarle in oro, amico
mio. Fra cent'anni quelle cartelle potrebbero non avere più valore alcuno,
mentre invece l'oro rimane sempre oro, sia che si trovi in verghe od in pezzi
da venti lire. Io posseggo soltanto ottantamila dollari, tuttavia spero che mi
basteranno, anche fra cento anni, per non morir di fame. Sono già a posto nel
piccolo sotterraneo che ho fatto scavare sotto la mia tomba, in una cassaforte,
colla chiave a segreto.»
«E sei certo che i nostri corpi
si conserveranno?»
«Meravigliosamente» disse il
dottore. «Ci conserveremo come fossimo carni gelate.»
«Geleremo?»
«Sì.»
«Chi metterà del ghiaccio nella
nostra tomba?»
«Non ce ne sarà bisogno. Ho
scoperto un certo liquido che abbasserà la temperatura della nostra tomba a 20
gradi sotto lo zero.»
«E si manterrà?»
«Finché non sfonderanno la nostra
cupola di cristallo per farci risuscitare. Staremo benissimo là dentro, te lo
assicuro. Ah! ecco quel bravo notaio; giunge a tempo per assaggiare il pudding
della mia cuoca e per vuotare un bicchiere di questo delizioso medoc.»
Nella stanza vicina aveva udito
Magge che gridava:
«È sempre in ritardo, signor Max!
Cinque minuti ancora e non assaggiava più il mio pudding. Un'altra volta
me lo farà bruciare».
La porta del salotto s'era aperta
fragorosamente ed il notaio era entrato con un passo così pesante, da far
traballare le bottiglie ed i bicchieri.
Il signor Max era un uomo sulla
sessantina, grasso come una botte e col viso rubicondo nel cui mezzo faceva
bella mostra un naso che poteva stare a paragone, senza arrossire, con quello
del guascone Cyrano di Bergerac.
«Buon appetito, signori» gridò,
con una voce da granatiere. «Come va, signor Brandok? V'è passato lo spleen dopo
la vostra gita a Nuova York?»
«Comincia a lasciarmi un po' di
tregua, signor Max,» rispose il giovine «e spero che fra alcuni giorni se ne starà
tranquillo per un buon secolo. Poi vedremo.»
«Ah!... ho capito» disse il
notaio, ridendo. «Toby ha trovato un compagno.»
«Che mi terrà buona compagnia»
disse il dottore, empiendo un bicchiere.
«Assaggiate questo medoc, mio
caro notaio; non se ne trova di simile nemmeno in Francia.»
Magge entrava in quel momento,
portando su un piatto d'argento un bel pasticcio dalla crosta dorata, che
fumava ancora e che spandeva un profumo delizioso.
«È attaccato il poney?» chiese
il dottore.
«Sì, padrone» rispose la cuoca.
«Allora sbrighiamoci.»
In pochi minuti fecero sparire il
pudding, vuotarono una tazza di tè, poi scesero nel cortile, dove li
attendeva un carrozzino tirato da un piccolo cavallo bianco che sembrava
impaziente di partire.
«Andiamo» disse il dottore,
raccogliendo le briglie ed impugnando la frusta. «Fra mezz'ora saremo allo
scoglio di Retz.»
Era una splendida giornata
d'autunno, rinfrescata da una brezza vivificante impregnata di salsedine, che
soffiava dal settentrione.
L'Oceano Atlantico era in perfetta
calma, quantunque il flusso avventasse fra le scogliere che proteggevano le
spiagge dalle ondate le quali s'infrangevano con mille boati, balzando e
rimbalzando. Delle barche pescherecce colle loro belle vele dipinte di giallo e
di rosso a strisce e macchie nere, che davano loro l'apparenza di gigantesche
farfalle, spiccavano vivamente sull'azzurro cupo delle acque, spingendosi
lentamente al largo, mentre in alto stormi di grossi uccelli marini, di
gabbiani e di fregate volteggiavano capricciosamente.
Uscito dalla cinta, il piccolo
cavallo aveva preso una via abbastanza larga che costeggiava l'oceano,
slanciandosi ad un trotto rapidissimo, senza che il dottore avesse avuto
bisogno di eccitarlo colla frusta.
Brandok era ridiventato
taciturno, come se lo spleen lo avesse ripreso; il notaio pure non
parlava, tutto occupato a fumare la sua pipa che eruttava un fumo denso come la
ciminiera d'un battello a vapore.
Il dottore badava che il poney
filasse diritto e non mettesse le zampe in qualche crepaccio o s'avvicinasse
troppo alla scogliera, che in quel luogo cadeva a picco sull'oceano.
Dei ragazzi di quando in quando
sbucavano dalle macchie di pini e di abeti che si prolungavano verso l'interno
dell'isola e rincorrevano per qualche tratto il carrozzino, gridando a
squarciagola:
«Buona passeggiata, dottore!».
Il paesaggio variava rapidamente,
accennando a diventare più selvaggio, man mano che s'accostavano alla spiaggia
orientale dell'isola. Non si vedevano più casette né abitanti. Soltanto le
macchie dei pini e degli abeti diventavano più numerose e più folte e le
scogliere più alte e più ripide; le onde dell'Oceano Atlantico vi
s'infrangevano con una violenza tale, che pareva si sparassero delle cannonate
in fondo ai piccoli fiordi scavati dall'eterna azione delle acque.
Era un rombo continuo, sempre più
fragoroso, che impediva ai tre amici di parlare.
La strada era finita, però il
poney non cessava di trottare, senza manifestare alcuna fatica e faceva
traballare maledettamente la carrozzella.
Ad un tratto si fermò dinanzi ad
una parete rocciosa, dietro la quale si udiva l'oceano muggire furiosamente.
«Siamo giunti» disse il dottore,
balzando a terra. «Ecco lo scoglio di Retz.»
«E lassù hai preparato la nostra
tomba?» chiese Brandok.
«Ed in una posizione bellissima»
rispose il dottore. «Il muggito delle onde ci canterà la ninna nanna, senza
tregua, fino al giorno della nostra risurrezione.»
«Se torneremo in vita.»
«Dubiti ancora, James?»
«Non prenderti nessun pensiero
per i miei dubbi. Ti ho detto che la vita ormai è diventata troppo pesante per
me, quindi poco m'importerebbe anche se non mi risvegliassi mai più. Mostrami
dunque la nostra ultima dimora.»
«Non l'ultima.»
«Come vuoi.»
«Vieni, James.»
Legò il poney al tronco d'una betulla,
poi prese un piccolo sentiero scavato nella viva roccia che s'innalzava a
zigzag. La rupe, chiamata impropriamente lo scoglio di Retz, era di mole
enorme, alta un centinaio di metri, e formava il capo più alto dell'isola,
verso oriente.
La sua fronte massiccia, tagliata
a picco, opponeva un formidabile ostacolo all'irrompere delle onde
dell'Atlantico, quindi non vi era pericolo che cedesse, nemmeno dopo cent'anni.
Giunti sulla cima, che era
piatta, anziché terminare a punta, Brandok scorse una muraglia, della
circonferenza di quattro o cinque metri, che era sormontata da una cupola di
cristallo munita di un parafulmine altissimo.
«È quella la nostra ultima
dimora?» chiese.
«Sì» rispose il dottore.
«Quando l'hai fatta costruire?»
«Lo scorso anno.»
«Lo sanno gli abitanti della
borgata?»
«No, perché ho fatto venire gli
operai ed i vetri da Nuova York.»
«E la rispetteranno?»
«Lo scoglio è mio: l'ho
acquistato dal comune, con contratto regolare, ed il notaio ha l'ordine di far
distruggere il sentiero che conduce quassù e di cingere la scogliera con una
cancellata di ferro altissima.»
«Che ho già ordinata» disse il
signor Max. «Nessuno verrà a disturbarvi.»
«Entriamo» disse il dottore.
Con una chiave a segreto aprì una
porticina di ferro tanto bassa che non si poteva entrarvi che carponi, ed i tre
uomini si introdussero nel piccolo edificio.
L'interno era tutto coperto da
vetri molto spessi incastrati in robuste cerniere di rame, e di notevole non
aveva che un letto molto largo e basso, con coperte piuttosto pesanti ed un
piccolo scaffale su cui stavano delle bottiglie e delle siringhe.
«Ecco la mia dimora, o meglio la
nostra» disse Toby, rivolgendosi all'amico. «Ti rincresce?»
«Niente affatto» rispose il
giovane, che guardava l'oceano attraverso la cupola di vetro. «Spero che
nessuno verrà a disturbarci prima del giorno che avremo fissato nel nostro
testamento. Che piacere udire il fragore delle onde! Ecco una bella compagnia.»
«Ritengo inutile che tu ti
provveda di un letto. Questo è più che sufficiente per tutti e due.»
«Ed il sotterraneo dove hai
depositato i tuoi valori?»
Il dottore si curvò, levò una
piastra di ferro che si trovava ai piedi del letto e mostrò una stretta
gradinata scavata nella viva roccia, che doveva mettere in qualche cella
sotterranea.
«La cassaforte si trova là
dentro» disse.
«Vi rinchiuderò anche i miei
valori. Domani andrò a Nuova York a cambiare la mia carta e le mie azioni
ferroviarie in oro. Ne avremo abbastanza al nostro risveglio. A quando il
nostro sonno?»
«Fra otto giorni; appena avranno
chiusa la base della roccia colla cancellata.»
«Una domanda ancora, mio caro
dottore. Se si dimenticassero di risvegliarci? Sai che io non ho nessun
parente.»
«Io ho una sorella che ha sette
figli» rispose Toby. «Spero che fra cent'anni esisterà ancora qualche pronipote
per venire a riaprirci gli occhi, o per impossessarsi del nostro tesoro nel
caso che noi fossimo proprio morti; e poi vi è il notaio ed ho anche depositato
un atto presso il sindaco. Non temere James: qualcuno verrà a raccogliere la
nostra eredità.»
«I miei successori non si
dimenticheranno di voi, siatene certi» disse il signor Max.
«Hai nessun'altra obiezione da
fare, James?» chiese Toby.
«No» rispose il giovane.
«Sei risoluto a tentare
l'esperimento?»
«Hai la mia parola.»
«Allora, torniamo a casa mia a
fare gli ultimi preparativi.»
Uscirono, chiusero la porticina,
scesero lo scoglio e salirono sulla carrozzella senza aggiungere altra parola.
Dobbiamo confessare però che
tutti e tre erano visibilmente commossi.
Otto giorni dopo, prima del
tramonto del sole, Brandok, il dottore ed il notaio lasciavano inosservati la
borgata e si mettevano in cammino per lo scoglio di Retz.
Avevano ormai prese tutte le
disposizioni per quella dormita che doveva durare cent'anni, e tutte le misure
perché in quel lunghissimo tempo nessuno si recasse a disturbarli.
Il signor Brandok aveva già fatto
trasportare nottetempo i suoi milioni e li aveva rinchiusi nella cassaforte
nascosta nel piccolo sotterraneo; aveva venduto tutti i suoi possedimenti, lasciando
una parte del ricavato al comune dell'isola purché vegliasse sulla tomba; il
dottore aveva regalato la sua casetta alla sua cuoca e fatto innalzare intorno
alla piccola costruzione la cancellata di ferro sulla quale aveva fatto
collocare parecchie lastre di metallo colla scritta: Proprietà privata del
dottor Toby Holker.
Quando giunsero sulla cima della
rupe il sole stava per tramontare in un oceano di fuoco.
Tutti e tre s'erano fermati,
guardando l'oceano che fiammeggiava sotto i riflessi del tramonto e che
s'increspava leggermente sotto la brezza della sera.
In lontananza un grande piroscafo
fumava, dirigendosi verso la costa americana; lungo le scogliere dell'isola
alcune barche pescherecce s'avanzavano dolcemente, tornando verso il porto
della piccola borgata; alla base della rupe le onde s'infrangevano rompendo il
silenzio che regnava sull'immenso oceano. I tre uomini tacevano: il notaio
sembrava profondamente commosso; Brandok e Toby un po' preoccupati. Rimasero
così parecchi minuti, guardando ora le barche ed ora il sole che pareva si
tuffasse in acqua; poi ad un tratto il dottore si scosse, dicendo:
«Non ti penti della parola data,
James?».
«No» rispose Brandok, con voce
calma.
«Anche se non dovessimo
risvegliarci mai più?»
«Nemmeno.»
«Signor Max, salutiamoci ed
abbracciamoci, poiché non ci rivedremo mai più, a meno di un miracolo.»
«Bisognerebbe che campassi
centoquarant'anni, una età impossibile» disse il notaio, sospirando. «Io morrò,
mentre voi risusciterete.»
«Un abbraccio, amico, e lasciamoci.»
Il signor Max, vivamente
commosso, cogli occhi umidi, si strinse fra le braccia il dottore, tenendoselo
per qualche momento sul petto.
«Addio, signor Brandok» disse
poi, con voce rotta, porgendogli la mano. «Vi auguro di tornare in vita e di
ricordarvi di me.»
«Ve lo promettiamo» rispose il
giovane. «Addio, signor Max: noi andiamo a dormire.»
Il notaio s'allontanò, volgendosi
più volte per un gesto d'addio; poi scomparve pel sentiero che conduceva alla
base della rupe dove aveva collocato una grossa cartuccia di dinamite, per
distruggerlo.
«Vieni James» disse Toby, quando
furono soli. «Guarda un'ultima volta l'oceano.»
«L'ho guardato abbastanza, e poi
non lo troveremo certo cambiato, se risusciteremo.»
Aprirono la porticina ed
entrarono nella loro tomba, che gli ultimi raggi di sole illuminavano a
sufficienza, facendo scintillare la cupoletta di vetro.
Toby prese dalla mensola una
bottiglia e due bicchieri e la stappò.
«Un buon bicchiere di champagne»
disse, versando lo spumeggiante nettare. «Alla nostra risurrezione, James!»
«O alla nostra morte, che per me
sarà lo stesso» rispose il giovine, forzandosi di sorridere. «Almeno lo spleen
non mi tormenterà più.»
Vuotarono d'un fiato i bicchieri,
poi il dottore chiuse in un plico alcuni documenti che collocò entro una
cassetta di metallo.
«Che cosa fai, Toby?» chiese
Brandok.
«Qui dentro vi sono le fiale
contenenti il misterioso liquido che dovrà ridarci la vita, e insieme la
ricetta che insegnerà come dovranno servirsene coloro che verranno a
risvegliarci.»
«Hai finito?»
«Sì. Un altro bicchiere.»
«Sia» rispose Brandok.
Vuotarono la bottiglia, poi il
dottore sturò una fiala ed empì due piccole tazze. Era un liquore rossastro, un
po' denso, che aveva un profumo speciale.
«Bevi» disse, porgendo una delle
tazze a Brandok.
«Cos'è?»
«Il narcotico che ci
addormenterà, o meglio che sospenderà la nostra vita e che impedirà alle nostre
carni di corrompersi.»
Il giovane prese la tazza con
mano ferma, guardò il liquido in trasparenza, poi lo tracannò senza che un
muscolo del suo viso avesse trasalito.
«È un po' amaro, però non è
cattivo» disse. «Ah! che freddo, Toby. Mi pare di avere un blocco di ghiaccio
al posto del cuore.»
«Non è nulla, e poi durerà poco.
Gettati sul letto e copriti.»
Mentre Brandok obbediva, il
dottore bevve anch'egli la sua tazza, poi s'accostò barcollando ad un vaso di
terra che si trovava in un angolo ed afferrato un martello che si trovava li
presso, con un colpo vigoroso ne spezzò il coperchio, poi raggiunse
frettolosamente il compagno.
Una temperatura da Siberia aveva
invaso la stanza. Pareva che da quel vaso misterioso uscisse una corrente
d'aria gelata, come quella che spira nelle regioni polari.
Il dottore guardò Brandok: il
giovane non dava più segno di vita. Pareva che la morte l'avesse colto di
colpo.
«Fra... cento... anni...» ebbe
appena il tempo di balbettare il dottore, e stramazzò a fianco dell'amico.
Nello stesso momento l'ultimo raggio di sole si spegneva e le prime ombre della
notte scendevano sul sepolcreto.
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