XIV -
ANCORA CODA SCREZIATA
Mezz'ora dopo, Bennie e
Armando, a metà collina, ritrovavano lo scotennato e Back, i quali, avendo notata
la direzione delle detonazioni, si erano affrettati a salire attraverso i
boschi. Vivamente preoccupati dalla prolungata assenza dei due cacciatori,
avevano vegliato buona parte della notte, poi si erano messi in cerca di loro,
ma una detonazione che avevano udito verso la cima d'un'alta collina li aveva
messi sulla falsa strada, dirigendo i loro passi da quella parte. Probabilmente
quel colpo di fucile era stato sparato dal misterioso cacciatore che più tardi
aveva uccisa l'orsa, da Coda Screziata, se i sospetti di Bennie non erano
infondati, e forse con lo scopo di impedire al messicano e al meccanico di
portare soccorso agli assediati e di metterli su una falsa pista. Non essendo
tranquilli per la vicinanza di quel pericoloso avversario, i cercatori d'oro
decisero di prendere subito il largo e raggiungere al più presto la grande
catena delle Montagne Rocciose, certi che Coda Screziata non li avrebbe seguiti
fino là! Avrebbero desiderato fermarsi alcuni giorni per scuoiare i due orsi e
seccare un po' di quella carne eccellente, però il timore di qualche sgradevole
sorpresa li costrinse ad affrettare la partenza, e a sgombrare il territorio di
caccia delle Teste Piatte. Alle dieci del mattino, dopo una squisita colazione
di tetraoni, sapientemente allestita dal vecchio scorridore, si rimisero in
sella, piegando definitivamente verso ovest per giungere ai primi contrafforti
della gigantesca catena delle Montagne Rocciose. Oltrepassate le collinette, il
paese era ritornato piano, con poche ondulazioni. Era un succedersi continuo di
piccole praterie interrotte da boschetti di betulle, pini, abeti, frassini
rossi e neri, popolati da miriadi di piccioni selvatici, che si alzavano in
stormi immensi, volteggiando di pianura in pianura. Dei grossi torrenti, tutti
affluenti del Peace, solcavano quei terreni lussureggianti, scorrendo, come
immensi nastri di argento, verso mezzogiorno; molto probabilmente ricchi di
pesci, poiché in quelle regioni le grosse trote bianche che raggiungono il peso
di trenta e più libbre, le trote di montagna squisitissime, le trote salmonate,
i lucci, i barbi e i pesci a crine di cavallo come vengono chiamati, sono
comunissimi e forniscono un abbondante nutrimento alle tribù indiane che
scorrazzano quei vasti e così poco popolati territori, limitati all'est dalla
regione dei laghi, e all'ovest, dalla maestosa catena delle Montagne Rocciose.
Spronati i mustani, i
quattro cavalieri, sempre seguiti dagli altri due cavalli che portavano gli
attrezzi da minatori, attraversarono una prateria ondulata e giunsero al
margine di un bosco formato da grosse piante, la cui corteccia aveva una bella
tinta rossastra. Bennie scese da cavallo, facendo segno ai suoi compagni di
imitarlo, poi, mentre Back s'incaricava di accendere il fuoco e di rizzare la tenda,
avendo deciso di fermarsi là fino al giorno dopo, s'inoltrò nel bosco seguito
da Armando e dal meccanico.
- È qui che c'è la fontana
dalle acque dolci?... - chiese Armando.
- Sì, - risposero il
meccanico e Bennie ridendo.
- E dove si trova?
- È nascosta nel tronco di
questi alberi - disse il cow-boy.
- Volete scherzare?...
- Niente affatto, chiedete
a vostro zio.
- Bennie dice la verità, -
rispose il meccanico.
- Oh!... Sarebbe
curiosa!...
- Aspettate che costruisca
alcuni recipienti, poi vi farò assaggiare l'acqua zuccherata.
- E dove troverete dei
recipienti?...
- Gli indiani trovano qui
l'occorrente per la raccolta del liquido. Guardate: ecco una bella betulla che
fa per noi.
Il cow-boy si
avvicinò ad un albero, una betulla alta e grossa, prese il coltello e staccò
alcune larghe strisce di corteccia solida, e contemporaneamente assai
pieghevole e in pochi istanti fabbricò una specie di imbuto che poteva
contenere comodamente quattro galloni di liquido.
- Vedete che è cosa
facile, - disse il cow-boy, continuando a strappare altri pezzi di
corteccia. - Da queste betulle gli indiani sanno ricavare perfino dei leggeri
canotti, capaci di portare quattro o cinque persone, e con i quali osano
sfidare le cascate dei grossi fiumi. Io mi accontenterò di ottenere tre o
quattro recipienti e alcuni canaletti che mi serviranno da grondaie.
- E per farne cosa?
- Oh!... Che curioso!...
Ora lo saprete.
Costruiti i quattro imbuti
e piegati alcuni pezzi di corteccia in forma semirotonda, si avvicinò a un
grosso albero dalla corteccia rossastra, e col coltello lo incise
profondamente. Ciò fatto, cacciò nel taglio la sua grondaia, vi appese sotto
uno dei suoi recipienti e rinnovò la strana operazione su altre tre piante.
- La stagione è propizia,
- disse, quand'ebbe finito. - È nella primavera che gli indiani vengono a fare
le loro raccolte di zucchero e più le giornate sono calde, più ne ottengono,
poiché il calore aumenta il flusso della linfa. Guardate. Armando!...
Il giovanotto si accostò
con curiosità a una di quelle piante e vide uscire dal canaletto che il cow-boy
vi aveva innestato, un getto liquido, il quale si raccoglieva nel recipiente
sottostante con sufficiente rapidità. Bennie immerse la sua tazza di pelle e
riempitala di quella linfa la porse ad Armando, dicendogli:
- Bevete senza economia.
Prima di domani questa pianta ci avrà dato circa tre galloni di liquido.
Armando l'assaggiò, poi la
bevette avidamente con viva soddisfazione, dicendo:
- Sembra acqua con miele.
- Eccellente, dunque?...
- Deliziosa, signor Bennie.
- Sapete come si chiamano
questi alberi?...
- No davvero.
- Sono aceri.
- Ah!... Ho già sentito
parlare degli aceri.
- E avrete anche usato
dello zucchero ricavato da queste piante, credendolo estratto da vere canne da
zucchero. Se ne fa ancora un buon consumo in queste regioni. La produzione un
tempo era straordinaria, e da queste piante si ricavano migliaia di dollari, è
vero signor Falcone?
- Potete dire dei milioni
- rispose il meccanico. - Il Canada ne esportava centinaia e centinaia di
tonnellate. Ora questa industria non viene esercitata che dalle tribù indiane.
- Ogni pianta produce
molto succo, signor Bennie? - chiese Armando.
- Un buon acero dà in
media circa venti galloni di succo.
- E quanto succo occorre
per ricavare un chilogrammo di zucchero?...
- Otto o nove galloni.
- E la perdita di tanta
linfa non nuoce alla pianta?...
- No, poiché continua a
darne anche negli anni seguenti e con eguale abbondanza.
- Una bella fortuna per
gli indiani!...
- Pensate che ogni
indiano, aiutato dalla famiglia, durante la primavera non raccoglie meno di
seicento libbre di zucchero.
- E come si estrae?
- Facendo bollire il succo
e lasciandolo poi raffreddare. Domani ve lo farò assaggiare, poiché ci
fermeremo qui qualche giorno, per farne una discreta raccolta. Siamo molto
scarsi di zucchero e il thè amaro non mi garba troppo. Lasciamo che gli alberi
continuino a secernere liquido e andiamo a fare colazione. Più tardi, faremo
altri recipienti e metteremo in opera le pentole.
Fecero ritorno al campo,
dove ebbero la grata sorpresa di trovare la colazione pronta. Divorarono con
molto appetito l'ultimo tetraone, unitamente ad un cane di prateria che avevano
avuto la fortuna di abbattere al mattino, gustando molto la delicatissima carne
che rassomiglia a quella di un vitellino da latte, poi si sdraiarono
comodamente sotto la fresca ombra di un gruppo di alberi per fumare una pipata
di tabacco e fare quattro chiacchiere. Armando, però, che non poteva star
fermo, aveva approfittato di quel po' di riposo per visitare il margine della
foresta, avendo rilevato non poche tracce di daini mooses, ossia, mangiatori
di legno, così chiamati perché hanno l'abitudine di mangiare i giovani rami
dei salici e degli aceri rigati. Sperando di sorprenderne qualcuno, si cacciò
nella foresta per fare uno splendido regalo al suo amico Bennie, avendo questi
più volte vantata la squisitezza della loro carne. Passando con precauzione di
acero in acero, e fermandosi di frequente ad ascoltare, si era già allontanato
dal campo circa mezzo miglio, quando credette di udire, verso le rive di un
piccolo lago, o meglio di uno stagno, dei rami muoversi. Essendo i rami molto
folti, e abbondando i salici e i cespugli, non potè subito vedere di che cosa
si trattasse, e stette fermo ad ascoltare. Rimase immobile alcuni minuti col
dito sul grilletto del fucile, pronto a far fuoco, poi, non udendo nulla, si
mise a strisciare in direzione dello stagno convinto ormai che fra i cespugli
si nascondesse qualche capo di selvaggina. Già non distava dalla riva più di
cinquanta passi, quando vide dei rami agitarsi.
- È nascosto là sotto -
mormorò.
Alzò lentamente il fucile,
e credendo di scorgere un'ombra fra il fogliame, fece fuoco. La detonazione era
appena cessata, quando udì echeggiare un grido che pareva avesse qualcosa di
umano, poi vide le alte cime agitarsi rapidamente, come se qualcuno cercasse di
aprirsi impetuosamente il passo, poi più nulla.
- Mille merluzzi!... -
esclamò il giovanotto, diventando pallido. - Che abbia ucciso qualche
indiano?... Era un grido umano!
Stette qualche istante
indeciso, temendo di cadere in qualche agguato, poi, non udendo più alcun
rumore, e non vedendo agitarsi i cespugli, introdusse nel fucile una nuova
cartuccia, quindi si diresse là dove aveva creduto di scorgere quella forma imprecisata.
Scostando con precauzione i cespugli, si trovò ben presto presso un giovane
salice, il cui tronco era stato spezzato nettamente all'altezza di un uomo.
- È stato reciso dalla mia
palla, - mormorò.
Si guardò intorno e scorse
fra le erbe alcune stille di sangue non ancora coagulate.
- Qualcuno è stato colpito
- disse. - Era un uomo o un animale?... Non vorrei avere ucciso qualche povera
Testa Piatta inoffensiva.
Vedendo innanzi a sè una
specie di largo solco aperto fra i cespugli e i rami dei salici, vi si inoltrò
per continuare le ricerche e ritrovò più oltre gocce di sangue, poi
seminancosta fra le erbe una di quelle formidabili scuri di guerra usate dagli
indiani, lasciata certamente cadere dal ferito.
- Non c'è più alcun dubbio
- disse Armando, mortificato. - Credendo di far fuoco contro un daino, ho
colpito un indiano. Che questa avventura disgraziata ci attiri addosso qualche
brutto malanno?... Animo, torniamo al campo!...
Raccolse la scure, girò
all'intorno uno sguardo inquieto, poi si allontanò rapidamente attraverso la
foresta degli aceri, ansioso di raggiungere i compagni. Già non distava dal
campo che poche centinaia di passi, quando udì sulla sua destra dei
formidabili: «Corna di bisonte» accompagnati da una filza d'imprecazioni.
- È l'amico Bennie!... -
esclamò. - Pare che sia infuriato.
Si diresse da quella parte
e scorse il cow-boy occupato a scaraventare a destra ed a sinistra, con
vero furore, i grandi imbuti che aveva appesi agli aceri per raccogliere il
dolce succo.
- Ehi!... Signor Bennie,
che cosa fate?... - chiese Armando, con stupore.
- Corna di bisonte!... -
urlò il cow-boy. - Vorrei sapere chi è stato quel furfante che ci ha
fatto questo brutto tiro!...
- Che cos'è successo?...
- Mi hanno rovesciati i
recipienti che a quest'ora dovevano essere già pieni.
- E chi?...
- Chi?... Chi?... Lo so
io?...
- Qualche animale
forse?...
- Sì, a due gambe però.
Corna di cervo!... Deve essere stato lui!...
- Coda Screziata forse?...
- Sì, quel cane che si
ostina a seguirci - urlò il cow-boy, sempre più incollerito. - Bisognerà
che mi decida a stanarlo, o non ci lascerà mai più tranquilli.
- Possibile che ci segua
ancora?...
- Ne ho la convinzione.
Armando. Chi volete che si sia data la pena di farci questo dispetto?...
- Mille merluzzi!... Che
abbia fatto fuoco su di lui?...
- Cosa dite?... - chiese
Bennie, guardandolo. - Avete fatto fuoco su di lui?...
- Sì, signor Bennie.
Credendo di abbattere un daino, ho ferito un indiano che fuggiva.
- Ah!... Ferito
solamente?...
- Sì, poiché non sono
stato capace di scoprirlo.
- Siete certo che fosse un
indiano?...
- Ho raccolto il suo tomahawk.
- Datemelo!... - esclamò
il cow-boy.
Armando s'affrettò a
raggiungere lo scorridore, e gli porse la scure che aveva trovata nella
macchia.
- Corna di bufalo!... -
esclamò Bennie. - È il tomahawk di Coda Screziata.
- Come lo sapete?...
- Guardate, amico: ecco
qui sul manico, dipinta una coda.
- È vero, signor Bennie;
quel furfante ci segue ancora.
- Armando, bisogna
sbarazzarci di quell'uomo o perderlo, poiché può, quando meno ce l'aspettiamo,
piombarci addosso e scotennarci a tradimento.
- Che cosa intendete
fare?... Andarlo a cercare?...
- Perderemmo troppo tempo
e forse inutilmente, essendovi in questa regione troppi boschi. Noi lanceremo i
cavalli a gran galoppo e cercheremo di fargli perdere le nostre tracce.
- Partiamo subito?...
- Credo sia la miglior
cosa.
- E il nostro zucchero?...
- Ne faremo a meno, se non
ne troveremo fra le Teste Piatte.
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