5 - A BORDO DEL CONDOR
Era appena spuntata l'alba,
quando Holker entrò nella stanza del suo antenato e del signor Brandok,
gridando:
«In piedi miei cari amici!... Il
mio Condor ci aspetta dinanzi alle finestre del salotto e l'hôtel ci
ha già mandato il tè».
Non ci volevano che le parole «ci
aspetta dinanzi alle finestre» per far balzare giù dal letto il dottore ed il
suo compagno.
«L'automobile davanti alle
finestre!» avevano esclamato, infilando i calzoni.
«Vi sorprendete?»
«A che piano siamo?» chiese
Brandok.
«Al diciannovesimo. Si respira meglio
in alto ed i rumori della via giungono appena.»
«Allora che automobile è la
vostra, per salire a simile altezza?»
«Lo vedrete; sbrigatevi, amici,
perché ho desiderio di condurvi stamane fino alle cascate del Niagara, per
mostrarvi i colossali impianti elettrici che forniscono la forza a quasi tutti
gli stabilimenti della Federazione. Prima andremo a vedere la stazione
ultrapotente di Brooklyn, dovendo dare mie notizie al mio amico marziano. Quel
brav'uomo deve essere un po' inquieto pel mio lungo silenzio e saprà con
piacere la notizia della vostra risurrezione.»
«Come!» esclamò Toby. «Tu lo
avevi informato che un tuo antenato dormiva da cento anni?»
«Sì, zio» rispose Holker. «Ci
facciamo di tratto in tratto delle confidenze, perché siamo legati da una
profonda amicizia.»
«Senza esservi mai veduti?»
esclamò Brandok.
«Dietro alcune mie indicazioni
avrà scarabocchiato il mio ritratto.»
«E tu?» chiese Toby.
«Ho il suo.»
«Come sono dunque gli abitanti di
Marte? Somigliano a noi?»
«Dalle descrizioni che abbiamo
ricevuto da loro, non sono affatto simili a noi; tuttavia in fatto di civiltà e
di scienza, sembra che non siano a noi inferiori. Figuratevi, zio, che hanno
delle teste quattro volte più grosse delle nostre e che quindi, con un simile
sviluppo di cervello, non devono essere più arretrati di noi.»
«Ed il corpo?»
«I martiani, da quanto abbiamo
potuto comprendere, sono anfibi che rassomigliano alle foche, con braccia
cortissime, che terminano con dieci dita, e piedi molto grandi e palmati.»
«Dei veri mostri, insomma!»
esclamò Toby, che ascoltava con viva curiosità quei particolari.
«Non sembra infatti che siano
troppo belli» rispose Holker. «Ma andiamo a prendere il tè, o lo troveremo
freddo. Riparleremo dei martiani e del loro pianeta quando saremo alla stazione
ultrapotente di Brooklyn.»
Lasciarono la stanza ed entrarono
nel salotto. La piccola ferrovia con un solo vagoncino, stava ferma
all'estremità della piastra di metallo. Non fu però quella che attrasse
l'attenzione di Brandok e del dottore, bensì un'ombra gigantesca che si agitava
dinanzi alle due ampie finestre.
«Che cos'è?» chiesero,
slanciandosi innanzi.
«Il mio Condor» rispose
tranquillamente Holker.
«Un pallone dirigibile?» chiese.
«No, signori, una macchina
volante che funziona perfettamente, dotata d'una velocità straordinaria, tale
da poter gareggiare colle rondini ed i colombi viaggiatori. Ve n'erano ai
vostri tempi?»
«Qualche pallone dirigibile,
sempre pericoloso» disse Toby.
«E siccome i palloni causavano
troppe disgrazie, noi da cinquant'anni abbiamo abbandonato l'idrogeno per le
ali. Prendiamo il tè, poi avrete il tempo di osservare il mio Condor e
di vederlo manovrare.»
Strappò quasi per forza il
dottore e Brandok dalle finestre e trasse dal vagoncino le tazze, la salvietta
ed il recipiente contenente la profumata bevanda, nonché dei biscotti.
«Non siate troppo impazienti»
disse. «Bisogna vedere le cose una alla volta o vi affaticherete troppo. Il
tempo non ci manca.»
Bevettero il tè, bagnandovi
qualche biscotto, poi Holker salì sul davanzale che era molto basso e mise i
piedi sulla piattaforma della macchina volante su cui erano state collocate
quattro comode poltroncine.
Harry, il negro gigante, stava
dietro alla macchina, tenendo le mani su una piccola ruota che faceva agire due
immensi timoni di forma triangolare, costruiti con una specie di tela
lucidissima, montati sopra una leggera armatura di metallo.
Brandok e Toby si erano appena
seduti, che il Condor s'innalzò subito obliquamente fino al di sopra
delle immense case, descrivendo una serie di giri d'una precisione ammirabile.
Quella macchina, inventata dagli scienziati del Duemila, era davvero
stupefacente e, quello che è più, d'una semplicità straordinaria.
Non si componeva che di una
piattaforma di metallo che pareva più leggero dell'alluminio, con quattro ali e
due eliche collocate le une lateralmente alle altre, tutte di tela, con stecche
d'acciaio e una piccola macchina che le faceva agire.
Il gas, come si vede, non vi
entrava per nulla; la meccanica aveva trionfato sui palloni dirigibili del
secolo precedente.
Toby ed il suo compagno
guardavano con stupore quel congegno straordinario che si alzava e si abbassava
e girava e rigirava come fosse un vero uccello.
Altri consimili ne volavano in
gran numero sopra i tetti dei palazzi, gareggiando in velocità, per la maggior
parte montati da signore che ridevano allegramente, e da fanciulli
schiamazzanti.
Ve n'erano di tutte le
dimensioni: di grandissimi che portavano perfino venti persone, e di
piccolissimi, appena sufficienti per due; ed altri formati da sole due ali
somiglianti a quelle dei pipistrelli, che reggevano una poltroncina montata da
una sola persona e che pure manovravano con non minore precisione e rapidità
degli altri.
In alto, in basso, s'incrociavano
saluti e chiamate, poi la flottiglia aerea si disperdeva in tutte le direzioni,
calando sulle vie, sulle piazze, sulle immense terrazze delle case o fermandosi
dinanzi alle finestre od ai poggioli per imbarcare nuove persone. Brandok e
Toby erano diventati muti, come se lo stupore avesse paralizzato loro la
lingua.
«Non dite nulla, dunque?» chiese
finalmente Holker. «Avete perduta la favella?»
«Io mi domando se sto sognando»
disse Brandok. «È impossibile che tutto ciò sia realtà.»
«Mio caro Brandok, siamo nel
Duemila.»
«Tutto quello che vorrete; eppure
stento a persuadermi che il mondo, in soli cent'anni, sia così progredito.
Trasformare gli uomini in uccelli! È incredibile!»
«E non vi è pericolo che queste
macchine volanti cadano?» chiese Toby.
«Qualche volta succedono degli
scontri; le ali si spezzano, le eliche si lacerano e allora guai a chi cade:
eppure chi ci bada? Forse che ai vostri tempi non s'urtavano le vecchie
ferrovie e le navi? Sono incidenti che non commuovono nessuno.»
«Che macchine sono quelle che
fanno agire le ali?»
«Macchine elettriche di grande
potenza. Come vi ho detto, in questi cent'anni l'elettricità ha fatto dei
progressi stupefacenti.»
«E quale velocità potete
imprimere a queste navi volanti?»
«Anche 150 chilometri all'ora.»
«Sicché avete abolito i treni
ferroviari?» chiese Brandok.
«Oh no, mio caro signore, non son
più quelli che si usavano ai vostri tempi, troppo lenti per noi, ma ne abbiamo
ancora moltissimi. Capirete che queste macchine volanti non si possono caricare
soverchiamente. Non servono che per divertirsi o per compiere delle piccole
corse di piacere. E pei lunghi viaggi attraverso gli oceani anche» proseguì
Holker. «Noi abbiamo dei veri vascelli aerei, che partono regolarmente da tutti
i porti dell'Atlantico e del Pacifico e che in trentasei ore vi sbarcano in
Inghilterra, ed in quaranta nel Giappone o nella Cina o nell'Australia.»
«Non vi sono più navi sui mari?»
«Oh sì, ne abbiamo ancora; ma non
sono più quelle che si usavano nel secolo scorso. Ne vedrete molte quando
attraverseremo l'Atlantico. Ho pensato anzi di lasciare alle cascate del
Niagara il mio Condor e di condurvi a Quebec colla ferrovia canadese,
per imbarcarvi poi di là per l'Europa.»
«Mio caro nipote,» disse Toby «tu
trascuri i tuoi affari; suppongo che avrai qualche occupazione.»
«Sono medico nel grande ospedale
di Brooklyn; per ora non si ha bisogno di me, avendo io due mesi di vacanza.»
«Anche tu dottore!» esclamò Toby.
«Che farà una ben meschina figura
dinanzi all'uomo che ha fatto una così grande scoperta.»
«Ne sarai l'erede» disse Toby.
In quel momento il Condor
si abbassò bruscamente su una vasta piazza brulicante di gente che pareva
impazzita.
«Che cosa accade laggiù?» chiese
Brandok, che si era curvato sul parapetto della piattaforma.
«È la piazza della Borsa» rispose
Holker.
«Sembra che quegli uomini abbiano
il fuoco addosso. Vanno e vengono quasi correndo.»
«E anche la gente che si affolla
nelle vie vicine pare che cammini sui tizzoni» disse Toby. «Eppure non saranno
borsisti quelli là.»
«Camminavano diversamente
cent'anni fa?» chiese Holker, con una certa sorpresa.
«Erano molto più calmi gli
uomini, mentre ora vedo che perfino le signore marciano a passo di corsa, come
se avessero paura di perdere il treno.»
«Io ho sempre veduto, da quando
son venuto al mondo, correre così frettolosamente.»
«Ah! Ora comprendo,» disse Toby.
«È la grande tensione elettrica che agisce sui loro nervi. Il mondo è impazzito
o quasi.»
«Harry,» disse Holker «muovi
verso Brooklyn.»
Il Condor s'alzò d'un
centinaio di metri e si slanciò verso l'est con una velocità di cinquanta
chilometri all'ora.
Vie immense apparivano sotto agli
aeronauti, se così si potevano chiamare, fiancheggiate da palazzi mostruosi di
venti, venticinque e perfino di trenta piani, che dovevano contenere migliaia
di famiglie ciascuno, la popolazione di un villaggio. Mille fragori salivano
fino agli orecchi dei due risuscitati, prodotti chissà da quali macchine
gigantesche: fischi, colpi formidabili, detonazioni, scoppi, e si vedevano,
lungo le pareti e sulla cima di colonne di ferro, roteare con velocità
straordinaria delle macchine volanti di dimensioni mai viste.
«Che cosa fanno laggiù?» chiese
Brandok.
«Sono officine meccaniche»
rispose Holker.
«Chissà quante migliaia di operai
lavoreranno là dentro!»
«Vi ingannate, mio caro signore;
gli operai oggidì sono quasi scomparsi. Non vi sono che dei meccanici per
dirigere le macchine. L'elettricità ha ucciso il lavoratore.»
«Cosa è avvenuto di quelle masse
enormi di lavoratori che esistevano un tempo?»
«Sono diventati pescatori ed
agricoltori; il mare e le campagne a poco a poco hanno assorbito gli operai.»
«Sicché non vi saranno più
scioperi?»
«È una parola sconosciuta.»
«Ai nostri tempi si imponevano, e
come! Specialmente dopo l'organizzazione fatta dal grande partito socialista.
Che cosa è avvenuto anzi del socialismo? Si prediceva un grande avvenire a quel
partito.»
«È scomparso dopo una serie di
esperimenti che hanno scontentato tutti e contentato nessuno. Era una bella
utopia che in pratica non poteva dare alcun risultato, risolvendosi infine in
una specie di schiavitù. Così siamo tornati all'antico, e oggidì vi sono poveri
e ricchi, padroni e dipendenti come era migliaia d'anni prima, e come è sempre
stato dacché il mondo cominciò a popolarsi. Qualche colonia tedesca e russa
sussiste nondimeno ancora, composta da vecchi socialisti che coltivano in
comune alcune plaghe della Patagonia e della Terra del Fuoco, ma nessuno si
occupa di loro, né hanno alcuna importanza, anzi, vanno scomparendo poco a poco.»
«Il ponte di Brooklyn!» esclamò
Brandok. «Lo riconosco ancora. Ha dunque resistito fino ad oggi?»
«Già, sono più di centoventi anni
che è lì. Gl'ingegneri dei vostri tempi erano buoni costruttori» disse Holker.
«Come è diventato immenso quel
sobborgo!» esclamò il dottore guardando con ammirazione la distesa di palazzi
immensi che si estendeva a perdita d'occhio.
«Quattro milioni di abitanti»
disse Holker. «Ormai gareggia con Nuova York.»
«E Londra che cosa sarà mai?»
«Una città di dodici milioni.»
«E Parigi?»
«Una metropoli sterminata, più
grossa ancora. Harry, va diritto alla stazione ultrapotente.»
Il Condor, oltrepassato il
ponte, aveva affrettato il volo.
Anche di sopra all'antico sobborgo
di Nuova York si vedevano volteggiare un gran numero di macchine volanti,
cariche di persone che si dirigevano per lo più verso l'Hudson o verso il mare.
Il Condor, dopo essere
passato sopra la città, si diresse verso una piccola altura su cui si vedeva
ergersi una torre immensa munita sulla cima di un'antenna smisurata, che pareva
un cannone mostruoso minacciante il cielo.
«La stazione ultrapotente» disse
Holker. «Vedete là a fianco della torre anche un tubo lucente, di dimensioni
pure enormi?»
«Sì, e cos'è?» chiese Toby.
«È il più grande cannocchiale che
esista al mondo.»
«Deve essere immenso.»
«È lungo centocinquanta metri,
signori miei, una vera meraviglia che permette di vedere la luna ad un solo
metro di distanza.»
«Sicché voi avete realizzato
l'antico sogno dei nostri astronomi.»
«Ah! Anche i vostri scienziati
hanno tentato di avvicinare di tanto il nostro satellite?»
«Sì, nipote mio,» rispose Toby «e
senza riuscirvi. Sicché ora la luna è ormai conosciuta minutamente?»
«Conosciamo anche le sue più
piccole rocce.»
«È popolata?»
«È un corpo spento, senz'aria,
senz'acqua, senza vegetazione e senza abitanti.»
«Già, anche i nostri astronomi
l'avevano supposta così.»
«E Marte a quanta distanza lo
vedete col vostro cannocchiale?» chiese Brandok.
«A soli trecento metri.»
«Che meraviglie!»
«Adagio, Harry, scendi piano.»
Il Condor aveva superata
una vasta cinta che circondava la stazione e scendeva dolcemente, descrivendo
delle curve allungate.
Alle otto del mattino s'adagiava
a trenta metri dall'enorme telescopio.
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