10 - LA GALLERIA POLARE
Dormivano da parecchie ore,
quando furono bruscamente svegliati da un urto piuttosto violento, che si
ripercosse in tutto lo scafo del battello-tramvai, e dalle
grida dell'equipaggio.
Essendo le lampade a radium
rimaste accese, Brandok, Holker e Toby si trovarono riuniti quasi nello stesso
tempo nella sala dove avevano cenato e dove già si erano raccolti gli altri
viaggiatori.
«Signor Holker,» disse Brandok,
vedendolo scambiare alcune frasi con uno degli ufficiali che era sceso nella
sala «che cos'è avvenuto?»
«Nulla di grave, rassicuratevi»
rispose il nuovayorkese con voce tranquilla. «Il battello ha urtato contro un
enorme masso di ghiaccio che la nebbia impediva di vedere e che sbarrava la
via.»
«Sicché non potrà più avanzare?»
«Fino a che non si sarà tolto
l'ingombro. Non sarà che un ritardo di un paio d'ore. Saliamo sulla galleria ed
andiamo a vedere.»
Un masso enorme che doveva
essersi staccato da qualche ghiacciaio, avendo il Narval raggiunto un
gruppo di collinette piuttosto ripide, era rotolato fino sulla via segnalata
dai pali ed aveva fermata bruscamente la corsa.
L'intero equipaggio, munito di
lampade e di picconi si era già messo al lavoro per sgretolarlo, aiutato da una
ventina di esquimesi, accorsi subito da un villaggio vicino.
«Se quel blocco piombava nel
momento in cui passava il battello, eravamo fritti» disse Brandok. «Lo
schiacciava come una nocciola.»
«Sono casi piuttosto rari, non
essendovi che poche collinette in quest'isola» rispose Holker. «Non ho mai
udito raccontare che uno di questi battelli sia stato schiacciato.»
«Dove siamo ora?»
«A duecento miglia dalla stazione
del lago.»
«Signori» disse in quel momento
il capitano che era risalito a bordo. «Ne avremo per tre ore; se volete
approfittarne per visitare il villaggio esquimese dei
Naz-tho che si trova qui presso, non vi mancherà il tempo.
Una visita agli abitanti del polo è sempre interessante per un turista. Metto a
vostra disposizione un marinaio con due lampade.»
«Approfittiamone pure» disse
Brandok. «Io non sono mai stato nelle regioni polari.»
La proposta fu subito approvata
anche dagli altri viaggiatori, e qualche minuto dopo il drappello lasciava la
nave, preceduto da un marinaio che illuminava la via con due lampade a radium.
Il freddo era intensissimo al di
fuori, un nebbione pesante, fittissimo che la luce delle lampade appena appena
riusciva a diradare, calava sulle pianure di ghiaccio, e un forte vento
soffiava dal polo.
«Signor Holker, siete stato altre
volte qui?» chiese Bran-dok.
«Mi sono recato al polo già due
volte.»
«Conoscete dunque gli esquimesi?»
«Benissimo.»
«Quali progressi hanno fatto in
questi cento anni?»
«Nessuno: sono rimasti tali e
quali come li avevano trovati gli esploratori del secolo scorso. Sono esseri
incapaci di civilizzarsi, e perciò finiranno anche essi con lo scomparire. Vi
ho già detto che il loro numero è immensamente scemato dopo la distruzione
delle balene, delle foche e delle morse.»
«Vivono ancora nelle capanne di
ghiaccio?» chiese Toby.
«Sì, zio, e l'unico miglioramento
che abbiano introdotto è quello di aver soppressa l'antica e fumosa lampada ad
olio con quella a radium che li illumina e li riscalda meglio. Eccoci giunti;
volete che visitiamo una capanna? Turatevi il naso e fatevi coraggio.»
Erano giunti dinanzi al
villaggio, il quale si componeva d'una mezza dozzina di abitazioni di forme
semisferiche, composte di massi di ghiaccio sovrapposti con un certo ordine,
aventi sul davanti una piccola galleria che immetteva alla porta d'entrata.
Internamente erano tutte
illuminate, sicché scintillavano fra la nebbia come se fossero colossali
diamanti, essendo il ghiaccio mantenuto sempre sgombro dalla neve che vi si
accumulava sopra.
Holker stava per introdursi in una
di quelle gallerie così basse e strette che non si poteva avanzare che
strisciando, quando un esquimese che li aveva seguiti, lo fermò, dicendo:
«Aga-aga-mantuk».
«Che cosa vuol dire?» chiese
Brandok.
«Ho capito» disse Holker. «È una
tomba, questa, dove sta morendo tranquillamente qualcuno della tribù. Non
disturbiamo la sua agonia.»
«Come! là dentro vi è uno che
muore?» esclamò Brandok.
«Sì, e solo. La galleria deve
essere già stata otturata.»
«Quindi è sepolto vivo?»
«Non durerà molto» rispose
Holker. «Se la malattia non lo uccide presto, s'incaricherà la fame di mandarlo
nel paradiso degli esquimesi.»
«Spiegati meglio, nipote mio»
disse Toby. «Perché lo hanno sepolto vivo?»
«Perché è stato giudicato
inguaribile. Qui, quando un uomo od una donna vengono colpiti da qualche
malattia, si cerca di curarli dapprima con degli incantesimi, urlando e
correndo intorno alla capanna e mettendo accanto all'infermo una pietra di due
o tre chilogrammi, secondo la gravità della malattia, e che ogni mattina viene
pesata dalla donna più vecchia della tribù o dall'angekoc, che è una
specie di stregone. Se la pietra non diminuisce di peso, significa che il
malato è spacciato. Gli costruiscono a poca distanza una nuova capanna di
ghiaccio, vi stendono delle pelli, vi portano una brocca d'acqua ed una
lampada. Il malato vien portato nella sua tomba e si corica sul suo letto.
Fratelli, sorelle, moglie, figli e parenti vanno a portargli il loro ultimo
saluto, non fermandosi più del necessario, perché se la morte sorprendesse il
malato, i visitatori sarebbero costretti a spogliarsi dei loro abiti e gettarli
via, perdita non disprezzabile in questi climi. Poi, chiudono la galleria con
massi di ghiaccio e lasciano che il malato si spenga da sé.»
«E si lasciano rinchiudere senza
protestare?»
«Anzi, sono loro che pregano i
parenti di portarli nella capanna da cui non usciranno mai più. Più volte dei
viaggiatori che si recavano alle colonie polari presi dall'orrore di quel che
accadeva in quelle capanne funebri, avevano forzata l'entrata per portar via il
morente e avevano ricevuto questo rimprovero: «Chi viene a turbare la mia
agonia? Non si può dunque morire in pace?».»
«E così fanno ancora?» disse
Toby.
«Lo vedete.»
«Che sia morto l'uomo che si
trova in quella capanna?»
«Potrebbe essere ancor vivo;
lasciamolo in pace, per non attirarci addosso l'ira dei suoi parenti, e
rispettiamo la sua volontà.»
Passarono in un'altra capanna più
vasta e meglio illuminata, e dopo essersi introdotti nell'angusto corridoio, si
trovarono nell'interno.
Vi erano due donne coperte di
vecchie pellicce sbrindellate ed una mezza dozzina di fanciulli seminudi,
poiché vi regnava un caldo soffocante. Una delle donne stava masticando un paio
di grossi stivali di pelle di morsa che il gelo aveva indurito e che essa
cercava di rammollire coi suoi possenti molari; l'altra era occupata a
preparare il pasto.
Un odore nauseante regnava in
quella piccola abitazione, dove alcune volpi e dei pesci imputridivano affinché
le loro carni risultassero più squisite ai palati esquimesi.
«Ne ho a sufficienza» disse
Brandok, che si sentiva soffocare. «Questi bravi abitanti del polo non hanno
fatto un passo avanti da un secolo a oggi.»
Gettarono ai ragazzi alcune
manciate di biscotti e tornarono frettolosamente all'aperto, dove il marinaio
del Narval li aspettava assieme agli altri viaggiatori, che dimostravano
d'averne perfin troppo di quella visita. Un quarto d'ora dopo rientravano nella
galleria della nave, ben lieti di trovarsi al riparo dal freddo e dal nebbione.
L'enorme blocco di ghiaccio non
era stato ancora completamente sgretolato, però poco ci mancava.
Una cartuccia carica di esplosivo
potentissimo fece saltare quello che rimaneva, sicché verso le otto del mattino
il Narval si rimetteva in marcia, con una velocità notevole essendo la
pianura quasi liscia.
Durante la giornata, la corsa
continuò senza notevoli incidenti, e verso le cinque Brandok segnalava un gran
fascio di luce che forava la nebbia.
«È la stazione di Nettelling»
disse Holker. «Fra pochi minuti noi saliremo sul tramvai elettrico che ci
condurrà al polo nord.»
Non era trascorso un quarto d'ora
che il Narval entrava sotto una immensa tettoia illuminata da un gran
numero di lampade e dove si muovevano parecchie persone che si potevano
facilmente scambiare per bestie polari.
Lì presso si innalzava un alto
fabbricato di legno da cui uscivano dei cupi fragori, come se delle macchine
poderose fossero in funzione.
In lontananza invece si scorgeva
una lunga fila di lampade, che proiettavano una luce un po' diversa da quelle a
radium; era uno strano sfolgorio come se i ghiacci scintillassero.
«Che cosa c'è laggiù?» chiesero
Brandok e Toby.
«La grande galleria che conduce
al polo» rispose Holker. «Una delle più grandi meraviglie del nostro secolo.»
«Voi avete costruita una galleria
che conduce al polo!» esclamò il dottore.
«Come volevate arrivarci? Con
delle navi forse? Voi sapete che anche ai vostri tempi hanno fatto cattiva
prova. La grandiosa idea di giungere al polo per mezzo di una galleria la dobbiamo
ad un ingegnere nostro compatriotta. Essa si diparte dalla riva settentrionale
di questo lago, si spinge attraverso la Terra di Baffin, passa lo stretto di
Lancaster, che, come sapete, non sgela mai, nemmeno in estate, quindi
sull'isola di Devon, poi su quella di Lincoln, d'Ellesmere fino a Grant e
giunge al polo sotto l'88° di longitudine.»
«Di che cosa è fatta quella
galleria?» chiese Brandok, il cui stupore non aveva più limite.
«Con materiale trovato sul luogo
e che non è costato nemmeno un dollaro» rispose Holker.
«Di ghiaccio?» disse Toby.
«Precisamente, un materiale a
buon mercato, cementato con un miscuglio di sale per dare ai blocchi maggior
coesione. La galleria è larga undici piedi, alta otto, colle pareti che hanno
uno spessore di due metri, costruite con blocchi di ghiaccio di due piedi di
lunghezza e mezzo di larghezza. Nella forma somiglia ad un arco perfetto ed è
illuminata a luce elettrica perché le pareti non si fondano come sarebbe potuto
accadere con quella a radium.»
«Quanto hanno impiegato a
costruirla?» chiese Toby. «Non più di sette mesi, lavorando appena 400 operai.
Non credo che il suo costo abbia superato i duecentomila dollari.»
«E non si scioglie?»
«È impossibile, attraversando una
regione dove il termometro, anche in giugno e in luglio, non segna mai più di
tre o quattro gradi sotto zero. Infatti in quattordici anni che funziona,
nessuna arcata è mai crollata.»
«E chi ci condurrà al polo?»
«Un carrozzone elettrico di
dimensioni straordinarie, che scivola su rotaie. Qui alla stazione vi sono
macchine e dinamo poderose, e anche al polo ve ne sono d'ugual potenza.»
«E finisce al polo la galleria?»
chiese Brandok.
«No, signore. I russi e gli
inglesi poi ne hanno costruita un'altra che parte dalla colonia polare e sbocca
a nord dello Spitzbergen. Quella di quando in quando frana al suo sbocco, non
essendovi in quelle isole un freddo sempre intenso. Le riparazioni però sono
facili.»
«Brandok,» disse Toby «cosa ne
dici?»
«Che sogno sempre» rispose il
giovine.
«Scendiamo ed andiamo a prendere
il nostro posto sul tramvai elettrico» disse Holker. «Faremo colazione là
dentro.»
All'estremità della tettoia era
avanzato un carrozzone enorme, lungo più di venti metri, su due e mezzo di
larghezza, tutto chiuso da vetri che pareva avessero uno spessore
notevolissimo, e difeso al di sopra da una specie di gabbia d'acciaio destinata
certamente a ripararlo dalla caduta di qualche masso che poteva staccarsi dalla
volta della galleria.
Tre lampade a radium di grande
potenza lo illuminavano, o meglio lo inondavano di luce.
L'interno era diviso in cinque
scompartimenti: salotto per pranzare, gabinetto di toeletta, stanza da letto,
sala da gioco e da lettura ed una piccola cucina.
Grossi tappeti di feltro erano
stesi sul suolo e pesanti pellicce coprivano le brande che servivano da letto.
«Come si sta bene qui!» esclamò
Brandok, sbarazzandosi della pelliccia ed entrando nel salotto da pranzo dove
già si trovavano i viaggiatori tedeschi ed inglesi che li avevano accompagnati
sul Narval. «Che dolce tepore! Non si direbbe che fuori il termometro
segna 22° sotto zero.»
«E come sono eleganti questi
scompartimenti!» disse Toby, che li aveva già percorsi.
«Quando giungeremo al polo,
signor Holker?» chiese Brandok.
«Non prima delle nove di domani
mattina.»
«Col sole?»
«Voi parlate del sole in questa
stagione. È tramontato da dodici giorni, e al polo ora regna una notte
perfetta, anche in pieno mezzodì.»
«È vero; mi dimenticavo che siamo
in autunno inoltrato.»
«A tavola, signori miei, ed
imitiamo i nostri compagni di viaggio.»
Si misero ad uno dei sei tavolini
che occupavano il salotto e si fecero servire un pranzo abbondante e anche
succulento, fornito dal cuoco del tramvai polare, pranzo composto per la maggior
parte da pesci eccellenti, cucinati in diverse maniere, che innaffiarono con
dello squisito vino bianco secco di California.
Il carrozzone intanto era già
partito con una velocità di centocinquanta chilometri all'ora, inoltrandosi
sotto la galleria polare.
Quel tunnel formato tutto
di blocchi di ghiaccio cementato con mistura di sale, era veramente
meraviglioso.
Ogni cinquecento passi una
lampada elettrica da tre o quattrocento candele, lo illuminava, facendo
scintillare meravigliosamente le pareti, e ad ogni venti chilometri vi era uno
sbocco laterale, attraverso cui si scorgevano delle casette di legno abitate
dai sorveglianti della linea.
«Splendida! Splendida!» ripeteva
Brandok, che si era seduto presso il manovratore fumando un buon sigaro avana.
«Questa è certamente l'idea più grandiosa concepita dagli uomini del Duemila.»
«Lo credo anch'io, signor
Brandok» rispose Holker che lo aveva raggiunto, mentre Toby giocava una partita
a whist con due inglesi.
«E non vi sarà pericolo che una
volta o l'altra succeda una catastrofe? Supponiamo che in qualche luogo il
ghiaccio ceda o si sgretoli per effetto delle pressioni, o che un pezzo di
galleria si rompa. Come potrebbe questo carrozzone, lanciato a tale velocità,
evitare un disastro?»
«In un modo semplicissimo:
fermandosi» disse Holker ridendo.
«Di colpo non è possibile;
mancherebbe il tempo.»
«Ma il manovratore lo potrebbe
fermare molto prima se sulla linea vi fosse una interruzione che potesse
causare un disastro.»
«In qual modo?»
«Abbiamo dinanzi a noi una
macchina pilota che ci precede di cinque chilometri e che corre con egual
velocità del nostro carrozzone»
Brandok lo guardò come se non
avesse compreso.
«Mio caro signore,» proseguì
Holker «i costruttori di questa linea avevano previsto che dei gravi pericoli
avrebbero potuto minacciare i viaggiatori appunto a causa delle pressioni e dei
ghiacci, i quali galleggiano in molti luoghi sull'oceano, perciò hanno subito
cercato di evitarli.»
«Una cosa che mi sembrerebbe
difficile.»
«Per gli uomini del millenovecento
forse sì, non per quelli del Duemila» disse Holker.
«Che cosa hanno pensato di fare?»
«Far precedere i carrozzoni da un
vagoncino che ha la funzione di pilota.»
«Vuoto?»
«Sì, signor Brandok, ed unito al
carrozzone da un filo elettrico. Supponete ora che quel vagoncino paragonabile,
pei suoi armamenti di fili elettrici, ai tentacoli che servono ai pesci ciechi
per avanzarsi nelle grandi profondità o nelle caverne sottomarine, vada a
urtare contro un ostacolo qualunque o precipiti in qualche spaccatura apertasi
nei banchi di ghiaccio sostenenti la galleria; immediatamente l'urto viene
trasmesso al manovratore del nostro carrozzone, il quale, messo in allarme
dalla suoneria, s'affretta a fermarsi. Ecco dunque evitato qualsiasi pericolo.
Si avvertono tosto gli uomini incaricati di riparare la galleria, questi si
trasportano sul luogo ove il crollo o la frana sono avvenuti e riparano il
guasto. Potete quindi viaggiare tranquillamente, signor Brandok senza temere
alcun disastro.»
«È ingegnoso il mezzo» disse il
giovine.
«E sicuro, soprattutto» rispose
Holker. «Signor Brandok, andiamo a coricarci. Il tempo passerà più in fretta e
quando riapriremo gli occhi, noi saremo fra gli anarchici della colonia
polare.»
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