11 - LA COLONIA POLARE
Una scossa piuttosto brusca,
seguita da un tintinnio di campanelli elettrici e da un vociare piuttosto
acuto, svegliò l'indomani mattina i viaggiatori, facendoli scendere
precipitosamente dalle loro comode brande.
Il carrozzone, dopo una corsa
velocissima durata tutta la notte, era giunto alla stazione ferroviaria del
polo nord, e s'era fermato sotto una lunghissima tettoia di legno, chiusa alle
estremità da gigantesche portiere a vetro e illuminata da un gran numero di
lampade elettriche.
Parecchie persone, assai barbute,
avvolte in pelli d'orso bianco, si erano raccolte intorno al tramvai parlando
diverse lingue: spagnolo, russo, inglese, tedesco e perfino italiano.
Quasi tutti fumavano enormi pipe
di porcellana, gettando in aria delle vere nuvole di fumo.
«Siamo al polo, amici miei» disse
Holker, prendendo i bagagli.
«E chi sono questi uomini che ci
guardano di traverso?» chiese Toby.
«Anarchici pericolosi,
provenienti da tutti i paesi del mondo e condannati a finir qui la loro vita.»
«Che triste esistenza devono
condurre fra queste nevi!»
«Meno di quello che credete, zio»
rispose Holker. «Ogni capo di famiglia ha una capanna di legno fornitagli dal
suo governo e ben riscaldata con lampade a radium. Trascorrono la loro vita
cacciando e pescando e non fanno cattivi affari trafficando in pellicce. E poi
di quando in quando ricevono viveri e tabacco. Non sono proibiti che i
liquori.»
«E non si ribellano mai?»
«I governi mantengono qui due
dozzine di pompieri per tenerli a freno, e l'acqua è sempre mantenuta pronta
dentro le pompe. Vi ho detto già come fulmina quell'acqua, e quale spavento
incute a tutti.»
«E sono molti qui gli anarchici?»
«Un migliaio e quasi tutti hanno
con loro una compagna.»
«Ed i figli che nascono?»
«Sono mandati in Europa ed in
America a studiare ed a educarsi per farne dei cittadini operosi. Andiamo
all'albergo del «Genio Polare». È l'unico che ci sia e non ci troveremo male.»
Uscirono dalla tettoia e si
trovarono dinanzi a parecchie slitte tirate da cani esquimesi, guidate da
uomini che parevano orsi marini.
Salirono su una slitta e
partirono di corsa attraverso le vie del villaggio polare che erano coperte da
uno strato immenso di neve.
Quelle strade erano ampie,
illuminate da lampade elettriche, essendo già da giorni incominciata la lunga
notte polare, e fiancheggiate da casette di legno ad un solo piano, semisepolte
dalla neve. Enormi montagne di ghiaccio si elevavano intorno alla borgata e
rifrangevano la luce delle lampade con effetto meraviglioso. Pareva che quelle
case si trovassero incastrate fra diamanti giganteschi. Quantunque il freddo
fosse così intenso da rendere perfino la respirazione dolorosa, parecchi
abitanti passeggiavano per le vie, chiacchierando animatamente, come se si
trovassero su un boulevard di Parigi o un Rintgstrasse di Berlino
o di Vienna.
La slitta che era tirata da una
dozzina di cani dal pelo lunghissimo che assomigliavano ad un tempo alla volpe
e al lupo, attraversò sempre correndo parecchie vie sollevando attorno ai
viaggiatori un fitto nevischio, che quasi subito si condensava ricadendo al
suolo sotto forma di sottili aghi di ghiaccio, e si fermò finalmente davanti a
una casa più vasta delle altre, però ad un solo piano, anch'essa, riparata sul
dinanzi da una galleria a vetri con parecchie porte onde impedire la
dispersione del calore.
«L'albergo del «Genio Polare»»
disse Holker.
«È tenuto anche questo da un
anarchico?» chiese Toby.
«Da un terribile nichilista
russo, che trent'anni addietro lanciò tre bombe contro Alessio III, imperatore
di Russia.»
«Che non ci faccia saltare in
aria per provare qualche nuovo esplosivo?» chiese Brandok.
«Rogodoff è diventato un vero
agnellino e credo che non nutra più odio nemmeno contro l'imperatore, da quando
quel potente ha rinunciato all'autocrazia.»
«È cambiata la Russia?»
«Oggi ha una Camera e un Senato,
come gli altri stati.»
«Dunque non più deportati in
Siberia?» disse Toby.
«La Siberia è diventata un paese
civile quanto gli Stati Uniti, la Francia, l'Inghilterra, e non ha più un
deportato.»
Entrarono nell'albergo che era
bene riscaldato dalle lampade a radium e arredato con una certa eleganza, con
sedie imbottite, tavolini coperti di tovaglie di carta di seta e stoviglie di
lusso. Vi erano dentro alcuni abitanti della colonia e anche qualche esquimese,
occupati a tracannare dei boccali di birra, prima sgelata non senza fatica.
Erano tipi veramente poco
rassicuranti, con delle barbe incolte che davano loro un aspetto brigantesco.
Nondimeno salutarono cortesemente i nuovi arrivati, in diverse lingue. I tre amici
sedettero ad un tavolino e fecero portare della zuppa di pemmican, del
fegato di tricheco, del narvalo arrostito e frutti gelati e così duri che quasi
non riuscivano a mangiarli.
«Anche al polo non si sta male»
disse Brandok, sorseggiando una tazza di caffè ben caldo. «Chi ce l'avrebbe
detto che cent'anni più tardi si sarebbe potuto divorare una colazione al 90°
parallelo? Ditemi un po', signor Holker, voi che siete stato qui altre volte,
che cosa hanno trovato di sorprendente al polo?»
«Null'altro che ghiaccio ed una
montagna altissima che sembra un vulcano spento.»
«E su quella s'incrociano tutti i
meridiani del nostro globo?»
«E vi si nasconde uno dei due
cardini della terra» rispose Holker, scherzando.
«Ed al polo sud hanno pure aperta
una galleria?» chiese Toby con curiosità.
«Non ancora; però i nostri
scienziati stanno studiando assiduamente su ciò che meglio converrà fare anche
in quell'estremo lembo del mondo. C'è una grave questione che è più importante
d'una galleria polare e che preoccupa molto.»
«E quale?» chiesero Toby e
Brandok che si mostravano sempre più curiosi.
«Cercano il modo di equilibrare
il nostro pianeta per liberare i nostri discendenti da uno spaventoso
cataclisma, da un altro diluvio universale insomma» disse Holker. «Non si
scioglierà certo in questo secolo quell'arduo problema, tuttavia nel secolo
venturo qualche cosa si farà. Comprenderete che si tratta di salvare cinque
continenti e centinaia di milioni di vite umane.»
«Spiegati meglio» disse Toby.
«Non ti capisco; che cosa vogliono tentare gli scienziati del Duemila?»
«Salvare il mondo, ve l'ho
detto.»
«Chi lo minaccia?»
«I ghiacci del polo sud.»
«In qual modo?»
«Squilibrando il nostro globo. Al
polo sud si è constatato che i ghiacci da un secolo a quest'oggi, hanno fatto
dei progressi spaventevoli, raggiungendo l'incredibile altezza di trentasette
chilometri. Non essendovi laggiù mai piogge né avvenendo squagliamenti
considerevoli, la neve che cade si muta in ghiaccio compatto, il quale esercita
una pressione enorme, nonostante le perdite cui va soggetta la calotta gelata
per la dislocazione di quegli immensi massi che staccandosi dai suoi margini
estremi vanno a perdersi nell'Oceano Atlantico e nel Pacifico. Inoltre le acque
dei mari circostanti, restando sotto il punto di congelamento come hanno
constatato i nostri ultimi navigatori, contribuiscono ad aumentare il volume
della sterminata massa glaciale risultata dalle incessanti nevicate.»
«Capisco» disse Toby.
«Da migliaia e migliaia d'anni
dunque, la calotta glaciale del polo sud, che non è altro che una immane
montagna di ghiaccio, non ha fatto altro che aumentare, occupando oggidì una
superficie di otto milioni di miglia quadrate, pari cioè a quella di tutta
l'America settentrionale. Quel peso immenso che cosa produrrà? Uno spostamento
del nostro pianeta simile a quello già avvenuto venticinquemila anni fa,
prodotto dalla massa della calotta di ghiaccio del polo artico che rovesciò sul
nostro globo quel tremendo diluvio di cui parlano gli antichi e di cui ormai
abbiamo prove lampanti. Collo sconquasso antartico le terre settentrionali
verranno indubbiamente sommerse per lasciar sorgere invece quelle meridionali
che ora si trovano sott'acqua.»
«E i vostri scienziati ritengono
che quella catastrofe avverrà?» chiese Toby.
«Nessuno più ne dubita,» rispose
Holker. «Il movimento delle acque del polo sud è strettamente connesso
coll'aumento graduale della calotta di ghiaccio australe, e la conseguenza di
ciò sarà che tre quinti delle acque del globo si troveranno spostate dal
primitivo loro centro di gravità e pronte a rovesciarsi verso il nord. Quindi è
facile comprendere quanto sia precaria la situazione degli abitanti
dell'emisfero settentrionale, anzi quanto sia pericolosa. Tutta la nostra
salvezza risiede nella coesione degli ottanta milioni di chilometri cubi di
ghiaccio che gravitano sul polo australe. Il franamento di quell'enorme massa
di ghiaccio avrebbe per effetto lo spostamento della forza di gravità, il
ghiaccio sarebbe istantaneamente trasferito sulla parte settentrionale del
nostro globo e i frammenti della calotta antartica con tutte le acque
trattenute ora intorno ad essa si rovescerebbero con impeto irresistibile verso
il polo nord attraverso l'Oceano Atlantico e Pacifico.»
«Che momento sarà quello!» disse
Brandok. «Fortunatamente noi non saremo più vivi allora, a meno che l'amico
Toby non trovi il mezzo di riaddormentarci per secoli.»
«Una seconda prova ci sarebbe
fatale» rispose il dottore.
«Signor Holker,» chiese Brandok
«gli scienziati moderni approssimativamente hanno calcolato quando potrebbe
accadere quella tremenda catastrofe?»
«Positivamente no; è certo però
che la massa della calotta glaciale non potrà essere ragionevolmente prolungata
al di là di un certo punto. Potrà accadere fra mill'anni come potrebbe accadere
fra dieci.»
«Se dovesse avvenire, sarebbe
certo un disastro spaventevole» disse Toby.
«Immaginatevi, zio, la immensa
voragine lasciata aperta dallo spostamento d'una massa di oltre cento milioni
di metri cubi! Scendendo dal polo australe la valanga dei massi giganteschi
scaverà un immenso solco negli oceani le cui acque si troveranno lanciate con
impeto irresistibile sulle sponde dell'America meridionale, dell'Africa e
dell'Australia. Dopo aver sepolto sotto massi enormi di ghiaccio quei
continenti, il diluvio attraverserà l'equatore, si lancerà sull'America del
Nord, sull'Europa e sull'Asia distruggendo dappertutto la vita e l'opera
dell'uomo.
«Dove un tempo s'innalzavano
superbi edifici e città e si estendevano campi, sarà la desolazione più
lugubre, il più spaventoso deserto.»
«E i vostri scienziati pensano di
evitare una simile catastrofe?» chiese Brandok.
«Studiano il progetto da
moltissimi anni» rispose Holker. «Sarà il più grande successo della scienza del
Duemila.»
«Si tratterebbe di alleggerire
del troppo peso il polo australe» disse Toby.
«E per di più trasportarlo al
polo boreale» rispose Holker.
«Diavolo!» disse Brandok. «Ecco
un'impresa che mi pare difficile.»
«Altri, e mi sembra che la cosa possa
essere più facile, propongono di rimorchiare parte della immensa calotta gelata
fino sotto l'equatore e lasciarla sciogliere.»
«Che razza di macchine ci
vorrebbero!»
«Eppure vedrete, se camperemo
molto, che i nostri scienziati riusciranno a mantenere in equilibrio il nostro
pianeta e a salvare l'umanità.»
«Dopo tutto quello che ho veduto
finora, non ne dubito nemmeno io» disse Toby. «Che progressi ha fatto la
scienza in questi cent'anni! C'è da perdere la testa.»
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