9 - IL BATTELLO-TRAMVAI
Alle cinque del mattino i tre
amici, che dopo aver indossati i pesanti vestiti dei viaggiatori polari, si
erano addormentati, venivano svegliati dalle grida degli impiegati ferroviari
della stazione di Wolstenholme.
Holker per il primo aveva aperto
gli occhi, dicendo ai suoi amici:
«Siamo sulle rive dell'Oceano
Artico ed il battello-tramvai ci aspetta per attraversare
lo Stretto d'Hudson. Non abbiamo tempo da perdere».
Presero i loro bagagli,
lasciarono il caldo scompartimento e uscirono dalla galleria d'acciaio per
entrare nella stazione.
«Una buona tazza di tè con un
bicchierino di whisky prima di tutto» disse Holker, entrando in una sala
che serviva da ristorante e che era splendidamente illuminata da una grossa
lampada a radium. «Deve fare molto freddo, fuori.»
Riscaldatisi lo stomaco,
lasciarono la stazione, seguiti da altri otto o dieci viaggiatori, per la
maggior parte inglesi e tedeschi che si recavano al polo.
Era ancora notte, però numerose
lampade a radium illuminavano le vie del piccolo villaggio costruito sulle rive
dell'Oceano Polare, ed il freddo era intensissimo.
La neve copriva ogni cosa e
doveva avere uno spessore considerevole.
«Chi abita questo paese da lupi?»
chiese Brandok, mentre si infagottava in un ampio mantello di pelle d'orso
nero.
«Vi sono qui tre o quattro
dozzine di pescatori canadesi» rispose Holker. «Tutti i tentativi fatti per
colonizzare queste vaste terre sono riusciti vani. È un vero peccato, perché
qui lo spazio non mancherebbe per far sorgere delle città gigantesche.»
«E piantare cavoli e seminar
grano» disse Brandok, ridendo.
«Eppure qualche cosa nasce e
matura qui, nonostante il freddo.»
«Ed in qual modo avete potuto
ottenere questi miracoli?»
«Proiettando sulle piante e sul
terreno un continuo getto di luce a radium,» rispose Holker. «Le patate vi
crescono assai bene, e anche i funghi, nelle cantine delle case.»
«Raccogliere dei funghi presso il
circolo polare artico! Questa è grossa! Che cosa direbbero Franklin e Ross, se
tornassero in vita?»
In quel momento un fischio acuto
risuonò a breve distanza ed un potente fascio di luce fu proiettato sulla
piccola schiera che era guidata da un impiegato ferroviario.
«Che cosa c'è?» chiese Toby.
«È il battello-tramvai
che ci chiama» rispose Holker.
«È un piroscafo od un carrozzone
che viaggia sulla terra?»
«L'uno e l'altro, zio» disse
Holker.
«Un'altra invenzione diabolica?»
«Ma praticissima.»
Affrettarono il passo e, dopo
qualche minuto, si trovarono sulla spiaggia dell'Oceano Artico. All'estremità
di un ponte di legno, illuminato da parecchie lampade, vi era un grosso
battello sormontato da un solo albero, sulla cui cima brillava una grossa palla
di radium che lanciava in tutte le direzioni dei fasci di luce brillantissima,
leggermente azzurrina.
Parecchi uomini, coperti da
vestiti villosi che li facevano rassomigliare ad orsi polari, stavano allineati
lungo le murate, tenendo in mano delle lunghe aste colla punta d'acciaio.
«Dei soldati polari?» chiese
Brandok.
«Dei marinai» rispose Holker.
«Perché hanno quelle lance?»
«Per allontanare i ghiacci che
s'accostano al battello. Ve ne saranno molti al largo.»
«E dove ci porterà questo
battello?»
«Fin sulla Terra di Baffin, oltre
il lago di Nettelling.»
«Mio caro nipote,» disse Toby «ai
nostri tempi quel lago si trovava nel cuore dell'isola.»
«È così, zio.»
«Questo battello non potrà quindi
spingersi fin là, a meno che non abbia delle ruote che lo conducano.»
«E se così fosse? Se questo meraviglioso
battello potesse ad un tempo navigare e correre anche sulla terra, come una
semplice automobile?»
«Amico James, che cosa dici di
questa nuova invenzione?» chiese Toby.
«Che finirò per non stupirmi più
di nulla, anche se dovessi trovare dei mari tramutati in campi fertili» rispose
Brandok.
Giunti all'estremità del ponte,
salirono sul piroscafo, cortesemente salutati dal capitano e dai suoi due
ufficiali.
Era una bella nave, dai fianchi
piuttosto rotondi per meglio sfuggire alle strette dei ghiacci, lunga una
trentina di metri, con in mezzo una galleria formata da vetri di grande
spessore, per difendere i viaggiatori dai morsi del vento polare, senza
impedire loro di vedere ciò che succedeva all'esterno, e bene illuminata.
Brandok, Holker e Toby presero
posto a prora, sotto la galleria, seguiti subito dagli altri passeggeri.
La porta fu chiusa, la macchina
lanciò un fischio acuto ed il battello si mise in moto a velocità moderata,
mentre i suoi uomini, che si trovavano fuori della galleria, salivano sulle
murate immergendo nell'acqua le loro aste dalla punta ferrata.
Lo Stretto di Hudson, che separa
il territorio del Labrador dalla grande isola di Baffin, era tutto ingombro di
ghiacci.
Si vedevano delle montagne
galleggianti andare alla deriva, spinte dal vento polare e anche molti banchi
popolati da una grande quantità di uccelli marini.
Sotto i fasci di luce della
potente lampada a radium che brillava sulla cima dell'albero, quei ghiacci
scintillavano come enormi diamanti e producevano un effetto sorprendente e
meraviglioso.
Il battello, abilmente guidato,
si teneva a distanza da quei pericolosi ostacoli.
Ora rallentava, poi, quando
trovava uno spazio libero o un canale, aumentava considerevolmente la velocità.
Talora investiva poderosamente i banchi di ghiaccio col suo tagliamare e li
stritolava adoperando certi bracci d'acciaio forniti di denti come quelli delle
seghe, che agivano ai due lati della prora, e che in pochi istanti sgretolavano
i massi.
«Una vera nave da ghiaccio» disse
Brandok, che guardava con viva curiosità. «Quante belle invenzioni!»
«E quando la vedrete salire sulla
riva e correre sui campi di ghiaccio della Terra di Baffin come una immensa
vettura?» disse Holker.
«È incredibile e nessuno ai
nostri tempi avrebbe mai osato sperare di trasformare una nave in un tramvai»
disse Toby.
«E che esce dall'acqua e che
prosegue la sua corsa, senza cambiare apparentemente nulla, senza interrompersi
nemmeno un istante; che diventa vettura dopo essere stata battello e che torna di
nuovo battello dopo essere vettura con un'agilità e rapidità unica» aggiunse
Holker. «Sì, è una vera nave meravigliosa.»
«Io vorrei sapere come avviene
questa trasformazione» disse Toby.
«In una maniera semplicissima»
rispose Holker. «Il battello non ha che una sola macchina messa in moto
dall'elettricità, capace però di servire a diversi fini e producente una forza
applicabile in parecchi modi, per un'azione sempre diversa. Avviene così che la
nave, avvicinandosi alla riva, riceve dalla motrice tutta la forza che
s'accumula su due ruote collocate a prora e nascoste entro due nicchie aperte
nella carena. Appena l'acqua comincia a mancare, quelle ruote, mediante un
meccanismo speciale, si abbassano e si mettono in funzione, mentre le eliche
vengono fermate. A poppa vi sono pure altre due ruote le quali agiscono perché
trascinate dall'impulso di quelle anteriori. Ecco la nave trasformata, senza
bisogno di manovre faticose, in un enorme tramvai. Sale la riva e si mette in
marcia per terra e prosegue fino a che trova o qualche canale o qualche lago o
qualche braccio di mare. Allora le ruote entrano nelle loro nicchie, le eliche
si rimettono in funzione ed ecco il tramvai tornato battello. Non è ingegnoso
tutto ciò?»
«Ve ne sono molte di queste
navi?»
«Sì, specialmente in Europa dove
esistono spiagge basse, come in Germania, in Danimarca, in Irlanda, in Italia e
così via.»
«E questi battelli conservano la
loro velocità anche in terra?» chiese Brandok.
«La medesima,» rispose Holker «e
la loro forza locomotrice è di centosessanta metri al minuto.»
«E sempre nuove invenzioni le une
più meravigliose e più sorprendenti delle altre. Ah! Toby!»
«Cos'hai, James?»
«Sai che fra questi ghiacci non
provo più quella strana agitazione che mi faceva sussultare i muscoli?»
«Nemmeno io» rispose il dottore.
«E ciò dipende dall'essere lontani dalle grandi città. Qui l'elettricità non
può farsi sentire come laggiù o come sopra le cascate del Niagara.»
«Se noi non potremo resistere
alle tensioni elettriche che si faranno sentire fortemente anche nelle grandi
città europee, ci rifugeremo al polo.»
«E diventeremo anche noi
anarchici» disse il dottore, ridendo.
Il
battello-tramvai continuava intanto a lottare vigorosamente
contro i ghiacci per raggiungere le sponde meridionali della Terra di Baffin,
che si discernevano già vagamente fra le brume dell'orizzonte.
Delle montagne enormi, dei così
detti ice-bergs, apparivano di quando in quando,
cappeggiando pericolosamente e dondolandosi fra le onde, e minacciando di
rovesciarsi addosso alla piccola nave. Questa con una rapida manovra le
evitava, gettandosi in mezzo ai banchi che sormontava con slanci impetuosi e
che spezzava col proprio peso.
Nessuna nave si scorgeva su quel
mare. Da quando le balene erano scomparse e le foche pure, quelle acque erano
diventate deserte.
Abbondavano invece sempre gli
uccelli marini, anzi si mostravano così familiari che calavano in buon numero
sulla galleria del battello senza inquietarsi per la presenza dei marinai.
Verso le dieci del mattino, dopo
un'abbondante colazione offerta dal capitano ai passeggeri, e che era già
compresa nel prezzo del biglietto, il Narval, tale era il nome del
battello, giungeva dinanzi alle spiagge meridionali della Terra di Baffin e
precisamente all'imboccatura di un canale che era formato da due immense rupi,
alla cui estremità si vedeva la terra scendere dolcemente.
La nave con pochi colpi di
sperone si aprì il passo fra i ghiacci che avevano già otturata l'entrata del
passaggio, poi s'avanzò lentamente finché l'acqua venne a mancare.
Le quattro ruote avevano lasciate
le loro nicchie, abbassandosi in attesa di mettersi in funzione.
«Ecco che diventa tramvai,» disse
Holker. «La nave lascia il mare per la terra.»
Il Narval si era
bruscamente inclinato e le ruote anteriori si erano messe in movimento.
Mentre la poppa era ancora in
acqua, la prora saliva la riva senza scosse e senza fatica.
Ben presto l'intera nave si trovò
in terra e partì con una velocità di trentacinque o quaranta chilometri all'ora,
come fosse un vero tramvai elettrico, percorrendo una via segnalata da
altissimi pali.
Una pianura immensa, quasi
liscia, coperta da un alto strato di ghiaccio e di neve gelata, si estendeva a
perdita d'occhio dinanzi ai viaggiatori polari.
Quella terra, quantunque spazzata
dai venti e dagli uragani polari, non era del tutto disabitata.
Di quando in quando, a lunghi
intervalli, il Narval passava dinanzi a piccoli raggruppamenti di case
di ghiaccio, di forma semiovale, abitate dalle ultime famiglie di esquimesi
sfuggite miracolosamente alla morte per fame, dopo la distruzione delle ultime
balene e delle ultime foche da parte degli avidi pescatori americani.
Vedendo il battello avanzarsi si
affrettavano a uscire dalle loro casupole per chiedere qualche biscotto o
qualche scatola di carne o di brodo concentrato.
Erano i medesimi tipi di
cent'anni prima. Un tronco tozzo su due gambe pure tozze, una testa grossa
cogli zigomi sporgenti, faccia larga, capelli neri, naso schiacciato; una certa
somiglianza insomma con le loro buone amiche ormai scomparse: le foche.
Disgraziatamente per loro, non si
nutrivano più colle carni delle loro foche come un secolo prima, non si
vestivano più colle loro calde pellicce, non illuminavano più le loro casupole
col loro grasso.
Avevano anche essi un pezzo di
radium, ed invece di avere delle fiocine colla punta di osso, portavano a
tracolla dei buoni fucili elettrici coi quali si procuravano il cibo
giornaliero massacrando gli uccelli marini, sempre numerosi in grazia della
cattiva qualità delle loro carni, eccessivamente oleose per i palati americani
ed europei.
Erano molto sparuti però, quei
poveri diavoli, quantunque si sapesse, anche cent'anni prima, di che specie di
appetito erano dotati quegli abitanti dei ghiacci eterni.
Essi infatti non facevano smorfie
dinanzi ad un pesce avariato, o a dei volatili in piena decomposizione, e a
degli intestini d'orso bianco, e perfino dinanzi a degli escrementi o agli
avanzi non ancora digeriti che ritiravano dal ventre delle renne uccise.
Avevano anche perduta la loro
proverbiale gaiezza in seguito alla mancanza di scorpacciate di lardo di
balena!
Si capiva che proprio la
distruzione di quei giganteschi mammiferi aveva modificato profondamente il
loro temperamento, un tempo così gaio.
«Ecco una razza destinata a
scomparire al pari dei pellirosse» disse Brandok, che era già uscito parecchie
volte dalla galleria, per gettare a quei disgraziati parecchie ceste di
biscotti, acquistate dal dispensiere del Narval.
«Quanti anni durerà ancora?»
«Pochi lustri di certo» rispose
Holker. «Non sono uomini da poter prendere parte alla grande lotta per
l'esistenza. Scomparse le foche e le balene di che cosa potrebbero vivere? Se i
viaggiatori che vanno al polo non li aiutassero, a quest'ora sarebbero completamente
spariti.»
«Eppure vi è una colonia polare
lassù, mi avete detto.»
«Quelli sono uomini che
appartengono alla nostra razza» rispose Holker.
«Ecco l'egoismo della razza
bianca!...»
«In coscienza non posso darvi
torto.»
«Noi, sempre noi soli a dominare il
mondo.»
«È la lotta per la vita, signor
Brandok.»
«O meglio la lotta di razza.»
«Come volete» rispose Holker.
«Comincia a far buio. Come son brevi le giornate in questa stagione, sulle
terre polari! Ecco che il sole tramonta e non sono che le tre pomeridiane!»
«Quando prenderemo il treno
polare?» chiese Toby, con evidente impazienza.
«Domani sera.»
«Allora possiamo cenare e
coricarci. Vi saranno delle cabine in questo battello.»
«E bene riscaldate, e con un
comodo letto. La società polare ferroviaria non lesina mica in fatto di
comodità. Venite, amici, per intanto andiamo in sala da pranzo.»
Lasciarono la galleria e scesero
in uno splendido salone illuminato da quattro grosse lampade a radium, che
mantenevano un calore piacevolissimo.
Si assisero ad una tavola dove si
vedevano oltre a dei piatti d'argento, delle coppe di cristallo piene di fiori
ottimamente conservati, raccolti probabilmente nelle serre di Quebec.
La composizione della cena era
veramente polare. Salmone, filetti di narvalo, fegato di caribou, coscia
di renna con crescione, pasticcio di fegato di morsa, gelato, e liquori a
discrezione, con tè e caffè a scelta.
«Almeno qui abbiamo della
selvaggina» disse Brandok. «Un piatto di gran lusso al giorno d'oggi, è vero,
signor Holker?»
«Dite rarissimo, anche nelle
grandi città! Vive qui ancora qualche gruppo di renne e si trovano anche dei caribou
e qualche morsa. Fra pochi anni vedrete che quegli animali e quegli anfibi
saranno completamente scomparsi.»
Cenarono con molto appetito e
verso le cinque, mentre un folto nebbione al di fuori scendeva sulle pianure di
ghiaccio, si fecero condurre nelle loro cabine dove trovarono dei soffici letti
che non erano inferiori a quelli della casa del signor Holker.
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