12 - VERSO L'EUROPA
Per tre giorni Holker ed i suoi
due amici si trattennero nella colonia polare facendo delle escursioni nei
dintorni, sulla slitta dell'albergo, visitando parecchie case degli anarchici e
qualche capanna esquimese, nonostante il freddo eccessivo che regnava
all'aperto e la profonda oscurità addensata sugli sterminati banchi di ghiaccio
della regione polare.
Dovettero constatare, e ne furono
molto lieti, che quegli uomini, un giorno così pericolosi, erano diventati
assolutamente pacifici e mansueti come agnellini.
Era l'influenza del freddo o
l'isolamento che aveva operato quel prodigio su quei cervelli esaltati?
Probabilmente l'una e l'altra cosa insieme.
Certo non ci trovavano più gusto
a parlare di bombe, d'incendi e di stragi, con un freddo di 45° sotto zero!
Preferivano fumare la pipa accanto ad una lampada a radium, godendosi il calore
che essa mandava.
Come si vede, i governi d'Europa
e d'America avevano avuto una eccellente idea a mandarli in quel clima,
perché... si raffreddassero.
La mattina del quarto giorno,
mentre Holker, Brandok e Toby stavano prendendo una bollente tazza di tè,
furono finalmente avvertiti che durante la notte era giunto il tramvai
elettrico dallo Spitzbergen e che si preparava a far ritorno in Europa.
«Partiamo, amici» disse Holker.
«D'inverno il polo è poco piacevole, e ritengo che ne abbiate abbastanza del
nostro soggiorno fra i ghiacci eterni.»
«Amerei di più trovarmi in un
clima meno rigido» rispose Brandok. «Io non ho nelle mie vene il sangue ardente
degli anarchici.»
«E nemmeno io» disse Toby.
«Quando giungeremo allo
Spitzbergen?» chiese Brandok.
«Fra sessanta ore, essendo la
galleria europea più lunga di quella americana.»
«E poi dove andremo?»
«C'imbarcheremo sul battello
volante che fa il servizio fra le isole e l'Inghilterra. Desidero mostrarvi
un'altra meraviglia.»
«Quale?»
«I grandiosi mulini del
Gulf-Stream.»
«Che cosa saranno?»
«Dei mulini, vi ho detto.»
«Per macinare granaglie?»
«Oh no!... Poi andremo a visitare
una delle città sottomarine inglesi dove si trovano relegati i più pericolosi
banditi del Regno Unito. Ecco la slitta: andiamo, amici.»
Saldarono il conto, presero i
loro bagagli e salirono sulla slitta dell'albergo che era tirata da sei
vigorosi cani di Terranova, più robusti e più obbedienti di quelli di razza
esquimese.
Un quarto d'ora dopo si fermavano
sotto la tettoia della stazione europea che si trovava nell'altro lato della
città.
Un carrozzone simile a quello
della linea americana aspettava i viaggiatori.
Anche quello era diviso in
scompartimenti e addobbato con lusso ed eleganza.
Vi salirono e qualche minuto dopo
il tramvai, preceduto dalla macchina pilota, partita già cinque minuti prima,
si cacciava sotto la galleria europea fatta costruire a spese delle nazioni
settentrionali del continente: Russia, Svezia, Norvegia ed Inghilterra.
Nelle dimensioni, e nella forma
non era diversa da quella americana. Era solamente un po' meno illuminata, non
disponendo le nazioni europee settentrionali d'una forza elettrica pari a
quella nordamericana, perché non hanno le cascate del Niagara.
Cinquanta ore dopo i tre
viaggiatori, che avevano veduto a poco a poco diradarsi le tenebre di miglio in
miglio che s'allontanavano dal polo, giungevano felicemente sulle coste settentrionali
della maggior isola del gruppo dello Spitzbergen.
Avevano costeggiato per un lungo
tratto la Groenlandia settentrionale, poi avevano attraversato una parte
dell'oceano coperto da immensi banchi di ghiaccio, giungendo alla stazione
russa.
La galleria terminava là; però la
linea continuava fino al Porto della Ricerca.
Con molta sorpresa di Toby e
Brandok videro ergersi sulle rive nevose di quella baia, cent'anni prima appena
frequentata da rari balenieri e da cacciatori di foche, dei palazzi imponenti,
che erano alberghi destinati ad accogliere nella stagione estiva i ricchi
europei.
Il freddo ora aveva messo in fuga
albergatori ed ospiti. Vi si trovavano invece due o tre dozzine di pescatori di
merluzzi ed alcuni guardiani incaricati della sorveglianza degli alberghi.
Holker s'informò se il vascello
volante inglese era giunto ed ebbe una risposta negativa.
Ventiquattro ore prima un
violento ciclone si era scatenato sull'Atlantico settentrionale e probabilmente
aveva costretto il vascello aereo a rifugiarsi in qualche porto della Norvegia.
Era anzi probabile che non
potesse arrivare nemmeno il giorno dopo, essendo il cielo assai nebbioso ed il
vento violentissimo.
«Noi, già, non abbiamo fretta»
disse Brandok. «Qui fa meno freddo che al polo.»
«Gli è che non vi è alcun albergo
aperto in questa stagione» rispose Holker. «Saremo costretti a rimanere nelle
sale della stazione o a chiedere asilo a qualche famiglia di pescatori.»
«Per noi poco importa» disse
Toby.
Non fu difficile accordarsi con
una famiglia mediante un modesto compenso. La casetta era pulitissima, essendo
i suoi proprietari norvegesi, ben riscaldata e anche ben provvista di viveri.
«Ci troveremo bene anche qui»
disse Brandok.
«E avremo carne a tutti i pasti,»
disse Holker «ciò che al giorno d'oggi non si può trovare dappertutto sui
continenti.»
«Carne d'orso?» chiese Toby.
«Sono più di cinquant'anni che
gli orsi sono scomparsi» rispose Holker. «Anche nelle regioni polari, ormai, la
selvaggina è diventata rarissima. Qui invece si allevano ancora molte renne che
vengono poi esportate in Russia e anche in Norvegia. Nonostante i lunghi
inverni e le forti nevicate, quegli animali riescono a trovare ancora di che
nutrirsi, cercando i licheni sepolti sotto il ghiaccio.»
«E in estate è popolata questa grande
isola?» chiese Toby.
«È una stazione di prim'ordine,
mio caro signore. Non vi giungono mai meno di cinque o seimila persone.»
«Ai nostri tempi le montagne
bastavano.»
«Quelle servono ai modesti
borghesi.»
«Farà buoni affari in quella
stagione la linea polare?»
«I viaggiatori accorrono al polo
a migliaia.»
«E questi pescatori che cosa
fanno qui?»
«Aspettano il passaggio dei
grandi branchi di merluzzi. Sapete che quegli eccellenti pesci non frequentano
più le coste di Terranova?»
«Hanno sentito anche loro il
bisogno di qualche novità?»
«Sembra» rispose Holker. «Da
sessanta e più anni non si mostrano più sulle coste canadesi. Ora frequentano
questi paraggi, dove si lasciano prendere in numero sterminato.»
«Si pescano ancora con le lenze?»
«Anticaglie quelle. Oggi delle
gigantesche navi munite di motori d'una potenza straordinaria vengono qui e
gettano delle reti di cinque o sei miglia di lunghezza, che vengono poi
rapidamente rimorchiate a terra. Bastano pochi giorni per terminare la stagione
della pesca, mentre ai vostri tempi durava quattro mesi.»
«Tutto ad elettricità!» esclamò
Brandok. «Quanti cambiamenti in questi cent'anni! Si fa tutto in grande!»
«Se così non si facesse, come
potrebbe nutrirsi l'umanità? La pesca oggi è quadruplicata e ringraziamo la
Provvidenza che abbia popolato tanto gli oceani!»
Si erano seduti dinanzi ad una
tavola ben apparecchiata dalla moglie e dalle figlie del pescatore. Vi fumava
un enorme pezzo di renna arrostito che fu dichiarata squisita.
Divorarono poscia un'abbondante
zuppa di pesce, vuotarono alcune tazze di latte di renna, poi, essendosi il
vento un po' calmato, fecero una escursione nei dintorni della baia colla
speranza di veder giungere il vascello aereo che doveva condurli in Europa.
Non fu che alle prime ore
dell'indomani che furono avvertiti dal loro ospite che il vascello aereo era
comparso all'orizzonte.
Sorseggiarono una tazza di tè e,
indossati i grossi mantelli di pelle d'orso, si precipitarono verso la baia,
per godersi lo spettacolo dell'arrivo.
Il vascello volante era ormai
visibile e solcava lo spazio maestosamente, tenendosi a centocinquanta metri
dai banchi di ghiaccio che si stendevano sull'oceano.
Somigliava agli omnibus volanti
che già Brandok e Toby avevano veduto a Nuova York, però più in grande, avendo
la piattaforma più larga, dieci ali, quattro eliche mostruose e doppi timoni.
Sopra si estendeva una galleria a vetri, riservata ai viaggiatori, e sormontata
da un albero con una antenna, probabilmente qualche apparecchio elettrico per
la trasmissione dei telegrammi aerei.
Il vascello che si avanzava con
grande velocità fu ben presto sopra la baia. Descrisse, nonostante il forte
vento, una curva assai allungata, ed andò a posarsi dolcemente entro un recinto
costruito su una collinetta che sorgeva a qualche centinaio di metri dalla
stazione estiva.
«Andiamo a raggiungerlo subito»
disse Brandok, che li aveva seguiti assieme al pescatore che portava le
valigie. «Il Centauro non si ferma più d'un quarto d'ora, appena il
tempo sufficiente per consegnare la posta e sbarcare dei viveri e del tabacco
per i pescatori e per i guardiani.»
Salirono la collina, entrarono
nel recinto e s'imbarcarono, dopo aver fatto acquisto del biglietto.
A bordo del vascello aereo non vi
erano che sette uomini: il comandante, due macchinisti, due timonieri, uno stewart
ed un medico.
L'interno della galleria era
diviso in quattro scompartimenti. Uno riservato alle macchine e all'equipaggio;
uno a camera da letto, suddivisa in piccole cabine di leggera lamiera d'alluminio
o d'un metallo consimile; il terzo a sala da pranzo; il quarto a biblioteca e
sala da conversazione, con un organo elettrico per divertire i viaggiatori.
«Bellissimo!» aveva esclamato
Brandok, osservando i ricchi mobili che arredavano le sale. «Meraviglioso!»
«E quello che conta, tanto più
sicuro delle navi che solcano gli oceani» disse Holker.
«Quando giungeremo a Londra?»
chiese Toby.
«Fra quarantasei ore» disse il
comandante della nave. «Dobbiamo spingerci prima fin sulle coste dell'Irlanda
per deporre nella città sottomarina un pericoloso galeotto che ci è stato
consegnato dalle autorità norvegesi di Bergen e che è suddito inglese.»
«Ecco una buona occasione per
visitare quella città,» disse Holker, «e anche i grandi mulini del
Gulf-Stream. Non supponevo di essere tanto fortunato.»
«Avete più nulla da imbarcare?»
chiese il capitano. «Null'altro, signore» rispose Brandok.
«Allora partiamo senza indugio:
sta per scoppiare un nuovo ciclone e non amo fermarmi qui o dovermi rifugiare
ancora nei fiords della Norvegia. A causa degli uragani sono già in
ritardo di due giorni.»
Il Centauro, ad un comando
del capitano, aveva rimesso in movimento le due poderose macchine e si era
innalzato di duecento metri salutando la popolazione della stazione con dei
sibili acutissimi.
Girò due volte sulla baia, poi
prese lo slancio dirigendosi verso sud-ovest, con rapidità
fantastica.
Dinanzi alla baia si estendevano
degli immensi banchi di ghiaccio, solcati da canali più o meno larghi e che
mandavano in alto un bagliore intenso, quasi accecante, dovuto alla rifrazione
di tutta quella massa trasparente. In lontananza invece appariva la tinta
azzurro-cupa del mare che indicava le acque libere
dell'Oceano Atlantico.
Brandok, Toby e Holker, ben
coperti dai loro mantelli di pelo, si erano seduti fuori della galleria, sulle
panchine di prora, per godersi meglio quello spettacolo.
Il vascello volante, nonostante
la sua mole, si comportava meravigliosamente bene, gareggiando coi lesti
gabbiani e coi grossi albatros che lo seguivano o lo precedevano. Manteneva una
linea rigorosamente diritta, orientata sulla bussola, senza abbassarsi nemmeno
d'un metro.
Non era un pallone, era un vero vascello
che obbediva alle mosse dei due timoni, che funzionavano come le code dei
volatili.
«Una scoperta stupefacente»
ripeteva Brandok, che respirava a pieni polmoni l'aria gelata eppur vivificante
dell'oceano. «Chi avrebbe detto che l'uomo sarebbe riuscito a dividere cogli
uccelli l'impero dello spazio? Che cosa sono i famosi condor in confronto a
questi vascelli volanti?
«Questi vascelli superano in
velocità gli uccelli?» chiese Toby.
«Li lasciano indietro senza
fatica» rispose Holker.
«Anche le fregate?»
«Sono gli unici volatili che li
superano, potendo quelli percorrere centosessanta chilometri all'ora.»
«E gli albatros?» chiese Brandok.
«Quantunque abbiano un'ampiezza
d'ali che in media va dai quattro metri ai quattro e mezzo, non possono lottare
colle fregate.»
«Che velocità sviluppano queste
navi volanti?»
«Centocinquanta chilometri
all'ora» rispose Holker.
«E dire che noi, ai nostri tempi,
andavamo superbi delle nostre torpediniere, che riuscivano a percorrere
ventiquattro o venticinque miglia all'ora!» disse Toby. «Che progressi! Che
progressi!»
«Ditemi, signor Holker» disse
Brandok. «Le navi moderne che velocità raggiungono?»
«Le cinquanta e anche le sessanta
miglia all'ora» rispose l'interrogato.
«Che macchine hanno?»
«Mosse dall'elettricità.»
«E la forma è quella d'un tempo?»
«Giudicatene voi. Ecco laggiù
appunto una nave che forse viene dall'Isola degli Orsi. Vi sembra che
rassomigli ad una di quelle che percorrevano gli oceani ai vostri tempi?»
Brandok e Toby si erano vivamente
alzati guardando nella direzione indicata dal loro amico e videro delinearsi
sull'orizzonte una specie di fuso lunghissimo che correva sulle onde con
estrema rapidità, senza alcuna traccia di fumo.
«Quella nave è il Tangaroff»
disse il capitano del vascello aereo. «Viene dal Mar Bianco e si reca in
Islanda. Una bella nave, ve lo dico io, che cammina come uno squalo. Non ha
paura dei ghiacci la sua prora!»
«Non rassomiglia affatto alle
navi che solcavano i mari ai nostri tempi» disse Brandok quando il capitano si
fu allontanato. «Le hanno modificate i costruttori del Duemila?»
«In gran parte, per ottenere una
maggiore velocità e meno rollio e beccheggio» disse Holker. «Hanno dato allo
scafo una forma di sigaro molto affilato a prora e la coperta è quasi scomparsa
non essendovi che il posto per una torre destinata ai timonieri. Come vedete,
le navi moderne sono quasi tutte sommerse e chiuse sopraccoperta in modo che
durante le tempeste le onde possono spazzarle senza produrre il minimo
inconveniente.»
«Sapete che cosa mi ricordano,
nella forma, queste nuove navi? I battelli sottomarini che si incominciavano ad
usare ai nostri tempi.»
«È vero» confermò Toby. «E come
procedono? Ancora ad elica?»
«Sì, e a ruote. Sotto la carena
entro appositi incavi ne hanno otto, dieci e perfino dodici, che talvolta
aiutano potentemente le eliche poppiere» disse Holker.
«Con questo doppio sistema che
ricorda un po' i nostri antichi piroscafi rotanti, i nostri ingegneri navali
hanno potuto imprimere alle nostre navi cinquanta e perfino sessanta miglia
all'ora.»
«E voi mi avete detto che non,
rollano e non beccheggiano?»
«Il mal di mare è ora quasi
sconosciuto, sui piroscafi moderni, e anche le più formidabili ondate non
riescono nemmeno a scuoterli.»
«E perché?» chiese Toby.
«Perché i loro fianchi sono
spalmati d'una vernice grassa che, distendendosi lentamente sull'acqua, produce
il medesimo effetto dell'olio usato dai balenieri nelle tempeste.»
«Che cosa non hanno inventato questi
uomini del Duemila!» esclamò Brandok.
«Molte cose, infatti, e
utilissime» rispose Holker, sorridendo.
«E di navi a vela ce ne sono
ancora?» chiese Toby.
«Da settant'anni non se ne vede
più una. Guardate che bella nave e ditemi se non vale meglio di quelle che
navigavano cent'anni fa.»
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