XVI - LE
TESTE PIATTE
I bisonti, incalzati dagli
indiani e spaventati dagli spari che rimbombavano senza posa, producendo
certamente numerose vittime, fuggivano all'impazzata in una orribile
confusione, urtandosi, schiacciandosi, calpestandosi. Trovata dinanzi a loro la
gola, quei mostruosi ruminanti vi si erano rovesciati dentro a corsa sfrenata,
schiantando con impeto irresistibile i giovani alberi, e sventrando, con
l'impeto delle loro masse poderose, i cespugli che ingombravano il passaggio.
Ai primi bagliori dell'alba, che tingevano il cielo di riflessi rosei, si
vedevano confusamente dei maschi di statura colossale, dalla testa grandissima
e di aspetto pauroso, con le potenti corna piantate su ossa frontali così
robuste da poter respingere una palla da fucile, e con criniere così folte che
si prolungavano lungo il dorso; e delle femmine un po' meno grosse e di aspetto
meno minaccioso, che s'affannavano a proteggere, ma invano, i loro giovani
vitelli. Erano almeno cinquecento capi, e tutti s'affannavano a giungere in
testa per sottrarsi alle strette dei vicini, e alle palle e ai colpi di lancia
degli indiani. I primi, più fortunati, giunsero in breve sotto la rupe, tutto
sconvolgendo al loro passaggio, e scomparvero dall'altra parte della gola. Uno
di essi, però, un vecchio maschio, armato di due lunghe corna, trovato il
sentiero poco prima percorso dai cavalli, lo salì al galoppo senza nemmeno
accorgersi della presenza degli uomini. Vedendolo, Bennie era balzato innanzi,
gridando:
- A me, amici, o siamo
perduti!...
Back, il meccanico e
Armando avevano puntati i fucili contro il colosso. Tre spari rimbombarono
l'uno dietro l'altro, coprendo i muggiti formidabili dei secondi ranghi che, a
loro volta, irrompevano nella gola. Il vecchio maschio, colpito forse nel
cranio, non s'arrestò, anzi, doppiamente spaventato e irritato, continuò a
salire il crepaccio, minacciando di piombare in mezzo alla rupe e di rovesciare
nella gola sottostante uomini e cavalli. Fortunatamente Bennie non aveva ancora
fatto uso del fucile. Lesto come un daino balzò fra la spaccatura di una roccia
per poter, in caso di pericolo, sottrarsi all'incontro, poi fece fuoco quasi a
bruciapelo. L'effetto di quel colpo fu fulminante. Il bisonte, colpito in un
occhio, cadde sulle ginocchia mandando un muggito furioso, poi la massa si
piegò su di un fianco, quindi rotolò giù per il pendio, schiacciando con
l'enorme peso un povero vitello che si era impegnato nella spaccatura per
salvarsi dall'onda dei compagni.
- Bel colpo!... -
gridarono Armando e il meccanico.
- Amici!... - urlò il cow-boy.
- Fuoco a volontà.
Il grosso della mandria si
era allora cacciato nella gola, spinto innanzi dai colpi di fucile degli
indiani. Bennie, Armando e i loro compagni stavano per cominciare il fuoco,
quando all'estremità della gola videro comparire trenta o quaranta cavalieri
seminudi, adorni di penne variopinte e di code di cavallo e di lupo, e armati
di lance e di fucili.
- Le Teste Piatte!... -
gridò Bennie. - Non fate fuoco, o uccideremo qualche cacciatore.
Alcuni di quei selvaggi,
scorgendo il gruppo formato dai quattro bianchi, li salutarono con alte grida
agitando le armi, poi lanciarono i loro indemoniati mustani dietro gli ultimi
ranghi dei bisonti, facendo un vero macello di quelli che rimanevano separati e
che cercavano di fuggire fra le rupi. Bennie e Armando, voltatisi per non far
fuoco contro i cacciatori, si erano messi a sparare addosso agli animali che passavano
sotto la rupe, colpendone alcuni, ma quella sparatoria fu di breve durata. I
giganteschi ruminanti in breve disparvero alle svolte della gola inseguiti dai
cavalieri rossi, lasciando fra gli sterpi e i cespugli devastati parecchi
cadaveri e buon numero di agonizzanti. Alcuni indiani, però, che venivano
ultimi, si erano arrestati per finire a grandi colpi di tomahawk i moribondi e
i feriti, mentre altri, balzati a terra, si erano subito messi a tagliare le
code agitandole trionfalmente. Un inseguimento continuato diventava ormai
inutile, poiché nella sola gola c'era già tanta carne da nutrire mille persone
per tre settimane. Se alcuni non avevano ancora rinunciato alla caccia era per
pura passione, o meglio per puro istinto di distruzione. Un capo indiano, che
calzava mocassini di pelle gialla a ricami, adorni di capigliature, e indossava
una casacca di pelle di daino verniciato, stretta da una cintura a cui stavano
appesi due sacchetti detti della medicina, perché racchiudono degli amuleti,
avanzò verso gli uomini bianchi, portando con sè una lingua di bisonte. I
cacciatori dal viso pallido ricevettero da Dorso Bruciato, capo delle Teste
Piatte, quel regalo come segno di amicizia, in attesa di fumare insieme il calumet
di pace.
- Grazie, sackem
Dorso Bruciato, - rispose Bennie, ricevendo il regalo con cortesia.
- La carne di bisonte
abbonda laggiù - continuò l'indiano. - Miei fratelli, i visi pallidi avranno la
loro parte.
- E noi l'accetteremo di
cuore.
- Al di là di questa gola,
oltre la prateria, si alzano i nostri wigwams ben riparati dal vento del
settentrione: i cacciatori dal volto pallido avranno la loro tenda e larga
ospitalità come si conviene ad amici stimati e valorosi.
- Noi verremo, capo, -
disse Bennie. - L'ospitalità delle tribù delle Teste Piatte l'ho già provata
più volte e non ho mai avuto da dolermi.
Il sackem fece un
saluto con la mano e ridiscese nella gola dove già si erano radunati altri
cento indiani per procedere alla raccolta di tutta quella carne, operazione non
facile, poiché non tutti sono capaci di sezionare quei giganteschi ruminanti.
Con i loro coltelli levavano le pelli senza danneggiarle, per trarre poi
maggiori guadagni dagli agenti delle compagnie delle pellicce, poi immergevano
le lame dietro le spalle di quei mostruosi animali, tagliando la spina dorsale
e separando, con un'abilità impareggiabile, le grosse costole. Aperte quelle
masse, si cacciavano animosamente dentro quelle montagne sanguinanti per
strappare gli intestini che mettevano da parte, essendo destinati alla
lavorazione dei salsicciotti di prateria, quindi con le scuri sezionavano i
quarti, formando degli ammassi di carne che altri indiani caricavano sui
numerosi cavalli già raggruppati all'estremità della gola. Bennie, Armando e i
loro compagni erano scesi per assistere a quell'enorme macello.
- Che destrezza!... -
esclamava il giovanotto. - I nostri macellai sono dei principianti al
confronto.
- Nessun cacciatore di
prateria è mai riuscito a eguagliarli - rispose Bennie. - Se sono lavoratori,
sono però anche grandi divoratori e vedrete questa sera che orgia di carne
faranno.
- Ditemi un po', signor
Bennie - chiese a un tratto Armando, dopo essere rimasto alcuni minuti in
silenzio. - Hanno veramente la testa piatta questi indiani? Le penne che
portano m'impediscono di vedere.
- Sono realmente piatte,
amico mio.
- E in che modo ottengono
questa deformazione?
- Con un sistema che non
deve essere troppo comodo per i poveri piccoli.
- Si tratta forse di un sistema
simile a quello usato dai cinesi per impedire ai piedi delle ragazze di
crescere? - chiese il signor Falcone.
- Qualcosa di simile,
signore. Quando il piccolo indiano è nato, la madre si affretta ad applicargli
sulla fronte una specie di cuscino di scorza, che trattiene con cordoni passati
nella culla, e che non toglie più per un anno.
- Deve essere un vero
martirio.
- Certo, - rispose Bennie.
- Ho visto parecchi bambini con la fronte così imprigionata, e i loro volti
manifestavano una continua pena. Avevano gli occhi fuori dalle orbite, i
muscoli gonfi, le gote infuocate e le labbra contratte. Si dice che soffrano
dei dolori leggeri, ma io non credo che si tratti di cosa così lieve come
vorrebbero darla ad intendere gli indiani.
- E dopo un anno la fronte
è proprio piatta?
- Sì, signore e la testa
non ritorna mai più rotonda come prima.
- E perché si deformano in
questo modo?
- Perchè credono di
diventare più belli, dicono alcuni; altri invece mi dissero che si spianavano
la fronte per distinguersi dalle altre tribù.
- Sono numerose le Teste
Piatte?...
- Lo sono ancora, e le
loro tribù si trovano perfino nelle vicinanze di Vancouver, al confine dei
possedimenti britannici col territorio di Washington degli Stati Uniti.
- Dunque non è vero che i
pellerossa scompaiano rapidamente - disse Armando.
- Nei territori dei
possedimenti britannici, le tribù indiane sono ancora numerose, avendo a loro
disposizione immense superfici di terreno dove possono cacciare, negli Stati
Uniti, è un'altra cosa. Diminuiscono anche qui, siatene certo, a causa delle
continue guerre che si fanno fra tribù e tribù, e per l'abuso delle bevande
alcoliche, dell'acqua del diavolo specialmente, come chiamano il whisky
che comperano dai cacciatori delle Compagnie, ma negli Stati Uniti tendono a
sparire con rapidità impressionante.
- È vero, Bennie - disse
il signor Falcone. - Nel 1866, secondo un quadro compilato dal commissario
degli affari indiani di Washington, il numero dei pellirossa nei territori
degli Stati dell'Unione ascendeva a circa trecentoseimila, nel 1870 era disceso
a duecentoottantasettemila e oggi è molto se tocca i duecentomila.
- Che discesa rapida!.. -
esclamò Armando.
- È un fenomeno che si è
sempre verificato, da quando gli uomini bianchi si sono trovati a contatto con
la razza rossa - proseguì il meccanico. - Un gran numero di tribù, un giorno
potenti, sono totalmente scomparse dopo il loro contatto con la razza bianca. I
Delaware, per esempio, che ancora qualche secolo fa potevano mettere in campo
dei veri eserciti, sono ridotti a pochi individui; i Mandani, i Mohicani, e i
Crehek, le cui tribù si estendevano dalla foce del Mississippi fino ai grandi
laghi, sono spariti, distrutti completamente dal vaiuolo. Dove sono le tribù
dei Seminoli, valorosi difensori della Florida contro l'invasione degli
americani condotti dal generale Jackson?... Chissà se ne esiste ancora
qualcuno! E le sei nazioni dei laghi del Canada?... Andate a contare quanti
uomini hanno ancora oggi le tribù degli Irochesi e degli Algonquini che combatterono
valorosamente a fianco dei Francesi contro gli Inglesi nel Canada? E delle
tribù dei Natchez che cosa è accaduto?... Gli ultimi superstiti di quella
grande nazione vendono erbaggi sui mercati di Nuova Orleans, come gli ultimi
Irochesi si guadagnano stentatamente da vivere facendo i canottieri sulle
cascate del San Lorenzo. È così, caro Armando; la nostra razza è sempre stata
fatale alle altre, e finirà col distruggerle tutte, meno una: la gialla.
- La colpa è un po' degli
indiani - disse Bennie
- Non dico di no. Se si
fossero piegati, se avessero rinunciato alla caccia in quei territori dove
comincia a mancare la selvaggina e avessero chiesto sostentamento dal suolo,
sarebbero ancora numerosi. Alcune tribù infatti, che si sono dedicate
all'agricoltura, prosperano. I Cuori di Lesina, per esempio, formano una specie
di repubblica agricola molto florida; così pure i Ceroki i quali hanno perfino
fondato un giornale, la Fenice dei Ceroki e posseggono anche una
biblioteca; i Cickasom, i Ciaktak e alcuni altri. Non crediate però, con tutto
questo, che anche gli indiani confinati nelle riserve aumentino di numero;
tutt'altro. È stata una pura speranza, poiché in sessanta e più anni gli
indiani accantonati, da centomila che erano, sono oggi cinquantamila. Alcuni
filantropi avevano perfino sognato di radunare tutti gli indiani sparsi negli
Stati Uniti in un solo territorio e formare una federazione degli uomini rossi,
ma hanno dovuto rinunciarvi, poiché le tribù più numerose si sono affrettate a
far sapere che non si sarebbero mai fuse con le altre, nè sottomesse. «Noi
vogliamo vivere come siamo stati allevati, - dissero tutti i sackem con
un accordo mirabile, - non ci parlate dunque nè di riserve, nè di federazioni,
nè di coltivazioni. Lasciateci andare dove va il bisonte, e mandate i vostri
uomini dalla pelle bianca a coltivare la terra. Noi corriamo attraverso le
praterie cacciando il daino, l'orso ed il bufalo: non amiamo altro».
In quell'istante Dorso
Bruciato venne ad interrompere la loro conversazione:
- Gli uomini bianchi mi
seguano - disse. - La raccolta è terminata e le donne della tribù attendono il
nostro ritorno accanto ai fuochi.
- Andiamo, - disse Bennie.
- Troveremo un pranzo squisito.
Le Teste Piatte si erano
già messe in cammino procedendo a fianco dei cavalli carichi di enormi pezzi di
carne, ancora gocciolanti sangue e di pelli superbe accuratamente arrotolate,
le quali, però, prima di venir lavorate, dovevano subire una preparazione, che
le avrebbe rese più morbide e conservate più a lungo. Uomini ed animali erano
orrendamente imbrattati di sangue. Penne, mocassini, casacche, armi, criniere e
code erano tinte di rosso come se gli uni e gli altri si fossero avvoltolati in
mezzo ad una ecatombe di scannati. Bennie e i suoi amici avevano seguito il capo,
il quale aveva ornato il suo mustano di code di bisonte e di lingue enormi, e
in pochi istanti erano sbucati in una vasta prateria, dove altri indiani erano
occupati a scuoiare e a fare a pezzi altri animali caduti sotto il fuoco dei
fucili, mentre altri ancora guidavano grandi carri ricolmi di spoglie
sanguinolente e di montagne di carne. Attraversarono al galoppo la pianura e si
cacciarono in mezzo ad alcuni poggi boscosi, sopra i cui alberi si vedevano
innalzarsi colonne di fumo. In lontananza si udivano già grida di donne,
strilli di bambini e latrati di cani, che annunciavano l'accampamento indiano.
Il sackem, seguito da una mezza dozzina dei suoi guerrieri, i cui
mustani erano adorni di lingue e di code di bisonte, scese una valle irrigata
da numerosi torrenti e sulle cui alture si vedevano caracollare dei cavalieri
incaricati di vegliare sulla sicurezza comune, poi volgendosi verso Bennie e
indicandogli una gola che pareva si addentrasse fra due enorme masse rocciose,
gli disse:
- Il campo.
|